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PITTORI: Maestro di Camerino

I santi Agostino e Gerolamo

I santi Agostino e Gerolamo

 

 

MAESTRO DI CAMERINO

1481 ca.

Venezia, Galleria dell'Accademia

 

I santi Agostino e Gerolamo

 

 

 

 

L'opera proviene da un pannello che è stato smembrato da un Polittico che si trovava nel Duomo di Camerino. E' probabile che il dipinto fosse ancora in luogo nel 1488 prima di essere trasportato a Venezia dove a tutt'oggi si trova conservato alla Galleria d'Arte dell'Accademia, con la attribuzione a Carlo Crivelli. Il riquadro presenta i due santi Agostino e Gerolamo l'uno di fronte all'altro quasi si guardassero reciprocamente.

Gerolamo è vestito con la porpora cardinalizia, il cappello in testa e porta in mano un modello della chiesa. Una folta barba bianca gli copra il viso e il petto: ai suoi piedi ringhia un leone, simbolo della sua vita eremitica. Al suo fianco Agostino indossa i paramenti vescovili, con la destra impugna il bastone e con la sinistra regge un libro. Il viso è ancora giovanile. La sua raffigurazione segue i tradizionali canoni iconografici.

Dottore della Chiesa, Gerolamo è uno dei quattro massimi Padri latini. Nacque a Stridone ai confini fra Dalmazia e Pannonia tra il 340 e il 350. Di ricca famiglia, perfezionò i suoi studi a Roma, dove ricevette il battesimo. Colto, sapiente, tradusse la Bibbia, approfondì le questioni dottrinarie. Polemizzò con molti, fra cui anche Agostino, di cui era contemporaneo. Di lui Agostino dice che aveva una cultura immensa e una potente personalità.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contra Rufinum 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14).

A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un'intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419-420.

 

Per mezzo di Alipio, che prima del suo episcopato era stato in Palestina, Agostino s'era messo in contatto con san Gerolamo che fin dall'estate del 386 si era definitivamente ritirato a Betlemme. Gli aveva mandato una lettera per mezzo di un suo compagno, Profuturo, che nel frattempo era stato nominato vescovo di Cirta. Incomincia così la corrispondenza polemica di Agostino e Gerolamo, che una serie d'incidenti, di malintesi e di false notizie, oltre agli argomenti discussi, doveva contribuire a rendere aspra.

Agostino voleva conoscere l'opinione vera di Gerolamo su Origene, non riusciva a rendersi ragione che fosse necessario tradurre nuovamente l'Antico Testamento dall'ebraico, come Gerolamo stava facendo, mentre poteva bastare una semplice revisione del latino, condotta sulla versione greca dei Settanta, così come Gerolamo stesso aveva fatto per Giobbe. Soprattutto gli dispiaceva che nel commentare l'epistola ai Galati, Gerolamo avesse mostrato d'intendere che la disputa tra san paolo e san Pietro in Antiochia, raccontata nell'epistola stessa (II, 11 e seg.) fosse finta: un semplice artificio escogitato di comune accordo dagli apostoli per cavarne una lezione a vantaggio di tutti.

Pareva ad Agostino che in tal modo si desse implicitamente ragione ai manichei, che pretendevano di togliere dal Nuovo Testamento quello che a loro dispiaceva, asserendo trattarsi d'interpolazioni tendenziose. E tanto gli stava a cuore questo punto, da indurlo a scrivere un libro apposta, il De Mendacio, in cui Gerolamo è trattato piuttosto male, come il difensore della menzogna. Agostino coglie l'occasione per affermare il suo concetto che, a differenza dell'Antico, il Nuovo Testamento, a eccezione delle parabole di Gesù, va interpretato alla lettera; mentre nell'Antico l'interpretazione allegorica serve soltanto a dimostrare l'accordo tra le due parti della Scrittura, specie là dove il racconto - pur vero - raccolto alla lettera, offenderebbe il senso morale. La polemica si invelenì: Agostino invitata Gerolamo a contare la sua Palinodia, a Girolamo era giunta notizia, da Roma, d'un libro di Agostino contro di lui. Per non acuire il dissidio, Agostino si astenne dal pubblicare il De Mendacio.