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PITTORI: Imitatore di Muziano

Estasi di Ostia

Estasi di Ostia

 

 

IMITATORE DI MUZIANO

1560-1590

Madrid, Museo del Prado

 

Estasi di Ostia

 

 

 

Questo cartone è una copia di un'opera di Girolamo Muziano eseguita con la tecnica della penna a inchiostro bruno. Il cartoncino misura 182 millimetri x 133 millimetri. L'autore è sconosciuto ma certamente di scuola italiana. Attualmente fa parte delle Collezioni del Museo del Prado dove è stato acquisito nel 1931 con il lascito Pedro Fernández Durán.

Grazie alla iscrizione cinquecentesca del disegno in alto al centro, l'opera può essere identificata come una copia di un dipinto irreperibile di Girolamo Muziano, precedentemente situato nella sacrestia di S. Agostino a Roma. Il disegno aiuta pertanto a visualizzare la composizione di questo dipinto scomparso.

 

Alcune delle pagine più belle delle Confessioni sono dedicate da Agostino al commosso ricordo della madre Monica. In particolare, è rimasto famoso l'episodio della cosiddetta "estasi di Ostia", un'esperienza mistica che i due ebbero a Ostia Tiberina nel 387, a breve distanza dal battesimo di Agostino e pochi giorni prima dell'ultima malattia di Monica. Risalendo di contemplazione in contemplazione dalle cose create alla divina Sapienza creatrice, madre e figlio pregustano la gioia del paradiso. Nel viaggio di ritorno da Milano dopo il 387 Agostino e Monica soggiornarono a Ostia in attesa di potersi imbarcare per l'Africa. In questa città Monica trovò la morte, ma prima di morire Agostino ricorda un fatto curioso che li vide protagonisti: un'estasi platonica.

 

10.23. Incombeva il giorno in cui doveva uscire da questa vita - e tu lo conoscevi quel giorno, noi no. Accadde allora per una tua misteriosa intenzione, credo, che ci trovassimo soli io e lei, affacciati a una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là nei pressi di Ostia Tiberina, dove c'eravamo appartati lontano da ogni trambusto, per riposarci della fatica di un lungo viaggio e prepararci alla navigazione. Conversavamo dunque assai dolcemente noi due soli, e dimentichi del passato, protesi verso quello che ci era davanti ragionavamo fra noi, alla presenza della verità - vale a dire alla tua presenza. L'argomento era la vita eterna dei beati, la vita che occhio non vide e orecchio non udì, che non affiorò mai al cuore dell'uomo. Noi eravamo protesi con la bocca del cuore spalancata all'altissimo flusso della tua sorgente, la sorgente della vita che è in te, per esserne irrigati nel limite della nostra capacità, comunque riuscissimo a concepire una così enorme cosa.

- 24. E il nostro ragionamento ci portava a questa conclusione: che la gioia dei sensi e del corpo, per quanto vivida sia in tutto lo splendore della luce visibile, di fronte alla festa di quella vita non solo non reggesse il confronto, ma non paresse neppur degna d'esser menzionata. Allora in un impeto più appassionato ci sollevammo verso l'Essere stesso attraversando di grado in grado tutto il mondo dei corpi e il cielo stesso con le luci del sole e della luna e delle stelle sopra la terra. E ascendevamo ancora entro noi stessi ragionando e discorrendo e ammirando le tue opere, e arrivammo così alle nostre menti e passammo oltre, per raggiungere infine quel paese della ricchezza inesauribile dove in eterno tu pascoli Israele sui prati della verità. Là è vita la sapienza per cui sono fatte tutte le cose, quelle di ora, del passato e del futuro - la sapienza che pure non si fa, ma è: così come era e così sarà sempre. Anzi l'essere stato e l'essere venturo non sono in lei, ma solo l'essere, dato che è eterna: infatti essere stato ed essere venturo non sono eterni. Mentre così parliamo, assetati di lei, eccola... in un lampo del cuore, un barbaglio di lei. E già era tempo di sospirare e abbandonare lì le primizie dello spirito e far ritorno allo strepito della nostra bocca, dove la parola comincia e finisce. E cosa c'è di simile alla tua Parola, al Signore nostro, che perdura in se stessa senza diventare vecchia e rinnova ogni cosa?

- 25. "Se calasse il silenzio, in un uomo, sopra le insurrezioni della carne, silenzio sulle fantasticherie della terra e dell'acqua e dell'aria, silenzio dei sogni e delle rivelazioni della fantasia, di ogni linguaggio e di ogni segno, silenzio assoluto di ogni cosa che si produce per svanire" - così ragionavamo - "perché ad ascoltarle, tutte queste cose dicono: 'Non ci siamo fatte da sole, ma ci ha fatte chi permane in eterno'; se detto questo dunque drizzassero le orecchie verso il loro autore, e facessero silenzio, e lui stesso parlasse non più per bocca loro, ma per sé: e noi udissimo la sua parola senza l'aiuto di lingue di carne o di voci d'angelo o di tuono o d'enigma e di similitudine, no, ma lui stesso, lui che amiamo in tutte queste cose potessimo udire, senza di loro, come or ora con un pensiero proteso e furtivo noi abbiamo sfiorato la sapienza eterna immobile sopra ogni cosa: se questo contatto perdurasse e la vista fosse sgombrata di tutte le altre visioni di genere inferiore e questa sola rapisse e assorbisse e sprofondasse nell'intima beatitudine il suo spettatore, e tale fosse la vita eterna quale è stato quell'attimo di intelligenza per cui stavamo sospirando: non sarebbe finalmente questa la ventura racchiusa in quell'invito, entra nella gioia del tuo signore? E quando? Forse quando tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ?"

AGOSTINO, Confessioni, 9, 10, 23-25

 

 

Girolamo Muziano

Girolamo Muziano nasce ad Acquafredda, un paese vicino a Brescia, nel 1532. Svolge la sua attività pittorica nel tardo-rinascimento e all'epoca del Manierismo. La sua prima preparazione incomincia alla bottega del Romanino, un pittore influenzato dallo stile di Tiziano. L'apprendistato tuttavia lo conclude nella bottega di Domenico Campagnola e Lambert Sustris fra il 1544 e il 1546 ai Padova.

Si trasferì quindi a Venezia dove restò fino al 1549, quando decide di recarsi a Roma nel 1550, dove rimase fino alla morte. Noto come il "Giovane dei paesaggi" Muziano raffigurò molti episodi storici seguendo un approccio basato in gran parte sullo stile di Michelangelo. L'opera che lo rese famoso è la tela che raffigura la Resurrezione di Lazzaro del 1555, che venne dipinta per il Palazzo di Colonna a Subiaco. Curioso è il destino dell'opera, perché subì un primo trasferimento nella Basilica di Santa Maria Maggiore sopra la tomba dell'artista. Fu poi trasferita al Palazzo Quirinale, da dove passò ai Musei Vaticani.

Il periodo di maggior splendore di questo artista cade fra il 1570 e il 1580, quando realizza opere secondo i gusti della controriforma. Venne inoltre chiamato a rifondare l'Accademia di San Luca a Roma. Morì nel 1592 e fu sepolto nella Basilica di Santa Maria Maggiore.