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PITTORI: Battista de Malacridas

Garzeno, chiesa dei S. Pietro e Paolo, Madonna con il bambino

Garzeno, chiesa S. Pietro e Paolo, Madonna con il bambino

 

 

BATTISTA DE MALACRIDAS ovvero BATTISTA DA MUSSO

1440 ca. - 1517 ca.

 

di Virginio Longoni

tratto da Lecco Economia n. 4 Dicembre 2002

 

 

L'opera di maestro Battista da Musso ha guadagnato margini di attenzione solo da pochi decenni e soprattutto a seguito della fondamentale ricognizione, pubblicata nel 1988, sulla Pittura in Alto Lario tra Quattro e Cinquecento [1]. Da questo studio è uscita, per lui, la definizione di artista sostanzialmente provinciale, dotato e, per certi versi, aggiornato, ma incapace di imporsi come interprete di una nuova stagione artistica [2]. Battista da Musso sarebbe un maestro, ma nell'ambito di una cultura figurativa locale in ritardo nel cogliere le tendenze che spingevano a superare il linguaggio allusivo del gotico per trasfigurare la realtà in una visione tanto più eloquente quanto più attenta all'oggettività. In rapporto a queste opportunità, di Battista sconcerta la fedeltà ad una tradizione che costringe le sue Madonne, modellate con sensibilità plastica che sembra talvolta ispirarsi al Bergognone, sopra goffi baldacchini con la pedana a geometria prominente. Sorprende che l'adozione di ornamenti ed apparati di classica ispirazione antiquaria finisca per inquadrare composizioni alle quali manca lo spazio, precluso da finte murature che fanno rimpiangere, se non il fascino del fondo d'oro, almeno la discrezione della parete neutra.

Queste ed altre pecche rischiano di pregiudicare una valutazione che, per riferirsi ad un artista di provincia, dovrebbe tener conto del gusto dei committenti e della destinazione delle opere, in altre parole del quadro socio-culturale che interpretavano. Non c'è dubbio infatti che Battista da Musso godesse del largo favore dei conterranei e che l'insieme dei suoi lavori sopravvissuti al tempo ed ai guasti riveli una spiccata concretezza nel rendere l'ingenuità o il candore della religiosità popolare. Il limite della sua creatività sembra costantemente subordinato alla fedeltà al tema devozionale e l'attenzione al linguaggio innovativo di altri maestri appare ricondotto alla funzionalità della resa comunicativa. Questo indirizzo potrebbe aver condizionato anche i suoi allievi, in particolare i figli. La qual cosa pregiudica la possibilità di estendere la sua eredità artistica a lavori di un certo pregio che, sulle sponde del Lario, attendono una paternità.

 

Pittori a Musso

Battista dei Malacrida di Musso nacque nel decennio 1440-50. La sua prima apparizione è documentata a Musso [3] nel 1474 e torna interessante sia perché vi è già qualificato come maestro, sia perché lo rivela in relazione stretta con il potente Raffaele Malacrida. Se la qualifica consente di orientarne l'età, il rapporto con Raffaele riflette una condizione sociale di rilievo. Del resto il defunto padre di Battista veniva indicato come domino Giovanni, distinzione che, se non erriamo, dovrebbe includerlo nella discendenza del nobile Gregorio Malacrida, padre del notaio Bartolomeo, di Tognio, Tommaso, Marco ed, appunto, Giovanni, fratelli che nel 1447 avevano definito l'assegnazione dell'eredità paterna [4].

Se questa ricostruzione è corretta, non è difficile immaginare l'ambito culturale in cui Battista si formò. Era quello di una tra le più potenti famiglie del lago, che aveva il proprio covo al minaccioso Sasso dei Malacrida di Dongo, ma che aveva conquistato posizioni preminenti anche a Torno e Bellagio e che contava esponenti in carriera a Como e Milano. Semmai ci dovremmo chiedere come da una famiglia battagliera, che si era affermata sostenendo a spada tratta gli interessi dei Visconti in Alto Lario, abbia potuto uscire un artista, anzi un cantore di Madonne e confezionatore di altarini di pacata serenità paesana.

In verità la stessa domanda dovrebbe coinvolgere una dozzina di Malacrida, appartenenti alle più disparate ramificazioni e che, quasi tutti per vocazione estranea all'ambito famigliare, si dedicarono alla pittura.

Forse quel tanto di surreale che distingue certe leggende del lago potrebbe valere anche per questa fioritura di artisti da una stirpe di uomini forti. Nell'operazione del 1474 maestro Battista definiva, con il citato Raffaele, una proprietà in comune che sembra pervenuta in eredità. Proprio Raffaele, che ricoprì a Musso varie cariche pubbliche, in una supplica rivolta al Duca di Milano e riguardante i diritti del parentado su Pianello, riviveva i trascorsi della famiglia guidata da suo nonno, il memorabile Giovanni detto il Rosso, in questi termini: "... Puoy che la illustrissima memoria del Ducha Filippo Maria Vesconte, tertio ducha de Milano, aquistò il dominio de Milano, per che el dicto Rosso de Malacridi, tunc suo capitaneo, lo adiutò ad recuperare quella citade de Cumo et le terre rebelate del dicto lago et vescovato tolendole da le mane de li Rusconi, el prefato ducha Fillippo confirmò et di novo concesse quello feudo de Mussio cum le pertinentie ad loro di Malacridi et fece la signoria sua dirochare tutte quelle forteze tenevano et usurpavano li Rusconi, et essi de Pianelo iurareno no va fidelitate in le mane de loro di Malacridi et perseverarono, loro de Pianelo, in fidelitate et obedientia sin ad l'ano MCCCCXXVIII che vene ad morte Gabriel Malacrida, patTe del detto Raphael, fiolo del detto Rosso; et doppo la morte del detto Gabriel, essi de Pianelo etiam rebelareno ad loro di Malacridi, essendo subornati da li Rusconi .. [5]. "

Garzeno, chiesa dei S. Pietro e Paolo, Madonna con il bambino fra i santi Rocco e Sebastiano

Garzeno, chiesa dei S. Pietro e Paolo, Madonna

con il bambino fra i santi Rocco e Sebastiano

La memoria di Giovanni detto il Rosso sembra rivivere nel nome di battesimo del padre di maestro Battista e si

 conferma in quello che egli diede, come vedremo, ad uno dei figli ed allievi. La qualifica di domino del padre consente poi di distinguere il nostro pittore da altri due Battista da Musso, confusione che ha generato equivoci anche sul terreno critico. Uno dei due altri Battista Malacrida da Musso fu infatti padre del lapicida Giovan Pietro che, per avere sposato la figlia di Andrea de Magistris, ha indotto a considerare un sodalizio artistico tra maestro Battista e la bottega dei de Magistris privo di fondamento. Nella realtà Giovan Pietro, figlio di un Battista mai nominato come maestro, apparteneva ad un altro ramo dei Malacrida. La sua carriera si svolse parallela, ma autonoma, rispetto a quella del pittore. Il suo successo può essere misurato dal contratto di addestramento che nel 1510 lo vedeva assumere come discepolo Bartolomeo Turconi di Dongo [6].

Almeno dal punto di vista del mestiere, la figura di Giovan Pietro dovrebbe essere affiancata a quella di un altro Malacrida scalpellino, maestro Antonio pichapreda che esercitava a Dongo [7]. L'opera di questi artisti della pietra può, al di là di ogni connessione parentale, avere in qualche modo influito sul linguaggio pittorico di maestro Battista, le cui Madonne esprimono una solidità ancora ve nata di gotiche variazioni, ma di un'evidenza scultorea. Anche la partitura di composizioni a più figure entro apposite nicchie sembra rispecchiare i modelli dei poi ittici e degli altari eseguiti da intagliatori.

E poi non si può dimenticare che a Musso era attiva la cava di marmo che riforniva il cantiere della cattedrale di Como. E' presumibile che periodicamente varcassero i suoi cancelli magistri scalpellini ed architetti in attività a quel cantiere e tutto fa pensare che costoro portassero con sé progetti e disegni. Negli anni 1485-89 la cava venne gestita dal cugino Raffaele ed anche questo avvalora l'ipotesi che, come luogo d'incontro, la cava giovasse all'aggiornamento di maestro Battista. Non era sicuramente l'unico veicolo di novità in campo artistico. Da qualche decennio la stampa andava diffondendo immagini che, anche per l'essenzialità richiesta al modello grafico da intagliare o incidere, si scostavano dall'evanescente linearismo del gotico per ricercare una nuova oggettività nelle figure e la loro ambientazione. Una realistica rappresentazione delle cose era anche dettata dalle finalità della stampa, la quale, prima di rivolgersi agli artisti, si indirizzava a quanti erano interessati ai progressi del sapere. E' limitativo pensare che l'Umanesimo abbia stimolato solo la riscoperta di Platone e Cicerone.

Erano classici anche Ippocrate, Archimede e Pitagora e basta ricordare la passione che Leonardo coltivava per i testi di meccanica, di matematica, di botanica. lo stesso studio dell'anatomia, che appassionava il grande maestro, rifletteva i progressi nella conoscenza del corpo umano irradiati dall'Università di Pavia. Per questo non sembra indispensabile chiamare ritualmente in causa il Bramante o i maestri ferraresi per interpretare la modernizzazione dei pittori lariani. libri ne circolavano in misura certo superiore a quanto assegnabile alle incisioni d'arte o ai disegni. Ne offre la misura la disputa che nel 1490 opponeva a Tremezzo alcuni dei fratelli Zullini a proposito di una notevole quantità di libri, parte di medicina, ma in maggioranza di altro argomento, dei quali ciascuno rivendicava il possesso [8]. Anche l'istruzione concorreva alla diffusione del libro stampato. All'inizio del 1485 maestro Giovanni de Solario, già rettore di una scuola a Gravedona, veniva assoldato da Giovanni Rumi, Giovanni Malacrida e Bernardo de Cossogna. Costoro, che agivano per conto dell'intera comunità di Dongo, gli affidarono la conduzione della scuola di grammatica che si disponevano ad aprire in paese, ".... ad regendum scholas et de eius arte gramatice instruere" [9]. Questa scuola apriva anche ai giovani di Musso la possibilità di imparare a leggere e scrivere, dotazione indispensabile per quanti, non offrendo il paese molte occasioni, erano indotti ad emigrare in cerca di fortuna. Si aggiunga che a Musso si avvertiva una forma di inquietudine che sembrava anticipare il clima eccitato che accompagnò, in seguito, le mirabolanti imprese di Gian Giacomo de Medici, il Medeghino impegnato ad imporre al consorzio delle nazioni un Marchesato di Musso.

Garzeno, chiesa dei S. Pietro e Paolo, Madonna allattante fra san Michele e san Bernardino

Garzeno, chiesa dei S. Pietro e Paolo, Madonna

allattante fra san Michele e san Bernardino

Nel 1478 il paese viveva già sotto la minaccia di prepotenze da parte di soldatesche oltremontane, le quali avevano forse avvertito, in anticipo sul Medeghino, quanto il posto fosse adatto a trasformarsi in un fortino difficilmente attaccabile. L'immancabile Raffaele Malacrida si raccomandava allora al Duca, il quale aveva designato un castellano al Sasso di Musso. Egli chiedeva che, in deroga ai poteri assegnati al castellano, fosse concesso ai propri parenti, ma anche ai compaesani, di rifugiarsi, in caso di pericolo, nella fortificazione. lo faceva con queste accorate parole: "Excellentissimo Signore, quanto sia lo perforzo de li ultramontani reducti suxo il territorio dal conte Henricho da Sacho, credo ne siano informate Vostre Excellenze. Per la qual cosa li vostri fidelissirni servitori Raphael Malacrida, feudatario de la terra de Musso, et tuti li habitanti in dicto loco et li altri soy parenti et adherenti de la terra de Doncho, molto se dubitano de tanto impeto, vedendo tute le altre terre vicine che continuamente cerchano de fugire con le sue robe, non sapendo però tuti li homeni de quello paexe dove possano havere bon et seguro reducto. Per la qual cosa esso Raphael et altri soy parenti et adherenti supplicano et domandano, per gratia spitiale, che Vostre Excellentie si vogliano dignare restituirli le sue stantie poste sopra el Saso de Muso, sopra el quale Vostre Excellentie teneno uno castellano che dè guardare esso Saso con la forteza, avisando Votre Excellentie che dal dicto loco del Saso, dove sono esse stantie, è distantia doe bone balestra te da la dicta forteza et per che esse stantie tantum turno facte per segureza de le persone ... [10]."

Motivo di apprensione non erano solo le scorribande di soldataglie, ma anche il contagio di pestilenze, facilmente diffuse da quel tipo di truppe rozze e fameliche. Sappiamo che nei pressi della cava di marmo c'era una porta che precludeva il transito ad ogni sintomo di epidemia. Nel 1484 un contratto venne stipulato sulla strada Cumana alla porta che si trova presso la cava tra Dongo e Musso e che serve nei momenti minacciati da sospetto contagio .. [11].

La precarietà del vivere in questa zona non poteva che riflettersi nella religiosità popolare. La stessa fortezza del Sasso di Musso non era soltanto un sicuro rifugio, ma anche la sede. della cappella di San Biagio, alla quale la gente era molto affezionata. Come tale, non poteva che fruire delle attenzioni delle famiglie dominanti e, non a caso, nel 1493 ne era cappellano frate Gregorio Malacrida, di quell'ordine dei Servi di Maria al quale, come vedremo, apparteneva anche frate Gaspare, il fratello di maestro Battista. Nel luglio dello stesso anno un'assemblea comunale prendeva atto delle volontà testamentarie di messer Fomasio dei Ceschi [12], il quale disponeva un legato affinché nella cappella di San Giovanni Battista, interna alla stessa cappella del castello, venissero dipinte le immagini di San Gerolamo e di San Sebastiano. Occasioni come questa furono abbastanza frequenti e sicuramente alla portata di maestro Battista.

Lo deduciamo dall'intensa vita pubblica che egli condusse. Più volte fu testimone di operazioni degli altri Malacrida del posto [13], i quali evidentemente lo consideravano persona saggia ed equilibrata. Altrettanto indicative sono le sue ripetute presenze alla dettatura di testamenti. Qui, più che la dignità, contava forse la possibilità di procurarsi commissioni. Lo si può pensare per le ultime volontà che nel 1485 dettò Delfino Scanagatta di Dongo, intenzionato ad istituire una cappella dedicata a Santa Lucia in Santa Maria di Dongo [14]. Con analoghe prospettive potrebbero averlo coinvolto, nel 1494, le disposizioni testamentarie di Domenico Zamboni di Pianello [15] e le molteplici altre cui partecipò.

 

Le beatitudini delle vallate

La richiesta di esecuzioni artistiche, tanto frequente nei testamenti del tempo, interpretava un bisogno di sopravvivenza all'umano destino. Dopo una vita di affanni e di rischi, spesso affrontati in luoghi lontani, l'uomo del lago sperava di finire sepolto nel cimitero del paese e, nell'intento congiunto di gratificare i santi protettori e di perpetuare la propria memoria, incaricava gli eredi di far dipingere, nella chiesa locale, le immagini delle devozioni a lui care. . Era una forma umanissima di pietà o, se vogliamo, era l'espressione di un umanesimo rurale, per il quale l'immagine diventava il supporto della memoria, l'eternità affidata ad un messaggio visivo. Non a caso nella maggior parte dei testamenti le prime volontà riguardavano l'abbellimento dei luoghi di culto e le opere di bene. La prima eredità che lasciava Tognio dei Cigueti di Campagnano, per esempio, riguardava le chiese comprese nel fortilizio del Sasso di Musso.

Alla chiesa di San Biagio voleva finanziare la parte superiore di un Crocifisso ed un braccio di analogo simulacro voleva si pagasse, dopo il suo decesso, per la cappella di Sant'Eufemia. Esaurita questa singolare preoccupazione per gli arredi, che egli motivava come impegno penitenziale, passava ai poveri Cristi (pauperibus Christi) di Musso. Ad essi destinava una dose di pane, cereali e vino da distribuirsi il giorno di Natale [16]. Così convinti consuntivi esistenziali meriterebbero di commentare le bonarie figurazioni di maestro Battista da Musso e di compendiare il suo credo artistico, indubbiamente condizionato da committenti che, in quanto esecutori testamentari, miravano al concreto, cioè all'immediatezza dell'immagine e al contenimento della spesa. Chi mai, tra loro, avrebbe finanziato l'originalità? Non certo coloro che affidarono a maestro Battista, nella chiesa di Stazzona, l'esecuzione di tre Madonne in trono i cui resti s'intravvedono sulla parete di destra.

Le parti ancora leggibili palesano una ripetitività insistita perfino nel movimento del Bambino e nella decorazione del bordo superiore. Figure come queste si potrebbero declassare a multipli, se il volto inclinato della Vergine non suggerisse un ricordo leonardesco meritevole di attenzione. Un poco più variate sono le due Madonne con Santi sopravvissute a successive ristrutturazioni nella chiesa di Garzeno. La meglio conservata tiene in grembo il Bambino ed è scortata da un virile San Sebastiano. L'altra è una Madonna allattante tra i Santi Michele e Bernardino. Reca l'indicazione del committente, il cui nome, Michele, giustifica la presenza dell' Arcangelo pesatore delle anime e rimanda al carattere votivo dell'impegno. In entrambe le composizioni di Garzeno, racchiuse da identiche finte cornici, lo sfondo è precluso da un parapetto in mattoni, soluzione che non brilla per originalità, ma che sembra funzionale all'evidenza delle figure care alla devozione. Tanta fedeltà alla destinazione del prodotto configurerebbe, in Battista da Musso, un diligente artigiano del pennello.

Quando però l'obiettivo è meno condizionato, non mancano in lui sorprendenti rimandi ad una cultura figurativa più colta. Così, non lontano da Stazzona e da Garzeno, a Germasino, egli ha lasciato, nell'abside dell'oratorio dei Santi Rocco e Sebastiano, alcuni brani orecchianti la lezione del Bramante. Se, in particolare, si confronta il San Sebastiano che nel presbiterio di Germasino affianca una Madonna con quello incontrato a Garzeno, si scopre nel primo una tensione dinamica frutto di attenzione all'anatomia scomparsa nel secondo. Sorprende che l'iscrizione che si legge nella versione di Germasino ponga questa in anticipo di un decennio sulla seconda. Dal che dovremmo dedurre che le suggestioni bramantesche siano finite assorbite dal conformismo professionale. Proprio questo riflusso artigianale rimanda ad una formazione che non è facile individuare. A quanto sembra, Battista non frequentò a lungo l'ambiente comasco.

Stazzona, chiesa di San Giuliano, Madonna in trono con il bambino

Stazzona, chiesa di San Giuliano,

Madonna in trono con il bambino

Mascetti [17] ne riferisce una sola presenza in città nel 1477, quando rilasciò una delega. Nella circostanza si qualificava come maestro Battista pittore, dunque come professionista in carriera. A quella data non poteva certo fruire di quegli influssi che gli storici dell'arte sogliono ponderare negli artisti lariani, ritenendoli tributari del linguaggio della pittura ferrarese, degli Scotti, del Foppa, Bergognone, Bramante, Leonardo e così via. La produzione certificabile del pittore di Musso data dall'ultimo decennio del Quattrocento, così che del tutto incerte rimangono le sue prove anteriori. In altra sede [18] abbiamo tentato di colmare il vuoto proponendogli l'attribuzione di una Madonna con il Bambino affrescata nella chiesetta di San Vito a Bellagio. Nell'impostazione rigidamente nitida della figura, nel Bambino mestamente inespressivo, nella tappezzeria dello sfondo e nel caratteristico risvolto del manto sopra le spalle avevamo pensato di poter riconoscere l'anticipazione di abitudini proprie del Malacrida. Se la proposta fosse accreditabile, disporremmo di una traccia per capire come un pittore di provincia potesse, cogliendo a suo modo le tendenze del momento, evolvere da nitido sagomatore di madonnine ritratte in primo piano a modellatore di altarini nei quali ancor timide interpretazioni dello spazio riuscivano ad organizzare sacre conversazioni tra spiriti beati. Le beatitudini, per così dire, delle vallate lariane.

 

La maturità ed il crepuscolo lecchese

La maturità di Battista da Musso si rivela nei due affreschi che, firmati e datati, egli lasciò nella chiesa di San Vito di Cremia ed in quella di San Maurizio a Ponte di Valtellina. La Madonna con il Bambino tra i Santi Sebastiano e Rocco che firmò sulla parete presbiteriale di Cremia (1499 die 24 madii BAPTISTA DE MUSSIO PINXIT) è sicuramente "espressione di un felice momento creativo. Un poco sbiadita nel tempo, la composizione trasmette la sensazione di una monumentalità addolcita da una dose di serenità paesana se non da una cordialità domestica. La critica rimanda questo esito a delicatezze formali orecchiate da Leonardo e dal Bergognone, ma forse è solo l'espressione di un sincero interprete della religiosità popolare che, per risultare maggiormente persuasivo, ha affinato il proprio linguaggio senza abbracciare alcuna scuola. Di questa ingenua espressività il finto polittico di Ponte è la conferma. Firmato e datato (1501, die 22 augusti BAPTISTA DE MUSSIO PINXIT) esso propone la Madonna con il Bambino, i Santi Maurizio e Bernardino e, ai lati di una probabile Visitazione, i santi Agostino e Caterina da Siena. Ciascuna figura è alloggiata in una nicchia e si mostra in confidenziale attesa dell'osservatore. In verità i vari personaggi, diligentemente delineati, sembrano un po' stipati in quelle nicchie suggerite da improbabili architetture, ma ne beneficiano l'evidenza e la schiettezza. Nulla sembra distogliere l'attenzione dal colloquio spirituale che propongono.

Alla data della sua esecuzione, questo falso polittico non poteva probabilmente confrontarsi con quelle ancone che scultori di buon talento avrebbero disseminato in Valtellina. Forse i parrocchiani di Ponte si erano rivolti al pittore di Musso conoscendone la reputazione, se non qualche prova già eseguita in valle. Poteva trattarsi dell'affresco con la Madonna con il Bambino ed il martirio del beato Serafino che è stato staccato dalle pareti del Palazzo Paribelli di Albosaggia e che ora è custodito nella sede centrale della Banca Popolare di Sondrio [19]. L'opera consente di conoscere, insieme alla Vergine in preghiera sull'abituale seggio monumentale, la scena animata di un episodio di vita.

E' vero che l'autore la comprime in una sorta di pertugio prospettico, ma è anche l'unico esemplare che di lui ci sia pervenuto di visione istantanea, non filtrata da intenti meditativi. Tra l'altro, non sembrano disprezzabili le forzature prospettiche ed il gioco della luce nell'assemblare tante figure in così angusto spazio. Al confronto, sembra evitare ogni esigenza di immediatezza il grande Compianto di Cristo morto, riconosciuto a Battista da Musso in Santa Maria delle Grazie a Gravedona. L'imponente composizione, probabilmente non posteriore alla vasta decorazione qui eseguita nel 1496 da Bartolomeo de Benzi, impegnò l'esecutore a rendere il fervore devozionale che desideravano i committenti agostiniani. Insieme alla emotività della scena, costruita con efficace tensione drammatica, l'autore ci mise notazioni localistiche, quali il lembo di lago sullo sfondo o la chiesa sul dosso che dovrebbe riprodurre Santa Maria delle Grazie.

Qualche dettaglio di ispirazione nordica è stato giustamente evidenziato dalla critica [20] e non può che confermare la sensazione che Battista molto abbia attinto ai lavori di intaglio, alcuni dei quali pervenuti, da zone transalpine, in Valtellina e Valchiavenna. Singolarmente questo eclettismo viene confermato, nel Compianto di Gravedona, dalla monumentale finta cornice di sapore classico, che con buone probabilità l'autore mutuò dagli scalpellini influenzati dal linguaggio dei Rodari. Nella strana coesistenza di elementi nordici e di apparati classicisti si può misurare quella versatilità che maestro Battista mai cessò di coltivare anche se, come nel caso del Compianto in esame, la resa formale risulta, alla fine, un po' stucchevole, più consona al libro di preghiera che all'annuncio di una pagina delle Scritture. Resta comunque uno dei migliori lavori e conferma la predilezione dell'autore per una cultura di provincia non necessariamente provinciale. I due lavori rimasti in Valtellina indicano anche una certa sua attenzione per quest'area, forse sulle orme del fratello. Sappiamo che di fratelli ne ebbe due, maestro le no, documentato [21] dal 1472, e frate Gaspare, entrato nell'ordine dei Serviti. Maestro Leno lo affiancò nelle frequenti trattative con il cugino Raffaele, tant'è che nel 1483 si faceva carico dei suoi crediti [22].

Nello stesso anno i due partecipavano alle assemblee comunali di Musso. I verbali riconoscono Battista come pincto [23] mentre a Leno non attribuiscono altra qualifica se non quella generica di maestro. Tra i due non è dunque proponibile alcun sodalizio artistico, ma solo comuni interessi di famiglia. Nel 1485 Leno si trasferì a Traona [24] e probabilmente vi rimase. Infatti quando nel 1496 i tre fratelli si trovarono a formalizzare una procura, frate Gaspare e maestro Battista dichiararono di avere la delega del fratello lontano [25]. A Musso Battista tenne in vita una bottega, probabilmente nota non solo per "apprezzamento locale che si rispecchia nelle opere lasciate nel circondario, ma anche per il coinvolgimento dei figli. Quanti fossero è difficile dire. Se non equivochiamo con altri omonimi personaggi del paese, possiamo riferire che nel 1506 viveva a Musso uno Stefano figlio di maestro Battista [26] e che l'anno successivo cominciava a manifestarsi un Gaudenzio, pure figlio del vivente maestro Battista Malacrida [27]. Il terzo figlio, Giovanni, è sicuramente identificabile, in quanto accompagnò gli ultimi anni del padre. Dei primi due, le orme di Stefano si vanificavano dopo le prime segnalazioni, mentre Gaudenzio ricompariva, con la qualifica di maestro, a Bellano nel 1509. Risultava qui sposato e si dichiarava figlio diviso di padre vivente, dettaglio quest'ultimo che conforta l'identificazione, non potendosi attribuire pari longevità agli altri maestri Battista in circolazione. Sulla base di queste considerazioni, in queste pagine [28] abbiamo candidato maestro Gaudenzio come possibile autore dell'affresco con San Rocco e Santa Marta che, nella chiesa bellanese di Santa Marta, sta sulla parete del vano che ospita il gruppo ligneo del Compianto. Benché rovinato, questo affresco suggerisce qualche rimando alla scuola di Battista da Musso. Rispetto alla produzione fin qui esaminata, le figure sono più libere e mosse, ma l'incisiva semplificazione dei loro tratti e quel parapetto dipinto a precludere lo sfondo sono tratti caratteristici della nostra bottega.

Tra l'altro nella prepositurale di Bellano c'è un simpatico residuato di Paggio che, almeno nella posa, echeggia la candida staticità dei santini di maestro Battista. L'ipotesi che discepoli di Battista da Musso siano approdati sulle sponde orientali del Lario merita attenzione. Il Rovetta aveva chiamato in causa il nostro maestro per la parete affrescata in San Giorgio di Dorio [29], proposta contraddetta da Sandrina Bandiera [30] sulla base de ... gli schemi ripetitivi e la mancanza di una ricerca di modellato anatomico ... Per questo la studiosa propone, per i dipinti di Dorio, esecutori di formazione bresciana e linguaggio ritardatario. A suo tempo l'enigma dell'autore era stato risolto da Oleg Zastrow con l'individuazione de Il nome di un artista sconosciuto in un inedito ciclo di affreschi del Quattrocento in Lombardia. [31] Tale scoperta si basava sulla lettura di una duplice scritta, sopra e sotto la composizione, riguardante un certo Baldassarre de la Cassina. Purtroppo questa iscrizione non nomina l'autore, ma uno dei committenti del ciclo, Baldassarre de la Casatia. Questo personaggio, assai attivo nelle vicende di Dorio, era già scomparso nel 1497 quando suo figlio Antonio partecipava all'assemblea che nominò prete Bartolomeo de Gratirolis di Margno a nuovo rettore della chiesa di San Giorgio [32]. Il riferimento cronologico è in linea con la datazione proposta dalla Bandera e riduce i margini di probabilità di un intervento della bottega di Musso. Quello del maestro viene scartato dalla Bandera sulla base dei valori formali decisamente modesti rispetto a quelli riconoscibili a Battista, che la studiosa considera un ... artista caratterizzato da un chiaro rinnovamento rinascimentale ..., dunque ben più aggiornato di quanto non appaia il frescante di Dorio [33].

Gravedona, chiesa di S. Maria delle Grazie, Compianto di Cristo

Gravedona, chiesa di S. Maria delle Grazie, Compianto di Cristo

E' comunque provato che i nostri Malacrida trasmigrarono sul ramo orientale del Lario. Come capitò ad altri artisti della zona, maestro Battista si trovò spinto, forse dalla rarefazione delle occasioni di lavoro che accompagnò la decadenza del ducato di Milano, a migrare verso altri lidi. Capitò ad altri pittori di Musso di trovar lavoro in Brianza ed è possibile che al paese sia arrivata l'eco della loro soddisfazione. Di fatto abbiamo trovato che negli ultimi mesi del 1513 maestro Battista era a Lecco e precisamente nel borgo. Nella circostanza egli partecipava come testimone alla trattativa per un terreno tra due proprietari di Ballabio [34]. L'operazione avveniva in casa di messer Antonio Airoldi, nei pressi della piazza del mercato. Parleremmo di una presenza occasionale se, nel gennaio dell'anno successivo, non si trovasse nuovamente impegnato maestro Battista, indicato come pittore e residente nel borgo di Lecco. Con lui era il figlio Giovanni. I due ricevevano le dovute garanzie da parte di Bartolomeo de Lacrota, al quale avevano venduto oro e argento lavorati per l'ammontare di 60 lire imperiali [35].

Non era infrequente che dei pittori, i quali abitualmente eseguivano anche dorature o decorazioni di mobili e suppellettili, trattassero oro ed argento preparati per l'uso. E' però dubbio che a questo si limitasse l'attività lecchese dei due immigrati dall' Alto Lario. Le quotazioni dell'ultrasettantenne Battista non potevano essere sconosciute da queste parti, peraltro non povere di iniziative. In San Nicolò aveva già dipinto Marco d'Oggiono e nello stesso borgo si faceva spesso vedere un compaesano dei nostri, Tommaso Malacrida, un altro pittore che si era trapiantato ad Oggiono. A Malgrate, come si è scritto su queste pagine, era stato chiamato dai Maggi il pittore Antonio dei Salici di Campo. Saremmo tentati di includere tra le realizzazioni artistiche del momento anche il ciclo affrescato in San Giovanni di Chiuso, per il quale, dopo l'infatuazione per Giovan Pietro da Cemmo, si sono proposti autori di attendibilità soggettiva.

Tanto poco si sa di questo lavoro, da autorizzare qualsiasi opinione. Sarebbe invece auspicabile che le proposte tenessero in conto qualche dato oggettivo, a cominciare dalla definizione cronologica dell'intervento e del panorama delle presenze artistiche certificate. Tra queste non è certo proponibile quella di Battista da Musso, ma non si dovrebbe trascurare quella del figlio Giovanni. Nel 1517 egli era ancora presente nel borgo, dove evidentemente aveva preso casa. Che vi tenesse bottega è suggerito dalla qualifica di maestro che lo distingueva, maestro Giovanni dei Malacrida del fu maestro Battista [36]. Dobbiamo pensare che le spoglie del padre riposassero a Lecco.

 

 

Note

 

(1) - Marco Rossi - Alessandro Rovetta, Pittura in Alto Lario tra Quattro e Cinquecento, Milano 1988.

(2) - Daniele Pescarmona. Como. Canton Ticino e Sondrio, in "La pittura in Lombardia. Il Quattrocento". Milano 1993. 87- 112. Mauro Natale, La pittura del Rinascimento a Como e nella Svizzera italiana. in "Pittura a Como e nel Canton Ticino", Milano,1994, 27-38. Sandrina Bandera ed Eugenia Bianchi, schede in "Pittura in Alto Lario e in Valtellina dall'alto Medioevo al Settecento", Milano 1995, 231-2.

(3) - Minuta notarile Como, AS, Notai 99, atto del 10.9.1474

(4) - Minuta notarile Como, AS, Notai 43, atto del 24.9.1447

(5) - Manoscritto Milano, AS, Fondo Famiglie, 103

(6) - Minuta notarile Como. AS. Notai 100. atto del 4.11.1510

(7) - Costui nel 1506 vendeva terreni che possedeva in paese (minuta notarile Como. AS, Notai 95, atto del 3.11.1506) e nuovamente si segnalava a Dongo nel 1508 (minuta notarile Como, AS, Notai 96, atto del 17 .11.1508)

(8) - Minuta notarile Milano, AS, Notai appendice. 33, atto del 26.4.1490

(9) - Minuta notarile Como. AS, Notai 100. atto del 13.1.1485

(10) - Manoscritto Milano, AS, Fondo famiglie. 103, documento del 1478

(11) - Minuta notarile Como, AS, Notai 101, atto del 8.8.1484

(12) - Minuta notarile Como. AS. Notai 99. atto del 10.7.1493

(13) - Minute notarili Como, AS, Notai 99, atto del 6.2.1482, atto del 14.9.1484, atto del 14.10.1484, atto del 18.3.1492

(14) - Minuta notarile Como, AS, Notai 101, atto del 5.8.1485

(15) - Minuta notarile Como, AS, Notai 101, atto del 28.10.1494

(16) - Minuta notarile Como, AS, Notai 101, atto del 11.6.1507

(17) - Mario Mascetti, Pittori lariani noti ed ignoti in atti notarili tra Quattro e Cinquecento, in "Communitas" 93, 78

(18) - Virginio Longoni, Immagini della devozione nel Triangolo Lariano. Canzo 2000, 67

(19) - .La pubblicazione dell'opera è stata possibile per l'interessamento, che ringraziamo, del direttore di filiale Gianpaolo Milani

(20) - Alessandro Rovetta, scheda in .. Pittura in alto Lario... 1988, 232

(21) - Minuta notarile Como, AS, Notai 99, atto del 15.2.1472

(22) - Minuta notarile Como, AS, Notai 99, atto del 24.1.1483

(23) - Minuta notarile Como, AS, Notai 99, atto del 2.5.1483

(24) - Minuta notarile Como, AS, Notai 99, atto del 5.2.1484

(25) - Minuta notarile Como, AS, Notai 100, atto del 25.1.1496

(26) - Minuta notarile Como, AS, Notai 100, atto del 29.10.1506

(27) - Minuta notarile Como, AS, Notai 100, atto del 12.5.1507

(28) - Virginio Longoni, L'oro di Bellano, in .. Lecco Economia, 3, 2002,1

(29) - Alessandro Rovetta, scheda in .. Pittura in Alto Lario ... cit. 1988

(30) - Sandrina Bandera, scheda in .. Pittura in Alto Lario ... cit. 1995, 227-8

(31) - Cfr. in .. Archivi di Lecco, 1982, 4, 975-96

(32) - Minuta notarile Milano, AS, AN, Notai 5621, atto del 19.7.1497

(33) - Degli affreschi di Dorio ci siamo interessati anche in relazione ad una curiosità locale. Nel 1495 a Corenno, cioè nelle vicinanze di Dorio, in casa di maestro Giambattista de Campazis, venne appianata una lite che opponeva, per l'utilizzo di un torchio conteso, due famiglie di Musso. La prima era quella di Giacomo e Battista Ceschi, l'altra era quella di maestro Battista dei Malacrida di Musso (minuta notarile Milano, AS, AN, notai 3357, atto del 10.9.1495). Non si trattava però del Battista pittore, ma di uno degli altri due, quello che discendeva da ser lane o Giovanni

(34) - Minuta notarile Milano, AS, AN, Notai 5684, atto del 18.11.1513

(35) - Minuta notarile Milano, AS, AN, Notai 2340, atto del 9.1.1514

(36) - Minuta notarile Milano, AS, AN, Notai 5685, atto del 13.6.1517