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CICLo AGOSTINIANo della VITA SANCTI AUGUSTINI IMAGINIBUS ADORNATA

Agostino nella regione della diversità ascolta una voce divina, immagine tratta dalla Vita sancti Augustini

Agostino nella regione della diversità ascolta una voce divina

 

 

VITA SANCTI AUGUSTINI IMAGINIBUS ADORNATA

1450-1490

Ms. 1483, Boston, Public Library

 

Agostino nella regione della diversità ascolta una voce divina

 

 

 

Questa scena esprime un tentativo di contatto diretto fra Agostino ed il Cristo, così come viene narrato nelle Conf. VII, 10, 16. Cristo si rivolge ad Agostino con l'indice teso. Agostino accoglie le parole rivolte e con le mani aperte si pone in un atteggiamento di preghiera. Agostino ed il Cristo sono raffigurati assai realisticamente senza le fattezze del sogno.

Ibi Augustinus lectis quibusdam Platonicorum libris admonitus est redire ad semetipsum. Introiuit et vidit, duce Deo, qualicumque oculo anime sue supra mentem suam lucem incommutabilem reuerberantem infirmitatem aspectus sui radians in eum vehementer et contremuit amore et horrore et lune inuenit se longe esse a Deo in regione dissimilitudinis, tamquam audiret vocem Dei de excelso: «Cibus sum grandium; cresce et manducabis me; nec tu me mutabis in te, sed tu mutaberis in me.» Sensit igitur et expertus est lune non esse mirtilli quod palato non sano pena est panis qui sano est suauis, et oculis egris odiosa lux est que puris est amabilis. Sicque Deum cognouit. Certissime vidit quia invisibili a Dei per ea que facta sunt intellecta conspicientur, sempiterna quoque virtus et uinitas. Sed adhuc aciem figere non valuit et repercussa <infirmitate> redditus est solitis. Non enim secum ferebat nisi amantem memoriam et quasi olfacta desiderantem, que comedere nondum posset. Hoc ex 7° Confessionum. Capitulum XXIX.

 

A trattenermi erano le più vacue frivolezze e vanità di vanità, mie vecchie amiche, che mi tiravano per la veste di carne e sussurravano di sotto in su: "Non vorrai lasciarci ?" e "D'ora in poi non staremo più con te, mai più!"

"D'ora in poi non potrai più fare questo e quello, mai più!" E che insinuazioni sotto ciò che ho chiamato "questo e quello", che insinuazioni, mio Dio! La tua pietà le rimuova dall'anima del tuo servo. Che cose sordide, laide ! Ma io le udivo ormai a metà o molto meno: non mi venivano incontro con le loro obiezioni a viso aperto, ma bisbigliavano dietro le spalle come stuzzicandomi furtivamente, perché mi voltassi a guardare mentre fuggivo. Per colpa loro però mi attardavo, ed esitavo a strapparmele, a scuotermele di dosso e a volare in un salto là dove ero chiamato, mentre l'abitudine con tutta la sua forza insisteva: "E pensi di poterne fare a meno?"

AGOSTINO, Confessioni, 8, 11, 26

 

 

La fede.

Innanzitutto occorre che la mente, sede della ragione ma anche dell'anima, sia mondata da ogni affanno terreno, da ogni "macchia corporea": l'atto mentale per cui ci si può avvicinare a Dio è un atto di puro intelletto. La consapevolezza di rendere puro lo sguardo dell'anima è rinchiuso nel discorso di fede. Infatti, l'anima non si preoccuperebbe della purezza se non avesse fede che rimanendo pura potrebbe vedere cose che altrimenti le sarebbe impedito vedere.

La speranza.

Ma vi sono menti che pur sapendo di poter concepire Dio (pur avendo fede), non riescono a svincolarsi completamente dall'influsso deleterio del corpo, per cui esse disperano di poter arrivare alla purezza necessaria e si abbandonano alla loro fragilità rinunciando a concepire Dio. Per superare questa incertezza occorre quindi che l'anima sia guidata dalla speranza.

L'amore.

Ma pur avendo presente il concetto di fede e quello di speranza, se non si desidera l'oggetto stesso di quella fede e di quella speranza, l'anima resterebbe comunque muta alla luce che le si promette. E' necessario allora che nell'anima vi sia l'amore per Dio, ovvero il desiderio di accoglierlo entro la propria anima.

Queste sono dunque le tre condizioni per cui un'anima si può dire guarita dalla malattia terrena, per cui la verità sembra essere confinata entro i limiti delle cose mortali: solo se sono presenti la fede, la speranza e l'amore l'anima può realmente dirsi in grado di riconoscere Dio una volta mostratosi. Da questo si evince che per Agostino, la ragione non può nulla se non parte dalla fede, la fede stessa è la guida che impedisce alla ragione di percorrere i sentieri sbagliati: solo la fede può rendere vero il cammino della ragione, senza di essa, la ragione percorre l'errore. Dunque con la fede l'uomo crede di poter arrivare a concepire Dio, con la speranza egli trova la forza per accoglierlo entro di sé e con l'amore desidera che le condizioni precedenti possano essere esaudite. Ma come dimostrare, una volta mondata l'anima dagli ostacoli che le impediscono di raggiungere la Verità, l'esistenza di Dio? La ragione può finalmente mettersi all'opera: occorre ragionare sui termini "verità" e "vero". Ogni cosa che è vera ha in sé la Verità.

Ma le cose vere scompaiono: gli uomini, gli oggetti, le cose del mondo, le quali sono vere perché si mostrano indubbiamente, scompaiono perché periscono o si distruggono. Pur scomparendo le cose che sono vere, la Verità comunque non scompare, continua a vivere "come la castità sopravvive alla morte di colui che è casto". Ma se una cosa esiste e continua ad esistere, occorre che tale cosa esista da qualche parte. La ragione dimostra ad Agostino come la Verità che sopravvive alle cose terrene non sia da cercare nel mondo terreno, la Verità è qualcosa che si trova al di là della materia, non muore con le cose che muoiono, la Verità è immortale. Ma visto che ogni cosa che è vera non può che avere in sé anche la Verità, ogni cosa che si mostra agli uomini (ogni cosa vera) partecipa alla Verità immortale e ultraterrena, ovvero, partecipa a Dio, il quale, indubbiamente, esiste. Risulta chiara in questa dimostrazione l'influenza del pensiero platonico.