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in ricordo di don giancarlo maggioni

 Pittura di Vilasco nella cappella di sant'Agostino

Cassago: dipinto di Fiorentino Vilasco nella cappella di S. Agostino (1954)

 

 

 

IL DON CHE MI MANCA

di Antonio Janni

 

 

 

Non riesco a spiegarmi perchè ogni qualvolta penso al Don, mi scorrono davanti due immagini: Lui che precede una fila di ragazzi con l'inseparabile macchina fotografica a tracolla oppure camminando nel corridoio quasi buio di un albergo con gli occhiali a metà naso e il breviario in mano immerso in uno dei suoi momenti di preghiera.

Mi chiedo spesso perchè queste immagini considerando che ne ho tante altre ... più belle e significative ... come: il tenero Don a casa mia che gioca con i miei figli, il Don a Paola seduto in riva al mare a leggere in un momento di pausa, il Don a casa mia durante le lunghe discussioni fra lui, me, mia mogli e Domenico Papi, il Don che guarda Sergio e me a Macugnaga con l'aria di che pensa "ma questi due son matti ..." e tante altre cose.

Credo che fra i tanti aspetti del Don, quello che ha fatto da fulcro alla nostra amicizia sia stato l'aspetto professionale ... non tanto quello di insegnanti ma quello di educatori. E a rivedere bene le immagini del nostro rapporto si nota come per lui non si perdeva mai tempo anche se si tirava l'alba quando si discuteva dei ragazzi, della loro conoscenza, della metodologia da seguire, delle proposte da fare per interessarli molto di più, ma soprattutto ... dell'importanza del rapporto umano profondo per una maturazione della personalità.

Il rispetto della persona nella sua interezza, ... fare emergere le sue qualità, ... responsabilizzarla ... era il suo credo. Faceva sì che le persone tirassero fuori il meglio di se stessi e lo manifestassero senza problemi; le valorizzava, le responsabilizzava dando incarichi senza mai intervenire se non alla verifica e con molta discrezione. E lui ha fatto questo anche con me. Ha valutato ... scrutato ... ponderato la mia professionalità ... il mio modo di rapportarmi specie con i ragazzi e, anche se la mia posizione politica e religiosa non collimava con la sua, mi ha chiesto collaborazione e mi ha responsabilizzato in molti momenti del nostro, purtroppo, breve cammino insieme.

La nostra collaborazione è nata con i campeggi (anche se abbiamo vissuto momenti particolari per gli handicappati e con la chiusura degli Onofri) e in questi ho potuto ancora di più apprezzare le sue qualità. I problemi, che sono stati sempre tanti, non esistevano ... prima ancora di analizzarli s'era già messo al lavoro per risolverli ... li vedeva, rifletteva un attimo, spingeva indietro gli occhiali ed era già al lavoro. Una salita ripida la faceva diventare una bella pianura cercando di cogliere gli aspetti positivi della situazione e trasmetteva questi valori agli altri e non le preoccupazioni. Queste ultime le valutava e le manifestava quando si era da soli ... quando si era fra noi. La sua capacità era di prevedere le problematiche che potevano manifestarsi e si premuniva con le persone adatte per poterle risolvere.

Se ripenso al campeggio di Paola ... Chiunque, dopo aver constatato la situazione sarebbe risalito sul treno e sarebbe tornato indietro. Noi no: non so come ci siamo riusciti ma il giorno dopo l'arrivo avevamo anche la doccia con l'acqua tiepida o calda a seconda dell'ora in cui si usava. Il problema più grande era l'acqua ma noi avevamo nel gruppo un idraulico per poterlo risolvere. Pur di conoscere e vedere e pur di far conoscere e vedere affrontava qualsiasi difficoltà e precarietà ... Ci volle far vedere la Sila ... viaggio interessante e bello ma, a livello logistico, difficoltoso, anche perchè i soldi non c'erano e bisognava sfruttare le disponibilità che ci venivano offerte. Drammatico e divertente, alla fine, fu il dormire: ricordo la faccia che fece quando vedemmo le poche stanze e i pochi letti a castello a disposizione (meno della metà di quelli che ci servivano). Il risultato fu: "Io te li mando su a gruppi per ogni stanza, tu arrangiati a metterli a letto ..." Non vi dico che cosa venne fuori ... ma il bello fu che, dopo la prima giustificata meraviglia, divenne un bel gioco e tutto si risolse al meglio. E poi, al ritorno a Paola, dopo aver messo a letto i ragazzi verso la 1 e mezza e le 2, il Don se ne esce serafico con un "andiamo a fare due passi fino a San Francesco ?."

La richiesta era tremenda: andare a San Francesco significava andare a letto alle 3 o alle 4. Ma questo era l'altro suo aspetto positivo che mi ha sempre colpito: quella camminata era il momento più importante della giornata perchè bisognava fare la sintesi ed era in grado di renderla anche gioiosa interrompendola con l'ammirare lo stupendo cielo stellato o l'ascoltare quel silenzio quasi tetro. Quindi come facevi a dirgli di no !!

Questi aspetti furono esaltati con il suo arrivo alla Scuola Media di Cassago perchè trovò un ambiente molto recettivo e ogni inizio anno portava una infinità di proposte. Lui era un convinto sostenitore della formazione dell'individuo nella sua interezza e un aspetto fondamentale era il vivere delle esperienze come gruppo. E con questa convinzione era un vulcano di idee, specie nelle gite, e ogni volta inventava qualcosa per renderle più interessanti. cercava di far sì che un ragazzo si esprimesse utilizzando il linguaggio più adatto: ha incrementato la fotografia (passione che ci ha unito molto di più), il disegno, le elaborazioni scritte. Cercava di far nascere nel ragazzo la passione per tutte queste attività ... la passione del viaggiare ... la ricerca delle bellezze in Italia e anche all'estero ... e tutto questo lo faceva sapendo che era un lavoraccio per lui e per chi gli stava vicino ... bisognava stare con i ragazzi 24 ore su 24 (e questo la affascinava) ... controllarli giorno e notte (più la notte che il giorno). Ma questo impegno veniva premiato dai risultati che ottenevamo. Potrei raccontarvi tanti momenti ma due sono significativi.

Il primo: una mattina vengo svegliato da tanto movimento in albergo, era molto presto: eravamo ad Assisi. Di corsa mi vesto e vado a vedere ... Fuori non c'era nessuno ... alcune camere vuote ... il Don non si vedeva ... fuori dell'albergo non si vedeva nessuno. Torno in camera, dormivo con il segretario e valutiamo che il Don aveva escogitato qualcosa. Torno sotto ... e dopo un po' vedo tornare felici e festanti un bel po' di ragazzi con dietro il Don. Risultato: il Don s'era sistemato prima di me e li aveva portati a messa per evitare che svegliassero tutto l'albergo.

Il secondo: questa era una proposta sfida, da scommessa e, secondo me, fu accettata dai genitori perchè l'aveva fatta il Don: una gita di tre giorni in montagna con le classi prime dopo 15 giorni di scuola ... l'albergo nuovo ... inaugurato da noi ... il proprietario prima di consegnare le camere fa una ramanzina ai ragazzi che quella fatta da noi, al confronto, era un invito alla distruzione. Passiamo la prima giornata tranquilla ... avevamo molto lavoro da fare, specie con il materiale raccolto con l'insegnante di scienze naturali. Con il Don avevamo programmato, per la sera, dei corsi di scacchi per intrattenere i ragazzi. La serata fu lunga e ... non riuscivamo a mandarli a letto tanto era l'interesse suscitato con il gioco degli scacchi. Ma fu molto interessante vedere a un certo punto tutto il personale dell'albergo che si gustava la scena e rimase meravigliato dal comportamento dei ragazzi, tanto che, la mattina dopo, il proprietario ci chiese se poteva inserire nel gruppo la figlia. Questo modo di intervenire sulla formazione dei ragazzi può sembrare superficiale e poco educativo se non si trasmette in modo efficace la giusta motivazione, il giusto interesse e se non si interviene al momento giusto.

Per le altre immagini (quella del Don che passeggia per i corridoi dell'albergo ... quella dei suoi momenti di raccoglimento) non ho esempi particolari da raccontare, perchè certe espressioni rimangono impresse nella mente ... non si possono trasportare sulla carta ... si leggono al momento e ... non si riesce mai a raccontarle fino in fondo. Come si fa a descrivere quell'immagine, a descrivere quello che trasferiva in quei momenti di raccolta ... di sua grande spiritualità ? Senza parlare faceva capire che voleva essere solo, ma non rubava lo spazio a nessuno se non a lui ... al suo riposo ... al suo tempo libero. Quando scattava quel momento lo capivo subito, ci scambiavamo i ruoli senza una parola se non ... "buonanotte" o un "ciao a domani." In quei silenzi riusciva a far sentire la sua presenza tale da far ammutolire l'albergo. Lui esprimeva i suoi sentimenti con i gesti ... con le sue espressioni. ... con la posizione degli occhiali ... con la posizione della macchina fotografica ... con il collo della camicia dentro o fuori del maglione ... con il come sudava. Come si fa a descrivere tutto questo ? Forse non ci riesco anche perchè alcune cose sono mie e, inconsciamente, vogliono rimanere tali. L'ultimo colloquio avuto con lui è stato in Val Cavargna, quando andai a trovarlo con tutta la famiglia ... spinto molto dai miei figli. Dopo i soliti saluti ... riuscimmo a isolarci e parlammo della sua nuova situazione. Mi parlò bene finchè mi raccontava della tranquillità del posto, dei fedeli di una certa età, ma lo sentii sfiduciato nel parlarmi dei giovani. Aveva capito le loro problematiche ma si rammaricava perchè non riusciva a trovare la molla per smuoverli ... Poco dopo uscimmo perchè doveva andare a sostituire un parroco del paese vicino. Fuori nella piazzetta davanti la sua chiesa c'erano cinque o sei giovani. Subito andò da loro e io dietro ma in disparte a osservare ... e in quel momento rividi il Don che conoscevo e capii che non aveva perso la sua grinta, il suo modo di essere, il suo modo di rapportarsi con i giovani soprattutto ed ebbi la conferma che in quel muro avrebbe aperto una crepa di lì a poco. Me lo confermò in un successivo incontro occasionale.

Questo è il Don che mi manca !

 

 

 

DON GIANCARLO MAGGIONI " presente a Dio e presente ai fratelli "

di Franca Contini

 

Abbiamo conosciuto don Giancarlo nell'estate 1967 quando, con alcuni seminaristi, era venuto a "La Nostra Famiglia" di Bosisio Parini, inviato dai Superiori del Seminario diocesano di Venegono, per condurre una esperienza di servizio con i bambini portatori di handicap. L'esperienza, ricca e costruttiva a livello umano e religioso, ha "segnato" la sua vita. Da allora non ha più abbandonato il "campo" ed ha ritagliato sempre per noi, dai suoi numerosi impegni pastorali, un poco del suo tempo prezioso. Divenuto sacerdote, egli ha definito, alla luce di quelle esperienza, lo "stile" della sua missione e la sua "strategia" apostolica: partire dagli ultimi, dai piccoli, dagli emarginati di ogni luogo di ogni tempo, ad essi svelare che l'amore di Dio è loro vicino e li segue, perchè così ha fatto Gesù.

Oggi rivisitiamo alcune tappe, in crescendo, che hanno segnato il luminoso cammino di don Giancarlo con "La Nostra Famiglia."

Ricordiamo ancora la sua gioia quando, nel 1974, comunicò con quel suo sorriso che esprimeva contentezza e, nel contempo, velava commozione, che sarebbe venuto a Cassago Brianza come vice-parroco. Iniziò in quell'anno la sua collaborazione più qualificata e continuativa. La sua incrollabile fiducia nella dignità e grandezza della persona, anche quando l'intelligenza è opaca e le capacità assai ridotte e, nel contempo, la sua straordinaria capacità di intessere relazioni affettive, semplici ed immediate, ma efficaci, gli permisero di condurre esperienze religiose ed educative di singolare valore a livello di catechesi, di vita di fede e sacramentale, di celebrazioni mariane, anche con i soggetti più gravi e problematici, in un tempo in cui, in campo ecclesiale, specie parrocchiale, era difficile ottenere collaborazione e, prima ancora, comprensione del problema. Si occupò in modo continuativo, fin dall'inizio, degli adolescenti che ogni anno preparava alla professione di fede per farne credenti sempre più adulti.

Don Luigi Monza, fondatore de "La Nostra Famiglia", che don Giancarlo amava come un padre, diceva: "Ha una preferenza Gesù da usare nel mondo e la usa per i più poveri." Con la naturalezza che gli era propria, ma con la serietà di chi è consapevole di esercitare un ministero, don Giancarlo si faceva piccolo con i piccoli e per loro aveva una attenzione "sciolta" che suscitava affetto, simpatia, energia di crescita. Anche il servizio di carità, quello spicciolo, feriale, fatto di piccoli gesti, faceva ormai parte del suo ministero sacerdotale. Ognuno di noi ricorda la serietà e la cura con cui preparava le celebrazioni a Bosisio Parini, a Como, a Lourdes; tutto doveva illuminare e condurre a vivere il "mistero" celebrato.

Don Giancarlo, però, non si fermava ai bambini: aveva, per natura e per grazia, una geniale capacità di guardare avanti: guardava agli operatori, alla intera comunità educativa, alle piccole Apostole, ai genitori disorientati e sofferenti con lo sguardo dell'apostolo che, affinato alla luce di Dio nella preghiera, cerca sempre nuove strade per annunciare ciò che gli arde nel cuore e che ritiene più prezioso della vita stessa. Preparava gli adulti con la stessa cura con cui si curava dei piccoli, dando loro fiducia e sollecitandoli a crescere nella consapevolezza che dovevano essere loro stessi i formatori alla fede dei bambini nelle tante situazioni in cui si intesse la loro giornata. "Consegnare ad altri in modo autentico il Vangelo", si legge nei suoi appunti di un ritiro spirituale del giugno 1996. Anche in questa opera don Giancarlo era "contagioso": con semplicità e naturalezza tutti propri, sapeva coinvolgere, suscitare energie di servizio, incoraggiare, sostenere nel bene.

Siamo nel 1976. Si apre uno dei capitoli più belli ed importanti dell'amicizia sacerdotale di don Giancarlo Maggioni con "La Nostra Famiglia": la sua collaborazione alla Casa-famiglia ed al Centro di lavoro guidato di Como che in quell'anno iniziavano la loro attività; era un campo educativo e sociale esaltante, ma inesplorato, carico di incognite e talvolta di dure difficoltà. Don Giancarlo che già seguiva Carlo Alberto Bottini, ex alunno del Centro di Ponte Lambro, si fa presente a fianco dei suoi genitori, Rina e Fulvio, della sorella Maria Pia che, con gesto generoso, ne avevano assunto la responsabilità, per consigliare, sostenere, aiutare a "sciogliere i nodi" con quella capacità tutta sua di sdrammatizzare, di sorridere delle situazioni, riportando all'essenziale, di dare senso cristiano alla fatica senza sopravvalutarla. Don Giancarlo non è un facilone, un superficiale. Comprende lo spessore dei problemi, intuisce la radice delle difficoltà e, mentre aiuta da "fratello", non tralascia di guidare sulla strada della fede e dell'abbandono alla Provvidenza: "Abbandonate in Dio ogni fatica, ogni dolore, ogni luce e gioia: questa diventerà fonte di amore." (don Luigi Monza)

Nel contempo si fa carico dei ragazzi, della loro storia, delle loro ferite, perché sa benissimo, anche per esperienza personale, che per guarire le ferite del cuore umano non occorrono molti ragionamenti; è l'amore che onta.

L'anno seguente don Giancarlo intravede con noi un altro ambito di formazione e di evangelizzazione: il volontariato del Centro di lavoro guidato. In breve tempo, da poche unità i volontari erano diventati alcune centinaia: giovani, ragazzi, adulti anziani, studenti, lavoratori; credenti e non, provenienti dalla città e da molti paesi della zona; non possiamo non citare il "glorioso" gruppo di Cassago Brianza che ancora oggi è fedele all'impegno. A tutt'oggi, i volontari, tutte le sere, a turno, lavorano per completare gli assemblaggi che i ragazzi non sono riusciti a portare a termine e controllano la qualità del lavoro svolto perché le consegne possano essere fatte in tempo e la produzione sia corretta. E' il loro modo di aiutare chi è in difficoltà e si impegna a costruire con impegno e fatica un proprio futuro dignitoso. Valorizzando il loro servizio e a partire da esso, offre ai volontari la possibilità di una crescita umana e di fede. Nascono così a Como le "serate del volontario": incontri di riflessione, di preghiera, di festa. Chi di noi non ricorda le fiaccolate e le Vie Crucis che si snodavano in tutto il quartiere, le celebrazioni Eucaristiche del Natale che ci hanno costretto a chiedere ospitalità nella chiesa parrocchiale perché i partecipanti erano divenuti troppo numerosi ? Don Giancarlo le guida e le anima. Non fa sconti a nessuno. Non propone ideali a misura di uomo. Punta in alto, semina largamente perché ha fede in Colui che fa crescere. Andando dritto alle "radici" dell'impegno aiuta le persone a scoprire il significato profondo di "essere volontari " perché il dono non si limiti al tempo serale, ma illumini e dia senso a tutte le grandi o piccole azioni quotidiane: "volontari si deve essere in ogni momento della vita ! " Non faceva grandi discorsi; non era uomo di troppe parole. D'accordo con don Luigi Monza che, "non di molte parole ha bisogno l'anima, ma di poche che penetrino però fino in fondo e diventi vita", don Giancarlo poneva ai volontari domande forti, essenziali, che penetravano nel cuore e nella mente e potevano suscitare riflessioni profonde e condurre a decisioni radicali. "Ma chi me lo fa fare ? " Erano i titoli, un po' provocatori, ma seri e rocciosi degli incontri serali. La risposta personale poteva essere quella del disimpegno: "Ma chi me lo fa fare ! " oppure quella che dà senso all'impegno per gli altri fino a portare a scelte definitive di vita: "Gesù Cristo me lo fa fare." Arrivati a questo traguardo di fede era difficile abbandonare il campo. Don Giancarlo Maggioni poteva parlare così perché era uomo e prete "radicato" e "radicato" in Gesù. Era l'apostolo innamorato del suo Signore.

A conferma di tutto ciò abbiamo alcuni appunti del suo ritiro spirituale del giugno 1996, già citato, che ci permettono di dare uno sguardo nell'intimità del suo rapporto con il Signore: "L'apostolo appartiene a Qualcuno, anche se nomade." "Ci saranno tentativi di ascoltare altre parole, ma l'apostolo vive radicato nella Parola." Qui stava la sua forza, il suo fascino, la sua grande libertà interiore.

La celebrazione eucaristica del "Natale 1996" è stato l'ultimo appuntamento a cui don Giancarlo ha partecipato direttamente. Poi, pian piano, si è fatto fisicamente da parte, donandoci una presenza altrettanto feconda. Già gravemente ammalato, non si è risparmiato nel guidare gli operatori del Centro di lavoro guidato nel cammino di preparazione alle celebrazioni del centenario della nascita di don Luigi Monza perché fossero a loro volta i catechisti dei ragazzi, ha partecipato attivamente al nostro pellegrinaggio a Lourdes, ha predisposto con la cura abituale la S. Messa del "Natale 1997" affidandone ad altri la realizzazione.

"L'apostolo esce di scena, consegna la Parola che ha amato," si legge ancora negli appunti del suo ritiro spirituale, già citato. Senza far rumore, semplicemente, don Giancarlo è uscito dalla "scena di questo mondo" per vivere in Dio. La sua presenza tra noi continua ad essere viva e vitale, il suo esempio un riferimento luminoso e stimolante. Moltissimo si potrebbe raccontare ancora di lui; nel cuore rimane quasi la preoccupazione di non aver detto abbastanza, tutto, di un amico così grande e ricco di doni di natura e di grazia. E' lui stesso a fermarmi. Mi sembra di vederlo sorridere, scuotendo il capo, come un tempo, quando, vedendomi preoccupata per la buona riuscita delle comuni iniziative, mi diceva: "Franca, perché ti preoccupi ? Tutto è relativo. Ciò che importa è amare il Signore." (cfr. don Luigi Monza).

Questo è stato lo stile di don Giancarlo nella vita e nella morte.