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DON GIOVANNI MOTTA

Il giovane don Motta

Il giovane don Motta

 

DON GIOVANNI MOTTA

di Luigi Beretta

 

 

 

Don GIOVANNI MOTTA e "il suo geometra" Eugenio Colnago

Un incontro fra amici

Poco dopo la morte di don Enrico Colnaghi era venuto a risiedere a Cassago un nipote del parroco defunto, il signor Eugenio Colnago, che era perito edile. Egli pensò bene di presentarsi subito al parroco per farsi conoscere e per offrire i suoi servigi.

Scrive don Motta che la sua presentazione fu oltre che onesta anche generosa: «Sig. Curato io sono un suo parrocchiano, quel che posso fare dica, lei mi benedica, perché abbia a trovare lavoro in questa zona.»

Don Motta non si lasciò impressionare, anzi prese alla lettera la sua disponibilità e ne approfittò immediatamente. Detto fatto, gli affidò l'assistenza ai lavori di ammodernamento che voleva eseguire all'Oratorio maschile. Colnago stese il progetto e il capitolato dei lavori che furono assegnati all'impresa Pozzi di Sirone.

Ne venne un'opera che presentava un porticato di m 32x5 con in fondo i servizi igienici. Una scala esterna dava accesso alla sovrastante terrazza. La parte superiore era suddivisa in due locali scuola-adunanza, due sale da gioco, una cappella e in più due stanze che unite alle tre esistenti fornivano un decoroso appartamento, per un futuro coadiutore. La nuova costruzione iniziata il 25 aprile 1949 fu inaugurata il 9 ottobre 1949. Un'opera dopo l'altra La buona riuscita della ristrutturazione dell'oratorio fu il primo banco di prova per l'impetuoso spirito di iniziativa di don Motta in campo edilizio. L'appoggio incondizionato del giovane perito edile Eugenio Colnago gli permise di dare solide basi alla progettazione delle sue idee, che allungavano le mani sul futuro per accaparrarlo al benessere dei suoi parrocchiani. Tante iniziative nascevano anche da occasioni fortuite: una volta nel corso di in un sopralluogo alla casa coadiutorale, il capomastro Pozzi, gli disse che con un buon lavoro si sarebbero ottenuti tre piani.

In un baleno questa idea passò allo studio di Eugenio Colnago e quel rustico fu trasformato in caseggiato di tre appartamenti civili e per la fine del 1950 furono pronti. "La gente - ricorda don Motta - guardava, criticava, contrastava, s'invogliava. Nessuno mi fermava. Le cose erano evidentemente utili: i fabbricieri mi dicevano: faccia, tanto (aggiunge con fine humour) la fatica era tutta sulle mie spalle." I consigli di Eugenio Colnago erano apprezzati da don Motta e anche seguiti: quando nei primi anni '50 si trattò di procedere alla decorazione in stucco dello zoccolo del Battistero su suggerimento del sig. Colnago, don Motta scelse sia il marmista quanto i marmi. Grande fu l'aiuto del Colnago anche in occasione della costruzione dell'Oratorio femminile, di cui predispose non solo i progetti, ma contribuì in modo fondamentale a istruire le pratiche del mutuo.

In un nevoso Natale ricorda don Motta con rapide righe che "dopo la ricerca pressante e pedante dei certificati richiesti, eseguita dalla paziente e sempre amorevole assistenza dei lavori della Chiesa del signor geometra Eugenio Colnago, le pratiche sono arrivate alla domanda davanti la Cassa R. PP. LL. di Missaglia a cui è stata fatta la consegna dei documenti." La domanda avrà un esito positivo. Beneficio Coadiutorale L'aiuto di Eugenio Colnago si rivelò decisivo nella questione del Beneficio coadiutorale. In pratica don Motta voleva vendere un terreno alla famiglia Onofri per poi acquisirne un altro: la permuta però presentava difficoltà (sollevate dalla Curia) che per don Motta erano una assurdità. Sentite quanto scrive disperatamente il povero parroco: "Quando considero la maniera in cui avveniva la vendita di un terreno di beneficio ai bei tempi del 1900 e 1913 mi vien da chiedermi se il mondo ora è diventato una botte di tortura o un luogo di grande purificazione e santificazione. Questo capitolo lo dovrebbe stendere per precisione il sig. Eugenio Colnago che ha portato la croce pesantissima dei dati tecnici."

Questa storia, iniziata nel 1950, riuscì a essere chiusa alla fine del 1953 solo dopo un decreto del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

 

 

Casa Parrocchiale

Un'opera che impegnò a fondo il sodalizio don Motta-Colnago fu la costruzione della casa parrocchiale. Nel maggio 1959 fu acquistato il terreno su cui sarebbe sorta e nell'estate dello stesso anno Eugenio Colnago preparò un progetto, che fu presentato a mons. Luraghi, che lo trovò di proporzioni piuttosto grandi.

Don Motta riferì l'osservazione al Colnago, che "con sacrificio di tempo a luì preziosissimo mi preparò il nuovo disegno che è quello attuale. Avrò forse già avuta occasione di citare una circostanza riguardante il sig. Eugenio Colnago che è nipote del defunto parroco don Enrico Colnaghi (i nomi di parentela sono una loro questione di famiglia). Mi diceva, così in discorrere, che già intenzione dello zio, era quella di intraprendere l'opera di una nuova casa parrocchiale, dopo l'ampliamento della chiesa, senonché a quell'epoca fu affetto da una infermità di vista che andò sempre più accentuandosi fino a ridurlo alla quasi completa cecità. Era stato dispensato dalla recita dell'Ufficio ed aveva facoltà di recitare sempre la S. Messa della Madonna.

Questa circostanza, oltre gli abituali rapporti che, per ordine tecnico ho sempre tenuto con il sig. Colnago Eugenio, mi ha tranquillizzato nel vedere seguita ed eseguita sotto la sua competenza tecnica, non digiuna dalle necessità di vita di un parroco."

La nuova casa del parroco poneva alcune questioni circa la vecchia canonica che don Motta risolse a modo a suo. La canonica che serviva da abitazione ai parroci fin dal '700, dopo la costruzione della nuova chiesa, era di proprietà del Comune e don Motta quando si decise a costruire la nuova casa parrocchiale fece un semplice ragionamento agli amministratori comunali e al Sindaco Pasquale Milani: "io faccio la casa parrocchiale, e voi mi date un contributo corrispondente alla valutazione della vecchia, ed allora vi tenete la proprietà della casa, altrimenti, a titolo di compenso cedete alla Chiesa la proprietà stessa." La risposta alla proposta di don Motta fu «di denari non se ne parla, certamente si cederà la proprietà alla Chiesa.»

L'amministrazione comunale approvò una delibera in proposito, se non chè per la donazione fu scelto per imperizia il modo più complicato, che la Curia Arcivescovile non accettò, suggerendo piuttosto la forma di una donazione alla Chiesa Parrocchiale. La questione tornò in Comune e fece di nuovo il suo iter burocratico, questa volta però sotto la vigile attenzione del nuovo Sindaco, l'amico fidato Eugenio Colnago, appena eletto a novembre del 1960. Così il 14 gennaio 1961 la donazione fu portata al rogito accompagnata da perizia tecnica asseverata dallo Eugenio Colnago, sindaco sì, ma anche, e soprattutto, consulente del parroco.

 

 

Campane

L'amicizia e la riconoscenza di don Motta nei confronti di Eugenio Colnago ebbe modo di manifestarsi in occasione della benedizione della campana maggiore e di una campana per la chiesa di Oriano, che ebbero come padrini Eugenio ed il padre Giovanni Colnago. Annota don Motta nel Cronicon che i signori Giovanni ed Eugenio Colnago, padre e figlio, sono rispettivamente fratello e nipote del defunto parroco don Enrico Colnaghi (la diversa grafia del cognome non importi dubbio) e che la popolazione ha gradito la designazione.

 

 

DON MOTTA e il "suo arcivescovo" MONTINI

Don Motta ci ha lasciato gustosissime pagine in cui ama parlare a voce alta della storia che si svolge attorno a lui e che coinvolge non solo la sua parrocchia, ma anche personaggi di rilievo con i quali entra in contatto. Specialissima per lui è la figura di "Sua Eccellenza l'Arcivescovo" di Milano, mons. Montini, che diverrà papa: don Motta scrive pagine e pagine sulla sua figura, la tratteggia, la discute, esprime i suoi sentimenti, i suoi desideri, le sue preveggenze, il tutto frammisto a vere e proprie preghiere che scaturiscono dai ragionamenti della sua anima. Mons. Montini, Sua Eccellenza l'Arcivescovo Montini entra a Milano il 6.1.1955. Parlando della sua personalità quale si discuteva negli anni '50, don Motta scrive che vi erano due opinioni (contraddittorie) sul suo conto.

La prima interpretava la sua elezione alla sede di Milano come un promoveatur ut amoveatur (non sappiamo pudicamente la verità, annota don Motta). Secondo l'altra opinione invece « il Papa l'avrebbe voluto lasciare per prepararsi il successore.»

La stampa mondiale, giustamente secondo don Motta, accettava questa tesi. Il buon don Giovanni non si ferma qui, ma raccoglie anche qualche mezzo discorso che vi bisbigliava: non essendoci ancor stato Concistoro per ulteriori elezioni si dice che prima che mons. Montini partisse per Milano, il Papa l'avesse chiamato in segreto e creato eletto Cardinale alla presenza di testimoni. Ma la storia - e qui don Motta ritorna concreto - chiaramante dirà di queste voci. Parleremo tra poco del personale incontro a Cassago di don Motta con Montini arcivescovo. Saltiamo invece subito al 1963, all'epilogo del soggiorno di Montini a Milano. Don Motta scrive, scrive e se ne fa quasi un vanto personale della sua elezione a papa. Ma lasciamogli la parola, veramente gustosissima: " 21.6.1963 Chiacchere o no la storia comunque si è svolta così: dopo 8 anni e 6 mesi dacchè l'allora mons. G. B. Montini entrò da Vescovo a Milano passò al titolo di Cardinale e di primo Cardinale creato da Papa Giovanni XXIII nel Concistoro del dicembre 1958.

Ora eccoci all'epilogo di una designazione che non può avere altra meta che quella della Gloria del Cielo. Dopo 36 ore di Conclave tenuto da 80 Cardinali, assenti Midzenti primate di Ungheria per condizioni politiche e il card. arc. di Quito per malattia ecco la fumata: quella buona ! Mi trova per caso dinanzi al video ed era giorno di S. Cuore: dopo la Messa del Corpus Domini nel Rito Ambrosiano: 11.20 fumata decisamente bianca. 12.10 il card. Decano Tisserant annunzia: habemus Papam, Joannem Baptistam, ma uno scroscio lo interrompe: la folla ha capito che si tratta dell'Arcivescovo di Milano card. S. R. Ecc. Montini. Siamo alla conclusione di prudenti e facili ormai profezie: 12.20 al balcone di S. Pietro la I° Benedizione: benedisse così: Benedico vos omnipotens Deus, Pater et Filius et spiritus sanctus, memore che sia la formula di Rito Ambrosiano.

Chissà perchè la Chiesa ha il suo capo quella di Milano è .... vacante." Quest'ultima conclusione è veramente fuori del comune ! Straordinario don Motta, un vero pastore che pensa subito alle necessità del suo gregge. Ma non è finita, perchè podo dopo aggiunge che "il giorno 12/6/63 mi era venuto in mente di scrivere a S. E. un non so che cosa di presentimento ed auguri: mi aveva risposto: Il card. G. B. Montini Arcivescovo di Milano ringrazia il M. R. don Giovanni Motta delle devote espressioni del suo scritto, delle preghiere per le necessità della Chiesa e della Diocesi, e di cuore invia auspicio di grazia e divini favori, una particolare pastorale benedizione, che estendo ai cari parrocchiani di Cassago Brianza. Milano 14/6/1963 G. B. Card. Montini Arc."

Don Motta preveggente ? Forse sì, forse le sue intense preghiere lo assistevano nei pensieri, ma è anche vero che molte persone che l'hanno conosciuto ne sono sicure.

 

 

La consacrazione della Chiesa

Appena nominato parroco don Motta si era subito preoccupato di riordinare la Chiesa e soprattutto di far dipingere un grande ciclo pittorico che accompagnasse il fedele cristiano nella celebrazione della S. Eucarestia.

Linea conduttrice di questo ciclo è la devozione al Sacro Cuore di Gesù. Quando i lavori erano giunti ormai a buon punto don Motta pensò di invitare l'arcivescovo per la consacrazione della Chiesa. Fu invitato il card. Schuster arcivescovo di Milano,che però morì nell'agosto 1954. Quando il 3 novembre 1954 si diffuse la notizia della elezione di Mons. Montini Giovan Battista a vescovo di Milano don Motta gli scrisse, mentre ancora era a Roma, presentando gli auguri della gente di Cassago e già accennando ad un invito per consacrare la Chiesa. Arrivato a Milano nel gennaio 1955 don Motta tenta subito di avvicinarlo, ma si rende conto delle difficoltà perchè l'arcivescovo aveva giornate intense e sempre occupate, per il suo sistema di ricevere e di ascoltare tutti. Però non demorde. Timidamente esprime ad un segretario il suo pensiero in una lettera perchè possa servire di pro memoria. Annota don Motta che si era a marzo e che nella lettera di invito proponeva la festa di S. Agostino come data per una visita di Montini a Cassago.

Gli fu risposto per lettera dal Segretario che era troppo presto per parlarne. Imperterrito don Motta rinnova la sua richiesta e aspetta: non veniva - dice -, ma un giorno si presentò in paese mons. Beretta Cerimoniere Maggiore del Duomo di Milano. Voleva vedere se la Chiesa era decorosa da meritare la funzione della Consacrazione. Il giorno 22 luglio parla con il segretario Macchi «allora Sua Eccellenza ha deciso: ma senti non potresti spostare la data: i giorni indicati sarebbero ancora quelli compresi e fissati per il riposo di Sua Eccellenza.» Assieme concordano la data 2-3 settembre e don Motta si permette di lasciare la fotografia-quadro della Chiesa perchè Montini ci apponga la firma. Cosa che fa aggiungendo la sua benedizione «La nostra benedizione ai fedeli di Cassago.»

Il giorno 31.7 di domenica in chiesa don Motta dà la notizia: un silenzio profondo e commovente - scrive - diceva la gioia interiore dei miei parrocchiani.

2-3 Settembre: Montini a Cassago: l'arrivo imminente dell'arcivescovo mette in subbuglio la parrocchia.

Don Motta passa di casa in casa distribuendo l'immagine della Chiesa con la benedizione dell'arcivescovo. Nel frattempo fa eseguire fotografie della chiesa per preparare il Bollettino parrocchiale da far uscire come un numero unico. Viene convocato il consiglio parrocchiale che stende un programma delle manifestazioni: il giovedì sera ci sarà una conferenza storico-liturgica di mons. Biella cerimoniere maggiore del Duomo. Il venerdì alle ore 18 si prevede l'arrivo di mons. G. B. Montini Arcivescovo con l'amministrazione della Cresima a 50 bambini. A seguire le prime funzioni della Consacrazione della chiesa con la preparazione delle acque. Sabato alle ore 7 Consacrazione e alle ore 16 Benedizione della Chiesa. Domenica festa di S. Agostino con alle ore 10 S. Messa in Canto con mons. Prevosto di Missaglia: alle ore 17 Processione e alle ore 20 Concerto. La cronaca del venerdì sera fu data alle stampe sul quotidiano «L' Italia» dal segretario Macchi collega di insegnamento di don Motta nel Seminario di S. Pietro: "S. E. Mons. Montini si è recato, ieri l'altro, a Cassago Brianza per amministrare la S. Cresima a cinquanta bambini e consacrare la nuova chiesa. Una immensa folla stava ad attenderlo davanti alla chiesa. Accolto dal parroco don Giovanni Motta, presente anche il Prevosto di Missaglia, il Sindaco e il Duca Visconti di Modrone, S. E. l'Arcivescovo è entrato in chiesa, accolto dal canto dell'Ecce Sacerdos. Rivolgendosi ai cresimandi, Mons. Montini ha sottolineato il valore del sacramento della Cresima, affermando che attraverso questo essi venivano a ricevere una consacrazione, quella dei soldati di Cristo.

Al termine della cerimonia, procedeva alla prima parte della consacrazione della chiesa, terminata la quale benediceva la prima pietra di una cooperativa ACLI. Ieri mattina alle 7,30 l'Arcivescovo ritornava a Cassago per proseguire la funzione della consacrazione. Celebrava quindi la S. Messa. Al Vangelo rivolgeva ai fedeli la sua parola, spiegando il significato della cerimonia compiuta." E don Motta? Anche lui ha qualcosa da dire, che si addentra subito irrispettoso ed argutamente gioioso nelle pieghe dei fatti e della personalità di chi incontra. Ecco la sua cronaca, tutt'altro che giornalistica: "Tutto si svolse regolarmente con un solo cambiamento riguardo l'annunciato. In mattinata infatti una telefonata avvertiva che mons. Montini non si sarebbe fermato la notte in paese perchè non si era sentito tanto bene la notte del venerdì. Delle condizioni di salute del nostro arcivescovo si fa un addolorato parlare. Già prima della sua elezione qui a Milano erano già conosciuti i suoi disturbi, specificamente di fegato. Venuto a Milano, il clima e l'oberoso suo lavoro (termini estremi del suo lavoro: inizio alle 6.30 per terminare alle 2 della notte seguente) non hanno certo contribuito al suo miglioramento, tanto che s'è già dovuto ritirare qualche settimana a Venegono perchè i suoi polmoni ... erano affaticati.

Così comunque avvenne per Cassago ed eravamo all'indomani di quindici giorni di vacanza passati in Svizzera. Ora poi che incomincia il pazzo lavoro e per di più la Visita pastorale ! Dominus meus conservet eum ... Il sabato mattina fu puntuale alle ore 7: si iniziò in un incanto di mattino settembrino il grande rito: tutto procedette, si potrebbe dire alla perfezione: il servizio era svolto dai chierici guanelliani di Anzano al Parco: i miei chierichetti c'erano e non mancavano, entrati in sacrestia, a far la loro parte di disturbo: con gran vanto avevano sorretto i paramenti dell'Arcivescovo e agitato di gran turiboli. Il canto gregoriano fu anche eseguito dai chierici di Anzano, mentre i mottetti furono eseguiti dalla locale Cantoria diretta da don Alberto Antonini guanelliano del borgo. L'Arcivescovo mons. Montini è un uomo di Dio, di grande fede e di non minor devozione, se è lecito un paragone dell'asceta defunto Schuster, un uomo pieno di compitezza che accontenta tutti, fino le piccole vanità che in quelle occasioni si potrebbero nutrire in cuore; è un uomo che si dona, a cui non sfuggono i desideri comunque si sia avuto occasione di esprimerli: è un uomo avvincente nella sua profonda umiltà. Il popolo di Cassago in una festa entusiasta si dava al suo Arcivescovo, che si dava." Don Motta aveva dato indicazione di mettere un grande cartello, che è tutto un programma, sul timpano del tempietto per dare il benvenuto di fede e di fiducia da parte del popolo al suo arcivescovo:

Nell'attesa delle promesse di Fatima

da Pio XII additate a conforto

fiduciosi acogliamo per la Consacrazione di questo Tempio

Nuova Ara Pacis

l'Arcivescovo Mons. G. B. Montini

che nelle opere di pace universale

del Papa fu primo cooperatore.

Grazie Eccellenza ! mi rispondeva «Grazie a lei, che mi ha dato occasione di fare un po' di bene.» e in calce alla sua fotografia firmava dopo aver scritto: a don Giovanni Motta parroco di Cassago Brianza nel giorno della Consacrazione della sua Chiesa diamo di cuore una speciale benedizione. Giorni di grazie per Cassago e forse ... - annota don Motta - di gloria.

 

 

DON MOTTA E I CASSAGHESI

Ma qual era l'opinione, l'idea che don Motta si era fatto dei suoi parrocchiani ? In alcune sue pagine don Motta si sofferma ad analizzare la situazione sociale e spirituale dei suoi parrocchiani, talvolta si interessa di politica locale e di quel che fanno le associazioni. E' un parroco attento alla situazione economica del paese, che per lui è un vero e proprio termometro delle tensioni che attraversano il paese. Fotografando la situazione del 1948, all'indomani della sua nomina, si rende conto che Cassago sta attraversando una congiuntura economica favorevole, sostenuta da un complesso di stabilimenti in fase di sviluppo. Alla crisi tessile che in due anni, nell'immediato dopoguerra, aveva fatto chiudere due stabilimenti di circa 50 operai ciascuno e ridotto l'attività di altri, faceva da contrappeso un'azienda in espansione, l'azienda Fornelli elettrici ed a gas che aveva visto negli ultimi cinque anni il raddoppio di capienza e di maestranza. Fra la popolazione osserva che sono occupati in lavori agricoli soprattutto gli anziani mentre nelle fabbriche si trovano uomini e donne giovani. Don Motta indaga anche sulla salute dei suoi parrocchiani e annota che non ci sono malattie professionali, mentre la costituzione fisica dei Cassaghesi in genere risente delle irrequiete abitudini moderne dove (siamo negli anni '50 e ' 60) "si è affermata la necessità del tutto nuova di trascorrere le vacanze ai monti e di portare i bambini alla cura del mare."

Agli occhi di don Motta i suoi parrocchiani hanno un carattere fondamentalmente responsabile e familiare. L'uomo ha amore e attaccamento alla famiglia e dimostra premura per il suo buon andamento anche se ciò è spesso motivato dalla volontà di far bella figura in mezzo agli altri. Don Motta osserva che le Osterie, pur ancora numerose, stanno declinando a favore del caffè-bar che attira irresistibilmente la gioventù. Per fortuna la frequenza di questi bar si limita (in quegli anni) solo al sabato sera e alla domenica. La gioventù maschile ama divertirsi anche con il cinema, la bicicletta (per i ragazzi dai 14 ai 18 anni) e con le moto. Don Motta constata che si tratta di gente laboriosa. Per quanto riguarda la vita cristiana don Motta aveva avuto un approccio non immune da difficoltà come nel caso delle S. Missioni nel 1955. Ricorda don Giovanni nel Cronicon che un giorno gli capitò di incontrare in Curia a Milano don Piero Pini, l'ultimo coadiutore che Cassago aveva avuto. Senza mezzi termini questi si rivolse a don Motta esclamando: "Ho sentito che c'è stata la S. Missione. Saranno venuti tutti come l'altra missione, solo 38 non avevano partecipato, compreso le puerpere. Frutto però zero."

Don Motta si sentì raggelare non tanto per la spigliatezza del dire quanto per la dolorosa constatazione. Ma non ebbe timori: in fondo aveva fatto di tutto per spronare la sua gente a seguire le vie dello spirito di conversione delle Missioni. Le aveva preparate intensificando soprattutto la predicazione sistematica domenicale. Inoltre interessò personalmente 3 conventi di clausura a pregare, e non contento, si procurò gli indirizzi delle suore native di Cassago, una quarantina circa, scrivendo loro di interessarsi alle giornate di missione non solo con preghiere personali ma pure con quelle della loro comunità. L'affluenza alle S. Missioni fu massiccia ma Don Giovanni non si accontentò e volle sapere di più, per cui fece quello che sempre faceva e cioè andò a parlare alla gente per tastarne il polso e sentire i loro commenti e le loro reazioni. Con la scusa di aver bisogno di riordinare lo stato d'anime annuncia ai suoi parrocchiani che sarebbe passato per le case e così ha modo di interrogare e di conoscere ciò che si è svolto nelle singole famiglie in occasione delle S. Missioni. Questo contatto gli riserverà grandi soddisfazioni e l'occasione per modulare al meglio le sue attività di apostolato.

Dopo quasi 7 anni vissuti da parroco in cui le responsabilità erano poggiate sulle sole sue spalle don Giovanni si rende conto delle sue debolezze, delle sue imperfezioni, dei motivi di stanchezza della gente. Prova soprattutto una sensibilità nuova che lo sollecita ad un interesse particolare per la gioventù, soprattutto per quella che vede dolorosamente allontanarsi per la propaganda di partiti che giudica anticristiani.

Capisce che deve condividere le fatiche dei lavoratori e non deve prestare orecchie alle male lingue, a tutti quanti sfruttano le circostanze particolari e le persone per creare difficoltà e gettar ombre a piene mani su chicchessia e soprattutto sul loro sacerdote. Fra i suoi propositi prende corpo l'idea di due oratori, uno per le giovani e l'altro per i giovani. Progetta di educare gli uomini proponendo per la dottrina cristiana almeno due spiegazioni mensili. Che frutti danno questi suoi progetti ?

A distanza di qualche anno ragionando serenamente sui suoi parrocchiani non può esimersi da qualche lamentela. Ammette che indubbiamente esiste il senso religioso di adorare Dio e ciò lo constata dalla frequenza alla S. Messa, che è praticamente totale, fatta eccezione forse per una diecina di uomini. Però si lamenta che non c'è lo sforzo di interiorizzare l'essenza della spiegazione della Dottrina Cristiana. "Perciò si capisce - conclude don Motta - il poco sforzo contro le passioni e la refrattarietà ad ogni tentativo, esortazione, insistenza, organizzazione che lì possa portare con maggior frequenza e coscienza ai SS. Sacramenti." Per scuotere questa indifferenza don Motta propone momenti speciali agli aderenti dell'Azione Cattolica, chiede di valorizzare la devozione del primo venerdì del mese, ai confratelli del SS. Sacramento suggerisce di partecipare alla Vita eucaristica. Queste proposte diedero poco frutto, tuttavia don Motta non dispera nè gli manca l'energia della perseveranza perché sa che l'apostolato sta soprattutto nel seminare. Nel suo animo don Giovanni è animato da una grande fiducia e non si nasconde vere e proprie consolazioni come quando annota che resta ogni volta impressionato dall'azione della fede che è viva ed operante sempre e ne ha prova nell'assistere in morte uomini, che si sarebbero creduti contrari a Dio tanto era la rozzezza della loro vita e chiudere invece la loro vita tra i segni di più grande fede, di grande coscienza morale e di delicatezza commista di pietà. "

Questo è il frutto del passato - si interroga - come sarà l'avvenire che io son chiamato a preparare ? Non vorrei che i miei successori fossero privi anche di questi ultimi doni di consolazione." Un'altra forte preoccupazione che tormentava il suo animo è il carattere dei suoi parrocchiani. Egli vi scopre una tendenza egoistica che ostacola le buone iniziative. Anche nelle associazioni nota una scarsa vitalità dei soci che cadono nella più banale acquiescenza lasciando a chi ne ha assunto le cariche tutto il peso della responsabilità. L'interesse per il prossimo sembra invece orientarsi verso un intenso pettegolezzo, tanto che a lui e ad altri diventa difficile in questo clima proporre e far vivere un ideale. Amaramente osserva che quel che è difficile per i grandi, è difficile anche per i piccoli ed è raro trovare delle persone che coscientemente perseverino con serietà nei propri doveri.

Lagnandosi apertamente di questa situazione, ne riconosce un sintomo o una conseguenza nell'assenza di vocazioni religiose maschili nonostante le sue continue esortazioni. Se per i maschi negli anni '50 non ha avuto ancora la soddisfazione di mandare in chierico in Seminario, con le figliole è più contento, perché ogni anno ha avuto la gioia di vedere più vocazioni. La situazione cambierà in meglio negli anni '60 quando avrà la gioia di accompagnare al sacerdozio diversi parrocchiani. Su quanto i parrocchiani dicono di lui, don Motta è ben informato e scrive che taluni dicono che è un semplicista, tali altri un intrigante, ed ancora altri un piccolo duce, ma aggiunge che "la gente più sapiente e meno saputa vivrebbe cent'anni con il suo Curato."

Invece, da tempo sofferente per diversi disturbi e spiritualmente scosso dalla morte della sorella che conviveva con lui, purtroppo don Motta morì ancor giovane il 19 maggio 1973 alla vigilia dei festeggiamenti che i cassaghesi si accingevano a fare per onorare i suoi 25 anni vissuti come parroco a Cassago. La sua morte non ha spento il ricordo della sua profonda spiritualità, del suo coraggio nel servire la fede in Dio e la speranza nella Provvidenza.

Ancora oggi la gente di Cassago ammira le sue opere e le sue virtù, soprattutto spirituali e sulla sua tomba non mancano mai fiori e lumini, segni reali della riconoscenza del bene da lui fatto.