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Giuseppe Manni: Agostino di Tagaste

Il volume di Giuseppe Manni

Il volume di Giuseppe Manni

 

 

 

AGOSTINO DI TAGASTE

di Giuseppe Manni

tratto da Nuove Rime pubblicato nel 1903 a Firenze da Le Monnier

 

 

 

AGOSTINO DI TAGASTE

(nel suo centenario)

 

A te bello, fortissimo, tra quanti

di Dio soldati armò la Chiesa nostra,

caro Agostino, a te l'inno de' santi.

 

Libico vento a polverosa giostra

così non corse, e folgorata arena

da sole estivo in orientai chiostra

 

così non arse, come alla serena

età de' vaghi errori arse il tuo core

sovra la grande vanità terrena:

 

e con la forza della vita in fiore

dietro un'ombra che innanzi gli fuggia

corse e correndo crebbe esca all'ardore.

 

Ma l'alto ingegno più della natia

gleba fecondo sulla rinascente

bellezza umana come sole liscia.

 

Guardava al fulgor primo saliente

dai suoi colli Tagaste e nel presago

cor si sentia famosa eternamente.

 

Dai vecchi fóri memore Cartago

guardava, poi che della vita antica

nel recente splendor vedea l'imago.

 

E quando a' pensier tuoi migliore amica

sognando Roma, tu, varcato il mare,

offristi a lei l'ingegno e la fatica,

 

ella del noto lauro incoronare

godè la fronte su cui tutta ancora

parea di Tullio l'anima brillare.

 

Chi più di te beato? ahi! par di fuora

bello sovente il pomo ove s'asconde

verme che a poco a poco lo divora.

 

Tra i venti e la commossa ira dell' onde

sì orrida non freme la tempesta

quando sul mar cammina e lo confonde,

 

come di dubbi e di desio contesta

allor su te la notte del pensiero

stette, ai più degni spirti più molesta.

 

Quanto la natural scie del vero

di cima in cima su lo sospingea,

fino alle nere porre del mistero

 

l'alto intelletto cupido ascendea,

pur senza mai veder nulla ne udire

giù rumando; poi che Dio tacea.

 

Come aquila novella tra le spire

di mal ghermita biscia, sanguinando

l'anima dolorava in quel martire;

 

e la nave salpata misurando

sicura il mare, forse tosto infranta

sparia, naufraga ignota, disperando,

 

se da Milano .... Italia, Italia, o santa

genitrice di popoli, ab eterno

diletta a Lui che ti fece cotanta,

 

o tu di Dante nel poema eterno

viva in sembianze foggiate col verso

testimone del cielo e dell'inferno,

 

oggi nell'inno mio che fa diverso

calle dai vulghi, picciolo ma forte

sdegnando il tempo alle pie note avverso,

 

oggi trionfa, o patria: ombre e ritorte

in grembo a te spezzando, il cristiano

Platone in grembo a te scampò da morte.

 

Oh diva grazia, oh core ambrosiano,

oh di Cassiaco verdi ombre secreto

nella gran luce del lombardo piano.

 

Tacea nella novissima quiete

ogni romore, e larga dal profondo

core una pioggia di lacrime liete

 

uscìa per gli occhi belli a farti mondo,

o destinato fiore degli eroi,

o primavera del risorto mondo.

 

Dopo tanto dolor mescea co' tuoi

i suoi dolci sospir l'avventurosa

Monica; scendea terzo Iddio tra voi.

 

E con te favellava. Alto non posa

così ne poggia libera volando

sovra le nubi forte aquila annosa,

 

come la tua sovrana anima quando

pur dietro l'infallibile parola

s'aderse, il vero a contemplare, amando.

 

Dove tenebre innanzi e brutta e sola

forza malvagia, qual vedesti allora

pura bellezza e luce che consola!

 

Divino ordine il mondo; e se dolora,

stretto dal mal, debitamente espia

un grande error di chi sa quale aurora.

 

Beato il cor che l'infinita via

creatrice non tenta, a chieder come

fosse mestieri partorir Maria.

 

Beato chi gioiandosi nel nome

cristiano, al mister del suo viaggio

luce dall'ombra del mister deprome.

 

Come su fiore aperto etereo raggio

piove sovr' esso grazia che v'accende

la vita ardente nell'eterno maggio;

 

ond'ei la mano candida protende,

pure ancor combattendo, alla vittoria,

infìn che al regno profetato ascende.

 

M'odi, Agostino: se della tua gloria

millenaria oggi l'albero rinverde,

e ci conforta pur la tua memoria,

 

al disviato secol che si perde

soccorri tu de' suoi travagli esperto,

mentre che la speranza ha fior del verde.

 

L'anime un'altra volta nell'aperto

ciel dell'idea si librino, nel cielo

della lede, da tanta ora deserto.

 

Non faccia il senso a' cor giovini velo

cieco; di pace un ultimo disio

sciolga ne' vecchi l'orgoglioso gelo,

 

e splenda a tutti la città di Dio.