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opera omnia di sant'agostino:  DE MUSICA

Agostino vescovo di Perugino

Agostino vescovo, opera del Perugino

 

 

DE MUSICA

Libro quinto

 

 

TEORIA DEL VERSO

Teoria generale del verso (1, 1 - 3, 4)

 

Il verso si distingue dal metro ...

1. 1. Maestro - Fra i letterati antichi si discusse con accesa polemica sulla natura del verso e il buon esito non è mancato. Ne fu specificato il concetto che, trasmesso mediante la letteratura alla conoscenza dei posteri, è stato convalidato non solo dalla tradizione ma anche da una teoria scientificamente autorevole. Gli antichi dunque hanno rilevato che tra metro e ritmo esiste questa differenza, che ogni metro è un ritmo, ma non ogni ritmo è un metro. Infatti ogni regolare contesto di piedi è numeroso e poiché il metro lo ha, esso non può non essere numero, cioè non essere ritmo. Ma non è la medesima cosa essere svolto con piedi, sia pure regolari, ma senza un limite determinato ed avere sviluppo, sempre con piedi regolari, ma esser conchiusi in un limite determinato. Quindi le nozioni dovevano essere distinte anche col nome, in modo che il primo fosse chiamato con significato proprio soltanto ritmo e il secondo fosse tanto ritmo da essere chiamato anche metro. D'altra parte, tra i ritmi che hanno un determinato limite, cioè i metri, ve ne sono alcuni, nei quali non si ha la regola di una divisione verso il mezzo ed altri, nei quali si ha costantemente. Si doveva dunque segnalare con dei nomi anche questa differenza. Perciò quella forma di ritmo, in cui non si ha questa regola, prende propriamente il nome di metro, hanno invece chiamato verso quel metro in cui si ha. Il ragionamento stesso ci mostrerà forse l'etimologia di questa denominazione mentre avanziamo nell'esame. Ma non pensare che la norma sia così tassativa da non permettere di chiamare versi anche altri metri. Però un conto è l'abusare di una parola sul fondamento di una somiglianza e altro il significare un oggetto col proprio nome. Ma basta con la terminologia. In materia hanno valore determinante, come abbiamo appreso, l'accordo dei dialoganti e la tradizione dell'antichità. Col nostro metodo esaminiamo dunque, se vuoi, queste altre strutture con l'udito che le fa percepire, con la teoria che ne fa avere conoscenza. Riconoscerai così che gli antichi non hanno stabilito le nozioni in parola, come se esse non esistessero già interamente e compiutamente nelle cose, ma che le hanno soltanto scoperte col ragionamento e designate con un nome.

 

... perché proporzionalmente divisibile in due cole.

2. 2. Dunque ti chiedo prima di tutto se un piede diletta l'udito per una ragione diversa da quella che in esso le due parti, poste una in levare ed una in battere, si implicano con ritmica proporzione.

Discepolo - Ho avuto già in precedenza una conoscenza certa del tema.

Maestro - E si dovrebbe supporre che il metro, il quale evidentemente è formato da un insieme di piedi appartiene alla categoria delle cose indivisibili? Intanto l'indivisibile non potrebbe estendersi nel tempo e del tutto irrazionalmente si penserebbe che è indivisibile ciò che è formato di piedi divisibili.

Discepolo - Non posso non ammettere questa divisibilità.

Maestro - E tutte le cose divisibili non sono forse più belle se le loro parti, anziché essere discordi e dissonanti, si armonizzano in una determinata proporzione?

Discepolo - Senza dubbio.

Maestro - E quale numero è operatore di una divisione proporzionale? Il due?

Discepolo - Sì.

Maestro - Abbiamo accettato allora che il piede si divide in due parti proporzionali e proprio per questo diletta l'udito. Se troviamo dunque un metro di tale fattura, non dovrà esser considerato giustamente più perfetto di quelli che non lo sono?.

Discepolo - Sono d'accordo.

 

Differenza e non invertibilità dei due cola.

3. 3. Maestro - Bene. Ed ora rispondimi sul tema seguente. In tutte le cose che si misurano secondo una porzione di tempo, ve n'è una che precede, una che segue, una che dà inizio ed una che pone fine. Ora secondo te, esiste una differenza fra la porzione che precede all'inizio e quella che segue alla fine?

Discepolo - Sì, credo.

Maestro - Dimmi dunque quale differenza esiste fra questi due emistichi, dei quali uno è: Cornua velatarum e l'altro: Vertimus antennarum (1). Noi non usiamo, come il poeta, la parola obvertimus. Se dunque il verso si enuncia così: Cornua velatarum vertimus antennarum, ripetendolo più volte non diviene incerto forse quale sia il primo e quale il secondo emistichio? Infatti il verso si regge ugualmente se si pronuncia così: Vertimus antennarum cornua velatarum.

Discepolo - Secondo me, è proprio incerto.

Maestro - E pensi che si debba evitare?

Discepolo - Sì.

Maestro - Osserva se in quest'altro verso è stato sufficientemente evitato. Il primo comma: Arma virumque cano e il secondo: Troiae qui primus ab oris. Essi differiscono fra loro a tal punto che se cambi la disposizione e li pronunci così: Troiae qui primus ab oris, arma virumque cano, bisogna scandire piedi diversi.

Discepolo - Capisco.

Maestro - Esamina se tale proporzione è stata osservata nei seguenti. Puoi avvertire infatti che la scansione del comma: Arma vi/rumque ca/no// è la medesima di: Itali/am fa/to//, Littora/ multum il/le et//, Vi supe/rum sae/vae//, Multa quo/que et bel/lo//, Infer/ retque de/os//, Alba/nique pa/tres//. Per non farla lunga, esaminane altri finché vorrai e troverai che questi commi iniziali hanno la medesima misura, cioè costituiscono un comma al quinto semipiede. Assai raramente si dà l'eccezione, sicché non meno proporzionali sono fra di loro i commi che seguono ai precedenti: Tro/iae qui/ primus ab/ oris, Profu/gus La/vinaque/ venit, Ter/ris iac/ tatus et/ alto, Memo/rem Iu/nonis ob/iram, Pas/sus dum/ conderet/ urbem, Lati/o genus/ unde La/tinum, At/que altae/ moenia/ Romae (2).

Discepolo - È chiarissimo.

 

Etimologia del termine verso.

3. 4. Maestro - Dunque cinque e sette semipiedi dividono in due cola il verso epico che, come è ben noto, si compone di sei piedi di quattro tempi ciascuno. E non si dà verso senza una proporzione, questa o altra, fra i due cola. E in tutti i versi, come la nostra argomentazione ha verificato, si deve osservare questa norma che non si può mettere il primo emistichio a posto del secondo né il secondo a posto del primo. Altrimenti, non si chiamerà verso, se non con abuso del nome. Sarà un ritmo o un metro, come quelli che qualche rara volta si interpongono in lunghe composizioni poetiche e non son privi di bellezza, ad esempio il metro che ho ricordato poco fa: Cornua velatarum vertimus antennarum. Pertanto non sono d'opinione che sia chiamato verso, cioè volto, dal fatto che, come molti ritengono, da una fine determinata si torna a ripetere il medesimo ritmo. Il nome deriverebbe così dall'atto di chi si volge per tornare indietro sulla via. È evidente però che questa proprietà gli è comune con metri che non sono versi. Piuttosto forse per opposizione ha avuto il nome, allo stesso modo che i grammatici hanno chiamato deponente il verbo che non depone la lettera finale r, come lucror e conqueror. Così il metro che si compone di due commi, dei quali l'uno non può essere messo a posto dell'altro, nel rispetto della legge dei ritmi, è chiamato verso perché non può subire l'inversione. Ma anche se tu accetti l'una o l'altra etimologia o le riprovi tutte e due e ne cerchi un'altra, o se disprezzi, come me, tutte le questioni di questa portata, per ora non ha alcuna importanza. Giacché è evidente il concetto stesso che è significato dal nome, non ci si deve affannare a cercarne l'etimologia, a meno che non hai da dire qualche cosa in proposito.

Discepolo - Io no, ma passa al resto.

 

 

Teoria dei cola e della scansione (4, 5 - 6, 12)

 

Senso e teoria ...

4. 5. Maestro - Segue la trattazione sulla conclusione del verso. I letterati, o meglio la ragionevolezza, hanno voluto che essa fosse distintamente caratterizzata da una qualche differenza. Non è meglio dunque, secondo te, che la fine, in cui lo svolgimento del ritmo si arresta, si distingua senza violare l'eguaglianza dei tempi, anziché confondersi con le altre parti che non chiudono?

Discepolo - Non v'è dubbio che è da preferirsi ciò che si distingue di più.

Maestro - Considera dunque se con ragione taluni hanno voluto che lo spondeo fosse la chiusura distintiva del verso epico. Infatti nelle altre cinque sedi è consentito porre esso o il dattilo, ma alla fine soltanto lo spondeo. E il fatto che alcuni lo considerano un trocheo si verifica a causa dell'indifferenza dell'ultima sillaba, sulla quale si è sufficientemente parlato trattando dei metri. Però a voler sentire costoro, il senario giambico non sarà un verso o lo sarà senza questa nota distintiva della fine. Ma l'una e l'altra spiegazione è assurda. Infatti nessuno dei più dotti ed anche di quelli che sono in possesso d'una media e perfino infinita cultura ha mai dubitato che questo sia un verso: Phaselus ille quem videtis hospites (3), o ogni altra composizione poetica col medesimo ritmo. Eppure i letterati più autorevoli perché più dotti hanno ritenuto che un ritmo senza finale riconoscibile non si deve considerare verso.

 

... e nota distintiva di fine verso.

4. 6. Discepolo - È vero. Suppongo dunque che si deve cercare un'altra nota distintiva della sua chiusura e che non si debba accettare quella posta nello spondeo.

Maestro - E puoi dubitare che, qualunque essa sia, non consista nella differenza o del piede o del tempo o di tutti e due?

Discepolo - E come potrebbe altrimenti?

Maestro - Ma infine quale di queste tre ammetti? Il finire il verso affinché non vada oltre il richiesto riguarda soltanto la misura del tempo. Io penso dunque che la nota distintiva deve esser desunta dal tempo. O tu la pensi diversamente?

Discepolo - Anzi son d'accordo.

Maestro - Ora il tempo può avere in questo caso la sola differenza che uno sia più lungo ed un altro più breve, perché quando si pone termine al verso, si ottiene che non sia più lungo. Non comprendi dunque che la nota distintiva della fine consista in un tempo più breve?

Discepolo - Sì che lo capisco. Ma a che allude la tua precisazione " in questo caso "?

Maestro - A questo: non intendiamo dire che in tutti i casi la differenza di tempo consiste nella sola brevità o lunghezza. Tu non puoi affermare che la differenza dell'estate e inverno non appartiene al tempo, ma d'altra parte non la puoi far consistere in una durata più o meno lunga, anziché nella violenza del freddo e caldo, dell'umidità e siccità o altro fenomeno del genere.

Discepolo - Ora capisco e ammetto Che questa nota distintiva della chiusura deve esser desunta dalla brevità del tempo.

 

I due cola tendono ad eguagliarsi.

4. 7. Maestro - Ascolta dunque questo verso: Roma/, Roma/, cerne/ quanta/ sit de/um be/nigni/tas. È detto trocaico. Tu scandiscilo e dimmi che cosa rilevi sui cola e sul numero dei piedi.

Discepolo - Sui piedi posso rispondere agevolmente. È chiaro che sono sette piedi e mezzo. L'argomento dei cola invece non è così elementare. Mi accorgo che un comma può esser chiuso in più punti, suppongo però che la divisione si abbia all'ottavo semipiede. Così il primo colon sarebbe: Roma, Roma, cerne quanta, e il secondo: sit deum benignitas.

Maestro - E quanti semipiedi ha?

Discepolo - Sette.

Maestro - È proprio la ragione che ti ha guidato. Niente è da preferirsi all'eguaglianza e la si deve ottenere nel dividere. E se non la si può ottenere, se ne deve cercare l'approssimazione per non allontanarsene troppo. Pertanto poiché questo verso ha quindici semipiedi, non può essere diviso in maniera più equa che in otto e sette; infatti la medesima approssimazione si avrebbe in sette o otto. Ma così non si otterrebbe la nota distintiva della fine mediante la maggiore brevità di tempo, mentre la ragione stessa ci induce ad osservarla. Infatti se il verso fosse così: Roma/, cerne/ quanta/ sit // tibi/ deum/ beni/gnitas, si avrebbe all'inizio il colon di sette semipiedi: Roma/, cerne/ quanta/ sit, e alla fine l'altro con questi otto: tibi/ deum/ beni/gnitas. Ma non si avrebbe un semipiede a chiudere il verso, poiché otto semipiedi fanno quattro piedi compiuti. E si avrebbe inoltre l'altra irregolarità, che non si scandirebbero nel secondo comma i piedi scanditi nel primo e che sarebbe chiuso con la nota distintiva del tempo più breve, cioè un semipiede, il primo comma anziché il secondo, cui spetta per diritto di chiusura. Infatti nel primo si scandiscono, tre trochei e mezzo: Roma/, cerne/ quanta/ sit e nel secondo quattro giambi: Tibi/ deum/ beni/gnitas. Nell'altro invece si scandiscono trochei in ambedue i commi e il verso si chiude con un semipiede, in modo che la chiusura mantenga la nota distintiva del tempo più breve. Infatti nel primo ve ne sono quattro: Roma/, Roma/, cerne/ quanta e nel secondo tre e mezzo: sit delum be/nigni/tas. Hai in mente qualche obiezione?

Discepolo - No, nessuna, son proprio d'accordo.

 

Quattro norme sui cola.

4. 8. Maestro - Teniamo dunque, se vuoi, come inderogabili le seguenti leggi. Una partizione che tenda all'eguaglianza dei due commi non manchi al verso, come manca a questo: Cornua velatarum obvertimus antennarum. Per inverso l'eguaglianza dei commi non renda, per così dire, convertibili le parti, come fa in questo: Cornua velatarum vertimus antennarum. Ancora quando si evita tale inversione, i commi non differiscano troppo fra di loro, ma per quanto è possibile tendano ad eguagliarsi in riferimento ai numeri più vicini in modo da non ritenere che il verso citato può essere diviso in un primo colon di otto semipiedi e cioè: Cornua velatarum vertimus e in un secondo di quattro: antennarum. Infine il secondo colon non abbia semipiedi in numero pari, come è: Tibi deum benignitas, perché il verso, chiuso con un piede completo, non avrebbe la fine caratterizzata da un tempo più breve.

Discepolo - Capisco queste leggi e per quanto ne son capace le affido alla memoria.

 

Esempio di scansione e cola nell'esametro.

5. 9. Maestro - Poiché dunque sappiamo che il verso non deve esser chiuso con un piede completo, come pensi che si debba scandire il verso epico, in modo che siano rispettate la legge dei due cola e la nota distintiva della fine?

Discepolo - Vedo dunque che sono dodici semipiedi. Ora per evitare la inversione i cola non possono avere sei semipiedi, inoltre non devono tra di loro differire troppo, come tre a nove o nove a tre, infine non si deve dare all'ultimo colon semipiedi in numero pari, come otto e quattro e quattro e otto, perché il verso non finisca con un piede completo. Quindi la divisione va fatta in cinque e sette o sette e cinque. Sono infatti i numeri dispari più vicini e certamente i commi si avvicinano di più di quanto si avvicinerebbero con quattro e otto. Per considerare la norma inderogabile, ritengo che un emistichio, sempre o quasi sempre, è compiuto al quinto semipiede, come nel primo verso di Virgilio: Arma virumque cano, nel secondo: Italiam fato, nel terzo: Littora multum ille et, nel quarto: Vi superum saevae, e così di seguito in quasi tutto il poema.

Maestro - È vero. Ma devi esaminare quali piedi scandisci per non violare alcuna parte delle leggi che abbiamo già stabilito come inderogabili.

Discepolo - Sebbene l'argomento mi sia chiaro, tuttavia sono in imbarazzo per la novità. Infatti siamo soliti scandire in questo verso soltanto lo spondeo e il dattilo e non vi è quasi nessuno, per quanto ignorante, che non l'abbia sentito dire, sebbene non lo sappia fare. Ora se voglio seguire questa diffusissima consuetudine, si deve abrogare la legge della chiusura perché il primo colon si chiuderebbe con un semipiede e il secondo con un piede compiuto, mentre deve essere il contrario. Ma è troppo irregolare abolire la legge della chiusura e d'altronde ho appreso che nei ritmi può accadere di cominciare da un piede incompiuto, Resta dunque da considerare che in questo verso con lo spondeo non si pone il dattilo ma l'anapesto. Così il verso comincerà da una sillaba lunga, e poi due piedi, spondei o anapesti, oppure alternati, rendono compiuto il primo colori; poi altri tre piedi anapesti o lo spondeo in qualsiasi posto o anche in tutti e in fine una sillaba, con cui il verso si termina regolarmente, completano il secondo colon. Accetti questa scansione?.

 

La scansione nella tradizione e nella teoria.

5. 10. Maestro - Io la ritengo la più regolare, ma non è facile convincerne la massa. E così grande è la forza della consuetudine che, se inveterata e proveniente da una falsa opinione, è la peggiore nemica della verità. Comprendi infatti che per comporre un verso poco importa se si pone con lo spondeo l'anapesto oppure il dattilo. Ma per scandirlo razionalmente, che non è compito dell'udito ma della mente, si deve ricorrere a vera e innegabile argomentazione e non a una opinione priva di fondamento. E questa scansione non è stata ideata per la prima volta da me, ma è stata scoperta molto prima di questa antica consuetudine. Pertanto coloro che leggessero gli autori, i quali nella lingua greca e latina furono eruditissimi in questa disciplina, non si meraviglieranno troppo se eventualmente s'imbatteranno in questa notizia. C'è da vergognarsi tuttavia della nostra pochezza nel ricorrere all'autorità degli uomini per convalidare la ragione giacché niente dovrebbe esser più eccellente dell'autorità della pura ragione che è superiore a ogni individuo. Infatti in materia non esaminiamo soltanto l'autorità degli antichi, come si deve fare nel considerare breve o lunga una sillaba. In tal caso noi dobbiamo usare nella medesima forma con la quale le hanno usate loro le parole, con cui anche noi ci esprimiamo, poiché in materia è proprio della trascuratezza non seguire alcuna regola ed è proprio dell'arbitrio introdurne una nuova. Così nello scandire un verso si deve prendere in considerazione l'antica istituzione umana e non la legge eterna delle cose. Infatti prima spontaneamente con l'udito si percepisce la proporzionata durata del verso e poi essa si convalida con la razionale riflessione dei numeri. Così pure si ritenga che il verso è da chiudersi con una fine caratteristica se si ritiene che deve esser chiuso in forma più determinata degli altri metri. Ed è chiaro anche che la chiusura si deve distinguere dal tempo più breve, giacché limita e contiene in certo senso la durata del tempo.

 

Commi e scansione nel senario giambico, trocaico ...

6. 11. Stando così le cose, come avviene che il secondo colon del verso termina con un piede incompiuto? Bisogna appunto che il principio del primo colon sia o un piede intero, come nel trocaico: Roma, Roma, cerne quanta sit deum benignitas, oppure una parte di piede, come nell'epico: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris. Pertanto eliminando ogni esitazione, scandisci, se vuoi, anche il verso seguente e indicamene i cola e i piedi: Phaselus ille quem videtis, hospites.

Discepolo - Scorgo che i suoi cola sono composti di cinque e sette semipiedi. Il primo è Phaselus ille, il secondo quem videtis, hospites, e scorgo che i suoi piedi son giambi.

Maestro - Scusa, ma non badi a non chiudere il verso con un piede compiuto?

Discepolo - Hai ragione, non so dove ero col pensiero. Chi infatti non vedrebbe che si deve cominciare da un semipiede come nell'epico? E quando s'usa tale criterio per questo genere, non si scandisce più a giambi ma a trochei in modo che lo chiuda regolarmente un semipiede.

 

... e nell'asclepiadeo minore.

6. 12. Maestro - È come tu dici. Ma cosa pensi di dover rispondere su questo verso che chiamano asclepiadeo: Maece/ nas atavis// edite re/gibus (4) ? In esso un emistichio si chiude alla sesta sillaba e non eventualmente, poiché ciò accade in quasi tutti i versi di questa forma. Dunque il primo colon è Maecenas atavis e il secondo edite regibus. Ma possono insorgere dubbi sul motivo per cui ciò avviene. Se infatti scandisci in esso piedi di quattro tempi ciascuno, si avranno cinque semipiedi nel primo colon e quattro nel secondo, ma la regola vieta che il secondo colon sia formato di semipiedi in numero pari affinché il verso non termini con un piede compiuto. Resta che vi si considerino piedi di sei tempi ciascuno. Ne consegue che ambedue i colon siano formati di tre semipiedi ciascuno. Infatti affinché il primo colon si chiuda con un piede compiuto, si deve cominciare con due lunghe, quindi un coriambo compiuto entra a comporre il verso, in modo che il secondo colon cominci con un altro coriambo e un semipiede di due sillabe brevi chiude il verso. Questi due tempi con lo spondeo collocato in principio rendono compiuto un piede di sei tempi. Hai qualche cosa da dire in proposito?

Discepolo - Proprio nulla.

Maestro - Ti va dunque che i due cola siano formati di semipiedi in eguale numero.

Discepolo - E perché no? Infatti in questo caso non si deve temere la inversione, poiché se si mette il secondo colon a posto del primo, in maniera che il primo divenga secondo, non si avrà l'eguale disposizione di piedi. Perciò non v'è motivo di negare in questo caso ai cola un eguale numero di semipiedi. Tale eguaglianza infatti può rimanere senza pericolo di inversione e con adempienza anche della chiusura più segnalata giacché il verso finisce con piede incompiuto. Ed è regola da osservarsi sempre.

 

 

Eguaglianza dei cola nei vari schemi (7, 13 - 9, 19)

 

Singolare eguaglianza dell'uno.

7. 13. Maestro - Hai proprio colto nel segno. La ragione allora ha dimostrato che si danno due forme di versi, uno in cui il numero dei semipiedi nei cola è eguale e un altro in cui è diverso. Dunque esaminiamo accuratamente, se vuoi, in che modo questa non proporzione dei semipiedi si riconduce ad una certa proporzione in base a una proprietà numerica un tantino oscura ma profonda. Ti chiedo quindi quanti numeri indico, quando dico due e tre.

Discepolo - Due, naturalmente.

Maestro - Dunque anche il due è uno come numero e il tre e qualsiasi altro si possa dire.

Discepolo - Sì.

Maestro - Non ti sembra perciò che il numero uno si può non irrazionalmente rapportare a qualsiasi altro numero? Sebbene infatti non si potrebbe dire che uno è due, tuttavia in certo senso, senza errore, si può dire che due è un uno e così tre e quattro.

Discepolo - D'accordo.

Maestro - E ancora, dimmi quanto fa due per tre?

Discepolo - Sei.

Maestro - E sei più tre fanno altrettanto?

Discepolo - Assolutamente no.

Maestro - Ora moltiplica tre per quattro e dimmi il prodotto.

Discepolo - Dodici.

Maestro - Vedi che ugualmente dodici è superiore a quattro.

Discepolo - E di molto.

Maestro - Per non farla lunga, si deve fissare la seguente regola. Dal due in poi, prendendo due numeri qualsiasi, il minore moltiplicato per il maggiore necessariamente lo sorpassa.

Discepolo - Che dubbio? Il due è il più piccolo numero plurale, ma se lo moltiplico per mille, sorpassa il mille del doppio.

Maestro - È vero. Ma prendi l'uno e qualsiasi altro numero superiore e poi moltiplica, come è stato fatto per gli altri numeri, il minore per il maggiore. Forse che il prodotto sarà egualmente superiore al numero maggiore?

Discepolo - Certamente no. Il minore ci sarà tante volte quante il maggiore. Infatti uno per due è due, uno per dieci è dieci, uno per mille è mille, e per qualsiasi altro numero lo moltiplicherò, l'uno ci sarà necessariamente tante volte tanto.

Maestro - Dunque il numero uno ha una certa proprietà d'eguaglianza con tutti gli altri numeri e non solo perché è un numero come un altro, ma anche perché dà un prodotto eguale alle volte per cui è moltiplicato.

Discepolo - È chiarissimo.

 

Versi con commi riducibili o no all'eguaglianza.

7. 14. Maestro - Ed ora volgi l'attenzione ai numeri dei semipiedi con cui sono formati nel verso cola ineguali e troverai, in base alla legge che abbiamo discusso, una mirabile eguaglianza. Infatti, secondo me, il verso più corto con numero ineguale di semipiedi è in due cola ed ha quattro e tre semipiedi, come in questo: Hospes ille// quem vides. Il suo primo colon, che è Hospes ille, può esser diviso con eguaglianza in due parti di due semipiedi ciascuno. Il secondo invece, che è quem vides, si divide in modo che la prima parte abbia due semipiedi e l'altra uno, ma è come se fossero due e due in base a quella proprietà di eguaglianza che l'uno ha con tutti gli altri numeri. Ne abbiamo già trattato sufficientemente. Ne deriva che con questa divisione il primo colon in certo senso è eguale al secondo. Perciò il verso, in cui sono quattro e cinque semipiedi, come in: Roma, Roma//, cerne quanta sit, non è così regolare. Sarà quindi un metro piuttosto che un verso, poiché i cola hanno una ineguaglianza tale che con nessuna divisione possono essere ricondotti ad un rapporto di eguaglianza. Vedi bene, come penso, che i quattro semipiedi del primo colon: Roma, Roma, si possono dividere in due e due, ma i cinque seguenti: cerne quanta sit, si dividono in due e tre semipiedi. Ed in essi l'eguaglianza non si manifesta assolutamente. Cinque semipiedi appunto, a causa del due e tre, non possono assolutamente equivalere a quattro. Invece abbiamo visto dianzi nel verso più corto che tre semipiedi, con l'uno e il due, equivalgono a quattro. Vi è qualche concetto che non hai compreso o non approvi?

Discepolo - Anzi tutti i concetti sono chiari e da me accettati.

 

Applicazione facile alla tetrapodia giambica ...

7. 15. Maestro - Ed ora consideriamo un verso di cinque e tre semipiedi, qual è questo abbreviato: Phaselus ille// quem vides ed esaminiamo in che senso questa ineguaglianza è retta da una certa proprietà d'eguaglianza. Infatti tutti son d'accordo nel riconoscere che questa forma è non solo un metro ma anche un verso. Si divide dunque il primo colon in due e tre semipiedi e il secondo in due e uno. Si riuniscono le suddivisioni che risultano eguali nell'uno e nell'altro, giacché nel primo colon si ha un due e un due nel secondo. Restano due suddivisioni, una di tre semipiedi nel primo e un'altra di uno nel secondo. Li congiungiamo in quanto facilmente unibili poiché l'uno ha rapporto con tutti i numeri. Nella somma uno più tre fanno quattro, che è tante volte quante il due più due. In base a questa divisione dunque cinque e tre semipiedi sono ricondotti alla proporzione. Ma dimmi se hai compreso.

Discepolo - Sì, e sono perfettamente d'accordo.

 

... difficile al senario giambico ed esametro ...

 8. 16. Maestro - Ed ora dobbiamo parlare dei versi di cinque e sette semipiedi, come sono i due molto noti, che sono l'epico e quello che chiamano comunemente giambico, anche esso senario. Infatti Arma virumque cano//, Troiae qui primus ab oris si divide in modo che il primo colon Arma virumque cano abbia cinque semipiedi, e il secondo Troiae qui primus ab oris sette. Anche Phaselus ille// quem videtis, hospites ha un primo colon Phaselus ille di cinque semipiedi ed un altro di sette: quem videtis, hospites. Ma tanta elevatezza si trova in imbarazzo nell'applicazione della legge dell'eguaglianza. Infatti quando saranno divisi i primi cinque semipiedi in due e tre e gli altri sette in tre e quattro, le due suddivisioni di tre semipiedi si corrisponderanno, ma a condizione che anche le altre due si corrispondano in modo tale che una sia di un semipiede e l'altra di cinque. E si potrebbe congiungere in base alla legge per cui l'uno può unirsi ad ogni altro numero e farebbero anche nella somma sei che equivale a tre più tre. Ma nel nostro caso si hanno due e quattro che, sebbene diano la somma di sei, tuttavia per nessuna proprietà di eguaglianza due e quattro si corrispondono così da congiungersi, per così dire, con un vincolo tanto stretto. Ma qualcuno potrebbe dire che è sufficiente per una certa regola di proporzione che, come tre più tre fanno sei, così anche due più quattro. Non credo di dover ribattere l'argomentazione perché una certa eguaglianza c'è. Ma non vorrei affermare che cinque e tre semipiedi siano in rapporto di maggiore corrispondenza che cinque e sette. La notorietà della tetrapodia giambica non è tanto grande come quella di questi due. Eppure tu puoi constatare che in essa, addizionando uno e tre non solo si è trovata la somma eguale a due più due, ma anche che addizionando uno a tre, a causa del raccordo dell'uno con tutti gli altri numeri, le parti si corrispondono di più che nell'unione di due più quattro, come in questi. Ti rimane oscuro qualche concetto?

Discepolo - No, certamente. Ma, non so come, mi dà fastidio che questi senari, pur essendo più usati delle altre forme e pur affermandosi che hanno una certa prevalenza sugli altri, abbiano nel raccordo dei cola una minore efficienza dei versi di più oscura fama.

Maestro - Sta' di buon animo. Io ti svelerò in essi quel raccordo che soli fra tutti hanno meritato di possedere perché tu capisca che non ingiustamente sono stati preferiti. Ma la discussione, sebbene più gradita, è anche più lunga e si deve rimandare alla fine. Così, quando avremo discusso degli altri fino a che ci sembrerà sufficiente, ormai liberi da ogni preoccupazione, torneremo ad esaminare attentamente la loro struttura interna.

Discepolo - A me va bene, ma vorrei che fossero sviluppati i concetti che abbiamo intrapreso a trattare. Ascolterò l'altro argomento con maggiore distensione.

Maestro - A paragone dei concetti già trattati, divengono più graditi quelli che attendi.

 

... difficile anche per il senario ipercatalettico ...

9. 17. Ora esamina se in due cola, l'uno che presenta sei semi-piedi e l'altro sette, si trovi un'eguaglianza tale che si abbia regolarmente un verso. Tu capisci che di seguito al verso di cinque e sette semipiedi si deve esaminare questo. Eccone un esempio: Roma, cerne quanta // sit deum benignitas (5).

Discepolo - Osservo che il primo comma può essere diviso in parti che hanno tre semipiedi ciascuna e il secondo in tre e quattro. Congiungendo le suddivisioni eguali si hanno sei semipiedi, ma tre più quattro fanno sette e non si raccordano al numero sei. Ma si considerino due e due nella parte in cui se ne hanno quattro e due e uno dove se ne hanno tre. Addizionando le parti che ne hanno due ciascuna, si ha la somma di quattro. Addizionando però quelle di due semi-piedi in una e di uno nell'altra, se si considerano quattro in base al rapporto dell'uno con gli altri numeri, fanno otto e, sorpassano la somma di sei più che se fossero sette.

 

... facile per il tetrametro catalettico ...

9. 18. Maestro - Sì, hai ragione. Escluso dunque questo tipo di congiungimento della legge dei versi, considera ora, come esige la successione dei numeri, quei cola, di cui il primo ha otto semipiedi e il secondo sette. Questo congiungimento presenta ciò che cerchiamo. Congiungendo la metà del primo comma con la parte più grande del secondo, che è vicina alla metà, poiché sono quattro semipiedi ciascuna, ho la somma di otto. Restano dunque quattro semipiedi del primo e tre del secondo colon. Unendone due da una parte e due dall'altra, fanno quattro. Restano due da una parte e uno dall'altra che, uniti, secondo la legge di quella corrispondenza per cui l'uno è eguale agli altri numeri, sono considerati in certo senso quattro. Si ha dunque un otto che equivale al primo otto.

Discepolo - Ma perché non ne posso ascoltare un esempio?

Maestro - Ma perché l'abbiamo enunciato tante volte. Comunque perché tu non abbia a pensare che sia stato omesso proprio dove occorreva, è sempre quello: Roma, Roma, cerne quanta // sit deum benignitas, oppure: Optimus beatus ille // qui procul negotio.

 

... e per quello non catalettico.

9. 19. Osserva ora il congiungimento di nove e sette semipiedi. Ne è esempio: Vir Optimus beatus ille // qui procul negotio. Discepolo - È elementare individuare in esso la corrispondenza. Il primo colon si divide in quattro e cinque semipiedi e il secondo in tre e quattro. La parte minore del primo unita alla maggiore del secondo fa otto e la maggiore del primo con la minore del secondo fa ugualmente otto. Il primo congiungimento è appunto di quattro e quattro semipiedi e il secondo di cinque e tre. Inoltre se si dividono ulteriormente i cinque semipiedi in due e tre e i tre in due e uno, appare un'altra corrispondenza di due con due e di uno con tre, poiché l'uno si rapporta con tutti i numeri secondo la legge già ricordata. E se il calcolo non mi sfugge, non resta da cercare altro nel congiungimento dei cola. Si è giunti appunto agli otto piedi e sappiamo bene che non è lecito far superare al verso questo numero. Ed ora svelami la vera struttura dei senari epico, giambico e trocaico. A questo obiettivo tu hai stimolato e trattenuto ad un tempo il mio interesse.

 

 

Perfezione del senario giambico ed epico (10, 20 - 13, 28)

 

I piedi migliori per il verso ...

10. 20. Maestro - Lo farò, o meglio lo farà lo stesso pensiero che è comune a me e a te. Ma ricordi, scusa, il giorno in cui abbiamo trattato dei metri? Abbiamo detto e con l'udito abbiamo verificato che i piedi, le cui parti sono in rapporto di sesquati, o di due a tre come il cretico e i peoni, o di tre a quattro, come gli epitriti, esclusi dai poeti per la loro inferiore ritmicità, abbelliscono più convenientemente, se usati nelle clausole, l'austerità della prosa.

Discepolo - Me ne ricordo. Ma a che cosa hanno attinenza le tue parole?

Maestro - Perché dobbiamo comprendere per prima cosa che, esclusi tali piedi dalla trattazione poetica, non restano che i piedi, le cui parti si rapportano secondo parità, come lo spondeo, oppure del due a uno, come il giambo, oppure secondo l'uno e l'altro, come il coriambo.

Discepolo - Sì.

Maestro - Ma se essi sono il dato sensibile della poesia e se la prosa esclude i versi, ogni verso deve essere composto di questi piedi.

Discepolo - Son d'accordo. Capisco che la composizione poetica diviene più alta con questi versi che con quelli usati dai poeti lirici; ma non so a che mira questo ragionamento.

 

... son quelli di genere eguale o doppio ...

10. 21. Maestro - Non essere impaziente. Stiamo già parlando della superiorità degli esametri. Voglio prima di tutto mostrarti se ne sono capace, che gli esametri più qualificati possono essere soltanto delle due figure seguenti, che sono anche le più note. Una è il verso epico, come: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris, che l'opinione corrente scandisce con spondei e dattili e una più sottile teoria con spondei e anapesti. L'altro è detto senario giambico, ma in base alla medesima teoria si scopre che è trocaico. Ora ti rimane evidente, come credo, che se non si alternano sillabe brevi alle lunghe, la successione dei tempi diviene in certo senso troppo lenta e se al contrario non si alternano sillabe lunghe alle brevi, la successione diviene troppo rapida e quasi vibrata. Nessuna delle due è dunque proporzionata, anche se entrambe soddisfano l'udito con l'eguaglianza dei tempi. Per questo i versi che hanno sei pirrichi o sei proceleusmatici non possono aspirare alla dignità dell'esametro epico né quelli che hanno sei tribraci alla dignità del senario trocaico. Inoltre se in questi versi che la ragione stessa reputa più perfetti si cambia la disposizione dei cola, tutto il verso sarà sconvolto al punto che si dovranno scandire piedi diversi. Sono dunque più invertibili, per così dire, di quelli che son formati o di tutte brevi o di tutte lunghe. Perciò non ha rilevanza se in questi schemi più omogenei si dispongono i cola con cinque e sette semipiedi oppure con sette e cinque. Con nessuna delle due il verso varia con un mutamento tale che sembri svolgersi con altri piedi. Negli altri invece se la composizione poetica cominciasse con versi, in cui il comma all'inizio ha cinque semipiedi, non bisognerebbe mischiarvi versi che hanno sette semipiedi all'inizio. Altrimenti sarebbe possibile invertire tutti i cola perché non si darebbe diversificazione di piedi che liberi dall'invertimento. Tuttavia è concesso agli epici, molto raramente, di allineare tutti spondei. Ma questa nostra ultima epoca non ha approvato il fatto. Sebbene nei senari giambici ossia trocaici sia consentito porre in qualsiasi sede il tribraco, tuttavia è stato considerato molto brutto che in queste composizioni poetiche il verso sia scomposto in tutte brevi.

 

... ed hanno parità di brevi e lunghe.

10. 22. Sono esclusi dunque dalla composizione in esametri gli epitriti, non solamente perché sono più adatti alla prosa, ma anche perché se sono sei, come pure i dispondei, superano i trentadue tempi. Sono esclusi anche i piedi di cinque tempi perché la prosa li impiega soprattutto come clausole. Sono esclusi inoltre dal computo di tempi, di cui stiamo parlando, i molossi e gli altri piedi di sei tempi, sebbene conferiscano alle composizioni poetiche grande bellezza. Restano i versi di tutte sillabe brevi, cioè quelli che hanno pirrichi, proceleusmatici e tribraci, o di tutte lunghe, cioè quelli che hanno spondei. E sebbene essi rientrino nella dimensione dell'esametro, devono cedere tuttavia alla dignità e proporzione di quelli che sono variati con brevi e lunghe e che perciò hanno minore possibilità di subire invertimento.

 

L'uso ha consacrato questi schemi.

11. 23. Ma ci si può chiedere perché sono stati giudicati più perfetti i senari, in alcuni dei quali una sottile teoria scandisce anapesti, e in altri scandisce trochei, anziché nel primo caso dattili e nel secondo giambi. Non si può anticipare la soluzione del problema perché si tratta di numeri. Ma se il verso fosse: Troiae qui primus ab oris arma virumque cano, e per il giambico: Qui procul malo pius beatus ille, sarebbero ugualmente tutti e due senari, ugualmente equilibrati nella proporzione di sillabe brevi e lunghe, egualmente invertibili, e nell'uno e nell'altro i cola sono egualmente disposti in modo che l'emistichio si chiuda al quinto e settimo semipiede. Perché dunque son considerati migliori se sono così: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris, e: Beatus ille qui procul pius malo? In proposito io sarei propenso a dire che per una eventualità essi sono stati ravvisati e usati per primi. Ma non è stata una eventualità, credo, che si sia preferito finire il verso epico con due lunghe piuttosto che con due brevi e una lunga poiché l'udito rimane più soddisfatto delle lunghe, e che il trocaico avesse nel semipiede, finale una sillaba lunga anziché una breve. Il fatto sta che gli schemi scelti per primi dovevano necessariamente escludere gli altri che potevano essere composti dei medesimi cola, ma scambiati di posto. Se si è dunque giudicato migliore l'esametro con questo schema: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris, invertendolo si sarebbe avuto un altro schema a danno dell'estetica, come: Troiae qui primus ab oris, arma virumque cano. Altrettanto si deve intendere per lo schema trocaico. Infatti se è più bello: Beatus ille qui procul negotio (6), non è opportuno ottenere lo schema che si ha invertendolo così: Qui procul negotio beatus ille. Tuttavia se qualcuno ne avesse il coraggio e componesse versi simili, è ovvio che compone sempre esametri, ma con schemi diversi. Gli altri però sono più perfetti.

 

Gli esametri e la licenza poetica.

11. 24. Dunque i due senari, i più belli di tutti, non hanno potuto conservare la loro purezza contro l'arbitrio degli uomini. Nello schema trocaico, e non solo senario, ma dalla quantità minore di piedi fino alla lunghezza maggiore che ha otto piedi, i poeti hanno ritenuto di poter mescolare tutti i piedi di quattro tempi che si usano nella poesia. I greci poi li pongono alternativamente al primo e terzo posto e così di seguito, se il verso comincia con un semipiede, se invece comincia con un trocheo completo, i piedi più lunghi sono posti al secondo e quarto posto e così di seguito rispettando la quantità dei piedi. Per rendere tollerabile la contaminazione, non hanno diviso con la percussione ciascun piede in due parti, di cui una in arsi e una in tesi, ma dando un piede intero all'arsi e un altro alla tesi e considerando quindi l'esametro come un trimetro, hanno ricondotto la percussione alla divisione degli epitriti. Ora quantunque gli epitriti siano propri più della prosa che della poesia e quantunque non si abbia più un esametro ma un trimetro, se almeno questo schema si osservasse regolarmente, non sarebbe completamente turbata la già trattata eguaglianza dei ritmi. Ma ora, purché i piedi di quattro tempi siano posti nelle sedi indicate, è ammesso porli in tutte quelle sedi ma anche dovunque e tutte le volte che si vuole. I nostri antichi poeti poi, nell'interporre piedi di tal genere, non hanno potuto conservare nemmeno la quantità richiesta. Perciò nello schema trocaico i poeti, con questa contaminazione arbitraria, hanno ottenuto ciò che si deve supporre volessero ottenere, e cioè che le composizioni drammatiche fossero il più possibile vicine alla prosa. Ma si è detto abbastanza sul motivo per cui i versi trocaici e dattilici sono stati preferiti fra i senari. Vediamo ora perché gli esametri sono stati ritenuti versi più perfetti di altri versi con un altro qualsiasi numero di piedi. A meno che tu non abbia qualche difficoltà in proposito.

Discepolo - No, sono d'accordo. Ma attendo con impazienza di conoscere, se adesso almeno è possibile, quella eguaglianza di commi, alla quale dianzi mi hai profondamente interessato.

 

Arsi e tesi vere dimensioni del senario.

12. 25. Maestro - Sii attento dunque e dimmi se, secondo te, è possibile dividere la lunghezza in parti all'infinito.

Discepolo - I concetti mi sono evidenti. Ritengo sia impossibile dubitare che la lunghezza, cioè la linea, ha una sua metà e può dunque esser divisa con una trasversale in due linee. E poiché le due linee ottenute dalla divisione sono senza dubbio linee, è chiaro che anche di esse si può fare altrettanto. Perciò, per quanto piccola, ogni lunghezza può esser divisa in altre parti all'infinito.

Maestro - Hai risposto prontamente e bene. Ed ora dimmi se è esatta l'affermazione che la linea da tracciarsi per ottenere la superficie, che da essa ha origine, genera una superficie corrispondente al proprio quadrato. Se infatti si traccia in superficie meno o più di quanto è lunga la linea con cui si traccia, non si ha il quadrato, se tanto quanto la linea, non si ha altro che il quadrato.

Discepolo - Capisco e ne ho certezza; che cosa infatti di più vero?

Maestro - Capisci, penso, che cosa se ne conclude. Se invece di una linea si pongono delle pietruzze eguali disposte in lungo, questa lunghezza non giunge al quadrato se le pietruzze non sono moltiplicate per lo stesso numero. Se, ad esempio, si allineano due pietruzze, non si avrà il quadrato se non aggiungendone altre due in larghezza, se tre, bisogna aggiungerne sei, ma tre e tre distribuite nelle due dimensioni in senso di larghezza, giacché se sono disposte in lunghezza, non si ottiene alcuna figura. Infatti la lunghezza senza larghezza non è figura. E così proporzionalmente si possono considerare gli altri numeri. Infatti come due, per due e tre per tre sono quadrati nei numeri, così quattro per quattro, cinque per cinque, sei per sei e così all'infinito negli altri numeri.

Discepolo - Anche questi concetti sono veri ed evidenti.

Maestro - Ed ora rifletti se esiste la lunghezza di tempo.

Discepolo - Non v'è dubbio; non si ha tempo senza lunghezza.

Maestro - E il verso può non occupare una certa lunghezza di tempo?

Discepolo - Anzi è necessario che l'abbia.

Maestro - E che cosa invece delle pietruzze poniamo più convenientemente in questa lunghezza? I piedi che sono divisi necessariamente in due parti, una in arsi e una in tesi, o piuttosto gli stessi semipiedi che sono uno in arsi e uno in tesi?

Discepolo - Penso che più convenientemente invece delle pietruzze si pongono i semipiedi.

 

Perfetta eguaglianza fra i commi dei senari.

12. 26. Maestro - Ed ora ricorda quanti semipiedi ha il comma più breve del verso epico.

Discepolo - Cinque.

Maestro - Fa' un esempio.

Discepolo - Arma virumque cano.

Maestro - E desideri altro se non conoscere come gli altri sette semipiedi siano in rapporto di eguaglianza con questi cinque?

Discepolo - No, niente altro.

Maestro - E i sette semipiedi possono formare da soli un verso completo?

Discepolo - Sì. Il primo e più breve verso ha proprio questo numero di semipiedi, con l'aggiunta al ritmo della pausa in fine.

Maestro - Dici bene, ma perché possa essere verso, come si divide in due cola?

Discepolo - In quattro e tre semipiedi, naturalmente.

Maestro - Moltiplica dunque ciascuna di queste due parti secondo il quadrato e dì quanto fa quattro per quattro.

Discepolo - Sedici.

Maestro - E tre per tre?

Discepolo - Nove.

Maestro - Ed insieme?

Discepolo - Venticinque.

Maestro - Dunque sette semipiedi possono contenere due cola. Se ciascuno dei due cola si riporta alla legge del quadrato, danno assommati il numero venticinque. Ed è una parte del verso epico.

Discepolo - Sì.

Maestro - Ora il primo emistichio che ha cinque semipiedi non può essere diviso in due cola e deve corrispondere con una determinata eguaglianza all'altro. Non deve dunque essere moltiplicato tutto intero secondo il quadrato?

Discepolo - Non la penso diversamente e scopro finalmente la singolare eguaglianza. Infatti cinque per cinque fanno ugualmente venticinque. E per questo non immeritatamente gli esametri sono divenuti più noti e perfetti. A mala pena può esprimersi la differenza che esiste fra la loro eguaglianza, sebbene con commi ineguali, e quella di tutti gli altri versi.

 

Diverse eguaglianze nel verso.

13. 27. Maestro - La mia promessa non ti ha deluso, o meglio non ci ha deluso la teoria che entrambi seguiamo. Ed ora, tanto per chiudere una buona volta questo discorso, puoi notare che si danno metri, per così dire innumerevoli. Tuttavia non si dà verso senza due cola rapportati fra di loro o con un numero eguale di semipiedi compiuti ma non invertibili, come in: Maecenas atavis// edite regibus, oppure con un numero ineguale di semipiedi, ma congiunti con una determinata eguaglianza, come quattro e tre, cinque e tre, cinque e sette, sei e sette, otto e sette, sette e nove. Il verso trocaico può appunto cominciare con un piede compiuto, come in: Optimus beatus ille qui procul negotio, oppure con un piede incompiuto, come in: Vir optimus beatus ille qui procul negotio, ma non può terminare che con un piede incompiuto. Ma tutti i piedi incompiuti, sia che abbiano un semipiede intero, come nell'ultimo che ho citato, o meno di un semipiede, come le due brevi finali del verso coriambico: Maecenas atavis edite regibus, o più di un semipiede, come al principio del medesimo verso le due lunghe o il bacchio alla fine di un differente verso coriambico, come: Te domus Evandri, te sedes celsa Latini (7), tutti questi piedi incompiuti dunque si considerano semipiedi.

 

Sistemi strofici o periodici.

13. 28. Inoltre non si fanno composizioni poetiche soltanto con versi, in cui si mantiene il medesimo schema, come quelle dei poeti epici e anche comici, ma i poeti lirici costruiscono anche sistemi strofici, che i greci chiamano , non soltanto con metri che sfuggono alle regole del verso, ma anche con versi. Ad esempio questo di Orazio: Nox erat, et caelo fulgebat luna sereno Inter minora sidera (8) è un sistema di due cola ed è formato di versi. Ma questi due versi non potrebbero essere uniti nel sistema, se l'uno e l'altro non si rapportassero a piedi di sei tempi. Infatti lo schema del verso epico non si rapporta con quello del giambico e del trocaico, poiché i piedi del primo si dividono in parti eguali e quelli degli altri nel rapporto di due a uno. I sistemi strofici si compongono dunque o unicamente di metri, senza versi, come quelli, di cui abbiamo parlato precedentemente quando abbiamo trattato dei metri o unicamente di versi, come quelli di cui si sta parlando o in modo da essere contemperati di versi e metri, come questo: Diffugere nives, redeunt iam gramina campis, Arboribusque comae (9). Ha poca importanza all'estetica uditiva l'ordine con cui sono disposti i versi con gli altri metri e i cola più lunghi con i più corti, purché il sistema strofico non abbia meno di due cola e non più di quattro. Ma se non hai obiezioni, si ponga fine a questa discussione. Come continuazione dell'argomento attinente a questa parte della musica che consiste nei ritmi dei tempi, da queste sue orme sensibili dobbiamo giungere, con la capacità di cui disponiamo, alla sua dimora segreta, in cui essa è spoglia del dato sensibile.

 

 

 

(1) - VIRGILIO, Aen. 3, 549.

(2) - VIRGILIO, Aen. 1, 1-7.

(3) - CATULLO, Carm. 4, 1.

(4) - ORAZIO, Odi 1, 1, 1.

(5) - MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 52, 34.

(6) - ORAZIO, Epod. 2, 1.

(7) - ENNIO, Ann. fr. inc. sedis.

(8) - ORAZIO, Epod. 15, 1-2.

(9) - ORAZIO, Odi 4, 7, 1-2.