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PITTORI: Ulisse Ciocchi

Agostino e il Cristo pellegrino di Ulisse Ciocchi in Santo Spirito a Firenze

Agostino e il Cristo pellegrino

 

 

CIOCCHI ULISSE

1609-1614

Chiesa di Santo Spirito a Firenze

 

Agostino e il Cristo pellegrino

 

 

 

 

Nel vestibolo della sagrestia della chiesa di Chiesa di Santo Spirito a Firenze, sopra l'architrave della porta di ingresso è posizionata una grande lunetta in legno, la cui architettura richiama alla memoria la forma più complessa dei portali fiorentini del tardo Quattrocento. La sua realizzazione risale al tardo secolo XV o agli inizi del XVI: è dentro questa cornice che è inserito un dipinto raffigurante un episodio miracoloso della vita di Agostino. Il Santo è inginocchiato in atto di baciare la gamba destra di un pellegrino seduto, che, nella iconografica agostiniana va identificato in Gesù Cristo.

L'iscrizione lungo la cornice riporta: "MAGNE PR'AUGU HODIE MERUISTI VIDERE FILIU DEI IN CARNE TIBI COMÆNDO ECCLESIAM MEAM" che esprime bene il soggetto del dipinto. La scheda d'inventario, redatta nel 1914, attribuisce il dipinto a Ulisse detto il Gobbo o Ciocchi, pittore toscano nato a Monte San Savino nel 1570 e morto ad Arezzo nel 1631. L'attribuzione è confermata in varie guide di Firenze dell'Ottocento. Recenti restauri e una attenta lettura dell'opera indicano che essa va aggiunta al limitato corpus delle opere di Ciocchi.

La forma delle dita della mano del Cristo pellegrino richiama quelle delle figure della Lapidazione di Stefano dell'omonima chiesa di Chiusi. Anche il rovesciarsi del panneggio e la muscolatura della gambe del Cristo ricordano gli stessi elementi formali presenti in una tela di Ulisse Ciocchi (firmata nel 1614), che raffigura un Cristo benedicente tra Santi (di proprietà della Compagnia della Misericordia di Montelupo).

 

Questa leggenda mette in luce la carità di Agostino e divenne molto cara agli Eremitani ed ai Canonici. Secondo M. Aurenhammer, che lo affermò nel suo Lexikon der christlichen Ikonographie (Vienna, 1953), la leggenda sarebbe stata elaborata in Spagna, dove in effetti appare per la prima volta. Da lì si diffuse nelle Fiandre.

Probabilmente fu estrapolata da qualche frase di Giordano di Sassonia, che nel suo Liber vitasfratrum scrisse: "Unde in Vitaspatrum legitur, quod sanctus Apollonius fratribus suis praecipiebat attentius, ut advenientes fratres quasi Domini susciperent adventum: "Nam et adorari adventantes fratres propterea", inquit, "traditio habet ut certum sit in adventu eorum adventum Domini nostri iesu Christi haberi, qui dicit: Hospes fui et susceptistis me". Et hoc sumpta est illa laudabilis observantia Ordinis, ut fratres hospites recipiantur cum genuflexione et manuum deosculatione."

N. CRUSENIUS nel suo Monasticon Augustinianum, I, 7 pubblicato a Vallisoleti nel 1623 a sua volta scrive: "Ad interiora deserti secedens, Christum hospitio suscipit, pedes lavat et audit: 'Augustine, Filium Dei hodie in carne videre meruisti; tibi commendo Ecclesiam meam.' S. Prosper et alii ", dove questi alii sarebbero Ferdinando vescovo di Tarragona e Jean Maburn canonico regolare.

Il primo a produrre questo tema iconografico fu Huguet, ma sarà Bolswert con le sue incisioni a diffonderlo ampiamente. La valenza di questo soggetto è teologicamente importante sia perchè abbondano i testi agostiniani che sottolineano il valore dell'ospitalità al pellegrino, e perchè Agostino stesso diede molta importanza all'ospitalità nei suoi monasteri. Già nelle Costituzioni Agostiniane del 1290 si trova il passo che stabilisce per i pellegrini la possibilità di lavarsi i piedi nel monastero. Nel 1686 si ribadisce che bisogna lavare i piedi dei pellegrini come se fossero la persona di Cristo.

Il tema di Agostino che lava i piedi al Cristo ha un grande valore anche teologico, poiché secondo la tradizione degli agostiniani eremitani, Agostino quando era monaco a Tagaste si sarebbe ritirato in un eremo con finalità di pura contemplazione. L'apparizione di Cristo in forma di pellegrino, gli avrebbe imposto di ritornare al mondo per testimoniare con la parola e le opere la vita cristiana.

Spesso la scena è accompagnata dal testo "O grande padre Agostino, ti affido la mia Chiesa", tratto da un apocrifo ambrosiano. E' un chiaro segno per giustificare la vita mista fra contemplazione e azione propria degli eremitani, con l'invito a seguire l'esempio del santo fondatore.