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PITTORI: Berrettini Pietro

SSanta Monica e sant'Agostino che pensa alla Trinità

Santa Monica e sant'Agostino che pensa alla Trinità

 

 

BERRETTINI PIETRO

1650-1669

Roma, chiesa di S. Rita (ex chiesa di S. Maria delle Vergini)

 

Santa Monica e sant'Agostino che pensa alla Trinità

 

 

 

L'opera è stata eseguita da Pietro Berrettini, noto anche con lo pseudonimo di Pietro da Cortona, e si trova conservata a Roma nella chiesa di S. Rita (ex chiesa di S. Maria delle Vergini).

Questa chiesa fu costruita nel 1615 col titolo di santa Maria delle Vergini sull'area di una preesistente chiesa dallo stesso nome affidata alle cure delle monache Agostiniane del vicino collegio della Madonna del Rifugio. Vent'anni dopo fu ricostruita (1634-1636) perché troppo piccola per le esigenze del collegio e nel 1660 venne finalmente ultimato il convento delle monache. La chiesa, con il monastero, rimase alle Agostiniane fino al 1870, quando gli edifici vennero confiscati dallo Stato italiano.

Nel 1904, quando la chiesa di santa Rita da Cascia in Campitelli, alle pendici del Campidoglio, fu smontata per la costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II, il tempio di santa Maria delle Vergini venne riaperto al pubblico per ospitare la Confraternita della Santa Spina della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo e di santa Rita da Cascia. Così la chiesa fu riconsacrato e dedicato a santa Rita da Cascia.

Anche in questo caso nell'opera pittorica di Berrettini abbiamo una significativa presenza delle architetture, dipinte ed elaborate in cornici di stucco, illusorie o reali, che illuminano il suo interesse per l'architettura, campo nel quale svolse una significativa attività, nonostante i pochi progetti realizzati.

Il pittore ha raffigurato Agostino seduto a un tavole intento a scrivere mentre cerca ispirazione rivolgendo lo sguardo verso la Trinità. Due angioletti aprono una grande tenda e squarciano alla vista il cielo, dove, su nubi Gesù e il Padre stanno guardano Agostino. Fra le loro teste si intravede la colomba dello Spirito Santo che emana raggi luminosi. Agostino è vestito da vescovo, indossa un ricco piviale, mentre la mitra e il bastone pastorale sono stati deposti sul tavolo. In testa un nimbo ne ricorda la santità, così come per Monica, che, in piedi, guarda compiaciuta l'opera del figlio. La santa è particolarmente attenta ad Agostino che guarda con infinita tenerezza. Indossa l'abito delle monache agostiniane e tiene la mano sinistra sul petto in segno di Grazia, mentre con la destra regge un libro chiuso. Il volto di Agostino è ancora giovanile e con una ricca e folta barba che gli copre il mento.

Ai suoi piedi un angioletto siede su alcuni libri chiusi per terra e rivolge al santo un cuore fiammante, tipico simbolo iconografico del santo vescovo di Ippona soprattutto a partire dal Seicento, che esprime simbolicamente il suo grande amore per Dio. Lo sfondo che si può osservare dall'ampia apertura della camera dove si trovano Agostino e Monica apre ad una campagna ricca di alberi come quella che poteva essere la campagna romana seicentesca.

Il santo è stato raffigurato con un aspetto giovanile, una folta barba scura sul mento, con il capo leggermente reclinato per poter vedere la Trinità che occupa la parte superiore della scena e che lo sta ispirando nello scritto che sta realizzando.

Agostino è stato il primo teologo latino ad avere affrontato in maniera rigorosa e sistematica il tema della Trinità, di natura squisitamente teologica e pertanto particolarmente astratto. Le sue radici sono nello stesso Nuovo Testamento dove, con Pietro e soprattutto Paolo, si fa del Cristo una persona divino-umana, e dove si fa del dio ebraico l'unico padre del Cristo, per cui questi gli diventa figlio unigenito. Nello stesso vangelo di Giovanni, si parla dello Spirito come di un "consolatore" mandato agli uomini in attesa della fine dei tempi.

Il De Trinitate è un testo fondamentale di Agostino che fu iniziato nel 399 e pubblicato nel 419. Agostino non era il primo in Occidente a scrivere su questo tema: già l'avevano fatto, seppure in modo frammentario, Tertulliano, Ilario e Ambrogio di Milano che hanno sicuramente influenzato la sua teologia. Ma è soprattutto Plotino, col suo neoplatonismo, a costituire un punto di riferimento privilegiato. Agostino lesse anche le opere trinitarie di Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno, Epifanio, Didimo il Cieco, ma non sembra che questi padri del mondo greco o orientale abbiano influito molto sul suo pensiero.

Il De Trinitate prende le mosse polemizzando con gli ariani, gli eunomiani e i sabelliani. Lo scopo infatti è quello di dimostrare che la Trinità è il solo unico vero Dio in tre persone. Il procedere speculativo di Agostino è di tipo astratto-concreto-astratto. Egli cioè parte dall'unità o unicità di Dio, considerata come un'idea ormai consolidata dopo che la polemica contro i politeisti è finita da un pezzo, per porre solo successivamente la pluralità delle tre persone, concludendo infine con le loro opposizioni di relazione. L'unità della divinità in tre ipostasi è garantita dall'unità della sostanza. La diversità delle persone, cioè della loro identità, è per così dire assorbita dalla loro unità.

La figura dello Spirito, a differenza di tutta la teologia ortodossa, non viene colta nel suo spessore ontologico, di diversità rispetto alla figura del figlio, ma solo nella sua funzione fenomenica, strumentale. Lo Spirito è in funzione del principio di autorità, che viene equamente condiviso dal padre e dal figlio. Agostino infatti chiama "amans" il padre, "amatus" il figlio e "amor" lo spirito, cioè dà a quest'ultimo un appellativo astratto, e la sostanza dello Spirito non viene concepita come in sé, ma come dal tutto derivata. Lo spirito dipende completamente e dal padre e dal figlio. La teologia trinitaria agostiniana  influenzerà il modo occidentale di pensare sulla processione dello Spirito, portandolo a rompere definitivamente con la teologia bizantina. L'occidente s'impadronirà del filioquismo in modo spontaneo, senza reagire minimamente a questa che gli ortodossi hanno sempre considerato un'eresia.

 

 

Berrettini Pietro

Questo artista è noto anche come Pietro da Cortona, poiché nacque in questa città nel 1596. La sua formazione artistica inizia con lo zio Filippo Berrettini, e prosegue a Firenze sotto la direzione di Andrea Commodi. A soli 15 anni si trasferisce a Roma presso lo studio del pittore fiorentino Baccio Ciarpi, dove ebbe modo di studiare i lavori di Raffaello e Michelangelo nonché le sculture classiche e i bassorilievi della colonna  traiana. Il suo stile fu apprezzato dal cardinale Sacchetti, che lo prese sotto la sua protezione.

Poco dopo, papa Urbano VIII gli commissionò la decorazione di una cappella della chiesa di santa Bibiana. L'ottima riuscita dell'opera gli procurò la commissione del suo massimo capolavoro: la decorazione del soffitto del salone grande del Palazzo Barberini, che raffigurava una rappresentazione allegorica della storia della famiglia e dove rivelò una piena e nuova libertà espressiva. Dopo un viaggio in Lombardia ed un soggiorno a Venezia, tornò a Firenze, dove il Granduca Ferdinando II gli propose la decorazione di Palazzo Pitti. Per incomprensioni abbandonò il lavoro che fu completato dal suo discepolo Ciro Ferri. Papa Alessandro II lo nominò cavaliere dell'ordine del dente cilindrico dorato. I suoi allievi furono Francesco Romanelli, Ferri, Testa, Giordano e Borgognone. Morì a Roma nel 1669 e fu sepolto nella chiesa di san Martino, di cui era stato architetto ed alla quale lasciò ingenti somme in eredità.

Assieme a Bernini e Borromini fu tra i massimi protagonisti del barocco a Roma. Nella nuova chiesa dei SS. Luca e Martina (1635-1647) Berrettini offrì una delle prime soluzioni convesse osservabili nella Roma del Seicento in una facciata di chiesa, mentre nel rifacimento di S. Maria della Pace (1656-1659) costruì uno dei più suggestivi esempi di teatralità dell'architettura barocca.