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CONVENTI agostinianI: Crema

Pianta del refettorio e proiezione delle storie bibliche affrescate nella volta di copertura

Pianta del refettorio e proiezione delle storie bibliche affrescate nella volta di copertura

 

 

IL SALONE PIETRO DA CEMMO, EX REFETTORIO AGOSTINIANO: LETTURA DELLO SPAZIO E DEGLI AFFRESCHI

di Ester Bertozzi

 

 

 

Premessa

Il presente contributo si prefigge di descrivere lo spazio del refettorio e le sequenze degli affreschi restituiti dai restauri. Per il corredo di immagini ho potuto contare su un drappello di aiuti: il servizio fotografico relativo agli affreschi è di Bernardo Zanini e Giovanni Giora; i rilievi delle dimensioni del salone sono stati effettuati con Filippo Zorloni; tutte le basi delle elaborazioni grafiche tridimensionali sono state curate da Francesco Usardi; Alessandro Carelli mi ha aiutato nel fotomontaggio finale di alcuni disegni.

 

La sala Pietro Da Cemmo

Nella documentazione che ho potuto consultare mi pare che i critici concordino nel ritenere che l'epoca di costruzione del refettorio sia l'ultimo quinquennio del Quattrocento [1]. La data del 1507 apposta nel fregio sotto l'affresco dell'Ultima Cena, unica data rimasta visibile e di consueto posta a suggello delle decorazioni parietali, ha fatto ritenere ammissibile (anche se non provata) l'ipotesi che il lavoro di affrescatura dell'intero refettorio possa essersi concluso in quell'anno [2]. Per la datazione degli affreschi, per la cronologia della loro esecuzione e per l'attribuzione ai maestri esecutori, la bibliografia disponibile - alla quale rimando - offre molti e intensi contributi ma non sembra ancora esaurire l'argomento, che rimane aperto e appassionante. Il periodo in cui si presume sia stato costruito il refettorio e successivamente affrescato è stato di enorme vivacità culturale per Crema così come per tutte le città che con essa avevano relazioni, politiche o religiose. La stessa qualità degli affreschi del refettorio agostiniano comprova l'importanza assunta dalla cittadina nel panorama politico dell'epoca, importanza bene riflessa nell'aggiornamento artistico di cui Crema ospitò campionature importanti [3].

 

Descrizione del refettorio: lo spazio architettonico

La forma dello spazio interno corrisponde a un grande volume dalle dimensioni approssimative di mt 30 di lunghezza x mt 9 di larghezza, coperto da una volta a botte ribassata, articolata in numerose vele (unghie) nei punti di imposta; l'altezza interna raggiunge i mt 8,50 nella zona centrale, con un minimo di circa mt. 6 all'imposta della copertura [4]. Lo spazio è bene illuminato da alte finestre affacciate a sud oltre che da altre più piccole capaci di assicurare un buon riscontro d'aria, aperte nella parete nord e protette dal portico del chiostro maggiore (una finestra per ogni corrispondente campata di portico [5]). Al refettorio si accede dal chiostro con due porte di servizio e da un disimpegno più importante, costituito da un vano a triplice crociera in cui l'accesso principale è incorniciato da un portale di pietra, nella cui architrave è incisa la dedicazione "SOLI DEO ONNIPOTENTI" [6]. Questo disimpegno conduce dal chiostro anche ad un'altra sala voltata e soprattutto conduce allo spazio verde di pertinenza - probabile giardino/brolo/orto; in corrispondenza della relativa porta verso il giardino, un soprastante oculo testimonia l'aggiornamento ai canoni rinascimentali. L'ariosità del volume del refettorio è assicurata sia dalla generosa altezza interna che dalla forma della copertura, descrivibile sinteticamente come una volta a botte ribassata e unghiata, con testate a semi-ombrello. Il modello geometrico della copertura è tardogotico, ma ha continuato ad essere molto utilizzato anche in piena epoca rinascimentale [7].

 

Gli affreschi: i soggetti iconografici.

Questi i soggetti iconografici che compongono la decorazione del refettorio:

- parete ovest (la parete più impattante per chi entra dall'ingresso principale): la Crocifissione

- parete est, contrapposta: l'Ultima Cena (con sottostante fregio decorativo)

- pareti nord e sud (lati maggiori):

- nelle lunette: i maestri agostiniani (undici lunette ogni parete, totale ventidue)

- nel fregio: decorazioni con motivi antiquari (un motivo per ogni soprastante lunetta, complessivamente ventidue motivi decorativi)

- nel fregio, medaglioni con i Re: Davide, Salomone e i Re di Giuda (dieci Re per ogni parete, totale venti Re)

- soffitto della sala:

- le decorazioni a grottesche, con variazioni non appariscenti e adattate alle diverse dimensioni delle vele (totale numero trentadue vele/unghie decorate)

- le storie bibliche nei tondi collocati nelle vele (complessivamente ventiquattro episodi). Nulla se non qualche debole traccia è rimasto di quanto era affrescato sulle pareti laterali maggiori [8].

 

Rapporto tra l'architettura del refettorio e il progetto di affrescatura: osservazioni empiriche.

Colpisce la 'leggerezza' della copertura: l'articolazione della volta è così ben fatta che la sala sembra coperta da una tensostruttura: particolarmente oggi in cui la volta è sbiancata, il soffitto si percepisce come una tenda ben gonfiata e tesa, privata del suo peso proprio. Ma soprattutto colpisce come in ogni parete gli affreschi perseguano la dilatazione dello spazio interno e vogliano integrare lo spazio reale con lo spazio dipinto. Questo è osservabile: - nella Crocifissione. La veduta è incorniciata da tre arcate di portico in primo piano: quasi un proscenio teatrale. Le colonne e i relativi capitelli sono dipinti con effetto prospettico. A sottolineare la tridimensionalità delle colonne affrescate, lungo di esse si avvolge una decorazione a spirale - sembrano perle o pastiglie di cotto. L'ampio e articolato paesaggio, co-protagonista del dipinto, è strutturato in più piani di profondità, esaltata dal margine netto definito dalle nuvole scure che formano un solido coperchio, al di sotto del quale lo sguardo può inoltrarsi nella luce di progressivi orizzonti; - nell'Ultima Cena. Lo spazio architettonico alle spalle del tavolo della Cena è impostato come si trattasse di tre navatelle di chiesa (o tre cappelle absidali), con volte a botte che 'sfondano' illusionisticamente la parete del refettorio, con la quale ricercano una continuità per mezzo del raccordo dei loro punti d'imposta con i fregi dei muri laterali. Il muro di fondo della scena architettonica è bucato da aperture, che suggeriscono ulteriori profondità di spazi. Lo evidenziano gli oculi, raffigurati in prospettiva e in corrispondenza delle volte delle tre 'navatelle' e, dietro la figura di Gesù, lo evidenzia anche una finestra (o forse una porta) aperta su un paesaggio; - nelle lunette che raffigurano i maestri agostiniani. Anche le lunette sono concepite come aperture illusionistiche, impostate sul fregio sottostante come su di una trabeazione. Sono delimitate da una cornice architettonica, dipinta con effetto prospettico; per le quattro lunette d'angolo è stato realizzato un ulteriore effetto scorcio. Ogni lunetta descrive inoltre un ambiente, uno spazio tridimensionale: sia che si tratti di uno spazio aperto sia che si tratti di un interno. Ogni personaggio offre l'occasione di una esercitazione di abilità nella rappresentazione prospettica, con qualche esplicita citazione dei canoni rinascimentali. Qualcuno dei personaggi agostiniani è affacciato sulla sala, appoggiato al fregio come ad un parapetto. Su quest'ultimo sono qua e là posati alcuni libri dipinti di scorcio, illusionisticamente sporgenti nella sala, a sottolineare l'interscambio tra lo spazio interno al refettorio e lo spazio esterno ad esso. Grazie al controllo della luce (idealmente proveniente dal centro della parete finestrata antistante) e delle conseguenti ombreggiature, tutto è reso in profondità e dipinto nella corretta prospettiva [9];

- nei due grandi fregi che corrono lungo le pareti maggiori. Essi fungono da trabeazione sulla quale si imposta la volta di copertura, e allo stesso tempo sono parte integrante di quanto è affrescato nelle lunette. Il ritmo di quest'ultime è sottolineato anche dai medaglioni con i Re che corredano il fregio: sotto ogni medaglione è poi dipinto un peduccio, a mo' di mensola. L'effetto-trabeazione è ottenuto anche con il raccordo, alle estremità, sia ai capitelli delle colonne che incorniciano la Crocifissione, sia alla trabeazione virtuale di imposta delle volte a botte nell'Ultima Cena. Tutto niente escluso: i decori, i medaglioni dei Re e i sottostanti peducci, è dipinto 'tridimensionalmente', con richiamo efficace all'uso dei fregi di terracotta che decoravano molte costruzioni civili e religiose lombarde. Anzi perfino i ritratti dei Re sono dipinti in modo da suggerire, con le loro ombreggiature, che si tratti non tanto di medaglie quanto di 'testoni' in rilievo [10].

- Gli stessi tondi monocromi affrescati nelle vele della volta sembrano essere concepiti come oculi che forano il soffitto, delimitati da cornici di cotto modanate, così come nelle pareti delle architetture religiose e civili venivano realizzate in quegli anni. I tondi delle volte che formano semi-ombrello, alle due estremità della sala, sono corredati da una cornice più larga; nelle quattro vele più ampie i tondi hanno inoltre un diametro un poco maggiore degli altri, al fine di adattare lo schema decorativo alla superficie disponibile e di ottenere il maggiore effetto unitario possibile per l'insieme. Per chi si affaccia al refettorio dall'ingresso principale, infatti, la sequenza dei tondi appare come una 'collana' che compatta la copertura della sala;

- le grottesche che decorano le vele a ombrello e le unghie della volta sono le uniche pitture 'bidimensionali': scelta peraltro funzionale all'enfatizzare l'effetto di 'tenda tesa e gonfiata' del soffitto della sala.

Se ne ricava la convinzione di una concezione unitaria dell'affrescatura del refettorio: un progetto concepito con una particolare sensibilità architettonica. Tuttavia a ben guardare si notano alcuni 'accomodamenti' o imperfezioni, in tutta questa concezione unitaria: il fregio-trabeazione si integra bene con gli affreschi delle pareti brevi solo per il profilo superiore, rimanendo quello inferiore non perfettamente raccordato né con la scena architettonica dell'Ultima Cena né con i capitelli delle colonne che incorniciano la Crocifissione [11]. Il fregio è infatti molto più alto di quanto non siano i capitelli e le trabeazioni dipinti sulle pareti brevi. Del resto una determinata altezza del fregio risultava necessaria sia per una proporzione della decorazione rispetto alla parete, sia per dare l'illusione che il fregio costituisse anche un parapetto, una balaustra; in questo modo ogni personaggio agostiniano avrebbe potuto essere ambientato in una 'loggetta'. Negli archi che impaginano la Crocifissione si nota poi l'anomala imposta del sottarco, che non appare qui correttamente eseguito di scorcio (tanto che sembra di doverlo definire una cornice, più che un sottarco). Ciò sembra quasi suggerire l'ipotesi che questo 'progetto unitario' dell'affrescatura del refettorio (un 'vestito architettonico' unitario) possa in realtà essere venuto in un secondo momento, modificando o aggiornando un diverso progetto iniziale: forse quando si è più precisamente definita la modalità di rappresentazione dei magistri agostiniani e l'intera decorazione delle pareti laterali (a seguito di quella scelta potrebbe essere stata modificata l'altezza delle finestre in lato sud, inizialmente concepite con altezza maggiore - come dall'esterno è tuttora percepibile) [12].

 

Descrizione degli affreschi

La Crocefissione

Le tre croci - Cristo al centro e i due ladroni ai lati - occupano ognuna lo spazio corrispondente ad un'arcata della volta di copertura; le due croci laterali sono orientate di sbieco, entrambe convergenti verso quella centrale. A sinistra di chi guarda (quindi alla destra di Gesù) è il buon ladrone, ben riconoscibile dall'anima bianca che un angelo sta accogliendo tra le sue braccia; al lato opposto il cattivo ladrone, la cui anima scura viene raccolta direttamente da un diavolo [13]. Sopra il capo di Cristo si disperano tre angeli, inginocchiati su una nuvola bianca composta da cherubini. La parte inferiore dell'affresco è danneggiata e molte delle figure dipinte in primo piano non possono più essere percepite; si indovinano, più che vedere, alcuni dei dolenti: la Maddalena, abbracciata alla croce, di cui è rimasto il capo; una figura in piedi, sulla destra di chi guarda (non è chiaro se si tratti di san Giovanni); il gruppo delle Marie sulla sinistra: si intravvede la sagoma di Maria madre di Gesù che viene meno ed è sorretta. Vicino alle Marie un gruppetto di soldati sembra discutere dell'accaduto (si apprezza l'illustrazione delle diverse punte delle loro lance, eleganti quanto pericolose). Sulla destra di chi guarda, ancora in primo piano, è un gruppetto di saggi o sacerdoti, che impressionati parlano tra loro.

Una folla di soldati a piedi e a cavallo è sotto la croce: stupiti e preoccupati, essi sembrano concitatamente commentare ciò che è appena avvenuto con il terremoto e l'oscuramento del sole. Un personaggio a cavallo, probabilmente il centurione che ha riconosciuto che Gesù "veramente era il figlio di Dio", è ritratto in atteggiamento di contrita preghiera (Matteo 27, 54). Si fanno notare gli elmi e i berretti dei soldati, con le loro decorazioni assai curiose [14]. Due vessilli con la scritta SPQR sventolano ai lati della croce di Gesù; sulla destra in secondo piano un gruppetto di persone sta portando una scala. Sempre in secondo piano si intravedono al centro altri cavalieri, probabilmente appena usciti da una medievale Gerusalemme, che si estende con le sue mura i suoi edifici e le sue torri ad occupare buona parte del paesaggio di fondo. Oltre e intorno alla città il paesaggio si articola in una serie di colline, punteggiate di costruzioni, sentieri, alberature; sulla sinistra rupi ed alberi quasi in primo piano fanno comprendere come il paesaggio non sia un mero fondale bensì avvolga l'intera scena [15]. Quest'ultima è quindi impaginata in tre arcate di portico, sorrette da colonne con relativi capitelli. Dai capitelli, con una singolare soluzione di raccordo, si spiccano delle cornici-sottarco, delimitate da profili color cotto. Le decorazioni di queste cornici non sono fra loro identiche: per gli archi laterali che inquadrano le croci dei ladroni la decorazione si sviluppa con girali, palmette e corolle; per l'arco centrale in corrispondenza della croce di Cristo la decorazione è costituita da una sequenza di dischi (clipei) che contengono alternativamente una conchiglia (monocroma sempre in campo bianco) e un mascherone (monocromo in campo rosso o in campo giallo); tra un clipeo e l'altro fa da connettivo un elaborato calice vegetale con in cima un cherubino. Il disco collocato in posizione di chiave dell'arco centrale contiene il simbolo del pellicano, iconografia frequentemente utilizzata per simboleggiare il Cristo che si immola (il pellicano, per errata medievale interpretazione naturalistica del suo atteggiamento verso i propri piccoli, veniva dipinto nell'atto di beccarsi il petto/il fianco a sangue. Fu assunto a simbolo di Cristo perchè la leggenda medievale sosteneva che il pellicano, aggredito dai suoi stessi piccoli che amava molto, li colpiva per punirli, uccidendoli. Ma provandone poi pietà li piangeva; al terzo giorno beccandosi il fianco a sangue lo effondeva su di loro risuscitandoli [16]). Il contrasto netto tra le nuvole scure e l'atmosfera chiara del sottostante orizzonte rimane fortemente caratterizzante; non si tratta solo di una dilatazione illusionistica dello spazio che conduce lo sguardo verso l'infinito, ma anche della percezione rassicurante che la luce si apre sotto la paura del buio: l'ampia luce atmosferica - con un orizzonte dipinto come un miraggio che si svela - è un messaggio di speranza, è la promessa della Salvezza [17].

 

L'Ultima Cena

Fortunatamente la porzione mancante dell'affresco non impedisce di cogliere l'intera scena. Vi è raffigurato il momento in cui Gesù denuncia il prossimo tradimento di uno dei Dodici: ad eccezione di Giuda che rimane seduto e fermo, stringendo nella destra il sacchetto con le monete, tutti gli altri apostoli sono ritratti in questo dinamico momento di agitazione, sconcerto e costernazione. Lo sguardo di Gesù - del quale per fortuna è rimasto il bel volto delicato [18] - si fissa in chiunque osservi il dipinto. La tavola in primo piano appare blandamente imbandita; non vi compaiono vivande ma solo piccole ciotole e ampolle per i condimenti, oltre ad alcuni bicchieri. La tovaglia è candida e preziosa; le pieghe del tessuto ricadente lungo i lati del tavolo ritmano lo spazio e danno un effetto di profondità (come i mantelli dei due apostoli capotavola che vi si sovrappongono parzialmente). Il bordo della tovaglia è una fascia rossa con un decoro bianco, preceduta da un altro decoro, bianco su bianco, che disegna una ulteriore fine decorazione [19]. Dietro la tavola con i commensali la scena è articolata in tre vani coperti da volte a botte - il vano centrale è più ampio dei laterali; i muri che reggono queste volte sembrano rivestiti con finti marmi, ogni superficie dei quali è accuratamente delimitata da articolate modanature. Le trabeazioni, le cornici, gli archi appaiono di pietra grigia; due candelabre sono poste alle estremità dell'architettura scenica (ognuna di esse ha un proprio specifico decoro monocromo su un fondo bipartito in rosso e in nero). L'imbotte delle volte laterali ha una decorazione a finti lacunari con al centro delle rosette; l'imbotte della volta centrale, più ampia, è di diverso colore e ha una decorazione più complessa, a cerchi disposti ortogonalmente e collegati tra loro da fascette, all'interno dei quali è inscritta una rosetta [20].

Si nota come la cornice dell'arco centrale non abbia larghezza costante, bensì alla chiave dell'arco sia più ampia che non all'imposta: infatti si constata che l'arco sottostante non appare perfettamente semicircolare come avviene invece per gli archi delle volte laterali (che infatti hanno cornici di costante larghezza) [21]. Il raccordo tra le cornici degli archi e la copertura del refettorio è sottolineato da una modanatura color cotto. La decorazione delle cornici degli archi laterali utilizza un motivo a palmette, alternandone una dritta e una capovolta, tutte monocrome su campo nero; la decorazione della cornice centrale riporta oltre al motivo della palmetta capovolta (alternata in campo rosso oppure nero) anche una figura antropomorfa che fa da connettivo - un motivo dall'antico abbastanza simile a quello riscontrabile nelle grottesche della volta. L'effetto illusionistico dei vani a botte è molto efficace per suggerire uno spazio in profondità: grazie anche alla distribuzione della luce, che si inoltra progressivamente nelle volte, proveniente soprattutto dalle finestre della parete meridionale del refettorio. Il muro di fondo oltre le tre 'navatelle', pure se in ombra, appare chiaramente decorato con grottesche nella parte superiore: si riconoscono girali con foglie e fiori, popolati di uccelli e draghetti. Tre oculi forano questo muro che fa da fondale alla scena architettonica e lasciano scorgere qualche bianca nuvoletta. Nell'oculo centrale si intravvede la nuca di una testa scolpita: è una testa di re, poiché porta una corona. (Poiché questo oculo è posto in asse con la testa di Gesù e sembra quasi riflettere la sua nuca, si potrebbe pensare che l'artista volesse evocare la regalità del Cristo. La capigliatura della testa scolpita non corrisponde però a quella che dovrebbe esservi riflessa. Può darsi si tratti di una citazione bramantesca dall'incisione Prevedari, che riporta un simile dettaglio) [22]. Nel muro che chiude la scena architettonica, in corrispondenza dello spazio tra le figure di Giovanni e di Gesù, si vede aperta una finestra (o una porta) su un paesaggio: qui il colore è parzialmente caduto, ma si riesce ancora a intravedere un fiume che scorre sinuoso, con torri e boschi lungo le sue rive; il colore degli alberi rivela che si tratta di un paesaggio autunnale (con una luce chiara pre-crepuscolare che non va d'accordo col colore del cielo che gli oculi lasciano scorgere: lì sembra che sia già sera). Alla base dell'affresco dell'Ultima Cena è dipinto un fregio con motivi presi dall'iconografia paganeggiante, ormai riscattata dalla cultura umanistica e dalla passione antiquaria dell'epoca [23].

 

Le lunette con i maestri agostiniani

Le virtuali aperture semicircolari che caratterizzano l'imposta della copertura della sala sono definite da una spessa cornice decorata, come si trattasse di spalle di finestre intonacate e poi dipinte. Il loro profilo più esterno è color cotto; le loro decorazioni sono nere o rosso mattone. L'imbotte delle cornici è sempre la stessa: a finti lacunari con inscritta una rosetta [24]. L'effetto prospettico è molto curato: la luce che proviene dalle finestre delle pareti del refettorio (le finestre vere del lato sud e quelle presunte del lato nord) si distribuisce coerentemente nelle imbotti virtuali delle lunette contrapposte. I magistri sono ritratti in atteggiamenti differenti, più o meno relazionati a chi li osservi dal refettorio; questo conferisce un effetto generale di grande vivacità e dinamicità. Sono in tutto ventidue (undici per lato); quattro di essi sono dipinti nelle lunette maggiori; non è chiaro se ci sia una sottolineatura d'importanza particolare dei soggetti ritratti nelle lunette più grandi. Fino a che essi non saranno stati identificati, rimarrà difficile affermare che possano avere una sequenza ad esempio cronologica o che essi siano tutti legati al convento di Crema o tutti dell'Osservanza [25]. Si tratta in buona parte di vescovi o cardinali, come si può dedurre dai loro copri capi: su ventidue agostiniani raffigurati, undici hanno la mitria vescovile (uno solo di questi però è dipinto con la mitria sul capo anziché posata a lato); altri due maestri hanno il copricapo da cardinale. Chi è vescovo indossa sopra il saio il suo piviale (che non è sempre dello stesso colore, così come appare per gli stessi mantelli dei due cardinali). Certamente si tratta di personaggi che studiano e che hanno fatto della cultura uno strumento del loro ministero: in ventuno delle ventidue lunette dipinte compaiono libri - libri che si leggono e talvolta si scrivono [26] - o si trascrivono (un soggetto coerente con l'esplicito obbiettivo del convento cremasco fin dalla sua nascita: divenire un centro di studi, con una biblioteca e uno scriptorium) [27].

 

Le lunette della parete destra, a partire dall'ingresso principale:

1dx (lunetta con effetto scorcio) - E' raffigurato di profilo un padre agostiniano (un capomastro?) che mostra la costruzione in corso di una chiesa e annessi - presumibilmente il convento di Crema. Un bel paesaggio si dispiega alle spalle - forse le colline da dove il frate proviene.

2dx (lunetta più ampia)- Qui si tratta di un maestro studioso e scienziato, come dimostra la sfera armillare che sta osservando. Una mitria è appoggiata sul leggìo, dove sta un libro aperto. Lo spesso drappeggio alle spalle del personaggio schiude un paesaggio che contiene un richiamo all'architettura ideale dell'Umanesimo.

3dx - Un padre agostiniano anch'esso divenuto vescovo, studioso - forse teologo - impegnato nella meditazione sulla Trinità, di cui sta contemplando un'effigie su un piccolo altare. Una balaustra di pietra con un motivo cosmatesco chiude lo spazio alle sue spalle precludendo ogni veduta.

4dx - Un altro agostiniano vescovo, che in base all'atteggiamento in cui è ritratto sembra poter immaginare come docente (forse di filosofia), intento a spiegare ai suoi alunni o a dimostrare forse qualche teorema. Numerosi libri sono sparsi accanto; un calamaio si vede posato in cima al leggìo.

5dx - Di nuovo un vescovo, intento in preghiera davanti ad un piccolo altare (su questo c'è una tovaglia bianca di cui si possono apprezzare i ricami) sopra al quale sta un quadretto con la Madonna col Bimbo in grembo, evidente oggetto di sua particolare devozione. Un pesante drappeggio damascato lascia intravvedere una seconda stanza; da una finestra sulla parete di fondo si scorge un paesaggio aperto. Sul mantello che indossa sopra il saio compare un bordo rosso con sovraimpressa una scritta.

6dx - Si tratta probabilmente di un maestro agostiniano docente, oltre che vescovo. E' raffigurato appoggiato con entrambe le mani al fregio come si trattasse di una balaustra. Il suo sguardo è rivolto al libro aperto che è posato su quest'ultima; sul volto ha accennato un sorriso. Appare come un maestro benevolo e ispira confidenza. Alle sue spalle si articola un ampio paesaggio.

7dx - Un padre agostiniano - anch'esso vescovo - che tiene in mano un libro aperto e anzi sembra che lo stia mostrando. Alle sue spalle un muro delimita la scena in primo piano; sul fondo si intravede un paesaggio ora indistinto. Forse è di salute delicata: in testa porta una cuffietta, nera come il saio. Anche qui il piviale del magister ha un bordo rosso con sovraimpressa una scritta.

8dx - Un magister asciutto e scattante, questo padre agostiniano vescovo, che è appoggiato alla balaustra e con la destra impugna una penna, pur trattenendo un libro; indossa un piviale che ha un bordo bianco con sovraimpressa una scritta anch'essa bianca. Alle sue spalle si intravvede un paesaggio, che sembra montano: sulla sinistra un'alta roccia, sulla destra un'alta costruzione con un balconcino aggettante. W. Terny de Gregory aveva ritenuto di identificare in questo ritratto il Beato fra Gian Rocco da Pavia, della famiglia de' Porzi; lettore all'Università di Padova e Priore già a Pavia, prima ancora che a Crema.

9dx - Il personaggio è intento a scrivere, appoggiato allo scrittoio dal quale trasborda una parte della pergamena. Sopra una pila di libri una clessidra misura il tempo (forse a simbolo della precarietà dell'esistenza e quindi della morte prematura del maestro? Oppure questi è autore di un'opera in proposito?); dietro un altro libro è appoggiata la mitria vescovile. Il vano in cui il personaggio si trova ha un soffitto a lacunari con rosette; sulla parete di fondo scorre un fregio decorato con motivi antiquari.

10dx (lunetta più ampia) - E' qui dipinto uno spazio complesso: in primo piano a sinistra un ampio e morbido panneggio rosso è scostato e sollevato, per permettere di vedere il maestro; a destra c'è una parete definita da una candelabra, accanto alla quale è un vano incorniciato: vi è collocato un bel vaso elegante (forse un reperto antico?) che contiene qualche esile fiore. Il maestro agostiniano qui ritratto è l'unico che indossi la sua mitria; è seduto nel suo studio e sta leggendo; dietro di lui su una mensola a tutta parete sono allineati parecchi libri. Sul bordo rosso del suo mantello è riportata una scritta. Un oculo aperto nel soffitto fa piovere su di lui una luce zenitale.

11dx (lunetta con effetto scorcio) - Il monaco qui ritratto è completamente assorto nella lettura. E' appoggiato al suo scrittoio, dal quale ricade un lembo di pergamena scritta. Del paesaggio aperto che in origine doveva essere dipinto sono rimaste, all'altezza della testa, solo alcune nuvole bianche. Dietro al personaggio è raffigurato un monumento di pietra chiara. Quest'ultimo è decorato con motivi antiquari, fregi a girali e rosette, e ha una cornice di gronda a gola rovescia anch'essa decorata (forse si tratta di un'antica ara?).

 

Le lunette della parete sinistra, a partire dall'ingresso principale:

1sx (lunetta con effetto scorcio) - E' raffigurato un agostiniano rivolto verso l'interno del refettorio ma intento alla lettura; la sua destra è appoggiata sulla balaustra, accanto al libro aperto; la lacuna nell'affresco non consente di vedere il suo braccio sinistro - forse appoggiato di gomito allo scrittoio. La scena è parzialmente chiusa da una tenda e al lato opposto da una parete rocciosa; nel paesaggio di fondo sono dipinti dolci rilievi collinari innervati da sentieri alberati.

2sx (lunetta più ampia) - Il padre agostiniano è raffigurato in un interno, chiuso per metà alle sue spalle da un tendaggio di broccato. La caduta del colore rende difficile vedere i dettagli, ma sembra di intravedere dietro di lui una balaustra con decorazioni (o si tratta di un mobile di legno?). Il monaco è seduto accanto al suo leggìo, alcuni libri sono appoggiati d'intorno e lui stesso ne tiene uno nella mano destra; nella sinistra regge un piattino dorato (una patena?), nella cui contemplazione è assorto. Fa immaginare che sia intento a meditazioni sull'Eucarestia - ma forse è solo concentrato nell'osservazione di un oggetto prezioso antico;

3sx - Anche questo affresco è danneggiato. Manca completamente la testa del monaco, che è in piedi rivolto verso il refettorio e ha le mani sulla cintura del saio (l'indice della mano sinistra sembra indicare qualcosa sotto di lui). Accanto a lui alcuni libri sono appoggiati alla balaustra. Il vano alle sue spalle è parzialmente chiuso da un tendaggio scuro; ma dietro al monaco si intravede una porzione di paesaggio aperto, con un ponte sotto al quale scorre un fiume.

4sx - Il monaco è seduto, intento alla lettura di un libro. Dietro di lui il vano è delimitato da un'alta fascia di tessuto, uno splendido broccato di cui si apprezzano disegno e colori, oltre alle pieghe di stiratura.

5sx - Il monaco è ritratto in piedi; è di fianco e regge con entrambe le mani un libro; ma ha ilcapo girato verso il refettorio e il suo sguardo si incrocia con chi alzi gli occhi verso di lui (è forse un padre con un ruolo speciale nei confronti degli allievi?) La scena è parzialmente delimitata sulla destra da un panneggio rosso; sulla sinistra si può ammirare, ben conservato, un bellissimo paesaggio con costruzioni in primo piano dai tetti di cotto e gli intonaci di terra.

6sx - Si tratta della lunetta in corrispondenza della nicchia riservata al lettore durante i pasti nel refettorio. Vi è ritratto un monaco in piedi, appoggiato con entrambe le mani alla balaustra; nella sinistra tiene un libro chiuso. Ha il volto che sembra segnato dalla sofferenza fisica. Alle sue spalle un paesaggio collinare aperto; sulla destra una roccia con una caverna potrebbe forse suggerire un'aspirazione eremitica del personaggio.

7sx - Il personaggio qui ritratto è un vescovo, come dimostrano il piviale sopra il saio e la mitria appoggiata accanto. E' raffigurato seduto e di profilo; regge un grande libro che però non sta leggendo bensì mostrando a chi sta nel refettorio. Dietro di lui in corrispondenza del suo busto è un telo rosso che suddivide in due parti l'ampio paesaggio aperto che, nonostante la parziale caduta del colore, si può ancora osservare alle sue spalle. A destra in primo piano un rilievo collinare (un pratone, o una superficie boscata), a sinistra una veduta in profondità di una valle di montagna con un lago o un fiume.

8sx - Anche questo padre agostiniano è un vescovo. E' ritratto in piedi, il busto in leggera torsione, la mano destra sul fianco, la sinistra che regge un cartiglio o una lettera che sembra esibire a chi è nel refettorio. Diversi libri sono appoggiati sul parapetto; alle sue spalle la scena è chiusa da un tendaggio scuro, che permette un'apertura sufficiente a scorgere un paesaggio montano o di collina; si nota il profilo di una costruzione, forse una torre campanaria.

9sx - Il magro personaggio qui ritratto è un cardinale, come dimostrano le sue vesti e il cappello appeso accanto; è seduto e sembra che stia leggendo le pagine di un grande libro tenendole contemporaneamente visibili per chi è nel refettorio. Altri libri sono posati accanto. La sua mano destra è appoggiata su una sfera dorata che tiene sulla balaustra (sembra un po' grande per essere un'arancia). Lo spazio in cui si trova è definito da una folta siepe - il personaggio sembra quindi ambientato in un giardino.

10sx (lunetta più ampia) - Anche qui l'affresco è mancante in corrispondenza della testa del padre agostiniano. Il cappello appeso accanto oltre al colore del mantello lo rivela come cardinale. E' seduto su uno scranno di legno intarsiato, immerso nella lettura di un libro che regge con entrambe le mani; alcuni libri chiusi sono appoggiati accanto. La caduta del colore non consente di comprendere cosa sia dipinto dietro il personaggio; la lunetta però lo inquadra in una prospettiva (stavolta imperfetta) di volta a botte con cassettoni lignei elaborati, arricchiti da cornici e decori.

11sx - Questo padre agostiniano è ritratto nel suo studio; è seduto su una sedia con alto schienale e appoggia il gomito sinistro al suo scrittoio, dietro al quale la parete intera è rivestita da uno scaffale con molti libri. Sullo scrittoio ancora libri e carte; nella mano destra un altro libro. Dietro di lui lo spazio è delimitato da un muro che in sommità ha una sobria cornice. Colpisce l'espressione sofferente o quantomeno scontenta del suo volto (forse a causa dell'essere stato interrotto nel suo lavoro di studioso?).

 

Il fregio-trabeazione

Il fregio persegue un effetto unitario ma non rinuncia a differenziare la decorazione: ad ogni sovrastante lunetta corrisponde un motivo decorativo differente. Non sembra che ci sia una relazione tra la scelta del decoro e quanto dipinto in adiacenza. I motivi sono in tutto ventitre: undici per ogni lato maggiore del refettorio e un ulteriore fregio alla base dell'affresco dell'Ultima Cena. I temi decorativi sono monocromi su campo rosso o su campo nero; sono ripresi dall'antico e sono analoghi a quelli già utilizzati in anni precedenti o contemporanei in edifici non solo civili bensì anche religiosi [28]. Sono una citazione, una dimostrazione di aggiornamento letterario e artistico che sembra comprovare il tema «dettato dagli stessi rettori dell'Osservanza agostiniana: cioè la vagheggiata riconciliazione tra l'Antico profano e e il mondo cristiano, tipica della cultura umanistica neoplatonica [29]». Le fotografie di tutti i ventitre bellissimi motivi dei fregi dell'ex refettorio sono state già pubblicate in 'Insula Fulcheria' n. 42/2012, all'interno di un contributo di Bernardo Zanini - che ne dava una singolare interpretazione simbolica [30]. Campionature fotografiche e preziose informazioni sulle modalità e cronologia esecutive anche dei fregi si trovano nel contributo di Sara Marazzani già richiamato, comprendente grafici descrittivi curati da Vincenzo Gheroldi. Articolate riflessioni inerenti gli analoghi fregi dipinti dalla bottega di G. Pietro Da Cemmo nella chiesa di S. Agostino a Cremona si trovano in un saggio di Alfredo Puerari sugli affreschi cremonesi del Da Cemmo e nella monografia a quest'ultimo dedicata, di Maria Luisa Ferrari [31].

Fa parte del fregio la sequenza dei medaglioni con i ritratti dei Re: re Davide, re Salomone e i Re di Giuda. Sono in ordine cronologico per ognuno dei due lati, ogni volta partendo dalla parete ovest con la Crocifissione. Nella parete di sinistra (per chi entra dalla porta principale) troviamo Davide (David), Salomone (Salamon), Roboamo (Roboam). A partire da Roboamo (col quale avviene lo scisma tra le tribù facenti capo a Israele e quelle facenti capo a Giuda), sono dipinti i volti dei Re di Giuda: Abia (Abias), Asa (manca però il nome sul suo medaglione), Giosafat (sono scritte le sole lettere Osa), poi il fregio è danneggiato e manca un medaglione dove dovrebbe essere raffigurato Acazia [32]; seguono Ioas, Amazia (Amasias), Ozia (sono nitide le sole lettere Oz, la scritta è danneggiata). Nella parete di destra la sequenza cronologica riprende ancora dalla Crocifissione: sono rappresentati i Re di Giuda fino a quelli che divengono vassalli di Babilonia: Ozia (Ozias), Iotam (Ioathan), Acaz (Achaz) [33]; seguono poi Manasse (Manas) e Amon, invertiti fra loro nella sequenza temporale; Giosia (Iosias), Ioacaz (Ioathan vi è però scritto nel medaglione); Ioiachim; Ioiachin; Sedecia. Alcuni dei nomi dei Re sono ora quasi illeggibili, ed è solo sfogliando le pagine delle Cronache dell'Antico Testamento che si può avere conferma del personaggio raffigurato [34]. I re di Giuda erano concepiti come anelli intermedi della genealogia di Gesù (oltre ad essere anche la prova della fedeltà del Signore alla promessa fatta a Davide). Forse la testa coronata nell'oculo sul fondo dell'affresco dell'Ultima Cena, che è in ideale prosecuzione del fregio con i medaglioni dei Re, potrebbe alludere a Gesù come legittimo erede del regno: Gesù vero re dei Giudei. Sotto ogni medaglione è dipinto un peduccio, quale mensola della virtuale trabeazione rappresentata dal fregio. Sono utilizzati solo due modelli formali, tra loro alternati: un modello a foglie d'acanto e un modello con cherubino (una testina coronata da petali a mo' di raggi, posta sopra un paio di ali), sottostante il quale è delineato un muso appuntito di capro.

 

Le grottesche della volta

Le grottesche delle vele a ombrello e delle unghie della volta sono le uniche pitture 'bidimensionali' del refettorio. Sono monocrome color sanguigna oppure bicrome: sanguigna e nero. L'effetto a un primo sguardo è di decoro indifferenziato e di simmetria nelle decorazioni, ma osservandole si scoprono particolari sorprendenti. Sono elegantissime e ricche di dettagli affatto simmetrici che non le rendono esattamente uguali le une alle altre, neppure nelle superfici fra loro speculari; più si osserva e più si partecipa del divertimento che lo stesso bravo esecutore avrà provato, procedendo via via con la decorazione. Anche quando si tratta di medesimi motivi o schemi decorativi, si osserva come a volte siano i girali ad adattarsi, altre volte il tipo di foglia, o un motivo vegetale che diventa antropomorfo [35]. Una figura antropo-fitomorfa si ripete in corrispondenza delle volte a semi-ombrello sulle testate della sala: potrebbe riprendere semplicemente un motivo antiquario o una decorazione da codice miniato, ma potrebbe voler anche richiamare la mandragora, una radice utilizzata nella medicina popolare per favorire la fecondità. La radice di questa pianta erbacea è articolata in più fittoni, e può assumere un aspetto antropomorfo, come alcuni manuali antichi illustrano (un soggetto ideale per la stessa ars illuminandi). La mandragora rimane inoltre motivo somigliante a quelli delle grottesche riportate alla luce dagli scavi archeologici romani alla fine del Quattrocento; tuttavia essa è presente nell'Antico Testamento ed è anzi legata alla maternità di Rachele moglie di Giacobbe (Genesi 30, 14-16): un altro dettaglio che può tessere un legame tra l'antichità e il mondo cristiano.

 

I tondi con le storie bibliche

Ho provato a descrivere le storie bibliche affrescate con l'intento di comprenderne i soggetti e apprendere la lezione didattica di cinque secoli fa - così come sarebbe potuto accadere ad un allievo appena ammesso alla scuola del convento. I tondi sono tutti monocromi, ad eccezione di quello in corrispondenza del Cristo crocefisso: qui infatti il tondo è policromo (se ne coglie subito pertanto la sottolineatura) e raffigura il sacrificio di Isacco (Genesi 22, 1-14), con evidente relazione tra i due soggetti dipinti. In asse, in corrispondenza della parete di testata del refettorio sono quindi rappresentati: il sacrificio di Isacco, il simbolo del pellicano, la crocifissione di Gesù. Sembra quindi rimarcato come tema principale il tema del sacrificio, della necessità del sacrificio, o meglio ancora dell'accettazione del sacrificio: ma collegato alla fiducia di una risoluzione divina - una remissione dei peccati, la redenzione - la rinascita a nuova vita. La fede assoluta di Abramo è la porta della Salvezza. Il tondo corrispondente a quello policromo in lato opposto (cioè al centro della parete dell'Ultima Cena, in asse con la figura del Cristo) è monocromo e raffigura la scena di un banchetto. La scena si svolge in un vano nella cui cornice della parete di fondo (decorata con finti marmi) pare di riconoscere un sintetico richiamo alla bramantesca prospettiva illusionistica di San Satiro a Milano; il soffitto di questo vano è a cassettoni con inscritte rosette (forse un mezzo per attualizzare quanto simboleggiato nel dipinto). Al tavolo piegato ad U siede una decina di convitati. Al centro e in piedi sta un giovane che indossa abiti sobri ma eleganti e porta una collana (una figura a metà tra un padrone di casa e un maggiordomo); i convitati sono colti in un momento di sorpresa (uno di essi si sta alzando e sembra voglia togliersi il cappello; altri sono rivolti ai propri vicini e paiono interrogarsi a vicenda). La figuretta accanto al giovane elegante pare essere un ragazzino; un cane è intento a leccare sul pavimento le briciole del banchetto. Non ho certezza del tema raffigurato; penso si potrebbe però ipotizzare che l'episodio dipinto possa magari operare una sintesi tra gli episodi biblici relativi a Giuseppe e i suoi fratelli, raffigurando il momento in cui Giuseppe si palesa a quest'ultimi, durante una cena a loro riservata mentre sono ospiti del faraone. Una scena quindi che rimanderebbe al sostanziale perdono di un terribile tradimento, inflitto a Giuseppe dai suoi fratellastri. Un episodio che richiamerebbe anche la piena riconciliazione tra chi è stato tradito e i traditori, dove chi è stato tradito ricolma questi ultimi di beni, dopo il loro pentimento. Il tema sembrerebbe pertinente; nel racconto biblico però la cena e il palesamento di Giuseppe ai fratelli si svolgono in momenti temporali diversi (Genesi 37, 19-28; Genesi 43, 31-32; Genesi 45, 1-3).

Sembra di poter riconoscere una sequenza cronologica degli episodi biblici affrescati, ma solo per i tondi in corrispondenza dei lati maggiori del refettorio (nove + nove, totale diciotto episodi); mentre quelli in corrispondenza dei lati minori potrebbero forse essere tematici (sei episodi ognuno a se stante, oppure tre episodi sul tema del "sacrificio come premessa di redenzione e rinascita", e tre episodi sul tema del "tradimento e della successiva riconciliazione dopo il perdono") [36]. La sequenza cronologica delle storie bibliche avviene, come già per i Re di Giuda, sempre a partire dalla parete con la Crocifissione.

 

Le scene bibliche delle pareti sud e nord

Tondo n.1sx Nonostante una parte dell'affresco sia mancante, si riconosce chiaramente il tema della Creazione, con la creazione di Eva che ne costituisce il completamento. E' illustrato il Signore che estrae Eva da un Adamo addormentato nel giardino dell'Eden (un Adamo sdraiato come spesso era dipinto Jesse, ritenuto padre della genealogia di Gesù). Al centro dell'esuberante giardino troneggia un albero carico di frutti, lambito da un ruscello (Genesi 1, 27 e 2, 21-22).

Tondo n.2sx. Nel tondo seguente sono dipinte due scene, suddivise da un esile albero: a destra Adamo ed Eva stanno mangiando i frutti proibiti, mentre in mezzo a loro sta il serpente tentatore. Avvolto a spirale lungo un tronco, ha un volto umano che tiene rivolto verso Eva. A sinistra un angelo scaccia Adamo ed Eva che imboccano la porta d'uscita dall'Eden; ognuno dei due ha in mano un bastone - per il lungo faticoso cammino che li aspetta (Genesi 3, 1-24).

Tondo n.3sx. La scena rappresenta il Diluvio: le acque stanno sommergendo anche le alture, dopo aver travolto le città; numerose sono le imbarcazioni e i legni anche di fortuna; molti sono già travolti dalle onde. Sembra di intravedere in secondo piano un'imbarcazione ampia, coperta da una grande tenda (Genesi 7, 10-12).

Tondo n.4sx. La scena sembra simboleggiare la costruzione di un'alta torre cui lavorano molti operai; si presume sia la torre di Babele - simbolo della confusione delle lingue (Genesi 11, 4-9). Manca una porzione dell'affresco che permetta di cogliere i dettagli.

Tondo n.5sx. La scena illustra la fuga da Sodoma da parte di Lot e delle figlie, guidati da un angelo. La moglie di Lot, che contravvenendo alle indicazioni dell'angelo si è girata a guardare le lingue di fuoco che avvolgono la città e la valle, è divenuta statua di sale (Genesi 19, 16-26).

Tondo n.6sx. Il tondo contiene due scene, suddivise da una parete: a sinistra in un interno si riconosce l'anziano Isacco, nel letto e quasi cieco, mentre tasta il figlio Giacobbe, scambiandolo per Esaù; nella stanza è presente la madre Rebecca, artefice dell'inganno, che dà consigli al figlio su come comportarsi col padre. A destra (sotto un portico dal quale si intravede il paesaggio alberato) si vede Esaù mentre sta per portare al padre un piatto cucinato con la selvaggina che ha appena cacciato; una figura femminile con in mano una brocca gli sta dicendo qualcosa, indicando la stanza di Isacco. Il soggetto sembra quindi richiamare il valore della benedizione e della primogenitura (Genesi 27, 15-31).

Tondo n.7sx. Durante un viaggio Giacobbe si addormenta all'aperto; sogna una scala che raccorda terra e cielo, percorsa da angeli. Riceve nel sogno la promessa di protezione e di benedizione del Signore (Genesi 28, 10-15).

Tondo n.8sx. Nonostante la parziale caduta del colore non renda agevole l'individuazione di ogni dettaglio, la scena raffigura senza dubbio 'Mosè salvato dalle acque' (Esodo 2, 4-6).

Tondo n.9sx. Il danneggiamento dell'affresco non aiuta il riconoscimento dell'episodio e dei personaggi. La scena si svolge in un paesaggio aperto che permette di intravvedere un fiume; al centro si indovinano due figure femminili danzanti; a destra un re o sacerdote, in piedi con in mano qualcosa - sembra un libro; in piedi sulla sinistra una figura di uomo barbuto (Mosè?). Una figura china - non si comprende in realtà se uomo o donna - sembra lanciare in terra qualcosa (è Aronne che lancia il bastone che si tramuterà in serpente? Esodo 7, 8-10?). (oppure è forse l'istituzione della festa di Pasqua come rito perenne, e in quel caso la figura chinata potrebbe essere un'altra danzatrice? Esodo 12, 14?)

 

Tondo n. 1dx. Il passaggio del Mar Rosso: Mosè col suo magico bastone richiude le acque del mare sul faraone e il suo esercito, che si vedono quindi travolti dai flutti. Il popolo di Israele, con donne e bambini, è ormai in salvo sulla riva; in primo piano la figura di un sacerdote, che regge una cassetta - forse simboleggiante l'Arca (Esodo 14, 15-29).

Tondo n. 2dx. La scena sembra rappresentare il momento in cui Mosè, su indicazione del Signore, col suo bastone fa scaturire l'acqua dalla roccia, calmando la popolazione che protestava scontenta. Il paesaggio è fatto di aguzzi picchi rocciosi; in secondo piano le tende degli accampamenti e in primo piano molte persone, che rimangono piene di meraviglia difronte a Mosè, raffigurato col bastone ancora alzato. Le pecore già si stanno abbeverando al ruscello sgorgato miracolosamente. Il Signore benedice dall'alto della roccia (l'Oreb) (Esodo 17, 5-6 e Numeri 20, 8-11).

Tondo n. 3dx. In primo piano una battaglia fra cavalieri armati, di opposte fazioni. Ci sono già vittime, e nonostante l'affresco non sia ben conservato, sembra di riconoscere che il gruppo di cavalieri sulla destra stia ritirandosi, mentre i cavalieri di sinistra sono rivolti indietro come per incitare i rinforzi. Si vedono a sinistra le tende di un accampamento, ai lati le valli boscose e in mezzo un monte roccioso in cima al quale una figura è inginocchiata in preghiera a braccia alzate. Forse si tratta della 'battaglia contro Amalek' (Esodo 17, 8-11) in cui è la preghiera di Mosè, a braccia continuamente alzate, a determinare la vittoria degli Israeliti (anche se nel testo biblico altre due figure - Aronne e Cur - sono sul monte insieme a Mosè e gli sostengono le braccia)

Tondo n. 4dx. L'affresco illustra almeno tre momenti dell'Esodo: a) la consegna delle Tavole a Mosè da parte del Signore, in cima al monte Sinai; b) Mosè che scende dal monte reggendo le Tavole e rivolgendosi al suo popolo; c) il popolo che è rivolto da tutt'altra parte ed è intento ad adorare, inginocchiato, la statua del vitello d'oro (Esodo 32, 1-16; Deuteronomio 9, 9-16). Tondo n. 5dx. La scena illustra il popolo d'Israele affollato accanto al palo su cui è issato il serpente di bronzo (rappresentato in realtà in forma di draghetto. Numeri 21, 8-9. In secondo piano le tende dell'accampamento, sul fondo i profili delle alture aguzze - qualcuna ha in cima una torre. (L'affresco è deteriorato e non consente di capire se sulla destra, a lato delle tende, vi siano delle quinte costruite con arcate oppure dei filari di alberi).

Tondo n. 6dx. L'affresco sembra raccontare di re Davide, inginocchiato per chiedere a Dio perdono per aver intrapreso il censimento (a destra in primo piano si vede un banco e uno scrivano). Una folla è già ammassata sulla sinistra mentre una fila di persone esce dalla città ben fortificata (probabilmente per farsi registrare). In primo piano qualcuno impaurito cerca di ripararsi dalla minaccia, poiché un angelo già sopraggiunge a spada alzata, ad annunciare la punizione divina per il grave atto di superbia del re (2 Samuele 24, 1-15)

Tondo n. 7dx. E' illustrato il giudizio di re Salomone, relativo alle due donne che reclamavano per sé lo stesso figlioletto (1 Re 3, 16-28).

Tondo n. 8dx. Salomone accoglie la regina di Saba, che gli offre dei doni. Questo tondo è tra gli affreschi meglio conservati e permette di apprezzare la finezza dei dettagli delle scene (1 Re 10, 1-13).

Tondo n. 9dx. La scena sembra raffigurare un re (Salomone?) assiso sul suo alto trono con lo scettro in mano (un trono assiro, a giudicare dai leoni alati che lo decorano) e circondato da musici che suonano strumenti musicali (si riconoscono trombe, cetre, arpe, forse cimbali). Ai suoi piedi i cortigiani; in prima fila e seduti stanno i saggi (o sacerdoti). Proprio di fronte al re e a tutti gli altri c'è una colonna sulla quale è innalzata l'elegante statua di una divinità di fattezze umane, che regge un globo (forse il dio Camos o il dio Milcom, che corrisponde probabilmente a Moloch [37]). La statua è di colore mattone: l'unica contravvenzione al monocromo che caratterizza i tondi del refettorio. Il re sembra indicare qualcosa, che forse sta arrivando dal cielo; sembra che le nuvole stiano per oscurare il sole (è forse in arrivo lo sdegno del Signore). A sinistra, vicino alla colonna dell'idolo, alcuni corpi giacciono scomposti a terra, mentre in corrispondenza di una grande porta di una costruzione (una prigione?) si vedono delle figurette in atto di preghiera. Tra queste figure e il paesaggio che fa da sfondo si intravede l'arrivo di un cavaliere, che sta forse portando una notizia. Questa scena potrebbe rappresentare l'idolatria di Salomone nei suoi ultimi anni di vita, quando tradisce il Signore per rivolgersi agli idoli delle sue numerose donne straniere - mogli e concubine (1Re 11, 5-13)

 

Descrizione dei tondi in corrispondenza delle estremità delle pareti di testata

A sinistra del sacrificio di Isacco:

Il tondo è molto bello, idealmente suddiviso da un esile alberello centrale: nella parte sinistra è raffigurato un vigoroso soldato catturato, con le braccia alzate sopra la testa e legate ad un albero. Il suo scudo e la faretra sono appoggiati lì accanto. Un gruppo di soldati, vestiti allo stesso modo e perciò appartenenti allo stesso esercito (romano?), è raffigurato in piedi sulla destra. Si tratta di 4 personaggi: un primo soldato sembra apostrofare il prigioniero; un secondo sembra stare in ascolto, mentre armeggia con la sua lancia (il suo elmo ha curiose orecchie d'asino); un altro soldato, mentre tiene lo scudo appoggiato a terra, sembra intento ad ascoltare ciò che gli viene sussurrato dalla quarta figuretta, che la fotografia non permette di riconoscere se di quarto soldato o di diverso personaggio (che forse è femminile - forse una delatrice o calunniatrice?). Il sentiero in primo piano serpeggia fino alla porta di una città le cui torri si stagliano sul profilo dei rilievi collinari.

A destra del sacrificio di Isacco:

La scena si svolge alle porte di una città molto importante, a giudicare dai suoi magnifici palazzi; un manipolo di cavalieri ne sta uscendo. L'affresco è lacunoso; si vedono in primo piano tre figure in piedi, con copricapi di foggia orientale (forse sacerdoti, forse saggi; gli abiti suggeriscono ruoli diversi); davanti a loro, un uomo anziano è malamente legato (appeso) ai rami di un albero. In secondo piano è una figura seduta: forse il re o un'alta autorità che deve giudicare (manca la parte superiore della figura)

A sinistra della scena col banchetto:

La scena descrive la caduta da un carro di un personaggio altolocato (forse un re o governatore), tra la sorpresa dei soldati che lo stanno scortando. Il carro (una biga) è trainato da due cavalli e a cavalcione di uno di questi è un bambino (o almeno sembra un bambino). In cima al drappello sembra esserci una donna (a giudicare dai capelli raccolti nel velo) che regge però una lancia come quella dei soldati - questi hanno gli stessi elmi e le stesse lance che si vedono dipinte nell'affresco della Crocifissione, sono quindi soldati romani. Il personaggio caduto ha perso il suo copricapocorona (deve aver battuto la testa e forse è perito).

A destra della scena del banchetto:

Un angelo sterminatore arriva volando a cavallo di un destriero, la spada sguainata; accanto a quella che sembra essere la porta di una città, pare di intravedere, nonostante la caduta del colore, un personaggio disarcionato - anche il suo cavallo è abbattuto. Sulla sinistra due soldati assistono inorriditi alla scena; dietro di loro una terza figura, forse femminile, fa per allontanarsi. La fotografia non consente di comprendere davvero se il personaggio disarcionato abbia il corpo coperto da piaghe.

 

Un primo approccio al messaggio iconografico dei cicli degli affreschi

Il messaggio iconografico sembra molteplice e rivolto a una variegata tipologia di interlocutori. Il messaggio più evidente è quello degli affreschi di testata, con i temi consueti per i refettori conventuali: la Crocifissione rappresenta l'immolazione di Cristo per riscattare i peccati dell'umanità, e quindi la Redenzione, la Salvezza, il compimento della Promessa di una nuova vita dopo la morte (con la resurrezione simbolizzata dal pellicano). L'Ultima cena celebra l'istituzione dell'Eucarestia. Entrambe indicano il passaggio irreversibile dal Vecchio al Nuovo Testamento. La tavola poco imbandita potrebbe forse alludere alla sobrietà proposta dalla regola di S. Agostino. L'affresco dell'Ultima Cena viene reso particolarmente coinvolgente da un dettaglio che non sembra consueto: lo sguardo di Gesù si infigge in quello di chi osserva il dipinto - di chi è ai tavoli del refettorio, quindi idealmente partecipe della stessa Cena; sembra silenziosamente interrogare se esista anche dentro ogni commensale un potenziale tradimento... è un invito pacato e mite ad un esame di coscienza. I maestri agostiniani dipinti nelle lunette sono da un lato l'autocelebrazione dell'Ordine, con le figure che si sono distinte per autorità spirituale e culturale nella sapienza delle lettere, della teologia, nella predicazione, nella scienza; dall'altro la vivacità e disinvoltura con la quale sono raffigurati sembra renderli una comunità di personaggi attuali e vicini, alla portata [38]: quasi un invito a interloquire con loro. Un invito che può essere rivolto agli allievi che intraprendono gli studi ma almeno altrettanto alle loro famiglie, facilmente non prive di rilievo sociale. La quantità di libri che occhieggia da ogni lunetta indica anche ad un distratto come l'importanza dell'apprendimento e dello studio siano propri dell'Ordine e non soltanto di singoli suoi membri [39]. Ad ogni lunetta corrisponde un soprastante tondo con una scena biblica: forse la sapienza simboleggiata dai libri deve essere relazionata ai testi sacri dell'Antico e Nuovo Testamento. In ogni caso, ciò che si percepisce è che questi monaci sono colti, sì, ma non bigotti; ognuno di loro può conservare e sviluppare una sua specificità e atteggiamento. Gli Agostiniani sembrano aver spesso ricoperto il ruolo di colti e abili diplomatici, consiglieri e interlocutori delle classi patrizie, figure di interfaccia dialoganti con poteri laici e poteri ecclesiastici (ricordo un unico bastevole esempio: fu un padre generale agostiniano a fare da negoziatore tra la Repubblica di Venezia e Francesco Sforza nella Pace di Lodi, a seguito della quale Crema passò definitivamente a Venezia, nel 1454 [40]. Anno in cui, del resto, fu nominato arcivescovo di Milano un fratello dello Sforza, il quale aveva precedentemente abbandonato la carriera militare e indossato l'abito degli Eremitani di S. Agostino [41]). Il progetto iconografico del refettorio cremasco sembra sottolineare con cura questo ruolo dell'Ordine quale interlocutore di regnanti o comunque di chi regge le sorti del popolo [42]. Nei tondi con le storie bibliche ricorrono atteggiamenti di re famosi (Davide, Salomone); in essi si coglie l'importanza che l'azione regnante venga sostenuta dalla fede nell'unico vero Dio, che saprà premiare chi gli è fedele con l'abbondanza di ricchezze e saggezza, così come saprà punire il peccato, l'infedeltà e l'arroganza. Viene evidenziata la responsabilità delle 'guide', oltre che dei re, negli episodi salienti del cammino del popolo eletto verso la Salvezza. La fascia con i fregi che fa da base alle lunette è ritmata da medaglioni con i ritratti dei re di Giuda elencati nei libri dell'Antico Testamento: constato che indipendentemente dalla loro buona o cattiva condotta, essi vengono celebrati per il loro ruolo, di cui sono stati peraltro investiti non per meriti bensì per diritto ereditario [43]. Pare quindi di cogliere una sorta di rassicurazione, di dichiarazione di rispetto per l'autorità costituita: si riconosce "il valore dell'aristocrazia del sangue" [44]. Nelle scelte iconografiche si riscontra anche l'intento di un raccordo tra la tradizione e l'innovazione, non solo tra Antico e Nuovo Testamento, bensì tra la cultura antica e quella moderna: i fregi delle pareti del refettorio e quelli che qua e là si intravedono nelle stesse lunette che simulano interni, fanno ricorso a temi e modalità apertamente profani, una congiunzione con la classicità che nelle lettere e nelle arti figurative si era dimostrata già feconda. Forse i dotti agostiniani, che fondando un nuovo convento a Crema (città le cui chiese e quartieri facevano riferimento a più diocesi) si trovavano ad essere in competizione con i domenicani già insediati  [45], non potevano trascurare di essere protagonisti e promotori del rinnovamento culturale che aveva investito le città italiane e tutte quelle vicine: Cremona, Milano, Pavia, Lodi, Piacenza, Bergamo, Brescia ... le scelte iconografiche avrebbero potuto essere il loro manifesto culturale.

Mi pare si possa affermare che gli artisti che sono stati incaricati di realizzare gli affreschi del refettorio ci abbiano creduto, in questo manifesto culturale: non c'è niente di stanco o annoiato, nei dipinti - tantomeno nelle 'decorazioni' come i fregi o le grottesche. Il legame tra l'architettura del refettorio e il suo progetto decorativo è forte e convinto; il refettorio realmente appare come "uno dei migliori vani della rinascenza lombarda" [46]. C'è poi un aspetto del progetto iconografico, che permea tutto il refettorio e che travalica il rigoroso messaggio didattico: non c'è solo il divertimento dell'architettura virtuale, applicato nella varietà e vivacità di situazioni, ma anche il desiderio di un continuo interscambio tra spazio interno e spazio esterno, quasi un timore claustrofobico... come non si sia voluto trascurare ogni occasione per richiamare all'interno i paesaggi e gli orizzonti che attendono fuori di esso. La luce lega il tutto: la resa plastica dell'insieme e dei dettagli fa divenire reale, comprensibile, dominabile ogni cosa dell'interno e degli illusionistici esterni. Non è la penitenza o la contrizione, l'invito generale che si coglie con i sensi; bensì il suggerimento che l'autorevole guida dei maestri agostiniani porterà a una dilatazione del respiro, con un coordinamento razionale e non costrittivo del tutto; è un invito alle larghe vedute, a muoversi liberamente nello spazio e nella stessa cultura, con disinvoltura e persino - vedi i fregi - con un po' di allegria [47].

 

 

 

Note

 

(1) Rimando alla documentazione d'archivio riportata in un contributo di M. L. Fiorentini, L. Radaelli in "Insula Fulcheria" n. 20/1990 e alla bibliografia indicata nel contributo di M. Marubbi, Note in margine a un restauro: gli affreschi del refettorio di S. Agostino di Crema, in Insula Fulcheria n. 19/1989; vi si trova prevalentemente indicato l'ultimo decennio del Quattrocento; tra i critici citati, W. Terni De Gregory e C. Verga hanno ritenuto il 1497 come probabile anno di costruzione del refettorio.

(2) - Rende incerta questa tesi soprattutto il resoconto del gentiluomo veneziano Marcantonio Michiel, che riferisce dei dipinti del refettorio come di mano di Giovan Pietro Da Cemmo ma nominando solo gli affreschi di testata e le decorazioni della volta. In merito alla data del viaggio di Michiel, in diversi contributi ho letto che sembra attribuibile a non prima del 1520; nella voce relativa a Marcantonio Michiel in treccani.it l'autore G. Benzoni afferma che il M. effettuò l'indagine cognitiva tra i manufatti artistici di Crema e Cremona, Parma e Milano nel luglio-settembre del 1518, restituendo per esteso il resoconto dei suoi appunti solo in anni successivi.

(3) - Una fra tutte: il tempio a pianta centrale di S. Maria della Croce, avviato nel 1490 su progetto di Giovanni Battagio con la collaborazione di Agostino De Fondulis. La costruzione occupò l'ultimo decennio del Quattrocento.

(4) - Le prime restituzioni grafiche dei rilievi fanno pensare che lo schema geometrico di base per lo spazio del refettorio possa essersi rifatto a combinazioni del numero 3 e del numero 4. La sala meriterebbe un rilievo molto accurato, in grado di documentare esattamente anche le rastremazioni delle pareti (percepibili anche a occhio nudo) oltre alle deformazioni della struttura.

(5) - Nell'articolo di C. Verga, Ricupero di un ciclo di affreschi nel refettorio dell'ex convento degli Agostiniani a Crema, in Arte Lombarda 1958 III/I, si legge che i restauri appena avviati avevano individuato le otto finestre monofore, che risultavano murate.

(6) - Ringrazio la prof.sa Maria Bandirali Verga che mi ha fornito la comprensione dell'epigrafe, incisa in forma contratta. Le sono anche molto riconoscente per la bibliografia che mi ha messo a disposizione.

(7) - Qualche esempio noto: nel refettorio del nuovo convento domenicano milanese di S. Maria delle Grazie; nel refettorio della Certosa di Pavia. Lo stesso modello di copertura era usatissimo anche per coprire vani di ben più ridotte dimensioni, come gli androni di ingresso principale ai palazzi, residenziali o amministrativi. Per quanto riguarda S. Maria delle Grazie a Milano, anche per la Sacrestia Vecchia si scelse un'analoga copertura; tradizionalmente attribuita a Bramante e conclusa entro il 1497, la Sacrestia presenta affinità con il refettorio agostiniano cremasco (anche in C. Verga, op. cit., p.91).

(8) - Sara Marazzani, Giovan Pietro Da Cemmo e i dipinti murali del refettorio agostiniano di Crema. Un riesame tecnico, in Insula Fulcheria n. 39/2009 volume A.

(9) - Soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento sembrano molti i riferimenti che avrebbero potuto essere di ispirazione per i personaggi ambientati in interni, raffigurati in prospettiva e di scorcio. Ne cito uno che mi sembra potesse facilmente essere noto sia agli artisti che agli agostiniani committenti: i tondi con i santi Dottori della Chiesa dipinti da Nicolò Pizolo a Padova, nella cappella Ovetari della chiesa degli Eremitani all'incirca nel 1450 (negli anni in cui Pizolo si fece affiancare dal giovane Mantegna). Un riferimento più vicino sono poi i Dottori della Chiesa nella milanese cappella Portinari in S. Eustorgio a Milano, affrescata da Vincenzo Foppa negli anni 1464-1468.

(10) - Come quelli realizzati in edifici sia laici che religiosi da Agostino De' Fondulis. Tutti i fregi sembrano richiamare quelli in terracotta realizzati dal De' Fondulis ad esempio a Milano in San Satiro - chiesa e sacrestia (in collaborazione con Bramante architetto); a Piacenza a Palazzo Landi; a Cremona nei Palazzi Fodri, Stanga-Trecco, Ugolani; a Lodi a Palazzo Mozzanica. Anche nel santuario di S. Maria della Croce a Crema abbiamo quattro suoi 'testoni' di cotto. Così pure a Lodi, in Santa Maria Incoronata. Analoghi fregi, dipinti quasi fossero in rilievo, si ritrovano nella stessa Cremona (chiesa di S. Agostino, cappella con le storie di S. Agostino affidate al Da Cemmo; a Palazzo Raimondi - dove hanno lavorato Gaspare Pedone e gli architetti De Lera; a palazzo Fodri, dove operavano anche Antonio Della Corna e il Da Cemmo); nella Certosa di Pavia; nella chiesa dell'Immacolata a Rivolta D'Adda… Nel volume di Sandrina Bandera, Agostino De' Fondulis e la riscoperta della terracotta nel Rinascimento lombardo, Crema 1997, sono documentate anche fotograficamente le tangenze fra i diversi artisti.

(11) - Una nota di dettaglio: alle estremità del fregio è dipinto mezzo medaglione con mezzo peduccio - risulta ora mancare del tutto il mezzo peduccio a sinistra dell'Ultima Cena.

(12) - L'ipotesi formulata andrebbe vagliata dagli studiosi che si sono occupati degli affreschi del refettorio dal punto di vista storico, artistico e di tecnica esecutiva - sinopie comprese. Cito per brevità i contributi più recenti in "Insula Fulcheria" di Sara Marazzani, op. cit., di Vincenzo Gheroldi, Sinopie di Giovanni Pietro Da Cemmo, in Insula Fulcheria n. 33, dicembre 2003, di Mario Marubbi, op. cit. e M. Marubbi, L'osservanza agostiniana nella Lombardia orientale (1439-1507), I.S.U., Milano, 1992.

(13) - Nel n. 39/2009 di Insula Fulcheria (Volume A), Renata Casarin illustra il progetto di recupero delle sinopie della Crocefissione e della Cena. Nel commento agli affreschi di testata del refettorio aggiunge qualche nota relativa ai due ladroni desunta dai Vangeli apocrifi.

(14) - Dettaglio ricorrente negli affreschi di Pietro Da Cemmo, vedi la Crocifissione nella chiesa di S. Maria Assunta a Esine (mi è capitato di trovare analoga attenzione alle decorazioni degli elmi dei soldati in un'opera di Zenale del 1503, Cristo schernito, Isolabella, Collezione Borromeo. I volti degli aguzzini di Gesù somigliano parecchio ad alcuni visi dipinti anche nel refettorio cremasco). Anche altri dettagli nella composizione dei personaggi ai piedi della croce sono molto simili all'affresco di Esine - vedi il gruppetto dei sacerdoti che parlano preoccupati fra loro. 

(15) - Un primo approccio nella lettura dei paesaggi affrescati nel refettorio si trova nel contributo di E. Bertozzi, A. Carelli, I paesaggi negli affreschi del salone Da Cemmo: prime note per un'identificazione, in "Insula Fulcheria" n. 39/2009, volume A.

(16) - A cura di Francesco Zambon, Il Fisiologo, Milano, Adelphi, 2002, p. 43. Il dettaglio del sangue effuso sui piccoli si accorda inoltre bene con la tradizione ebraica antica, in cui il sangue delle vittime immolate veniva sparso sul popolo al fine di purificarlo. Cristo con il sangue uscito dalle sue ferite chiude definitivamente la tradizione dell'immolazione che permea l'intero Antico Testamento, dopo avere istituito la rivoluzionaria celebrazione dell'Eucarestia. 

(17) - Tutti i critici che si sono occupati degli affreschi del refettorio hanno commentato i rapporti tra il refettorio agostiniano cremasco e quello domenicano milanese del convento di S. Maria delle Grazie, particolarmente per l'affresco dell'Ultima Cena, là dipinta da Leonardo Da Vinci nel periodo 1494- 1497 e incontestato modello di riferimento per la Cena cremasca. Questa relazione tra i due refettori si conferma anche per l'affresco della Crocifissione, che nel convento di Milano fu siglato nel 1495 da Donato Montorfano. Vi si riscontra un paesaggio importante e articolato, altrettanto protagonista della scena; soprattutto si riscontra la linea netta delle nuvole nere, sotto la quale il paesaggio si apre e lo sguardo affonda. Quell'effetto di luce che vince la tenebra, di grandiosa schiarita, ha probabilmente colpito i padri agostiniani, che l'hanno voluto replicare nel convento di Crema. La cornice superiore dell'affresco milanese è risolta con sottarchi dipinti in corretta prospettiva, ma privi delle colonne di appoggio come invece è stato deciso per l'analoga parete cremasca. Per quanto riguarda invece il convento agostiniano milanese dell'Incoronata, la straordinaria ricostruzione grafica dell'affresco della Crocefissione (eseguito dopo il 1510, anno di costruzione del refettorio) permette di riscontrare un'evoluzione dell'architettura scenica che diventa più complessa rispetto a quella dipinta a Crema, con ripercussioni anche sui soggetti dipinti. Vedi Maria Luisa Gatti Perer, Cultura e spiritualità dell'Osservanza agostiniana: l'Incoronata di Milano, in Arte Lombarda n. 127, 1999/3 (vi si trova anche il riferimento alla Crocifissione che il Perugino affrescò negli anni 1493-1496 a Firenze per il Capitolo dei Cistercensi di Santa Maria del Castello. Il Perugino era ben conosciuto dagli agostiniani, tanto che nel 1494 una pala commissionata all'artista fu collocata nella loro chiesa a Cremona).

(18) - Il Gesù dell'Ultima Cena non ha la stessa fisionomia del Gesù che è stato crocifisso.

(19) - E' stato già suggerito che il decoro possa essere una forma di scrittura - forse la stessa che si riscontra nei bordi dei mantelli dei personaggi nelle lunette.

(20) - E' un motivo decorativo riscontrabile anche nella copertura di un atrio interno di palazzo Fodri a Cremona (la bibliografia consultata lo assegna al disegno dell'architetto Guglielmo De Lera); è echeggiato anche nella singolare decorazione delle imbotti della volta di S. Maria Immacolata a Rivolta d'Adda, dove è riportata la data 1506. Il motivo dei cerchi agganciati ortogonalmente fra loro da fascette si riscontra già nella camera picta affrescata da Mantegna nel Palazzo Ducale a Mantova: sia nelle pareti sia nell'illusionistico pozzo prospettico centrale.

(21) - Non è chiaro se ciò sia funzionale all'effetto illusionistico; la stessa diversa ampiezza di cornice è però osservabile anche per l'arco centrale della Crocifissione, dove anzi è sottolineata dalla digradante dimensione dei clipei.

(22) - L'incisione fu eseguita su disegno del Bramante nel 1481 a Milano da Bernardo Prevedari. Ebbe grande diffusione e svolse un ruolo di compendio del linguaggio architettonico che Bramante proponeva. Vi si trovano ad esempio oculi zenitali, sottarchi con lacunari e rosette, fregi e decorazioni con motivi antiquari, medaglioni con profili di imperatori, busti inseriti in oculi parietali ('testoni').

(23) - Non è dato di sapere se questo fregio si raccordasse con un'analoga decorazione sulle pareti laterali, forse anche alla base della stessa Crocifissione. Se fosse stato così, si sarebbe disegnato un doppio 'anello' lungo le quattro pareti del refettorio (alla quota della virtuale trabeazione e alla quota di un alto zoccolo), raggiungendo un formidabile effetto di unitarietà e compattezza dello spazio interno.

(24) - Il sottarco decorato a lacunari con rosette è un altro dettaglio presente nell'incisione Prevedari. Usato architettonicamente anche in San Satiro a Milano, era del resto molto diffuso anche nei dipinti della seconda metà del Quattrocento (lo stesso Da Cemmo l'aveva già utilizzato ad esempio per i Dottori della Chiesa affrescati nel 1500 a Breno, in S. Antonio).

(25) - Nella bibliografia sull'Osservanza la rappresentazione pittorica dei padri agostiniani che si sono distinti per santità o doti intellettuali viene evidenziata come caratteristica dell'Ordine, come a Brescia nella Libreria del convento di San Barnaba, o a Milano nel convento dell'Incoronata. A differenza dei casi citati, le lunette cremasche sono prive di cartigli identificativi dei personaggi. Forse un esperto di epigrafi potrebbe riuscire a comprendere se i bordi dei piviali siano solo decorazioni oppure anche caratteri di scrittura. Se anche per i magistri cremaschi valesse la sequenza cronologica riconosciuta per le storie bibliche e i medaglioni con i Re, ne conseguirebbe che il monaco che indica la costruzione della chiesa e del convento (prima lunetta a destra, entrando nel refettorio) sarebbe l'ultimo in ordine cronologico.

(26) - Per il rapporto degli Agostiniani con i libri vedi M. L. Gatti Perer, op. cit.,p. 46

(27) - A Milano si trova uno spazio il cui progetto iconografico presenta particolari analogie con quello del refettorio agostiniano cremasco: è la sala capitolare di S. Maria della Passione, affrescata negli anni 1510-1515 dai Bergognone. Anche in quel caso il progetto dell'affrescatura è fortemente legato allo spazio architettonico: nella parte inferiore delle pareti un illusionistico porticato, aperto su ampi e sereni paesaggi, inquadra santi e personaggi importanti dei Canonici Lateranensi, cui la chiesa e il convento erano affidati. Sopra questo porticato, collocati nelle lunette sotto la volta di copertura, sono dipinti personaggi vescovi in modalità analoga a quanto avviene nel refettorio cremasco (i Canonici Lateranensi erano anch'essi un ordine legato al papato, come gli Osservanti agostiniani; e seguivano anch'essi la regola di S. Agostino). Sarebbe interessante indagare se possa esserci stato un rapporto tra le relative maestranze impegnate, anche in riferimento ai dubbi suscitati dai resoconti del Michiel in merito alla data di completamento dell'affrescatura del refettorio cremasco.

(28) - S. Bandera, op. cit.: Vi sono documentate la formazione artistica, le relazioni e le tangenze artistiche tra De' Fondulis, Battagio, Bramante e l'intensa produzione artistica che coinvolse le città padane sul finire del Quattrocento e agli inizi del Cinquecento. Agostino De' Fondulis risulta attivo a Crema e dintorni nel periodo di edificazione e decorazione del refettorio agostiniano (che è lo stesso periodo in cui viene completata la costruzione del tempio di S. Maria della Croce).

(29) - A cura di M. C. Bonazzoli, La chiesa dell'Immacolata. Tracce di Leonardo a Rivolta d'Adda, Milano, 2007, p. 50.

(30) - Bernardo Zanini, Il simbolismo alchemico di Pietro da Cemmo, in "Insula Fulcheria" n. 42/2012.

(31) - Alfredo Puerari, Gli affreschi cremonesi di Giovanni Pietro Da Cemmo, in "Bollettino d'Arte" n. III, Roma, luglio-settembre 1952. Maria Luisa Ferrari, Giovan Pietro Da Cemmo. Fatti di pittura bresciana del Quattrocento, Milano 1956, in particolare il capitolo "Il ciclo agostiniano di Cremona. La svolta « rinascimentale» di Giovan Pietro Da Cemmo", pp. 93-115 e relativo apparato fotografico.

(32) - Prima di Acazia dovrebbe figurare anche suo padre Ioram, ma che sia stato omesso può non stupire se si leggono i passi biblici che parlano di lui (2 Cronache, 21). Dopo Acazia, che fu ucciso dopo un solo anno di regno, viene comprensibilmente ignorata anche la reggenza di sua madre Atalia, che sei anni dopo finì con l'essere anch'essa uccisa.

(33) - Dopo Acaz sorprende che manchi il ritratto di Ezechia, che pure è stato un re importante e riformatore

(34) - Nella sequenza dei re ci sono alcune cancellazioni, correzioni, omissioni, errori nella corretta sequenza, infine una ripetizione (il re Ozia è scritto due volte: ultimo della prima sequenza e primo della seconda sequenza) che fanno pensare che gli incaricati di scriverne i nomi fossero più di uno e che si possa essere verificata un bel po' di confusione in proposito, al punto da rendere arduo intervenire per correggere definitivamente.

(35) - Già A. Puerari e M. L. Ferrari, op. cit., evidenziavano una relazione tra la decorazione di P. Da Cemmo e la miniatura; anche altri critici hanno avvalorato una diretta compartecipazione di miniaturisti - o quantomeno della miniatura come fonte di ispirazione; ma particolarmente M. Marubbi (vedi entrambe le opere citate) ha sviluppato questo rapporto, evidenziando l'intensa attività di miniaturista dello stesso Da Cemmo, su commissione dei medesimi padri agostiniani di Crema.

(36) - Una luce in questo senso potrebbe essere data, oltre che da esperti della spiritualità agostiniana o esperti biblisti, anche dalla lettura delle norme emanate dal Capitolo Generale di Montespecchio del 1449, riguardanti l'iconografia da privilegiare. A tale Capitolo dell'Osservanza agostiniana parteciparono Giovan Rocco da Pavia, Giovanni da Novara, Giorgio da Cremona, padri autorevoli tutti strettamente legati alle sorti del convento di Crema.

(37) - Nelle pagine bibliche dei Re e delle Cronache ricorre spesso il rimprovero del Signore, tradito a favore degli dei dei popoli dell'area mediorientale: Baal, Astarte, Camos, Milcom, Moloch… e molti altri, i cui nomi potrebbero essere spesso interscambiabili. Queste divinità richiedevano in sacrificio l'immolazione dei figli primogeniti: che venivano scannati e "passati per il fuoco". Man mano che si prosegue nella lettura del Vecchio Testamento, si incontra sempre più veemente la condanna netta del Signore nei confronti di questa crudele usanza.

(38) - Persino i paesaggi delle lunette sembrano appartenere ad uno stesso ambito territoriale; sarà una sensazione di familiarità complessiva, quella che si intendeva ostentare? Un ulteriore elemento di unità? 

(39) - Molti di essi sono stati formati a Padova, o comunque da Padova sono transitati. Città che nel corso del XV secolo fu uno dei centri più vivaci del Rinascimento italiano ed europeo. La sua Università era così ricca di materie di studio (diritto giuridico, astrologia, geometria, ottica compresi gli studi di prospettiva e rifrazione della luce, teologia, medicina...) che si è perfino sdoppiata, generando nel 1399 due rami autonomi: universitas iuristarum e universitas artistarum. Nel Quattrocento diventò il principale centro di studi della Repubblica di Venezia. Il convento padovano degli Eremitani di S. Agostino divenne anch'esso un punto di riferimento obbligato, grazie agli artisti ingaggiati per ornare la sua chiesa.

(40) - Padre Simeone - o Simonetto - da Camerino, della Congregazione di Monte Ortone.

(41) - Gabriele Sforza (alla nascita Carlo Sforza), arcivescovo di Milano dal 1454 al 1457, anno della sua morte.

(42) - Winifred Terny De Gregory, Fra Agostino da Crema agente sforzesco, Crema, 1950. La lettura di questo testo, disponibile anche in internet, restituisce un quadro efficacissimo del periodo in cui nacque e si sviluppò da Crema l'Osservanza di Lombardia, e descrive assai bene il ruolo dei religiosi verso le famiglie regnanti; questi costituivano e tessevano una rete di contatti che si sovrapponeva alle divisioni politico-amministrative e che risultava insostituibile per le relazioni diplomatiche. Un'analoga rete inter-stato e sovra-stato doveva essere costituita dagli artisti e relative botteghe, chiamate ad operare dagli Enti ecclesiastici e dalle stesse Autorità civili in luoghi magari appartenenti ad amministrazioni fra loro contendenti.

(43) - Un diritto ereditario alla base del quale c'è la promessa che Jahwhè fa a Davide, per mezzo del profeta Natan, di assicurare alla sua discendenza la stabilità del regno, nonostante lo scisma che dopo Salomone dividerà le tribù di Israele dalle tribù di Giuda (vedi 2 Samuele 7, 12-16).

(44) - Pare di cogliere un nuovo legame con l'epoca classica: «…in società antiche come quelle della Grecia e di Roma […] l'aristocrazia del sangue aveva sempre grande valore» dalla Voce: 'Genealogia', in Treccani. it - L'Enciclopedia Italiana.

(45) - Nel refettorio dell'ex convento di San Domenico a Crema (oggi foyer del teatro), gli affreschi rimasti testimoniano l'aggiornamento rinascimentale, con personaggi domenicani che si affacciano da illusionistici oculi dipinti di scorcio.

(46) - C. Verga, op. cit., p. 90.

(47) - Nei contributi di Maria Luisa Gatti Perer, Il complesso conventuale di S. Maria Incoronata a Milano, di Claudia Giannetto, Caratteri iconografici dell'Osservanza agostiniana nella chiesa di S. Agostino di Cremona, di Raffaella Seveso, La biblioteca del convento bresciano decorata da Giovan Pietro da Cemmo, in: AA VV., Società, cultura, luoghi al tempo di Ambrogio da Calepio, Bergamo, 2005, Ed. dell'Ateneo, sono sviluppate molte relazioni tra l'iconografia dell'Osservanza e gli insegnamenti di S. Agostino. Vi sono citati anche i contributi dati da un testo presente nelle biblioteche agostiniane e molto apprezzato: La Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Qui, nelle note relative alla Passione di Cristo, venivano ricordate le parole di S. Agostino: «Ci stupiremo, ci rallegreremo, ameremo, loderemo, adoreremo perché attraverso la morte del nostro redentore siamo stati chiamati dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla corruzione alla purezza, dall'esilio alla patria, dal pianto alla gioia» (in C. Giannetto, op. cit, p. 299). Il programma iconografico del refettorio cremasco sembra pertanto riflettere la 'rinascimentale allegrezza' per i doni spirituali e intellettuali dei discepoli agostiniani del Signore.