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Sandro Pozzi: La Necropoli in via San marco a Oriano

Una delle tombe in via San Marco a Oriano

Una delle tombe in via San Marco a Oriano

 

LA NECROPOLI DI VIA S. MARCO A ORIANO

Pozzi Sandro

 

 

L'altura della Pieguzza ha restituito negli anni che vanno dal 1967 al 1983 abbondante materiale archeologico di varia natura. La tipologia dei reperti rinvenuti dimostra l'esistenza in loco di attività rurali e forse abitative, che si mantennero per un lungo periodo di tempo a partire dal II-I secolo a. C. fino alla tarda romanità e ai secoli IV-V d. C. Probabilmente fu una zona di insediamento anche di tribù preceltiche, che hanno lasciato rare ma significative tracce del loro passaggio in residui di lavorazione della selce, microliti e macroliti di varie dimensioni e varia funzione. Le tracce di questa lunga frequentazione e delle attività umane, che modificarono il sito nell'antichità, si sono fortunatamente conservate grazie alla secolare destinazione agricola della località chiamata Pieguzza, che ha consentito di mantenere sostanzialmente integro il sottosuolo al di sotto dei 30-40 cm di profondità. La natura delle scoperte induce a credere congrua l'ipotesi seconda la quale le attività rurali, testimoniate nell'età imperiale e tardo barbarica dalla presenza di due vasche-cisterna, siano espressione di un insediamento umano piuttosto tardivo, che si sovrappose, per motivi ancora ignoti, ad una precedente destinazione della stessa area, alla quale va probabilmente associato un uso anche funerario.

Questa primitiva destinazione d'uso si mantenne, nella nostra ipotetica ricostruzione, dal II-I secolo a. C. fino al I secolo d. C. durante la prima età imperiale. E' proprio a questo periodo che risalgono le tombe rinvenute lungo l'odierna via S. Marco e non è improbabile che la loro ubicazione fosse determinata dalla presenza di una via di comunicazione, che passava per la Pieguzza e permetteva di transitare in costa al colle del Baciolago, ad una altezza di sicurezza e di eccezionale orizzonte visivo. Questa strada sopravviverebbe oggi nell'odierna via S. Marco, mantenendo intatte alcune interessanti diramazioni per Zizzanorre e Cremella oltre alla principale direzione sull'asse Cassago-Renate. Lungo questa direttrice furono scoperte quattro tombe nel tratto compreso tra la chiesa di S. Gregorio (forse luogo legato a qualche culto pagano sopravvissuto nel medioevo in forme cristianizzate) e la Pieguzza. Tre di esse sono relative all'età gallica del finale La Tène (III-I secolo a. C.), mentre la quarta, rinvenuta alla confluenza con via don Colnaghi è più tarda ed è relativa al periodo tardo repubblicano o del primo impero (I secolo d. C.).   

 

Tombe di via S. Marco 

Nell'ottobre del 1971 l'Amministrazione Comunale di Cassago decise di iniziare i lavori per la rettificazione di via S. Marco, una strada di campagna che collegava Oriano al capoluogo passando per la località Pieguzza. Fino al quel momento la strada conservava un fondo in acciottolato, comunemente noto come "risciùl", una specie di pavé lombardo formato con sassi ovoidali di origine fluviale. Sostanzialmente ad andamento piatto, giunta nei pressi della Pieguzza, la strada mostrava un improvviso aumento di pendenza del 10% per poi declinare dolcemente a mezza costa verso Cassago. I lavori di rettificazione determinarono l'allargamento della carreggiata della strada e l'addolcimento dei dislivelli. L'allargamento della sede stradale comportò un considerevole movimento di terra, che toccò principalmente i terrazzamenti laterali e le propaggini dell'altura della Pieguzza. Fu durante questa attività di escavazione che vennero scoperte in due giorni successivi tre tombe, che oggi possiamo datare al II-I secolo a. C. Esse rivelano l'esistenza di insediamenti gallici sul territorio di Cassago. La presenza di una tribù gallica a Cassago nel II-I secolo a. C. è ampiamente confermata da altri ritrovamenti, relativi a questa età finale di La Tène, che vennero compiuti nelle località della Pieguzza e del Crotto. Due delle tombe di via S. Marco furono inizialmente intraviste dal signor Fiorenzo Moreschi mentre tornava a casa una sera dal lavoro. Erano posizionate a circa due metri di profondità dal livello di un terreno agricolo coltivato a granoturco di cui al mappale 332 situato nelle adiacenze di una deviazione della strada principale per Zizzanorre. Sorpreso del ritrovamento, ma non nuovo a un simile riconoscimento dato che solo quattro anni prima aveva individuato con il padre una vasca-cisterna di età romana poco lontano, il signor Moreschi sollecitò immediatamente il blocco dei lavori e il recupero del materiale. La terza tomba apparve più a monte qualche giorno più tardi al mappale 407/b. Nella stessa area fu scoperta durante i medesimi lavori anche un'anfora vinaria frammentaria di età romana. Purtroppo non venne effettuato alcun rilievo della scoperta, per quanto i lavori fossero stati sospesi e fosse stata avvertita la Soprintendenza ai Beni Archeologici, sicché ora è possibile indicare solo una proba­bile ricostruzione di quelle tombe in base ai rari documenti fotografici e alle testimonianze di chi vide i manufatti. Le prime due tombe giacevano appaiate a 2 metri circa di distanza l'una dall'altra ed erano orientate da est a ovest.

Dalle fotografie si può ragionevolmente presumere che avessero dimensioni di 200 x 70 cm. Erano scavate nella nuda terra ed erano delimitate da lastroni di pietra sommariamente regolari. Il fondo era costituito da terriccio. Al loro interno contenevano abbondante materiale fittile, oggetti di ferro e forse ossa, come ricorda qualche testimone. La terza tomba non aveva dimensioni dissimili dalle precedenti e conteneva anch'essa ceramica e oggetti in ferro, fra cui un'armilla completamente ossidata. Il materiale ceramico è tipico delle tombe galliche del II-I secolo a. C. Si può aggiungere che queste tombe probabilmente non accolsero dei capi tribù poiché manca il loro tipico corredo di armi. Almeno una tomba fu forse usata per una donna, di cui ci è rimasta un'armilla. Si tratta quasi certamente di sepolture di gente senza specifiche prerogative sociali nell'ambito dell'insediamento locale. Vari sono i pezzi ceramici rinvenuti di un certo interesse, tutti relativi alla facies culturale gallica. Difficilmente si possono attribuire all'attività di una fornace locale: è più probabile che gran parte del materiale recuperato sia materiale di importazione.

Ciò testimonierebbe l'esistenza di scambi commerciali fra l'insediamento della Pieguzza e le popolazioni limitrofe.

 

Inventario di alcuni pezzi catalogati 

St. 51714 Olletta

Olletta frammentaria in argilla arancio-rosata. Il fondo ha un aspetto piano, mentre il corpo ovoide è schiacciato. Presenta un labbro diritto. Diametro alla bocca di 4,5 cm. Diametro al fondo di cm 2,6. Databile al I secolo a. C. 

St. 51713 Bicchiere a rocchetto

Bicchiere ricomposto da tre frammenti in argilla nocciola chiaro. Tipico esempio di forma ceramica di produzione gallica del II-I secolo a. C. Diametro di 8,5 cm e altezza di 5,6 cm. 

St. 51665 Coppetta in vernice nera

Piccola coppa in vernice nera opaca attribuibile alla tarda età repubblicana o alla prima età imperiale. L'impasto della ceramica è fine e di buona fattura. Si tratta di un oggetto di importazione. La coppetta serviva per contenere dei semi: il suo rinvenimento in una tomba non è casuale poiché nell'antichità il seme era considerato il simbolo della vita e della continuità di questa anche dopo la morte. Altezza massima di 1,9 cm. Diametro alla bocca 7,8 cm e al fondo 5 cm. 

St. 51708 Frammenti di contenitori

Un frammento è ricomposto da cinque pezzi. Si tratta di un fondo piano, con piede leggermente distinto e parete pressoché diritta. Altri frammenti appartengono alla stessa parete. Presenta una decorazione a fasce con solchi sia obliqui che orizzontali di rozza fattura. L'interno è stato annerito con cenere e grasso per meglio impermeabilizzare la ceramica ad uso di contenitore. L'impasto è grossolano, color arancio-nocciola. attribuibile alla cultura finale di La Tène del II-I secolo a. C.

 

A chi appartennero queste tombe scoperte alla Pieguzza ?

A questa domanda si può rispondere con fondata certezza: sono riferibili a componenti di una tribù pre-romana, gallica o celtica, che ha lasciato proprie tracce anche in località Crotto. Essa si sviluppò dal grande crogiolo di popolazioni alpine e prealpine, che si formarono dopo la grande invasione celtica del tardo V secolo a. C. L'avanzata dei celti verso l'Italia modificò anche il territorio brianzolo, che poco per volta venne plasmato dalla cultura di La Tène, una civiltà, che dominò le regioni a nord del Po sino all'arrivo dei Romani. I pareri sono discordi sulla reale data di questa invasione. Livio afferma che la prima ondata avvenne al tempo di Tarquinio Prisco (inizio del VI secolo a. C.), mentre Polibio indica nella sua Storia il tardo V secolo a. C. Si può ammettere la congruenza delle due informazioni ammettendo, come è realistico, che l'invasione celtica non fu un episodio di breve durata e che la lotta per il possesso del territorio si sia protratta per un lungo periodo, forse qualche secolo.

I Celti del resto probabilmente non modificarono traumaticamente il territorio, bensì conservarono i centri abitati pre-celtici adattandosi alla vita dei villaggi e delle città che avevano incontrato. Per quanto vinte sul finire del III secolo a. C. le popolazioni celto-galliche locali restarono sostanzialmente indipendenti dai Romani almeno fino al 190 a. C. Solo da questo momento iniziò inesorabile l'influsso politico e culturale romano, naturalmente piuttosto lungo le vie commerciali che non nelle valli più interne. Prima di allora la presenza celtica nel Lecchese e in Brianza, fra cui possiamo includere anche quella in Cassago, aveva goduto grazie alla indipendenza politica di una relativa diffusione e di un discreto sviluppo. L'insediamento di Cassago può essere meglio compreso se viene inserito in questo contesto più generale che vide una attiva presenza sociale, economica e politica di tribù celto-galliche nel triangolo lariano. Già nel IV e III secolo a. C. i Romani avevano stabilito im­portanti rapporti commerciali con la cosiddetta Gallia Transpadana acquistandovi grano, carni salate e tessuti di lana. Si tratta di prodotti tipici dell'economia praticata anche in Brianza e nelle valli associate all'Adda.

Ricca è la documentazione archeologica relativa a quest'epoca che apre uno squarcio sui costumi e sulle abitudini di popolazioni simili a quelle che vissero alla Pieguzza nel III-I secolo a. C. Diffuso era l'allevamento, specialmente di ovini: molte sono le cesoie di ferro che si sono scoperte nelle tombe della Valsassina riferibili alla tosatura delle pecore. Non sembra tuttavia che vi fossero grandi vie commerciali grazie alle quali scambiare i prodotti: il motivo sta forse nella insicurezza delle vallate e dei passi alpini, le cui popolazioni bellicose ne impedivano il transito. Una importante direttrice era tuttavia la pista che collegava le città pedemontane di Como e Bergamo, il cui tragitto correva poco discosto da Cassago. Importanti diramazioni si sviluppavano probabilmente verso la Valsassina e Introbio, sede di un forte centro celtico.

 Altre ramificazioni portavano ai monti e alle valli bergamasche, fino a raggiungere la mitica Parra, un rinomato luogo di fusione e di lavorazione del ferro, da identificare probabilmente con l'attuale Parre in Val Seriana. Molti elementi celtici sono presenti in Valsassina, così come ad Acquate di Lecco (tombe del I secolo a. C.), che ha forse surrogato il proprio nome dalla tribù celtica dei Leuki, ancora stabilita in Gallia all'epoca di Cesare. Le necropoli della Valsassina sono coeve ai ritrovamenti della Pieguzza e risalgono al IV-II secolo a. C. Esse però hanno restituito in genere spade e armi di vario genere. Se ne scoprirono a Barzio, Ballabio, Cremeno, Pasturo. Introbio, che fu centro romano di primaria importanza nella vallata, ha a sua volta restituito quattro gruppi di tombe a cremazione deposte nella sabbia, risalenti al III-II secolo a. C. Contenevano in genere armi di ferro e qualche oggetto ornamentale, braccialetti di bronzo, fibule, palette di bronzo. Palette si scoprirono anche a Esino e a Gittana e si ipotizza che fossero oggetti rituali usati per raccogliere le ossa carbonizzate dei cremati. Altre tombe si trovarono a Vimogno, a Casargo (una spada e dell'ambra, forse proveniente dall'Europa del nord) e a Pagnona. Sul versante del lago un insediamento doveva esserci ad Esino: le tombe qui individuate indicano che un villaggio si sviluppò dal III fino al I secolo a. C. L'isolamento del luogo favorì una straordinaria mescolanza di elementi, armi, fibule, sia celtiche che romane, armille di tradizione golasecchiana e bei vasi a trottola decorati in bruno a zone concentriche. Anche le tombe di Gittana manifestano differenti influssi culturali che vanno dall'età del bronzo fino alla romanità. La presenza di una tipologia così varia di manufatti, che si estende diacronicamente, fa supporre non solo la sovrapposizione di più culture in ambito locale, ma pure l'esistenza di scambi commerciali con relativa importazione di prodotti da altre regioni.

Significativi sono a questo proposito i ritrovamenti di oggetti come braccialetti e perle di vetro, prodotti tipici del celtismo d'Oltralpe e della cultura svizzera di La Tène in particolare. Caratteristici apporti celtici sono le spade di ferro e i prodotti di lavorazione in ferro, di cui non mancano ritrovamenti alla Pieguzza e che si rinvengono copiosi in Valsassina, forse per la presenza di vene metallifere di ferro sopra Introbio e Premana. Varie spade rinvenute sembra siano di fabbricazione nordica più che locale, forse provenienti dal Nòrico, dove esisteva una famosa tradizione di lavorazione del ferro. Queste popolazioni celtiche erano già in grado di produrre acciaio dolce, ottenuto lasciando il materiale ferritico lavorato a raffreddare all'aria senza temperarlo. Un altro tipico oggetto di quest'epoca è il vaso a trottola, che subirà col trascorrere del tempo varie modificazioni diventando sempre più schiacciato e decorato a fasce o a linee concentriche. Di questi vasi, che forse servivano come contenitori di vino, gli esemplari più antichi sono stati rinvenuti a Barzio e a Introbio. I più recenti provengono da Esino sono decorati in bruno e risalgono al II-I secolo a. C. Altri vasi similari affiorarono anche a Gravedona, nel Pian di Spagna, a Isola, a Plesio e a Mandello. La presenza in Brianza di questa facies culturale celtica purtroppo non è ben documentata.  

Qualcosa si trovò ad Alzate, a Brenna e a Monza. Nella regione limitrofa alla Pieguzza e a Cassago ritrovamenti appartenenti a questo periodo affiorarono a Barzanò e a Casatenovo. In prossimità della cascina Cacciabuoi si rinvennero urne scalfite a lineette parallele, vari bicchieri, coltelli e bronzi, un vaso a trottola piuttosto schiacciata e un mestolo di bronzo. Altri oggetti simili furono recuperati anche a Rogorea di Casatenovo, dove si rinvennero un vaso a trottola, bicchieri a rocchetto e un piatto verniciato in rosso e nero secondo un gusto di importazione meridionale diffuso nel II secolo a. C. Il sostrato celtico di questa regione emerge dai dedicanti di varie lapidi di età romana. A Cremella, un paese al confine di Cassago, nel 1953 fu recuperata una piccola ara con la scritta IOVI IMPETRABILI M(arcus) BROCCHIUS PUPUS V(otum) S(olvit) L(ibenter) M(erito), che in italiano possiamo tradurre "A Giove condiscendente Marco Brocchio Pupo dedica sciogliendo un voto". I caratteri epigrafici regolari e quasi eleganti ci riportano presumibilmente al II secolo d. C.  Ebbene il dedicante era certamente un gallo romanizzato, poiché i suoi tria nomina sono d'una natura e d'una composizione estranee all'onomastica latina e romana: Brocchius non è un nomen romano, mentre il cognomen Pupus, che vuol dire bambino, era posto piuttosto con il valore di praenomen sulle epigrafi funerarie dei bimbi. Pupus era tuttavia anche nome da schiavo. La relativa scarsità di reperti fa supporre dunque che la Brianza sia stata interessata da una diffusa presenza di questa facies culturale in un'età più avanzata rispetto alla Valsassina.

Ciò non toglie che la sua presenza si sia espressa in forme significative ed abbia generato insediamenti di un certo rilievo.  Centri importanti furono certamente Casatenovo, che appare abitato fin dall'inizio dell'età del ferro, così come Missaglia e probabilmente Cassago, Cremella e Barzanò. Si tratta infatti di località che hanno restituito sicuri reperti a partire dall'età del ferro e che mantennero la continuità insediativa per tutta l'età romana, di cui sono ricca espressione le numerose necropoli ed are con iscrizioni latine. Resta tuttora aperto il problema della origine di queste popolazioni locali, se discendenti da popolazioni liguri o se discendenti da celti e galli invasori del V secolo a. C. Le testimonianze degli scrittori latini non sono chiare al riguardo e danno corda a entrambe le ipotesi. Livio e Plinio il Giovane distinguevano ad esempio i Comensi dagli Insubri, ma Tolomeo e Giustino volevano Como fondata proprio dagli Insubri. Plinio il Vecchio, rifacendosi a Catone, afferma invece che Como, Bergamo, Liciniforum e altri popoli dei dintorni erano della stirpe (autoctona) degli Orumbovii o Orobi, gli eredi cioè di quei Liguri che nell'età del bronzo occupavano con le palafitte i laghetti brianzoli. Certo è in ogni caso che le ondate di popolazioni celtiche, che dal nord nel I millennio a. C. si spostarono a sud passando anche per la Lombardia, influenzarono sicuramente le abitudini e i costumi delle popolazioni locali preesistenti generando nei secoli un nuovo popolo, che conservava tuttavia ampia memoria della sua eterogenea origine nei suoi manufatti. Con i celti l'organizzazione sociale conobbe nuove forme con la nascita di un forte potere centrale di piccoli re e un accenno di federazione fra gruppi e tribù in funzione della divisione e della occupazione del territorio. Ai villaggi sparsi dell'età precedente si sostituiscono gradatamente centri di maggiori dimensioni. Poco conosciamo anche della lingua parlata e della scrittura usata da queste popolazioni.

Scarse sono le iscrizioni finora emerse: nell'area brianzola ne fu individuata una scolpita su una colonna che era murata presso la chiesa di Santa Croce a Missaglia. Essa reca in caratteri nord-etruschi la parola MOPSIL o VOPSIL che dovrebbe essere un termine celtico più che ligure.  Indicava probabilmente il nome di un personaggio, al quale era stato dedicato qualche cosa, poiché il dativo IL lascia intendere appunto "dedicato a Mopso".

 

Tomba di età repubblicano-imperiale  

Questa tomba fu scoperta nel luglio 1981. In quel periodo si stavano eseguendo degli scavi per la posa di tubazioni d'acqua e la ruspa mentre stava abbassando il livello stradale mise in luce il manu­fat­to a circa 1 m di profondità. Fu solo grazie all'intervento ed all'accortezza del si­gnor Fiorenzo Moreschi, che abitava lì vicino, se i resti in essa contenuti poterono essere messi in salvo da sicura rovina. La tomba si trovava esattamente nel piccolo piazzale della Pieguzza al termine di via don E. Colnaghi, dove passa la strada che da Oriano conduce a Cassago. Pochi metri più a est fu evi­denziata qualche anno prima un'anfora vinaria coricata e sepolta a mezza costa della strada, mentre a una decina di metri in direzione nord-ovest furono rinvenute due cisterne di età romana e tardo-romana. Altre tre tombe, di cui abbiamo precedentemente parlato, furono rinvenute in direzione est a una distanza compresa fra 50 e 100 m. La tomba di via don E. Colnaghi era costituita da una camera semplice con pareti laterali in sassi e mattoni, coperta da una lastra di pietra. Al momento della scoperta non fu eseguita alcuna misurazione del manufatto, né vennero eseguiti disegni o scattate fotografie. Al suo interno si rinvennero due patere, di cui una a vernice nera, un falcetto arrugginito, resti di ossa umane e forse una fibula. La tipologia della ceramica suggerisce una datazione di età romana tardo repubblicana o del primo impero.

Questa tomba attesterebbe dunque la presenza romana in Cassago già nel I secolo d. C. in un periodo durante il quale si realizzò l'integrazione fra la popolazione gallica locale e i coloni romani, che con le armi avevano vinto le popolazioni transpadane. Si tratta a tutt'oggi di uno dei primi esempi di un certo interesse del processo di romanizzazione del territorio di Cassago. La tipologia della ceramica e in particolare la presenza di una patera a vernice con decorazioni a palmetta è un indice sicuro di questo processo, dato che questo tipo di ceramica di origine meridionale rivela l'esistenza di scambi commerciali, per il cui tramite vengono importati modelli culturali e abitudini nuove. L'assenza di monete e la contemporanea sopravvivenza di forme ceramiche locali rivela altresì la persistenza tenace della cultura gallica locale, che probabilmente sopravvisse a lungo nell'intera Brianza. La relativa povertà dei reperti recuperati nella tomba evidenzia che non siamo di fronte alla tomba di un ricco possidente. Si trattava più probabilmente di un colono romano o meglio ancora di un piccolo proprietario terriero di origine ed etnia gallica abitante in loco.