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Tina beretta: CULTURA E FILOSOFIA CRISTIANA DEL IV SECOLO

 Sant'Agostino di Piero Vannucci il Perugino

Piero Vannucci: sant'Agostino

 

 

 

CULTURA E FILOSOFIA CRISTIANA DEL IV SECOLO

di Tina Beretta Trezzi

 

 

 

Il mio compito è molto bello perché tratta di un secolo che è senz'altro il più lungo e il più importante. E' il più lungo perché lo percorsero uomini grandi nella fede e nella conoscenza ed è il più importante perché resterà unico nella storia della cristianità e non solo della cristianità. In questa trattazione cercherò di essere semplice e concisa come mi hanno insegnato i miei maestri Gilson e Leclerc, che sono noti studiosi proprio del IV secolo. Ho letto dalle mie ormai vecchie dispense queste parole di Gilson: "Nel quarto secolo tutto fu sintesi e testimonianza, la filosofia, l'arte, il canto, la poesia, la musica e la vita dei suoi protagonisti. Non si potrà mai parlare del nuovo senza partire da questo secolo."

Dopo duecento anni di persecuzioni e di martirio finalmente, con l'editto di Costantino I del 313 a Milano, viene dichiarata la pienezza di libertà e di diritti del cristianesimo con i relativi riconoscimenti e le relative leggi. Il cambiamento era inaudito: basti pensare che quando finalmente ai cristiani capitò di non subire più persecuzioni e di poter avere le loro chiese, i contemporanei gridarono al miracolo e pensavano di assistere alla realizzazione del regno di Dio sulla terra. Ma la realtà brucia molto presto questo sogno. La Chiesa fu sì liberata dalle imposizioni, ma dovette affrontare ostilità forse più terribili. La protezione imperiale si fa pesante, l'imperatore vuole interessarsi di tutto: a Nicea, durante un concilio si presentò personalmente nel corso delle sessioni di lavoro dei vescovi. Al giorno d'oggi questa presa di posizione sarebbe impensabile: è come se il presidente degli Stati Uniti o qualcun altro potente della terra venisse ad aprire i lavori di un concilio con un proprio intervento di indirizzo.

La politica minaccia seriamente l'ortodossia. La sua pretesa di interferire nella teologia è il grande problema del IV secolo. "E' nata - paventa il santo Gerolamo - la Chiesa si sveglierà ariana." Per fortuna ciò non è accaduto. In tali condizioni infatti i vescovi, quali Atanasio e Ilario, non si lasciarono piegare nè dagli intrighi nè dall'esilio. Sarà l'impero a crederlo, sarà l'impero alla fine a cedere. Lungo tutto il IV secolo i tre grandi dottori cappadoci impiegarono il loro tempo e i loro scritti a confutare l'errore. Quando Gregorio di Nazanzio diventa vescovo di Costantinopoli, la Chiesa cristiana dell'ortodossia languiva ormai miseramente. I Padri della Chiesa furono i più bei nomi dell'antichità cristiana, pastori e teologi in occidente come in oriente. La maggior parte dei nostri Padri del IV secolo ha ricevuto il battesimo in età adulta, come sant'Ambrogio. Dopo gli studi molti esercitarono una professione profana. Tutti i Padri greci poi hanno fatto un noviziato presso i Padri del deserto. Nasce da qui la passione mistica che coglie alcuni di loro. Tutti servono la fede e combattono le eresie con il loro bagaglio culturale. Ecco dove la filosofia, il pensiero, anche se non è strettamente filosofia, si mette contro queste eresie.

Però, e ci tengo a sottolinearlo, questi uomini non patteggiano mai con i potenti, non vengono mai a patti con i ricchi ma anzi richiamano loro i grandi temi della giustizia e del rispetto dell'uomo. Vanno tra i poveri, tra gli umili, non frequentano i cosiddetti salotti bene del nostro mondo contemporaneo. I Padri del IV secolo gettano le basi di un ordine sociale cristiano che adesso con una brutta parole chiamiamo stato sociale. Per Gilson non c'è quindi niente di nuovo sotto il sole. Egli divide il IV secolo in due grandi periodi: il primo è il periodo dove non si è ancora venuto a formare un pensiero ufficiale della Chiesa e troviamo alcuni punti di vista che poi la stessa Chiesa dovrà respingere.

Ne è esempio il grande Origene che sosteneva l'esistenza di angeli divini poi caduti nel peccato che solo attraverso la sofferenza potrebbe essere reintegrati nel bene. Questa affermazione suonava abbastanza eretica. Nel secondo periodo ci sono le eresie. Dobbiamo pensare che il termine eresia, contrariamente a quanto si possa credere, deriva dal greco aiodesis, che vuol dire ricerca. Cioè le eresie sono quelle ricerche filosofiche che accettano soltanto un aspetto del dogma e ne lasciano cadere altri. Proprio perché c'erano queste eresie, mai come nel IV secolo ci sono stati tanti concili e sinodi con lo scopo di riaffermare la dottrina cristiana ortodossa. Nei sinodi si discuteva e nei concili si condannava. Vediamo adesso rapidamente di riassumere alcune delle eresie principali che si svilupparono nel IV secolo:

Contro la Trinità: alcuni non ammettono l'unità della sostanza, altri negano la triplicità delle persone, altri poi subordinano le persone l'una all'altra.

Contro l'Incarnazione: c'è chi nega la natura divina del Cristo e chi quella umana. Infine, ma non ultime, ci sono le questioni trinitarie, che furono dibattute al concilio di Nicea del 325. Nicea fu sede di vari concili, ma questo è importante perché fu fissato il Credo, il simbolo della fede cristiana. Da ultimo consideriamo le questioni cristologiche che riguardano la persona del Cristo. Pur non meritando molta attenzione, queste eresie furono tuttavia esaminate con accuratezza e lunghe discussioni nei concili di Efeso e di Calcedonia, dove venne sancita la duplice natura nella persona del Cristo. A questo punto possiamo chiederci: qual è il tipo di ricerca del IV secolo ?

In effetti ci furono molti filosofi, ma anche molti teologi, troviamo uomini che furono pastori, che furono apologisti, che furono artisti. Che tipo di ricerca usavano ? I Padri si servivano della ragione illuminata dalla fede: essi chiariscono i dogmi contenuti nella Rivelazione e con ciò danno una base dottrinaria e organizzata alla Chiesa cristiana. Questo è il lavoro fondamentale che hanno fatto i Padri. Lo scopo principale della loro ricerca è dunque teologico più che filosofico, benché ritengano sempre fondamentale il pensiero filosofico di ricerca. Insomma i nostri Padri del IV secolo furono Padri Apostolici perché erano Pastori d'anime, catechizzavano, visitavano gli ammalati e Apologetici perché difendevano la fede. Leclerc li chiama pellegrini del Verbo, cioè pellegrini della Parola. Mettendo ora in pratica l'insegnamento del mio maestro Gilson il quale sosteneva che non si può insegnare filosofia se non attraverso gli uomini, chiameremo finalmente per nome questi grandi Padri del IV secolo: Atanasio di Alessandria, Ilario di Poitiers, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, il vecchio Eifrem, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Ambrogio di Milano, Gerolamo il pessimista e Agostino di Ippona. Non ci sarà secolo più grande di questo. Parleremo ora di alcuni non per far torto agli altri ma per ragioni di spazio.

 

Atanasio di Alessandria

Mi voglio occupare di lui per primo anche perché è un personaggio curioso per la sua umanità e per la sua vita. Durante la sua infanzia ebbe a che fare personalmente con le persecuzioni. Consacrò la sua esistenza a combattere l'eresia: probabilmente sarebbe stato anche un buon filosofo, ma il suo impegno si riversò tutto nella proclamazione della fede cristiana. La Chiesa è tutto per lui. E' bello ricordare quanto egli stesso scrive: "la Chiesa è la mia famiglia, è il mio spazio vitale, è tutto." Atanasio è più egiziano che greco e scrive in copto. Ha uno spirito ecumenico e catechizza molto, ama stare con la gente e soprattutto con la gente più bisognosa, più povera.

A soli trentotto anni diventa vescovo di Alessandria. E' sempre stato un sensibile, ma un sensibile intransigente e si dice che bisogna avere paura di questi sensibili intransigenti perché non cedono mai. Infatti subisce cinque volte l'esilio, non cedette mai al potere civile e la sua opera nasce dalla lotta. Fu un lottatore per la fede. Scrive qualche opera di filosofia, ma solo nel breve periodo in cui è stato segretario del vescovo. Dovette sempre fuggire e lottare, difendere il suo Dio e la sua Chiesa fino a sacrificare tutto e a tutto soffrire, come lui stesso ricorda. Non stava mai zitto contro il male, contro l'ingiustizia, contro l'eresia. Questo dialettico della Parola tacque una volta sola, quando il papa Liberio lo sconfessò. In questa occasione Atanasio non disse niente. E per questo è ancora testimone una volta di fede e di silenzio, lui il lottatore, l'uomo che non stava mai zitto.

 

Ilario di Poitiers

Io ricordo Ilario di Poitiers perché è il primo scrittore filosofo della Chiesa occidentale originario della Gallia. Patrizio, di ricca famiglia, esperimentò su se stesso la vera nobiltà, quella dell'anima, cioè lasciò la nobiltà che gli veniva dalla famiglia e rinacque nella nobiltà dell'anima. Gli piace scrivere e rispondere e di lui conserviamo una ricca corrispondenza. Questi scritti ci fanno conoscere l'uomo con le sue lunghe riflessioni teologiche e filosofiche, i suoi studi sulle Sacre Scritture. Si unisce dapprima alla Comunità di monaci di Poitiers, ma resta un battezzato laico anche se poi diventò vescovo della città per acclamazione. Il suo amore per la verità e la Chiesa lo portano all'esilio in Asia Minore, nella regione che corrisponde oggi alla Turchia. Dopo anni di silenzio e di preghiere, un sinodo svoltosi a Parigi lo riabilitò. I suoi due accusatori furono sconfessati dal vescovo ed egli poté ritornare in città. Ilario era un vescovo fermo eppure sereno, disponibile agli uomini con l'umiltà che ha il vescovo laico.

 

I Dottori di Cappadocia

Ed eccoci ai tre Dottori di Cappadocia che citando Leclerc "difesero l'unità della Chiesa sulla base del simbolo niceno." In certi punti precorrono la posizione di Agostino di Ippona. Sono veramente tre Dottori che camminano nella stessa direzione. Il primo è Basilio detto il Grande, vescovo di Cesarea. Oggi lo definiremmo un vescovo organizzatore, perché aveva veramente il dono di saper realizzare pellegrinaggi, incontri di preghiera, assemblee comunitarie. E' un vescovo con spiccate attitudini sociali, che predica ai ricchi la giustizia e la condivisione e ai poveri la dignità della persona. Egli stesso diede un ampio esempio perché cambiò il quartiere della miseria in un quartiere che chiamò della carità. Qui costruì ospizi, qui accoglieva i viandanti. Basilio riceveva tutti, indipendentemente dalla sua estrazione sociale. Scrive molte lettere, visita le comunità cristiane anche lontane con grande sacrificio. E' l'uomo della misura e del dialogo. Ha messo in primo piano la sofferenza dell'altro: sono scelte di vita che fanno molto meditare Paolo VI, Giovanni XXIII e soprattutto il nostro Giovanni Paolo II. Gregorio di Nazanzio è famoso per l'oratoria e la poesia. Amava gli studi che condusse ad Alessandria, e scrisse il poema della mia Vita, che è un libro che per tanti versi ricorda le Confessioni di sant'Agostino. Battezzato in età adulta dal padre, fu acclamato vescovo nella chiesa di S. Sofia. Scrisse 28 grandi poemi sulle verità della fede, impegnandosi a rinnovare l'arte poetica. E' un Padre che è tutto poesia. Gregorio era un uomo lacerato dentro, dicono i suoi primi biografi, ma fu maestro proprio per questo di equilibrio interiore. E veniamo all'ultimo dei Grandi di Cappadocia: Gregorio di Nissa fratello di Basilio. E' il più filosofo nel senso stretto della parola e fu vicino al platonismo. Dotato speculativamente giunse a una sintesi che mette in luce elementi greci senza mai uscire dall'ortodossia. In poche parole concilia Platone con l'ortodossia cristiana. Da Platone prende la concezione che ha della usìa, parola greca che significa sostanza. Essa forma l'unità divina perché è la medesima sotto la triplicità di tre persone. Infatti per Platone, l'usìa, la sostanza è in realtà piena, non è un principio generico. L'unità dell'usìa è dinamica e genera da sè molteplici persone, ciascuna delle quali è un atto divino. Pertanto Gregorio di Nissa è un buon filosofo ed è impegnato a conciliare la filosofia di Platone con il cristianesimo. Gregorio di Nissa, dice Gilson, "ci conduce da Agostino: egli vede i dogmi cristiani con gli occhi di un platonico." Gregorio vescovo è anche il padre della filosofia mistica. Egli collega Filone e Plotino alla dottrina cristiana e influenza il monachesimo orientale. Era solito dire una frase che suscitava il riso di tutti: "la filosofia pagana - diceva - è come la figlia del faraone: è sterile." Come Ilario, fu sposato e pure vescovo.

 

Ambrogio vescovo di Milano

Ora incontreremo Ambrogio vescovo di Milano. Su di lui non voglio dilungarmi molto, ma preferisco esaminare un paio di episodi significativi della sua vita. Tra non molto sarò a Trento dove si celebrerà il XVI Centenario del martirio di tre ragazzi che vennero mandati da Ambrogio in questa città e là trovarono la morte. Io ho visto alcune lettere originali che sono conservate nell'arcivescovado di Trento, dove il vescovo Vigilio tratta della storia di questi tre martiri che erano originari della Cappadocia. Quando Ambrogio venne a sapere della loro morte tragica in una notte di riti pagani, invitò al perdono e non volle grande giustizia. Parlò del perdono ed esaltò i santi frutti del perdono. C'è una sua opera bellissima dove tratta a fondo la questione del perdono. Mentre questi tre ragazzi cappadoci vengono accolti da Ambrogio ed inviati come missionari a Trento, proprio nello stesso periodo in un altro angolo della terra in Africa molti cattolici vengono uccisi dagli eretici donatisti. Per un nonnulla rischiò di rimetterci la pelle anche Agostino. Ebbene Agostino, come Ambrogio, in un simile tragico frangente prende la penna e scrive una lettera al governatore Marcellino e lo prega di non dare la morte capitale a questi poveri rei. Ai nostri tempi si parla della pena capitale, se lasciarla o eliminarla, ma noi abbiamo qui grandi esempi che vengono da Ambrogio e da Agostino che pregano con l'umiltà di un bambino di non dare la morte capitale ai rei. Abbiamo accennato ad Agostino ed ora con il vescovo di Ippona ci avviamo alla conclusione.

 

Agostino d'Ippona

A Cassago ci fu l'annuncio di una conversione, l'annuncio di una santità nonché di tutto il suo pensiero. Io conosco bene l'interpretazione della scuola francese del IV secolo e di Agostino e so che dà una grande importanza ai Dialoghi che Agostino scrisse a rus Cassiciacum. Purtroppo non mi sembra che gli studiosi italiani diano tanta importanza ai Dialoghi cassiciacensi. Eppure il Maestro dell'Occidente, l'uomo vinto da Dio è partito proprio da qui, dall'esperienza di rus Cassiciacum e poi ha ripetuto al mondo il prezzo e il significato dell'amore, diventando così il filosofo dell'interiorità, perché la verità è Dio. Cercherò ora di riassumere al meglio il pensiero di Agostino. Per lui la verità è dentro di noi e noi dobbiamo cercarla nelle profondità della nostra anima. La verità è Dio e a Dio si può aderire soltanto con la Grazia della fede. Ecco il credo ut intelligam, però bisogna dare molta importanza all'intelletto che avrà il compito di arrivare là fin dove può, ed ecco il secondo momento intelligo ut credam. Come l'intelletto così anche la natura se staccata da Dio non sussiste. La natura si svolge nel tempo, ma il tempo si ridurrebbe ad un istante pensato, anzi ad un nulla se qualcosa non collegasse il prima al dopo e questo è il compito della memoria. Anche la volontà non sarebbe libera di operare senza la presenza di Dio in lei: ecco la Grazia. La Grazia assicura questo potere, questa facoltà. La caduta dell'uomo esige una Redenzione necessariamente divina che dia un senso finale a tutta la storia dell'umanità: ecco la città terrena dove noi viviamo, facendo anche politica ed ecco la città di Dio dove tutto si rivelerà. Questa che ho dato è una sintesi forse un po' forzata del pensiero di Agostino. In ogni caso non bisogna mai pensare che Agostino sia di indole astratta. Non ci distoglie certamente questa breve sintesi dall'esperienza agostiniana che la colloca ad ideali altissimi nella Chiesa dei viventi. Agostino è veramente vissuto nella Chiesa dei viventi. Egli è forse il primo, oltre ad Ambrogio, che ha saputo trasmettere il vero concetto della comunità.

Agostino dice: "della mia comunità di Ippona faccio di tutto per conoscere i volti, le rughe dei miei vecchi e con essi prego e soffro." La Chiesa di Agostino è la Chiesa come servizio. E' lo stesso messaggio che va ribadendo l'attuale pontefice Giovanni Paolo II, partendo come Agostino dal più debole e dal più dimenticato. Agostino chiude il grande secolo IV fissandone le caratteristiche. Questi Padri della Chiesa sono innanzitutto Pastori. Questa prerogativa caratterizza sia l'Oriente che l'Occidente, pur con diverse sfumature. Il genio dei Padri orientali è intuitivo, lirico, ogni cosa esprimono in poesia: quello dei Padri occidentali è giuridico, pragmatico, morale. Però tutti convergono all'unità e l'ecumenismo è già caratteristica vivente nel IV secolo. Bisognerebbe frequentare meglio e più a lungo i Padri del IV secolo per capire il loro millenario segreto, cioè l'umiltà cristiana. Essa esige l'incontro di tutti gli uomini. Siamo al terzo millennio e la loro voce è come la nostra: è quella del nostro Pontefice che a Parigi ha chiesto il perdono per la strage degli Ugonotti, che chiama la speranza servizio, che dice ai suoi giovani "andate dai meno fortunati." Io credo che dovremmo veramente conoscere un po' di più i Padri della Chiesa, perché come sosteneva Gilson "noi non potremo mai parlare del nuovo se non partiamo dal IV secolo."