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PITTORI: Johann Sigmund Müller

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JOHANN SIGMUND MULLER

1705-1707

Třeboň, monastero agostiniano, chiostro

 

Agostino e il bambino in riva al mare

 

 

 

La tradizionale raffigurazione dell'incontro di sant'Agostino con un bambino sulla riva di una spiaggia è diventato così popolare che ha influenzato in modo significativo l'iconografia di questo Padre della Chiesa. Possiamo rintracciare questo genere di rappresentazione già nel XIV secolo. Contemplando il mistero della Santissima Trinità, Agostino cammina lungo la riva del mare e improvvisamente di fronte a sé vede un bambino che cerca di versare l'acqua del mare con una conchiglia in un piccolo buco nella sabbia, che lui stesso ha scavato. Quando Agostino osserva l'inutilità di questo sforzo, dicendolo al bambino, si sente rispondere che lo è anche "il tentativo di comprendere la Trinità Divina".

Il dipinto più famoso nel territorio boemo che illustra questo tema è senza dubbio il dipinto di Pietro Paolo Rubens commissionato dagli eremitani agostiniani per la chiesa di San Tommaso a Praga negli anni 1637-1638, che influenzò un buon numero di pittori locali. Contrariamente al dipinto di Rubens, a Třeboň Agostino appare nelle vesti di un monaco, senza le insegne episcopali. Questa raffigurazione più umile del santo è comune tra il ciclo di Třeboň e le incisioni di Bolswert.  Agostino passeggia lungo la spiaggia vestito con la tonaca monacale nera e con un libro nella mano sinistra. Lo incontra un bambino a terra con un camicetta che sta versando acqua. I personaggi di Agostino e il bambino comunicano tra loro con gesti: Agostino allunga la mano destra verso il bambino, ma questi con un dito alzato indica qualcosa che sta più in alto, dove nella parte superiore appare un triangolo inondato di luce come simbolo della Santa Trinità. Dietro le due figure si apre una vista sulla baia del mare, la cui superficie è separata dal cielo dalle nuvole scure solo una sottile striscia irradiata dai raggi del sole al tramonto. Ci imbattiamo in piccoli dettagli come le barche che navigano nella baia o conchiglie sparse sulla sabbia intorno al bambino.

 

Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

La leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione.

L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del mistero della Trinità, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.

Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa.

Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.

"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso. "Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.