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PITTORI: Morgari Luigi

Sant'Agostino e il De Civitate Dei

Sant'Agostino e il De Civitate Dei

 

 

LUIGI MORGARI

1904-1909

Belgirate. chiesa parrocchiale

 

Sant'Agostino e il De Civitate Dei

 

 

 

 

Fra il 1904 e il 1909, il pittore Luigi Morgari, nato a Torino nel 1857, attese all'affrescatura della chiesa parrocchiale di Belgirate, un paese vicino a Stresa e Verbania. Il decoratore Luigi Secchi realizzò gli stucchi sulle lesene, sui cornicioni, sugli archi e nelle volte delle cappelle, e le cornici che inquadrano gli affreschi. Nella navata centrale, all'interno di una cornice ovale riccamente decorata campeggia la figura di Agostino (Augustinus) che mostra una espressione pensosa e riflessiva. Vestito da vescovo, con il bastone appoggiato sulla spalla destra e la mitra sullo sfondo, il suo sguardo si perde nei suoi pensieri che inseguono il mistero della volontà divina quando regge il cammino della storia. Il gran libro De Civitate Dei ricorda quanto Agostino abbia trattato questo tema che introduce il concetto della Provvidenza divina nel corso della storia umana.

Un'aureola giallastra su fondo scuro, illumina il viso di un Agostino maturo, dalla folta barba, dove la mano sinistra appoggiata sulla fronte acuisce il senso della profondità del pensiero in cui è avvinto il santo. L'autore è nato a Torino nel 1857 e vi è morto nel 1935, discendente di un noto ceppo di pittori piemontesi. Figlio di Paolo Emilio senior, nipote di Giuseppe capostipite della dinastia di artisti, studiò all'Accademia Albertina dove fu allievo del Gamba e del Gastaldi.

Si dedicò a soggetti profani e religiosi pieni di movimento, con tonalità sobrie e delicate. Buon colorista, lasciò un'abbondante produzione delle sue opere nelle chiese di Piemonte, Liguria e Lombardia tra cui il Santuario di Rho, la cattedrale di Alessandria, S. Pietro, a Piacenza (lavorò anche nel duomo di Bobbio), una delle sue imprese più impegnative, nella chiesa di San Michele Arcangelo ad Olevano di Lomellina (PV), nella chiesa di San Siro a Lomazzo (CO) e la chiesa di S. Giovanni Evangelista a Torino. Ispirate a soggetti mitologici, ha lasciato sue opere in Palazzo Quartana a Genova e in Palazzo S. Luca d'Albaro sempre a Genova. A Milano affrescò tra l'altro la chiesa di Santa Francesca Romana dove nel 1933 ha firmato il quadro della "fuga in Egitto" oltre ad altri affreschi nella chiesa di S. Gioacchino.

 

L'opera De Civitate Dei fu scritta da Agostino dopo il Sacco di Roma da parte dei visigoti guidati da Alarico I nel 410, un evento che sconvolse il mondo romano ovvero. Agostino apprese la notizia mentre faceva la spola tra Ippona e Cartagine, dove si stava svolgendo un concilio. Presto gli arrivarono alle orecchie le accuse dei pagani contro il Dio cristiano che non aveva saputo difendere l'Urbe, ed assistette all'arrivo dei profughi con i loro racconti drammatici.

L'eccezionalità dell'evento lo sollecita a riflettere sul senso della vita e della storia. E nel 412 intraprende un'opera che lo impegnerà per una dozzina di anni e che diventerà uno dei pilastri della cultura occidentale. L'opera appare come il primo tentativo di costruire una visione organica della storia dal punto di vista cristiano, principalmente per controbattere le accuse della società pagana contro i cristiani.

 

Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l'invasione dei Goti che militavano sotto il re Alarico; l'occupazione causò un'enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi dèi, che con un appellativo in uso chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio vero con maggiore acrimonia e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della casa di Dio, ho stabilito di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori. L'opera mi tenne occupato per molti anni. Si frapponevano altri impegni che non era opportuno rimandare e che esigevano da me una soluzione immediata. Finalmente questa grande opera, La città di Dio, fu condotta a termine in ventidue libri. I primi cinque confutano coloro i quali vogliono la vicenda umana così prospera da ritenere necessario il culto dei molti dèi che i pagani erano soliti adorare. Sostengono quindi che avvengano in grande numero queste sciagure in seguito alla proibizione del culto politeistico. Gli altri cinque contengono la confutazione di coloro i quali ammettono che le sciagure non sono mai mancate e non mancheranno mai agli uomini e che esse, ora grandi ora piccole, variano secondo i luoghi, i tempi e le persone. Sostengono tuttavia che il politeismo e relative pratiche sacrali sono utili per la vita che verrà dopo la morte. Con questi dieci libri dunque sono respinte queste due infondate opinioni contrarie alla religione cristiana. Qualcuno poteva ribattere che noi avevamo confutato gli errori degli altri senza affermare le nostre verità.

Questo è l'assunto della seconda parte dell'opera che comprende dodici libri. Tuttavia all'occasione anche nei primi dieci affermiamo le nostre verità e negli altri dodici confutiamo gli errori contrari. Dei dodici libri che seguono dunque i primi quattro contengono l'origine delle due città, una di Dio e l'altra del mondo; gli altri quattro, il loro svolgimento o sviluppo; i quattro successivi, che sono anche gli ultimi, il fine proprio. Sebbene tutti i ventidue libri riguardino l'una e l'altra città, hanno tuttavia derivato il titolo dalla migliore. Perciò è stata preferita l'intestazione La città di Dio.

Nel decimo libro non doveva esser considerato un miracolo il fatto che in un sacrificio che Abramo offrì, una fiamma venuta dal cielo trascorse tra le vittime divise a metà, perché gli fu mostrato in una visione. Nel libro decimosettimo si afferma di Samuele che non era dei figli di Aronne. Era preferibile dire: Non era figlio di un sacerdote. Infatti era piuttosto costume garantito dalla legge che i figli dei sacerdoti succedessero ai sacerdoti defunti; tra i figli di Aronne si trova appunto il padre di Samuele, ma non fu sacerdote. Né si deve considerare tra i figli, nel senso che discendesse da Aronne, ma nel senso che tutti gli appartenenti al popolo ebraico son detti figli di Israele. L'opera comincia così: Gloriosissimam civitatem Dei.

AGOSTINO, Ritrattazioni 2, 43