Percorso : HOME > Opera Omnia > Lettere > Lettera 9

lettera 9      a nebridio

 

Scritta nel 388-391

forse a Tagaste

 

Agostino risponde alla precedente lettera di Nebridio dicendo che gli amici sono vicendevolmente presenti nello spirito (n. 1); egli accennerà solo qualche argomento per risolvere la difficile questione sui sogni inviati dalle potenze superiori (n. 2): che ciò sia possibile si dimostra con l’esempio delle passioni dell’anima, come l’ira, che traspaiono nel corpo (n. 3-4), infine esorta Nebridio a rileggere attentamente l’Epistola 7 ch’egli non ha capito (n. 5).

 

 

1.   Quamquam mei animi cognitor sis, fortasse tamen ignoras quantum velim praesentia tua frui. Verum hoc tam magnum beneficium Deus quandoque praestabit. Legi rectissimam epistolam tuam, in qua de solitudine questus es, et quadam desertione a familiaribus tuis, cum quibus vita dulcissima est. Sed quid aliud hic tibi dicam, nisi quod te non dubito facere ? Confer te ad tuum animum, et illum in Deum leva, quantum potes. Ibi enim certius habes et nos, non per corporeas imagines, quibus nunc in nostra recordatione uti necesse est; sed per illam cogitationem, qua intellegis non loco esse nos simul.

1. Sebbene tu conosca il mio animo, tuttavia forse non sai quanto vorrei fruire della tua presenza. Ma un giorno o l'altro Dio mi concederà questo beneficio così grande. Ho letto la tua lettera, giustissima, in cui ti lamenti della solitudine e di un certo abbandono da parte dei tuoi familiari, con cui la vita è dolcissima. Ma cos'altro potrei dirti a questo riguardo se non quello che sono convinto che fai ? Rifugiati nella tua anima e innalzala a Dio per quanto ti è possibile. Là infatti tu trovi meglio anche noi, non attraverso immagini corporee, di cui ora dobbiamo far uso nel nostro ricordo, ma mediante pensiero, per cui tu capisci che non è il vivere nello stesso luogo quello che ci unisce.

 

2.   Epistolas tuas cum considerarem, quibus non dubium tibi quaerenti magna respondi, vehementer me illa terruit, qua percontaris quomodo fiat ut nobis a superioribus potestatibus vel a daemonibus, et cogitationes quaedam inserantur et somnia. Magna enim res est, cui tu quoque pro tua prudente perspicis, non epistola, sed aut praesenti collucutione, aut aliquo libello respondendum esse. Tentabo tamen, callens ingenium tuum, quaedam quaestionis huius lumina praeseminare, ut aut caetera tecum ipse contexas, aut posse ad rei tantae probabilem investigationem perveniri minime desperes.

2. Esaminando le tue lettere alle cui domande impegnative ho dato risposte non dubbie, mi ha assai spaventato quella in cui mi domandi come avvenga che dalle potenze superiori o dai demoni vengano immessi in noi dei pensieri e dei sogni. È infatti una cosa importante, alla quale anche tu, per la tua esperienza, ben vedi che si dovrebbe rispondere non con una lettera, ma con una vera e propria conversazione o anche con un trattato. Cercherò tuttavia, ben conoscendo il tuo ingegno, di dare qualche chiarimento preliminare su tale questione, affìnché tu stesso possa inserire da solo il resto oppure tu non abbia a disperare affatto che si possa giungere ad una spiegazione probabile di un problema così importante.

 

3.   Arbitror enim omnem motum animi aliquid facere in corpore. Id autem usque ad nostros exire sensus, tam hebetes, tamque tardos, cum sunt maiores animi motus; velut cum irascimur, aut tristes, aut gaudentes sumus. Ex quo licet coniicere, cum etiam cogitamus aliquid, neque id nobis in nostro corpore apparet, apparere tamen posse aeriis aethereisve animantibus, quorum est sensus acerrimus, et in cuius comparatione noster ne sensus quidem putandus est. Igitur ea quae, ut ita dicam, vestigia sui motus animus figit in corpore, possunt et manere, et quemdam quasi habitum facere; quae latenter cum agitata fuerint et contrectata, secundum agitantis et contrectantis voluntatem, ingerunt nobis cogitationes et somnia; atque id fit mira facilitate. Si enim nostrorum corporum terrenorum et tardissimorum exercitationes, agendis organis musicis, seu in funambulo, caeterisque huiuscemodi spectaculis innumerabilibus, ad quaedam incredibilia pervenisse manifestum est; nequaquam est absurdum, eos qui aerio vel aethereo corpore aliquid in corporibus agunt, quae naturali ordine penetrant, longe maiore uti facilitate ad movendum quidquid volunt, non sentientibus nobis, et tamen inde aliquid perpetientibus. Neque enim etiam quomodo fellis abundantia nos ad iram crebriorem cogat sentimus; et tamen cogit, cum haec ipsa, quam dixi, abundantia facta sit irascentibus nobis.

 

3. Ritengo infatti che ogni moto dell'animo produca qualche effetto sul corpo, e che esso giunga fino ai nostri sensi, così ottusi e lenti, quando più intensi sono i moti dell'animo: ad esempio quando ci adiriamo oppure siamo tristi o gioiosi. Da ciò è lecito arguire che anche quando noi facciamo qualche pensiero ed esso non si palesa a noi nel nostro corpo, può tuttavia palesarsi agli esseri viventi dell'aria o dell'etere, i cui sensi sono acutissimi e a confronto dei quali i nostri non si devono neppure considerare dei sensi. Quindi le impronte, per così dire, del proprio moto che l'animo stampa nel corpo, possono persistere e dare luogo quasi ad una caratteristica permanente; e quando esse siano state inconsciamente agitate e rimescolate, secondo la volontà di colui che le agita e le rimescola, suscitano in noi pensieri e sogni: e questo avviene con mirabile facilità. Se infatti è evidente che gli esercizi dei nostri corpi terreni e tardissimi (usando gli strumenti musicali o nei giochi dei funamboli e in tutti gli altri innumerevoli spettacoli di tal genere), sono giunti a dei risultati incredibili, non è per nulla assurdo che coloro, i quali per mezzo d'un corpo aereo o etereo agiscono in qualche modo nei corpi in cui penetrano senza violare l'ordine naturale, godano di una facilità di gran lunga maggiore per muovere tutto ciò che vogliono senza che noi ce ne accorgiamo e tuttavia subendo qualche effetto a seguito di tale azione. Infatti non ci accorgiamo nemmeno in che modo l'abbondanza del fiele ci spinga a scatti d'ira più frequenti, e tuttavia ci spinge, sebbene questa stessa abbondanza che ho detto si sia formata mentre noi ci adiravamo.

 

4.   Sed hoc tamen si non vis simile a nobis praetereunter accipere, versa id cogitatione quantum potes. Nam si animoexistat assidue aliqua difficultas agendi atque implendi quod cupit, assidue irascitur. Ira est autem, quantum mea fert opinio, turbulentus appetitus auferendi ea quae facilitatem actionis impediunt. Itaque plerumque non hominibus tantum, sed calamo irascimur in scribendo, eumque collidimus atque frangimus; et aleatores tesseris, et pictores penicillo, et cuique instrumento quilibet, ex quo difficultatem se pati arbitratur. Hac autem assiduitate irascendi fel crescere etiam medici affirmant. Cremento autem fellis rursus et facile ac prope nullis causis existentibus irascimur. Ita quod suo motu animus fecit in corpore, ad eum rursus commovendum valebit.

 

4. Ma tuttavia, se non vuoi accettare da me questo paragone alla leggera, esaminalo facendolo oggetto per quanto puoi della tua riflessione. Infatti se nell’animo si manifesta continuamente qualche difficoltà nell’agire e nel realizzare ciò che desidera, esso continuamente si adira. E l’ira, secondo la mia opinione, è il desiderio turbolento di togliere di mezzo le cose che impediscono la facilità della azione. Per questo nello scrivere di solito ci adiriamo non soltanto con gli uomini, ma con la penna e la urtiamo con violenza e la rompiamo; e i giocatori si adirano coi dadi e i pittori col pennello e chiunque con ogni strumento per colpa del quale crede di trovarsi in difficoltà. Ed anche i medici affermano che per questo continuo adirarsi la bile cresce. Per l’accrescimento della bile, poi, di nuovo e facilmente e quasi senza che esista alcuna ragione ci adiriamo. Così quello che l’animo ha provocato nel corpo col suo movimento, sarà in grado di agitarlo nuovamente.

 

5.   Possunt latissime ista tractari, et multis rerum testimoniis ad certiorem plenioremque perduci notitiam. Sed huic epistolae adiunge illam quam tibi nuper de imaginibus et de memoria misi, et eam diligentius pertracta: nam minus plene a te intellecta, rescripto tuo mihi apparuit. Huic ergo quam nunc legis, cum adiunxeris de illa quod dictum ibi est, de naturali quadam facultate animi minuentis et augentis cogitatione quodlibet, fortasse te iam non movebit, unde fiat ut etiam formae corporum, quas numquam vidimus, vel cogitando apud nos vel somniando figurentur.

 

5. Questi fenomeni si potrebbero trattare con grande ampiezza e portare ad una conoscenza più sicura e più piena con testimonianze di molti fatti. Ma a questa lettera tu aggiungi quella sulle immaginazioni e sulla memoria, che ti ho mandato di recente. Esaminala con maggiore attenzione; giacché dalla tua risposta m’è parso che tu non l’abbia compresa pienamente. Quando dunque a questa, che leggi ora, avrai aggiunto dall’altra lettera ciò che là vi è stato scritto su una certa facoltà naturale dell’anima che diminuisce ed aumenta col pensiero qualsiasi cosa, forse non ti stupirà più perché avvenga che, pensando o sognando, possano delinearsi in noi anche le forme dei corpi che non abbiamo mai visti.