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CICLo AGOSTINIANo a Deauville

Estasi di Ostia vetrata nella chiesa di sant'Agostino a Deauville

Estasi di Ostia

 

 

CHARLES CHAMPIGNEULLE

1829-1831

Deauville, chiesa di sant'Agostino

 

Estasi di Ostia

 

 

 

La vetrata presenta un celeberrimo episodio della vita di Agostino e di Monica: ad Ostia i due conobbero un momento di estasi dove assaporarono le meraviglie della eterna spiritualità. "St. Agustin et Sainte Monique à Ostie" è la scritta che leggiamo nel cartiglio alla base della vetrata.

La scena nella sua impostazione non è nuova e riprende piuttosto una struttura ben consolidata nella iconografia agostiniana secondo lo schema proposto da Ary Scheffer nel 1846: Agostino e Monica sono l'uno accanto all'atro con lo sguardo rivolto al cielo mentre la madre tiene una mano del figlio fra le sue mani. Sullo sfondo, attraverso l'apertura della finestra, si intravede il porto di Ostia da dove avrebbero dovuto imbarcarsi per ritornare in Africa.

Alcune delle pagine più belle delle Confessioni sono dedicate da Agostino al commosso ricordo della madre Monica. In particolare, è rimasto famoso l'episodio della cosiddetta "estasi di Ostia", un'esperienza mistica che i due ebbero a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

 

 

Charles François Champigneulle

Nato a Metz nel 1820, Champigneulle fu un notevole maestro vetraio e industriale francese dell'Ottocento. Nel 1861 fondò a Metz uno stabilimento di sculture religiose in ceramica e sette anni dopo rilevò la famosa casa di pittura su vetro di Laurent-Charles Maréchal. Quest'ultima diventerà così la casa "Maréchal et Champigneulle". Charles Maréchal gli era amico e gli offrì tutte le sue conoscenze artigiane nella tecnica del restauro restauro e nella creazione delle vetrate. Nel 1872 dopo l'annessione di Metz alla Germania, Champigneulle trasferì i suoi stabilimenti a Bar-le-Duc. Charles Maréchal estende il bacino di utenza di Bar-le-Duc all'estero, il che conferisce all'azienda e ai suoi lavoratori lo status di azienda di fama internazionale. L'azienda raggiunse una fama internazionale e la sua produzione di vetrate colorate era assai rinomata e ricercata. Charles François Champigneulle morì a Savonnières-devant-Bar nel 1882 lasciando l'azienda nelle mani di Emmanuel Champigneulle suo figlio minore. Il primogenito Louis Charles Marie Champigneulle (1853-1905) fondò nel 1881 un'importante filiale dell'azienda a Parigi. Suo figlio Charles Marie Champigneulle (1880-1908), architetto e maestro vetraio, continuò l'attività di famiglia, che proseguì con il nipote Jacques Charles Champigneulle (1907-1955), anch'egli maestro vetraio, attivo dal 1928 al 1952 in collaborazione con il pittore Jean Dupas (1882-1964).