Percorso : HOME > Cassago > Il Novecento > Pitture della Parrocchiale

La decorazione della chiesa parrocchiale

il parroco don Giovanni Motta nel presbiterio della parrocchiale

il parroco don Giovanni Motta

 

 

LA DECORAZIONE DELLA CHIESA PARROCCHIALE

di Luigi Beretta

 

 

L'incontro con il pittore Fiorentino Vilasco

Racconta don Motta che l'idea di dipingere la Chiesa gli fu proposta dal pittore che poi la realizzò, il signor Fiorentino Vilasco, il giorno stesso della sua entrata in parrocchia il 6 giugno del 1948. A festa finita, la sera del lunedì, ricorda don Motta che gli si avvicinò un giovane, che si presentò come pittore. Nella chiacchierata gli espresse il desiderio di poter dipingere la Chiesa di Cassago. Nel trambusto di quei giorni il parroco, pur accogliendolo con disponibilità, sta un po' sulle sue, lo considera un po' giovane, un artista forse di tante idee, ma tutto da conoscere e da valutare. L'incontro però non cade nel vuoto e don Motta conserva il ricordo di quel giovane pittore, anzi la sua idea di decorare la chiesa lo stimola e lo sollecita a pensare seriamente a che cosa rappresentare su quei muri bianchi. Fu un incontro potremmo dire fatale, poiché don Motta sente la gioia, quasi la Grazia di avere il compito di far dipingere la sua Chiesa.  

 

Il tema prescelto per la decorazione: La devozione al Sacro Cuore di Gesù

Ma quale tema avrebbe potuto suggerire al pittore ? Racconta don Motta che l'ispirazione gli venne un giorno mentre era seduto in Chiesa e stava guardando la volta dell'edificio. D'improvviso gli apparve tutto chiaro e nella sua immaginazione si fissò definitivamente lo svolgimento figurativo del tema delle pitture: avrebbe rappresentato la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che conduce alla vita eucaristica ed alla gioia della Santissima Trinità. In fondo alla Chiesa pensò alla pittura delle cosiddette sante confidenti del Sacro Cuore assieme ad una grande scena che voleva rappresentare l'essenza della devozione in memoria di Gesù nell'Orto dei Getsemani. Nella parte centrale della don Motta volle proporre delle scene che avrebbero dovuto invogliare alla pratica del primo venerdì del mese attraverso episodi tratti dalle Rivelazioni e con immagini di santi e pontefici apostoli della devozione al S. Cuore. Ai lati della volta don Motta immaginò di suggellare questa sequela facendo dipingere a chiare lettere la devozione per l'Apostolato della Preghiera: "Cuore divino di Gesù si offre per mezzo del Cuore Immacolato di Maria. " Questa didascalia nel progetto di don Motta doveva introdurre alla esperienza della vita che si santifica e santifica per mezzo dell'Eucaristia vivente all'Altare. A suggello simbolico di questa prospettiva don Motta pensa anche di eseguire due grandi scene alle pareti a fianco dell'altare che rappresentino i due sacrifici di Abramo e di Melchisedec. Il percorso meditativo sarebbe proseguito con scene dell'adorazione a Gesù che si sublima nell'Adorazione della SS. Trinità. Con una sensibilità tutta agostiniana don Motta suggerisce di rappresentarla con un canto degli Angeli che lodano proclamando il Sanctus. 

 

I lavori cominciano 

Per realizzare questo progetto don Motta si ricordò di quel giovane pittore che era venuto da lui la sera della sua entrata a parroco. Andò a vedere alcuni lavori che aveva già eseguito in altre chiese. Ne rimase soddisfatto, ma più che l'arte lo impressionò l'uomo: lo trovò un uomo onesto, un cristiano convinto, un lavoratore indefesso. A titolo di prova, dietro insistenza del pittore, don Motta accettò di avere un esempio delle sue abilità permettendogli di decorare una cappella. Soggiunge don Motta che questo accordo era per lui un grande compromesso, ma annota anche che non se ne dovette pentire. I lavori cominciarono nel 1950: la prima Cappella decorata fu quella della Madonna, conclusa a giugno. Fu don Motta a dettargli il tema che il pittore trovò di suo gradimento per la naturalezza con cui sviluppò i motivi decorativi. L'opera che Fiorentino Vilasco stava avviando, trovò l'approvazione non solo di don Motta ma anche di persone competenti, che fecero maturare in don Motta una fiducia decisiva nei suoi confronti. Racconta don Motta che proprio in quei giorni in cui il pittore stava eseguendo quella prova alla cappella della Madonna, venne a fargli visita il pittore milanese Dossena, "il quale dopo aver fatto per suo conto, e pregato da me che li manifestasse, le opportune critiche, concluse il suo giudizio con queste parole: «Fortunato lei sig. Curato, fortunato per­ché il suo pittore le ha fatto un prezzo buono e fortunato perché, se il suo pittore non ha penetrato proprio l'animo delle figure, le ha però sapute fondere con la decorazione da farne un tutto unito ed armonico.» Un giudizio questo che mi ha tranquillizzato e che ha creato in me il pensiero che davvero avessi contribuito al decoro della Chiesa." Don Motta non ebbe più dubbi e affidò l'incarico di decorare tutta la chiesa a quel giovane pittore.  

 

Cappella della Madonna

Il Pittore Fiorentino Vilasco pose mano alla decorazione della Cappella della Madonna nei primi mesi del 1950 e per giugno aveva già completato i suoi lavori. La pittura di questa cappella fu concordata fra il parroco e il pittore come prova delle qualità artistiche del pittore stesso. Don Motta accondiscese a questa prova benché in cuor suo sapesse che si trattava di un compromesso che lo avrebbe praticamente costretto ad assegnare a Vilasco l'intero lavoro. La pittura della Cappella con grande soddisfazione di tutti riuscì bene e fu da tutti apprezzata. 

 

La Cappella di S. Agostino

Nell'agosto 1950 si pose mano alla decorazione della Cappella di S. Agostino. I temi delle scene furono indicati da don Giulio Oggioni, compaesano di don Motta e futuro vescovo di Bergamo, che era un profondo studioso di S. Agostino. Don Oggioni trasse i temi direttamente dalle opere scritte da S. Agostino a Cassiciaco. La realizzazione di questa cappella fu faticosa, perché la gente aveva grandi attese, tanto che don Motta ricorda che il pittore condusse questo lavoro psicologicamente turbato per talune critiche che gli erano arrivate. Alla fine dei lavori tuttavia la cappella fu generalmente ben giudicata, se si eccettua il quadro dei Soliloqui di cui il pittore stesso riconobbe difetti d'impostazione, tanto da non essere restio dal rifarla su richiesta del parroco. 

 

La Cappella di S. Teresa del Bambin Gesù

Una dopo l'altra furono quindi concluse le altre cappelle: nel novembre 1950 fu la volta della Cappella di S. Teresina, su cui si appunta qualche critica del parroco: "la parte principale dell'affresco - scrive don Motta - fu eseguito che io non ero in parrocchia trovandomi ai Santi Esercizi; e nella scelta del ritratto da eseguire il pittore non fu ben guidato: difetti e critiche su questo non ne mancano." 

 

La Cappella del Crocefisso

A dicembre fu conclusa anche la Cappella del Crocifisso, dove don Motta fece sviluppare il concetto del Purgatorio secondo la visione di S. Caterina. Il parroco fu molto soddisfatto del lavoro e trovò che il Crocifisso era veramente commovente, tanto che tutta la Cappella gli suscitava una profonda devozione. Le cappelle del Crocifisso e di S. Teresina non erano mai state decorate, per cui ancor più meritoria fu l'opera del pittore e del geometra signor Eugenio Colnago, che studiarono la linea degli altari, che don Motta fece eseguire in muratura, come pure le balaustre. 

 

S. Caterina da Siena (1347-1380)

23a figlia del tintore Jacopo Benincasa e di monna Lapa Piacenti, a 7 anni fece voto di castità. Nel 1364 entrò nel Terz'Ordine Domenicano (mantellate) conducendo una vita religiosa a casa propria. Si adoperò molto per la carità verso i poveri e i malati, con sacrificio personale durante la peste del 1374. Aveva doni di preveggenza e il potere di convertire i peccatori, specialmente i condannati a morte. Intorno a lei incominciò a raccogliersi un cenacolo di uomini e di donne avidi di vita spirituale (Caterinati). Instancabile messaggera di carità si accinse a riconciliare papa Gregorio XI con i fiorentini. Coraggiosamente andò ad Avignone e gli parlò di libertà evangelica. Alla sua opera si deve il ritorno del papa a Roma nel 1376. A Roma concluse la sua vita dopo aver visto siglare da papa Urbano VI la pacificazione. Muore nel 1380 a 33 anni, logora dalle fatiche, dopo aver compiuto un'opera immane, lasciando circa 375 lettere, parte da lei dettate durante le estasi, parte scritte di suo pugno e il Dialogo (1378) detto della Divina Provvidenza, in cui l'Eterno Padre si intrattiene con lei, risponde alle sue domande e fa nota la Sua volontà: la Riforma della Chiesa e la santificazione. Benché illetterata Caterina nelle sue opere si rivela scrittrice di meravigliosa potenza per l'altezza del pensiero teologico e per la profondità mistica, per l'originalità delle espressioni e talora per l'acceso lirismo. Fu canonizzata nel 1461 e la festa è celebrata il 29 aprile. Nel 1866 Pio IX la dichiarò seconda Patrona di Roma, nel 1939 Pio XII la proclamò seconda patrona d'Italia assieme a S. Francesco. Nel 1970 fu dichiara da papa Paolo VI Dottore della Chiesa. 

 

Il Battistero

Assicurando al pittore l'esecuzione della decorazione di tutta la Chiesa, don Motta gli aveva però posto come termine ultimo per finire i lavori l'estate del 1954, quando presumeva ci sarebbe stata una Visita Pastorale in occasione del XVI Centenario della nascita di S. Agostino. Don Motta lasciò tuttavia libero il pittore di alternare questo lavoro con altri che gli sarebbero potuti capitare. Nella primavera 1951 Vilasco pose mano alla decorazione del Battistero, studiato come cornice al quadro esistente del Battesimo di Gesù eseguito dalla celebre bottega dei Campi verso la fine del '500. Quell'anno continuò il lavoro fino a completare la cappella della penitenzieria. 

 

Il Nuovo Organo

Nel 1952 l'acquisto del nuovo organo impose prioritariamente la decorazione della parte finale della Chiesa "perché l'Organo una volta installato non corresse pericolo di esser rovinato da possibile messa in opera di punteggio e di decorazione."E' in questa occasione che fu decorato l'ultimo settore a botte con le figure delle sante devote del S. Cuore di Gesù. 

 

Il Presbiterio

Nello stesso periodo della decorazione del Battistero fu eseguita anche la decorazione del presbiterio, eccetto i due quadri che rappresentano il sacrificio di Abramo e di Melchisedec a cui il pittore pose mano nel 1953. Si tratta di due scene che rivelano una maggiore maturità dell'artista che si fa più sicuro nella parte figurativa, anche se non si distacca da un realismo un po' troppo crudo.  Melchisedech In ebraico melek-sedeq = re di giustizia. Re di Salem e sacerdote di Dio altissimo è detto in Genesi XIV, 18. Melchisedech ha saputo della vittoria di Abramo su Chodorlahomor ed i re confederati, si fa incontro al patriarca offrendo pane e vino e benedicendolo nel nome del Dio altissimo che creò il cielo e la terra (Genesi XIV, 19). Melchisedech assunse un posto primario nel pensiero monoteistico e cristiano: egli è il tipo di Gesù Cristo sacerdote. Melchisedech è ricordato nel Canone della Messa con Abele e Abramo.

 

Abramo

Il più celebre dei Patriarchi dell'antico testamento, nato a Ur in Caldea circa nel 2000 a. C. da Thare o Terah. Ricevuto da Dio l'ordine di abbandonare la nativa Mesopotamia e di andare a stabilirsi nella terra di Canaan nonché di circoncidersi in segno di separazione dagli altri popoli, meritò per la fede e l'obbedienza di essere scelto da Dio quale progenitore del popolo ebreo. Eletto depositario della rivelazione primitiva, Dio stesso gli mutò il nome in Abraham. Già vecchio ebbe Ismaele dalla schiava Agar, poichè la moglie Sara fino ad allora era rimasta sterile. Più tardi da Sara ebbe però Isacco. Quando Isacco ebbe 25 anni Abramo, avuto da Dio l'ordine di sacrificarglielo, non esitò a recarsi con il figlio sul monte indicatogli da Dio per il sacrificio. Ed effettivamente lo avrebbe eseguito se un angelo non lo avesse trattenuto, additandogli un montone impigliato tra i cespugli, che Dio accettò in sacrificio, avendo gradito l'eroica fede di Abramo. Nel Genesi appare capo di pastori nomadi, ospitale, valoroso e devoto. Per ebrei e cristiani egli resta il prototipo dell'uomo giusto e nella Bibbia troviamo l'espressione seno di Abramo per indicare la vita futura. Anche gli arabi, che ritengono di discendere da Ismaele venerano molto la sua memoria e lo chiamano amico di Dio. 

 

L' Adorazione del Sacro Cuore

Nel 1954 i lavori vengono finalmente conclusi. A marzo sono messi in opera i ponteggi e subito il pittore inizia la decorazione nel catino absidale della Chiesa. Don Motta ha le idee molto chiare: vuole che la preghiera «Cuore divino di Gesù ...» sia interpretata in 7 quadri, uno centrale e sei periferici. Al centro simbolicamente è rappresentato il Sacro Cuore di Gesù, che è anche centro della nostra salvezza. Tutt'attorno nei vari quadri trovano posto scene che don Motta interpreta in chiave profetica. C'è il Cuore Immacolato di Maria che per don Motta dovrebbe costituire un elemento di fiducia nella nostra epoca tormentata, soprattutto dopo le Rivelazioni di Fatima. Ci sono i SS. Patroni che nella sua visione mantengono la fede della parrocchia, almeno nel suo aspetto di tradizione. Ci sono il Pontefice, l'Arcivescovo e il parroco, un trittico di personaggi desiderato in varie chiese dal card. Schuster per il suo valore storico, e che don Motta reinterpreta come efficaci capisaldi di riferimento nel caos contemporaneo per il loro valore morale. C'è S. Giovanni Bosco e con lui i giovani: don Motta lo aveva promosso patrono dell'oratorio maschile e riferimento per il mondo della gioventù. C'è anche S. Giovanna Antida Thouret che il parroco aveva proclamato patrona dell'Oratorio femminile. Infine a suggello dell'intero ciclo, vivo esempio di come vivere da cristiani anche nella società moderna ecco sotto la croce i padri e le madri di famiglia, carichi della vita che portano in sè e con sè. Quando viene tolta questa parte del ponteggio la gente manifesta una soddisfazione generale. Mancano ormai gli ultimi interventi nell'avancorpo della Chiesa, che sono anche i più significativi nell'esprimere i motivi per cui fu scelto da don Motta proprio il tema decorativo che fu poi realizzato: "venire incontro al desiderio del Sacro Cuore di Gesù - dice il parroco - e accaparrarci attraverso le sue grandi promesse la nostra salvezza eterna." Nel dipingere questa parte della chiesa alla passione abituale del suo lavoro, il pittore aggiunse una migliorata perfezione tecnica che esaltò i contenuti delle due scene riprodotte. In Gesù nell'orto si rivela la natura del S. Cuore, che morendo si rivela e si santifica. Con Gesù nella sua ora terza, c'è invece la grande rivelazione a Margherita che ci invita ad attuare oggi quel messaggio. Quattro angioletti con i loro cartigli riportano infine l'essenza della devozione al S. Cuore. Don Motta volle poi che venissero rappresentati anche quattro grandi zelatori della devozione al S. Cuore e precisamente P. Lacolombière, Papa Leone XIII di cui recitiamo la preghiera: Gesù dolcissimo ... , il card. Ferrari che cercò di suscitare questa devozione nelle sue Visite Pastorali, Absuard la cui devozione fu vissuta nella Eucarestia. 

 

La Festa di S. Agostino e la Consacrazione della Chiesa

A questo punto dei lavori giunge la notizia della Visita Pastorale e don Motta subito sollecita il pittore perché finisca entro il mese. I suoi desideri saranno esauditi e con soddisfazione scriverà: "la festa di S. Agostino vede la Chiesa compiuta ! E' un omaggio non clamoroso, ma sodo che intendiamo dare a questo Santo Compatrono come segno della nostra vita spirituale. E ciò si poté attuare: la decorazione procedette con alacrità: i ponti furono smontati il 24 agosto, il giorno 28 agosto 1954 sabato il pittore deponeva il pennello, lasciando ad altro tempo qualche piccolo lavoro come la decorazione della sacrestia. Le feste si poterono celebrare con fede, criterio, splendore e larga partecipazione. A ricordo abbiamo procurato la stampa di un Numero Unico, che sarà completato e distribuito nel mese di settembre in sostituzione del Bollettino mensile." 

 

Il cardinale Schuster

Purtroppo quella visita tanto aspettata, tanto preparata, tanto desiderata, tanto voluta, non ci fu, perché improvvisamente la morte colse Sua Eminenza il card. Schuster. "Così - scrive don Motta - quel che avevamo in animo potesse Lui compiere, la consacrazione della chiesa rimane un problema insoluto. Dopo la Visita Pastorale del 1948 per iscritto l'avevo invitato ad epoca libera, da Lui da destinarsi, di accogliere il nostro invito per la Consacrazione della Chiesa, ma in calce alla mia lettera, di suo pugno riscrisse: «Spiritus quidem promptus, caro autem infirma», lo spirito è pronto, ma la carne è debole." A don Motta e ai suoi parrocchiani furono di conforto gli ultimi segni della presenza e della benevolenza del cardinale e cioè la sua firma autografa al decreto della V Visita pastorale: provvidenzialmente datato al giorno 28 agosto 1954 Schuster infine aveva inviato una sua fotografia dove esprimeva il suo pensiero augurale per le feste che Cassago si apprestava a celebrare in onore di S. Agostino. "Di Lui non scrivo nè qui, nè in altro capitolo del Cronicon - conclude don Motta - perché con la sua vita si è posto nel giudizio di tutti accanto alla figura di S. Ambrogio, di S. Carlo e come tale entra nella storia da conoscersi da tutti gli uomini e non in una cronaca di interesse necessariamente particolare." L'ultimo piccolo lavoro di decorazione della sacrestia fu terminato solo a luglio del 1957.

A quella data don Motta con soddisfazione scriverà: "L'opus della decorazione della Chiesa perfectum est; alia autem premunt." Infaticabile don Motta ! Certo altre opere attendevano di essere realizzate, ma questa appena conclusa era ed è rimasta un autentico richiamo alla natura profonda del cristianesimo, un inno alla gloria del Signore, un segno profetico di quella Provvidenza che don Giovanni tanto amava, una Provvidenza capace nei suoi pensieri di tracciare le vie della storia nella spiritualità della sua parrocchia.