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PITTORI: Maestro lombardo

Sant'Agostino e il bambino sulla spiaggia

Sant'Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

MAESTRO LOMBARDO

1497

Milano, chiesa di Santa Maria delle Grazie

 

Sant'Agostino e il bambino sulla spiaggia

 

 

 

Il dipinto a graffito del diametro di 2 metri si trova nei pennacchi della tribuna della chiesa milanese di santa Maria delle Grazie, che appartenne all'Ordine domenicano. La tribuna fu realizzata nel corso delle ristrutturazioni che coinvolsero il contiguo monastero all'epoca di Ludovico il Moro. I lavori iniziarono nel 1492 e il programma decorativo fu probabilmente suggerito dal priore del convento Vincenzo Bandello (1495-1501). Bandello successivamente divenne Generale dell'Ordine domenicano e scrisse il libro Opusculum de beatitudine, cui sembra ispirarsi il piano iconografico.

La decorazione in effetti mostra negli arconi sette ruote, il cui simbolismo solare introduce alla calotta espressione dello spazio del cielo. Nella calotta sono presenti nei tondi in graffito i beati domenicani sormontati da oculi luminosi, angeli con stemmi e simboli della Passione. In alto un oculo luminoso centrale, allusivo della persona di Cristo, conclude la scenografia con una corona di angeli.

Tutta questa struttura è sorretta dai pennacchi, che sono decorati con tondi sorretti da angeli, dove trovano rappresentazione i quattro Dottori della Chiesa.

Ambrogio è caratterizzato dal malleus hereticorum per la sua azione forte contro gli eretici ariani. Girolamo compare come un penitente nel deserto e Gregorio è raffigurato di fronte ad un idolo pagano. Agostino è caratterizzato dalla sua ricerca del Mistero della Trinità. Indossa i suoi paramenti episcopali con la mitra in testa e discute con un bambino in riva la mare: la scena ricorda la classica leggenda che vede Agostino protagonista nel tentativo di svelare il mistero della Trinità.

Questa antica leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".

La leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).

Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.

L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del mistero della Trinità, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.

Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa. Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.

"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso. "Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.

Le figure dei Dottori della Chiesa furono scoperte nel 1935 sotto l'intonaco che le ricopriva e rivelano la presenza di artisti che hanno assimilato lo stile bramantesco.