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PITTORI: Ferdinando Galli detto il Bibiena

Sant'Agostino in gloria del Maestro Ferdinando Galli detto il Bibiena

Sant'Agostino in gloria

 

 

FERDINANDO GALLI  detto il BIBIENA

1685

Fano, chiesa di sant'Agostino

 

Sant'Agostino in gloria

 

 

 

 

Ciò che maggiormente colpiva chi entrava nella chiesa di sant'Agostino a Fano era la meravigliosa e originalissima prospettiva architettonica di Ferdinando Galli da Bibiena, dipinta nel soffitto, che copriva le superbe e antiche capriate e che rappresentava un bel sant'Agostino in gloria. Purtroppo oggi la grande volta a padiglione innalzata nel 1685 con gli affreschi del riquadro centrale del Bibiena sono andati perduti. Restano solo le fini decorazioni a stucco lungo il perimetro delle pareti. La chiesa di sant'Agostino, in origine dedicata a S. Lucia, fu acquisita dai monaci agostiniani nel 1256 che vi si insediarono provenendo da S. Pietro in Padule. Vicino alla chiesa costruirono un convento e dal 1563 fu avviato un progetto di ampliamento dell'edificio con la trasformazione dell'unica navata interna su disegno del fanese Ludovico Giorgi.

 

La scena rappresenta un riconoscimento alla grandezza di Agostino e della sua vita, che si ispira al passo di Timoteo: "Non coronabitur nisi qui legitime certaverit." Tre corone sono solitamente utilizzate per esprimere la gloria del santo, il cui significato è da riconoscere in tre simboli: la verginità, la scienza e il martirio.

L'episodio riprende passi della Epistola XVIII ad Cyrillum Jerosolymitanum episcopum dello Pseudo Agostino.

 

Ferdinando Maria Galli detto da Bibbiena

Ferdinando (Bologna 1657-1743) fu architetto, scenografo e trattatista italiano. Formatosi a Bologna, studiando prima pittura poi prospettiva, eseguì, tra il 1674-1675, sotto la guida di Giacomo Torelli, la scenografia per il teatro della Fortuna di Fano. Attivo anche come decoratore, con il fratello Francesco lavora a Mirandola, Modena e Novellara, eseguendo una serie di cicli ad affreschi tutti distrutti. Tra il 1678 e il 1684, realizza le decorazioni del salone da ballo di Palazzo Fantuzzi a Bologna, con sulle pareti un loggiato, aperto verso un giardino, visto, su tre lati in prospettiva normale, mentre nel quarto improvvisamente scivola in una direzione angolata. Per ventotto anni, dal 1685 fino al 1708, fu al servizio di Ranuccio II e Francesco Farnese a Parma, dal 1687 come pittore e dal 1697 come «primo architetto ducale». Tra il 1685-87 eseguì gli affreschi e forse anche l'architettura dell'Oratorio della Beata Vergine del Serraglio di San Secondo e tra il 1687-90 la decorazione dell'Oratorio della Morte a Piacenza. Tra il 1687 e il 1700 costruì l'altare Buratti per Santa Maria degli Alamanni a Bologna e il teatro per la rocca di Soragna. Nel 1688 lavorò al teatro ducale parmense e a quello della Pilotta. Nel 1690 ristrutturò il collegio dei nobili a Parma e progettò la facciata di palazzo Rangoni Farnese. Tra il 1693-97 lavorò nel Palazzo Costa a Piacenza. Dal 1699 al 1708 diresse i lavori di ammodernamento della reggia e del giardino di Colorno.

Nel 1708 si recò a Barcellona per sovrintendere agli spettacoli per le nozze di Carlo III d'Austria, il futuro imperatore Carlo VI, rientrando a Parma alla fine del 1711: ancora una volta fece riferimento all'utilizzo delle quinte in scala ridotta per permette di crearere l'illusione della prospettiva. L'anno successivo diede i disegni per la doppia volta del coro della chiesa di Sant'Antonio Abate, realizzando la volta inferiore forata da cui si può scorgere la decorazione della volta superiore. Dal 1712 al 1717 fu a Vienna, dapprima affiancando il fratello Francesco, che tornerà in patria nel 1714. Qui, insieme al figlio Giuseppe, realizzò per la corte imperiale memorabili scenografie come quella per la festa teatrale di Johann Joseph Fux su libretto di Pietro Pariati, Angelica vincitrice di Alcina, rappresentata all'aperto nel settembre del 1716 sulla peschiera della Favorita. Nel 1717, a causa di una malattia agli occhi, rientrò a Bologna, dove realizzò i progetti per la specola dell'Istituto delle Scienze, nel 1720 quelli per lo scalone di palazzo Malvezzi, per la sala delle feste in palazzo Ranuzzi e per l'appartamento del gonfaloniere nel Palazzo pubblico. Nel 1726 fornì i disegni per il campanile di Santa Cristina della Fondazza. Dal 1719 eseguì, assieme al figlio Antonio, i lavori di restauro del teatro della Fortuna di Fano e tra il 1719-1722 restauri alla chiesa di San Giovanni Evangelista a Rimini. Lavorò, sempre in quest'ultima città, tra il 1723-1724 alla chiesa dei Teatini. Nel 1727 progettò l'altare della chiesa del Rosario a Cento, del 1734, sono le coperture della chiesa parrocchiale di Villa Pasquali e in una cappella di Santa Maria Assunta a Sabbioneta, consistenti in grate curvilinee attraverso le quali si scopre il cielo dipinto. Nel 1739 realizzò la villa Paveri Fontana a Collecchio. Alla sua attività sono anche sa riferire sia l'ammodernamento, in stile barocco, del castello di Lisignano che, secondo alcune fonti, la progettazione della parrocchiale di Cadeo. È autore di tre trattati di architettura e prospettiva tra cui L'architettura civile preparata su la geometria e ridotta alle prospettive, del 1711, dove è teorizzata la veduta per angolo, espediente usato per la prima volta a Bologna da Marcantonio Chiarini nel 1694, che permette una visone della scena teatrale diversa da quella dell'epoca barocca in cui la scena del fondale era costruita secondo un punto di fuga su un asse centrale, che se permetteva la continuità spaziale tra scena finta e sala reale, rendeva la veduta ormai insoddisfacente per le valutazioni estetiche della prima metà del Settecento. Il sistema rendeva possibile creare un fondale teatrale, costruito attraverso un serie di direttrici prospettiche, indipendenti da quelle della sala, e inclinate rispetto ad esso, secondo un angolo variabile definito da linee diagonali, con al centro la visione per angolo di un edificio, da cui partono gli assi prospettici, verso due fuochi laterali ed esterni alla scena, in questo modo si riusciva ad avere sia una migliore visibilità da ogni punto della sala che una maggiore possibilità di elaborazione fantastica data dalla creazione di uno spazio infinito, al di là del proscenio, divenuto una semplice premessa, e non più parte integrante della scena teatrale.