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PITTORI: Camillo Boccaccino

La Vergine in trono con Agostino e S. Alberto Magno

La Vergine in trono con Agostino e S. Alberto Magno

 

 

CAMILLO BOCCACCINO

1525

Praga, Narodni Galerie

 

La Vergine con il Bambino e i santi Bernardo, Pietro, Monica e Agostino

 

 

 

Si tratta di un'opera giovanile del pittore italiano nato a Cremona nel 1504 e ivi morto nel 1546. Boccaccino viene giustamente ritenuto, insieme al conterraneo Giulio Campi, il responsabile di quel cambiamento della pittura cremonese in direzione di uno stile più pienamente moderno, avvenuto negli anni a cavallo tra il terzo e il quarto decennio del Cinquecento. Figlio di Boccaccio Boccaccino, l'artista soggiornò a Venezia fino alla morte del padre, avvenuta nel 1525. Nella città lagunare imparò l'arte della pittura, venendo a contatto con alcuni dei principali artefici della scena pittorica veneziana, e rimanendo influenzato, in primo luogo, dai modi di Tiziano. La sua prima opera firmata e datata è questa Madonna col Bambino e santi per la chiesa di S. Maria del Castello (Praga, Národní Muzeum di Palazzo Sternbersky in prestito dalla famiglia Melnick Lobrowicz), che mostra una sapiente rielaborazione dei modi tizianeschi e pordenoniani, riprendendo addirittura lo schema della Pala Pesaro del Vecellio, e una grande intensità emotiva. Splendida la figura di Agostino così come quella della madre Monica. Al 1530 risale l'esecuzione delle ante dell'organo di S. Maria di Campagna a Piacenza che, per la densità chiaroscurale e l'intenso colorismo, appaiono intrise di uno stile influenzato da Tiziano e da Pordenone. Al Correggio pare invece ispirarsi il Boccaccino nella successiva pala per la chiesa di S. Bartolomeo a Cremona (Milano, Brera), datata 1532. Da questo momento l'artista diviene a pieno titolo il principale protagonista della pittura cremonese. L'anno successivo esegue una pala, perduta, con la Madonna col Bambino e le sante Marta e Maria Maddalena, per il duomo di Cremona. Dal 1540, l'artista lavora al cantiere cremonese di S. Sigismondo: gli affreschi dell'abside e della volta del presbiterio rielaborano i modi di Pordenone, Correggio, Parmigianino e Giulio Romano, al punto che le soluzioni qui proposte risultano essere paradigmatiche per lo sviluppo della maniera nell'Italia settentrionale. Analoghi riferimenti stilistici si notano nelle ultime opere: la pala per la chiesa cremonese di S. Domenico (oggi al Museo Civico) e, gli affreschi della cappella della Vergine nella stessa chiesa di S. Sigismondo, commissionati a Camillo nel 1545.

 

La devozione per la Vergine fu un carattere specifico dell'ordine agostiniano. Già Agostino, nei suoi scritti, esaltò le virtù, affermando inseparabile la sua azione da quella di Cristo e proponendola come modello per tutti i credenti. Agostino si fece veicolo di precisi contenuti dottrinari che ebbero lo scopo di confutare le tesi eterodosse diffuse a quei tempi. Agostino ribadì ripetutamente e con chiarezza i concetti della maternità fisica e insieme divina di Maria nonché la sua verginità, che ne fanno il simbolo della Chiesa, nello spirito vergine, per integrità e pietà, e madre nella carità.

Dei tre vangeli sinottici quello che parla più diffusamente di Maria è il Vangelo di Luca. Vi si racconta che Maria viveva a Nazaret, in Galilea e che, promessa sposa di Giuseppe, ricevette dall'arcangelo Gabriele l'annuncio che avrebbe partorito il Figlio di Dio (Lc. 1, 26-38). Ella accettò e, per la sua totale fedeltà alla missione affidatale da Dio, è considerata dai cristiani il modello per tutti i credenti. Lo stesso Vangelo secondo Luca racconta la sua pronta partenza per Ain Karem, per aiutare la cugina Elisabetta, anziana, incinta di sei mesi.

Da Elisabetta è chiamata "la madre del mio Signore". Maria le risponde proclamando il Magnificat: « Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.» (Lc. 1, 46)

 

Secondo la tradizione cristiana Anna, Gioacchino e Maria abitarono a Gerusalemme nei pressi dell'attuale Porta dei Leoni, nella parte nord orientale della città vecchia, laddove ci sono i resti della piscina di Bethesda. Oggi in questa zona sorge una chiesa costruita dai crociati nel XII secolo e dedicata a sant'Anna. Maria, che imparò a camminare a sei mesi, rimase nel tempio dall'età di tre anni fino al periodo della pubertà e poi venne data in sposa a Giuseppe che fu miracolosamente designato dalla fioritura di una verga. Secondo il vangelo apocrifo di Bartolomeo una prima annunciazione fu data a Maria nel tempio stesso di Gerusalemme. Dio disse a Maria: «Gioisci, o piena di grazia e vaso di elezione ... Ancora tre anni e ti manderò la mia parola; tu concepirai un figlio per mezzo del quale sarà salvata tutta la creazione. Tu sarai il calice del mondo. Pace a te, mia diletta ... » La vera e propria annunciazione secondo alcuni avvenne alla fontana, altri invece dicono che avvenne a casa sua. L'annunciazione dell'arcangelo Gabriele a Maria è collocata secondo la tradizione il 25 marzo, per rispettare il tempo di nove mesi esatti dalla nascita di Gesù fissata il 25 dicembre Trovandosi a Betlemme, in Giudea, con suo marito Giuseppe per il censimento indetto (Lc. 2, 1-2), tramite il console Quirino, dall'imperatore Augusto, partorì in un riparo che era forse una stalla suo figlio, al quale impose il nome di Gesù come le aveva prescritto l'arcangelo Gabriele. Il vangelo racconta il canto degli angeli e la visita dei pastori (Lc. 2, 1-20), e poi dei sapienti orientali detti i Magi. Secondo Matteo, che fa risiedere la famiglia fin da principio a Betlemme (Mt. 2, 1-11), seguono la persecuzione di Erode, la fuga in Egitto, la strage degli Innocenti e il ritorno a Nazaret. La visione di Maria è contenuta nella Divina Commedia, dove Dante riporta la straordinaria preghiera del doctor marianus Bernardo di Chiaravalle affinché Dante stesso possa ottenere la visione della Trinità divina: « Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. » (Paradiso XXXIII, 1-21)