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PITTORI: Ambrogio da Fossano

Sant'Agostino e il torchio mistico di Ambrogio da Fossano detto il Bergognone

Sant'Agostino con san Gerolamo e il torchio mistico

 

 

AMBROGIO DA FOSSANO detto il BERGOGNONE

1500 ca.

Chiesa di Santa Maria Incoronata a Milano

 

Sant'Agostino e il torchio mistico

 

 

 

L'affresco, oggi nella prima cappella a sinistra della chiesa di Santa Maria Incoronata a Milano, rappresentante il Cristo sotto il Torchio, si trovava collocato sulla parete che costituiva inizialmente la facciata della prima aula agostiniana, che esisteva già all'inizio dell'Osservanza. Le ampie spanciature e la fragilità dell'intonaco, rivelano che il dipinto murale in origine si trovava all'aperto. Tenendo conto della icnografia conventuale quale è nota nel 1757 si deduce che i percorsi che conducevano alla chiesa erano due: uno riservato ai frati, l'altro ai fedeli. I frati provenivano dal chiostro grande e si riunivano nella sagrestia per prepararsi alla Messa. Uscivano ripercorrendo il chiostro grande e l'ala nord del chiostro piccolo: attraverso un lungo corridoio accedevano all'area cimiteriale a cielo aperto dove pregavano per i defunti. E lì che trovavano ad accoglierli la rappresentazione del Torchio mistico (cfr. Gatti Perer, «Ornamento e simbolo. La decorazione pittorica nei conventi dell'Osservanza agostiniana: esempi lombardi » in Arte Cristiana, LXXVIII (1990/3-6) 143-145). All'angelo inginocchiato sulla croce manca la testa e la parte di cartiglio alle sue spalle non è più leggibile. La mano destra si alza in segno di saluto. Dalla parte opposta, nella figura femminile a braccia spalancate di cui rimangono tracce del corpo e dei vestiti va riconosciuta la Vergine. In basso, alle figure di san Girolamo e sant'Agostino, fa riscontro, alla sinistra del recipiente che raccoglie il sangue di Cristo, una vasta lacuna che forse raffigurava sant'Ambrogio. Alle spalle di Agostino un angelo offre un calice pieno a un fedele di cui si nota parzialmente il profilo. Al centro, il Salvatore, altissimo ed in posizione eretta, sostiene sulle spalle la croce/torchio, i cui meccanismi sono avvitati da una colomba sotto lo sguardo vigile di un vecchio Padre Eterno.

Tutto il dipinto ha per cornice un grande arco con belle decorazioni di sapore bramantesco con reminiscenze masacciane per la chiesa domenicana di Santa Maria Novella a Firenze dove un arco trionfale si apre su una profonda volta a botte richiamante la Perspectiva Crucis di san Bonaventura. Nei cartigli, con scritti gotici che invadono quasi l'intero campo della composizione, si leggono le parole di Isaia, che sono all'origine di questa iconografia e che vengono tratte anche dai vangeli e da antichi sacramentari liturgici. Un cartiglio riporta: «(e)x hoc omnes (me) / bibite / est enim sang(uis meus novi testamenti)» (Matteo, 26, 28). Sopra i Dottori troviamo: «...ecclesia sa(l)vum fac / populum tuum et benedic / hereditati (tuae) (Recon)cili(a)nt nos et lav(ant) nos (a peccatis nostris in sanguine su)o». Il Cristo sotto il torchio dell'Incoronata rappresenta il Mistero dell'Eucarestia. L'immagine di Cristo, diversa dalle rappresentazioni di Cristo sotto il torchio esistenti numerose Oltralpe acquista il carattere di un'icona. La sua regalità è resa fortemente, oltre che dalla veste purpurea che scende fino ai piedi, dalla posizione eretta nonostante il peso della croce che sovrasta le spalle. Agostino da Ancona, nel Trattato sulla resurrezione dei morti scrive: «Christus post suam resurrectionem et eius in caelum ascensionem, ad dexteram Patris sedere dicitur propter eius beatitudinis tranquillitatem, indiciarum potestatem atque honoris et gloriae immensitatem, quamvis, ut nos de tribulationibus eripiat, stare magis quam sedere sibi conveniat»: anche nell'immensità della gloria, posto alla destra del Padre, è conveniente che Cristo, per sottrarci alle tribolazioni, stia in posizione eretta. «Verba sunt signa rerum quae sunt in anima». Questa definizione, raccolta nel Milleloquium Veritatis S. Augustini alla voce «Verba Humana», illumina il senso della ricerca teologica che ha caratterizzato l'Osservanza agostiniana e che può essere applicata alle decorazioni pittoriche che allietavano i complessi conventuali di quest'ordine. «Nihil aliud sunt verba quam signa: significando enim verba sunt. Tolle significationem verbo, strepitus inanis est».

La temperie culturale determinata dallo sviluppo delle Osservanze tra Quattrocento e Cinquecento si pone sulla scia degli ultimi Concilii, in particolare quello di Basilea, che interessarono particolarmente il dogma della Trinità e della dottrina eucaristica. Il tema di Cristo sotto il torchio, di cui questo esempio milanese è una splendida esemplificazione, ebbe particolare risonanza nelle Fiandre. L'iconografia trae spunto, come già accennato sopra, da un passo di Isaia: «Torcular calcavi solus, et de gentibus non est vir mecum, calcavi eos in ira mea, et omnia indumenta me inquinavi» (Is. 63,3) che Agostino collegò al Grappolo meraviglioso del Libro dei Numeri e spiegò che Cristo era il grappolo della terra promessa che era stato posto sotto il torchio: «Primus botrus in torculari pressus est Christus. Cum ille botrus passione expressus est» (Sant'Agostino, Enarratio in Psalmum LV, J. P. Migne, «Patrologia latina», XXXVI, p. 649). Il suo simbolismo si diffuse in tutta Europa in sermoni, inni, preghiere. Le prime immagini si rivolgono al Ministero della Chiesa verso il fedele e mostrano il Cristo mentre preme i grappoli con i piedi in un torchio da cui scorre il vino distribuito alla popolazione. In seguito venne sottolineato il potere di redenzione del suo sangue. Già dalla fine del Trecento, e poi nei dipinti del Quattro e Cinquecento, Cristo è mostrato sotto la morsa del torchio con il sangue che trasuda dalle sue piaghe raccolto in un calice.

  APPROFONDIMENTI

    Immagini del torchio 

 

Il torchio assunse in seguito un nuovo significato implicando anche il miracolo della transustanziazione nel quale il sangue del Salvatore, rimanendo intatto, viene convertito nel vino della Comunione. La grande struttura del torchio a leva è mossa dallo Spirito Santo. La colomba ad ali spiegate ha lo sguardo rivolto all'angelo inginocchiato dalla parte opposta alla croce, mentre il Padre Eterno offre come vittima il proprio Figlio. Le loro espressioni si corrispondono con infinita compassione. L'angelo solleva in alto la mano destra: il gesto sembra corrispondere allo sguardo dello Spirito Santo. Il saluto dell'angelo si trova frequentemente nella raffigurazioni del Mulino mistico unito spesso al versetto di Giovanni «Et verbum caro factum est».

Infatti la parola che si irradia da Dio accompagna il Bambino oltre l'Annunciazione verso il mulino. Come dice Jacopo da Varazze, la Vergine annunciata è qui anche colei che «vide la Resurrezione del Signore e per prima vide e credette. Maria sempre Vergine sta lì: il Signore innanzi al suo sguardo per prima a lei si palesa nella luce, come a una buona madre mostrando grandi miracoli. Colei che fu la via di colui che veniva fu anche cammino e guida per lui che tornava» (Iacopo da Varazze, Legenda Aurea). Il Redentore con la corona di spine in capo indossa un lungo manto rosso aperto sul petto piagato e pigia il suo sangue in una grande vasca che riproduce il sepolcro. Da un foro scorre a fiotti, improvviso e violento, il sangue fino a colmare fino all'orlo una brocca che viene sorretta dalle mani di sant'Agostino. S'intravede un ulteriore braccio disteso, attribuibile forse a sant'Ambrogio, con la palma della mano protesa a sostenere la brocca. Sant'Agostino è affiancato da san Gerolamo; alle loro spalle un angelo tiene tra le mani un calice d'oro che offre a un fedele.

Pur fra lacune pittoriche si può riconoscere un copricapo che veniva indossato dal papa anche durante la consacrazione: è il camauro. Qui c'è forse la volontà di riferirsi a Gregorio Magno, in particolare all'iconografia della Messa di san Gregorio, una leggenda consolidata dalla tradizione. La figura di Gregorio Magno completa con la celebrazione dell'Eucarestia quella che può definirsi la summa agostiniana della dottrina eucaristica. In molti dipinti il suo ritratto era quello del pontefice regnante. All'Incoronata la figura di papa Gregorio fu attualizzato con il viso di papa Sisto IV. L'evanescente figura della Vergine indossa sopra la veste rossa un manto dorato, forse in ossequio al desiderio di rappresentarla come «Incoronata». Una serie di considerazioni relative in parte alla vita del pontefice regnante, conducono a datare l'affresco parietale non oltre il 1484. Probabilmente fu iniziato tra il 1477 ed il 1483. La decorazione della chiesa e del convento dell'Incoronata offre ancora oggi una concreta applicazione del pensiero di sant'Agostino. Nel De Civitate Dei lo stato presente di pellegrinaggio si completa nella vita immortale. L'immagine di Dio che determina la continuità tra creatore e creatura è di fatto una Imago Trinitatis, ove lo Spirito Santo sviluppa la sua azione di pace.

L'evento della croce diviene per Agostino simbolo, segno, sacramento. Così il contrasto tra l'immutabile realtà di Dio, i cui giorni significano eternità, e la mutevole realtà della creazione, con le sue vicissitudini, trova nell'incarnazione dell'eterno Figlio di Dio, che si verificò nel tempo e nella storia, la garanzia per l'umanità del primato dell'amore. I discepoli di Gesù, superato il trauma della sua morte, formano nel nome della sua resurrezione una nuova comunità e una nuova città. Questo è il significato della grande parete dipinta all'Incoronata dove l'intera Historia Salutis si svolge attorno alla Regalità di Cristo Vittima e Sacerdote. L'attribuzione dell'opera al Bergognone, già proposta negli anni Trenta dal Morassi, viene confermata dalla critica contemporanea, che tuttavia la anticipa alla sua prima attività, tenendo conto della attenzione che il giovane Bergognone riservò al tema del Corpus Domini.

 

 

Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1450-1522)

Di formazione foppesca, anche se ne ingentilisce i modi, Bergognone riprende dalla cultura fiamminga, giuntagli attraverso la Liguria, sia gli stilemi iconografici quanto l'uso della luce e degli ariosi paesaggi. Alla fine degli anni ottanta venne influenzato dall'opera sia di Leonardo che, soprattutto, di Bramante. I suoi paesaggi preludono ai pittori realistici bresciani nel Cinquecento, mentre il pietismo dei soggetti religiosi lo si ritrova sia nei leonardeschi lombardi sia in tanta pittura tarda manieristica. Molti pittori furono suoi allievi e seguaci, tra i quali si distinse Bernardino Lanzani di San Colombano al Lambro.

Risalgono agli anni giovanili anche le sue prime due pale con Madonna e Santi dal respiro monumentale, dipinte per il protonotario apostolico Calegrani, originario di Arona: la prima (1484) si trova ancora alla Collegiata dei SS. Gratiniano e Felino ad Arona, sua collocazione originaria, mentre la seconda (realizzata nel 1488 per la chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia) è oggi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Tra il 1488 e il 1495 Bergognone fu attivo nella fabbrica della Certosa di Pavia, dove realizzò, oltre ad un gran numero di affreschi, ben nove pale d'altare (ne rimangono sei, tre in loco, due alla National Gallery di Londra e una a Poznan). Ancora in loco sono oggi la Crocifissione (firmata e datata 1490), i pannelli con i Dottori della Chiesa, le monumentali pale di Sant'Ambrogio (1490) e San Siro (1491). Proprio confrontando questi ultimi due dipinti si nota, tra il 1490 e il 1491, un cambiamento nello stile di Bergognone, che si fa più monumentale ed attento allo spazio prospettico, seguendo la lezione di Bramante.

L'ultimo periodo di attività dell'artista si inaugura con un breve ritorno alla Certosa di Pavia (1514), dove affresca una delicata Madonna del Latte nella volta del refettorio, decorando le lunette dello stesso ambiente con figure di apostoli a mezzo busto. Fra le ultime opere ricordiamo i Santi Rocco e Sebastiano (oggi in una collezione privata a Milano) e i monumentali affreschi nella sala capitolare di Santa Maria della Passione sempre a Milano (1514-1518), uno dei capolavori tardi del maestro. Nel 1518 affresca una cappella di San Pietro in Gessate con il Funerale di S. Martino. Del 1522 è invece l'Incoronazione della Vergine, conservata a Brera ma proveniente da Nerviano.