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PITTORI: Maestro di Tarquinia

Agostino e il Bambino sulla spiaggia

Agostino e il Bambino sulla spiaggia

 

 

MAESTRO DI TARQUINIA

1600-1650

Tarquinia, chiostro agostiniano di S. Marco

 

Agostino e il Bambino sulla spiaggia

 

 

 

La memoria di "S. Agostino alla Fontanella" è riemerso qualche anno fa nell'atrio del chiostro pentagonale di via Umberto I in Tarquinia grazie alla scoperta dell'affresco del miracolo dell'incontro di Agostino con un bambino in riva al mare. La scena dipinge l'episodio ad imitazione della predella di Botticelli. Agostino in piedi osserva un fanciullo inginocchiato che sta giocando con l'acqua del mare. Il santo indossa la tunica nera dei monaci agostiniani. Sullo sfondo si nota uno specchio d'acqua che si allarga fino all'orizzonte.

Vari storici, fin dall'epoca medioevale, hanno sostenuto che Agostino, dopo aver ricevuto il battesimo in Milano dal vescovo Ambrogio nella notte di Pasqua dell'anno 387 e prima di imbarcarsi per l'africa nel 388, abbia voluto visitare i monasteri che erano sorti in Toscana per osservarne la vita cenobitica. Tra questi vengono menzionati frequentemente il monastero di Lupocavo sul monte Pisano e quello di Centumcellae.

Accanto a questa tradizione si diffuse una leggenda popolare, che viene riportata negli scritti di molteplici autori, fra cui sant'Alberto da Siena (+1181), Alberto di Padova (1269-1323), Pietro de' Natali (1330-1406 c.), Vincent Ferrer (1350-1419), Giacomo Gherardi detto il Volterrano (1434-1516), Martin Antonio del Rio (1551-1608). Secondo questa leggenda Agostino, mentre era ospite nell'eremo della SS. Trinità de Centumcellis presso Allumiere, sarebbe stato solito fare lunghe passeggiate per ristorare il corpo e la mente, raggiungendo talvolta il mare. Nel corso di una di queste peregrinazioni si sarebbe verificata la famosa apparizione, nota alla letteratura e all'arte come l'incontro del santo con il Celeste Fanciullo. Ad Agostino, che meditava sul dogma della trinità lungo la spiaggia vicina al porto di Giano (poi detto di Bertaldo), sarebbe apparso un fanciullo che con il cavo della mano attingeva l'acqua del mare e la versava in una piccola fossa scavata nella sabbia. Incuriosito, Agostino avrebbe chiesto al ragazzo il motivo di tale azione. Il fanciullo avrebbe risposto che voleva versare tutto il mare in quella piccola fossa. Alquanto meravigliato da una simile ingenua risposta, Agostino avrebbe fatto notare al bambino l'umana impossibilità dell'impresa. Ma, senza scomporsi, il fanciullo gli avrebbe lanciato questo avvertimento: «È più facile che io riversi tutta l'acqua del mare in questa piccola fossa, che tu riesca a comprendere l'imperscrutabile mistero della Santissima Trinità con la tua piccola mente!».

Ciò detto, il bambino sarebbe sparito. La più antica descrizione dell'incontro di Agostino nel porto di Giano risale al XII secolo, quando Alberto, il discepolo di Guglielmo d'Aquitania, scrisse una Vita di Agostino che ci è pervenuta nella versione di un manoscritto cinquecentesco (Ms. KVII 15, datato 1582, Biblioteca comunale di Siena, in R. Ferretti, L'immaginario collettivo sui monti di Castiglione, Castiglion della Pescaia 1989).

In questa prima descrizione dell'incontro non si fa cenno alla sorgente di acqua dolce che sarebbe scaturita nella buca scavata sulla spiaggia. Una ulteriore versione fu trascritta da M. Polidori (Discorsi, Annali e Privilegi di Corneto, a cura di G. Insolera, Tarquinia 2007, pp. 126 e 127) da un antico breviario conservato nella biblioteca del convento cornetano di san Marco: "Tunc vero non minus cognita probitate, et ab eo probata hac simplicitate Regularium [...] totam patriam Tuscorum peragando, tandem Cornetum pervenit, eoque in loco opulentissime sito plurimos dies commoratus, sitibundus ad Centumcellas se contulit, avidus cupidine videndi heremunculi in vasta, et precavata montium valle, inter lustra ferarum positi, quem Pater communis vitae [...] diligerat sanctus Augustinus (cuius habitum et ipse Guillelmus gestabat) construxerat, dedicaverat Trinitati et habiteravat, cui titulus usque hodie, cultus Sanctae Trinitatis, a conditore indictus est, eo quod librum de Trinitate dicitur peregisse, et emendasse ibidem. Siquidem incoeptum nec dum perfectum, donec perventum est ad mare Tirrenum, quo solebat animi recreandi causa se Pater conferre, ad portum Iani, quem finitimorum incolae Bertoldum dicunt, ubi oraculum et videre meritus est, scilicet Iesum Christum exhaurientem maris aquam precava concava grandi parvamque in foveam immittere conatum. Quo monitus presagio atque correctus didicit ponendum esse finem operi."

Attribuibile all'incirca alla stessa epoca è un altro antico documento, venuto alla luce durante il pontificato di Clemente VIII (1593-1605), che descrive l'avvenimento riferendolo al medesimo luogo. Si tratta di una lapide incisa in «caratteri antichissimi» ritrovata dal nobile cornetano Alessandro degli Atti mentre stava fabbricando nel sito di sua proprietà chiamato in quell'epoca "la Fontanella di sant'Agostino", dove era anticamente il porto di Giano. Ambrogio Landucci, l'eremita e prefetto della congregazione di Lecceto, poi vescovo di Porfirio, intorno alla metà del XVII secolo, dopo aver visitato a Tolfa la chiesa della sughera e il romitorio della SS. Trinità ad Allumiere, fu ospite dei padri agostiniani di Corneto, i quali gli mostrarono la lapide che era stata trasportata presso il loro convento di san Marco.

Si conoscono anche altre lapidi che trattano similmente questo tema: la prima lapide attesta che in quel luogo vi fu un «vetustissimo cenobio» nel quale sant'Agostino era vissuto in comunità con quei monaci, prescrivendo loro la Regula secunda. La seconda lapide, esposta all'esterno della chiesa, informa il viandante (viator) che sant'Agostino aveva in quell'eremo iniziato la stesura del De Trinitate interrotta dal monito del celeste Fanciullo presso il lido di Bertaldo, quasi sollecitandolo ad una visita in quell'altro sacro luogo, come in un mistico itinerario lungo la via romana che passava davanti al romitorio della Trinità in direzione di Cencelle e conduceva fino al mare. Qui la terza lapide era stata forse esposta nel luogo dove scaturisce la sorgente di acqua dolce, cui attingevano gli abitanti del posto e gli addetti al piccolo approdo.