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lettera 15      a Romaniano

 

Scritta nel 390

a Tagaste

 

Agostino promette a Romaniano, carissimo suo concittadino d’inviargli il libro da lui scritto sulla Vera religione (1) e l’esorta ad occupare il tempo libero nell’acquisto dei beni eterni (2). 

 

1.   Non haec epistola sic inopiam chartae indicat, ut membranas saltem abundare testetur. Tabellas eburneas quas habeo, avunculo tuo cum litteris misi. Tu enim huic pelliculae facilius ignosces, quia differri non potuit quod ei scripsi, et tibi non scribere etiam ineptissimum existimavi. Sed tabellas, si quae ibi nostrae sunt, propter huiusmodi necessitates, mittas peto. Scripsi quiddam de catholica religione, quantum Dominus dare dignatus est, quod tibi volo ante adventum meum mittere, si charta interim non desit. Tolerabis enim qualemcumque scripturam ex officina Maiorini. De codicibus, praeter libros de Oratore, totum mihi excidit. Sed nihil amplius rescribere potui, quam ut ipse sumeres quos liberet, et nunc in eadem maneo sententia. Absens enim quid plus faciam non invenio.

 

1. Questa lettera non esprime la mia povertà di carta in modo da manifestare, se non altro, che mi abbonda la pergamena. Le tavolette d'avorio che posseggo le ho mandate con una lettera a tuo zio. Tu, infatti, mi perdonerai più facilmente questo pezzetto di pergamena, poiché quello che gli ho scritto non si poteva rimandare, e nello stesso tempo ho pensato che non fosse il caso di non scriverti. Ma ti prego di mandarmi le mie tavolette, se ne hai qualcuna delle mie, perché mi servono in casi di questo genere. Ho scritto qualcosa sulla religione cattolica, quello che il Signore s'è degnato d'ispirarmi ed ho intenzione di mandartelo prima del mio arrivo, se nel frattempo non mi mancherà la carta. Ti accontenterai infatti di quella scrittura che può venir fuori dal laboratorio di Maggiorino. Quanto ai codici me ne sono completamente dimenticato, eccetto i libri De oratore. Ma non avrei potuto risponderti altro che di prendere tu stesso quelli che ti piace, ed ora sono dello stesso avviso. Infatti, essendo lontano, non trovo che altro possa fare di più.

 

2.   Gratissimum mihi est, quod in ultima epistola me participem domestici tui gaudii facere voluisti. Sed,

 

Mene salis placidi vultum

fluctusque quietos

ignorare iubes ?

 

quanquam nec me iubeas, nec ipse ignores. Quare si ad melius cogitandum quies aliqua data est, utere divino beneficio. Nec enim debemus nobis, eum ista proveniunt, sed illi per quos proveniunt, gratulari: quoniam iusta, et officiosa, et pro suo genere pacatior atque tranquillior rerum temporalium administratio recipiendorum aeternorum meritum gignit, si non teneat cum tenetur, nec implicet cum multiplicatur, si non cum pacatur involvat. Ipsius enim Veritatis ore dictum est: Si in alieno fideles non fuistis, quod vestrum est quis dabit vobis ? Laxatis ergo curis mutabilium rerum, bona stabilia et certa quaeramus, supervolemus terrenis opibus nostris. Nam et in mellis copia, non frustra pennas habet apicula; necat enim haerentem.

2. Ti sono molto grato perché nell'ultima tua lettera mi hai voluto rendere partecipe della tua gioia domestica. Ma,

 

vuoi che io non conosca l'aspetto

del mare tranquillo

e le placide onde ?

 

certo, né lo vuoi da me né tu stesso lo ignori. Perciò, se ti è stata concessa un poco di tranquillità per pensare a qualcosa di meglio, approfitta della grazia di Dio ! Quando ci toccano questi doni, infatti, non con noi stessi dobbiamo congratularci, ma con coloro grazie ai quali ci vengono elargiti, poiché una amministrazione dei beni temporali giusta, conforme al dovere e, per quanto lo permette la sua natura, più pacifica e tranquilla, procura il merito per ottenere i beni eterni, purché non possieda mentre la si possiede, non impacci quando diventa più complessa, non ci travolga mentre si cerca di renderla tranquilla. Giacché per bocca della stessa Verità è stato detto: ... Se non siete stati fedeli nell'altrui, chi vi darà ciò che è vostro? Perciò, lasciate andare le cure delle cose passeggere, cerchiamo i beni duraturi e sicuri, innalziamoci al di sopra delle nostre ricchezze terrene. Infatti non senza motivo l'ape ha le ali pur nell'abbondanza del miele, poiché questo uccide chi gli rimane attaccato.