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Luigi Beretta: Legati e donazioni alla chiesa di Cassago

Il riposo in Egitto di Solario (1515) al Museo Poldi Pezzoli a Milano

Il riposo in Egitto di Solario (1515)

 

Legati e donazioni alla chiesa di Cassago

di Luigi Beretta

 

 

La riorganizzazione della parrocchia dopo la visita del Clivone toccò anche l'aspetto economico, ritenuto a quei tempi, e non solo a quelli, un particolare tutt'altro che marginale per il decoro ed il buon andamento delle chiese locali. In effetti il Brambilla, che fino al 1567 si mostra piuttosto disinformato sulla natura e sulla reale entità dei redditi o lasciti in favore della sua chiesa, dovette procedere ad una revisione e ad un aggiornamento di questo tipo di entrate nei suoi bilanci parrocchiali. Non sappiamo chi e con quali ordini lo costrinse a questo lavoro, sappiamo però che i risultati delle sue ricerche furono largamente utilizzati da S. Carlo in occasione della sua visita pastorale del 1571. In quell'anno il Borromeo, sempre molto attento alle necessità anche materiali della chiesa, poteva infatti disporre ormai di un quadro ormai molto aggiornato della situazione di Cassago. Quanto ad Oriano si fece poco poichè pochi di quegli abitanti avevano fatto legati o donazioni alla chiesa di Oriano prima del 1571. In ogni caso questi ultimi legati, dopo l'unione con Cassago erano ormai considerati appannaggio della chiesa di Cassago. Almeno questo è quello che sappiamo noi e quanto appurò in quegli anni il parroco Brambilla.

Di persona o grazie ad agenti della Curia egli aveva scoperto moltissimo di quanto cercava presso il notaio Erasmo Perego di Barzanò. Costui in effetti conservava gran parte della documentazione in oggetto forse perchè, data la vicinanza del suo studio notarile, quasi tutti quelli di Cassago vi accorrevano a far testamento nel momento del bisogno o in occasione di gravi pericoli per la propria salute e per la propria vita. Il notaio Perego non ebbe difficoltà ad elencare una nota dei legati e dei lasciti a favore di pie cause, che egli stesso aveva rogato o autenticato per i testamentari cassaghesi fra il 1524 e il 1563. Una copia o forse l'originale di questo elenco, sottoscritto di suo pugno, finì negli archivi della Curia milanese, dove tuttora si trova (1). In questo foglio sono enumerati ben 14 legati con tutti gli estremi del rogito, i quali costituiscono il nucleo fondamentale dei lasciti cinquecenteschi alla chiesa di Cassago. Ad essi ne vanno aggiunti altri sette di varia provenienza notarile, così come appare dall'elenco generale e definitivo redatto nel 1571 da Carolo Poiano, il notaio della Curia che accompagnava S. Carlo nella sua visita pastorale. In quell'anno o poco dopo fu compilato ancora un altro elenco generale di questi stessi legati da qualche funzionario arcivescovile per motivi che non sappiamo. Questo foglio però non presenta alcuna novità rispetto ai precedenti, dato che trascrive gli atti della visita di S. Carlo, seguendone punto per punto l'ordine di esposizione. Qualche volta di questi legati è stato possibile rintracciare anche il documento originale, che ha permesso di ampliare ulteriormente le nostre informazioni su Cassago a notizie di carattere sia sociale che economico.

Il quadro complessivo che è possibile ricostruire è tanto più significativo e ricco di particolari quanto più si segue un criterio cronologico di presentazione e di analisi di tutti quanti i 21 legati. I più antichi, precisamente otto, risalgono al 1524. Si tratta in effetti di un anno del tutto particolare, che vide il diffondersi della peste in Lombardia. Cassago probabilmente fu toccato dal contagio, che in ogni caso sembra si sia estinto verso l'agosto di quell'anno. Non è da escludere che sia proprio in conseguenza di questa epidemia che venisse costruito dietro la chiesa parrocchiale quell'oratorio dedicato a S. Rocco, il noto protettore dalla peste, di cui parla la relazione del Clivone. L'elenco dei legati, rogati tutti dal notaio Erasmo Perego, incomincia il 23 gennaio con un certo Guardinus de Cazaniga, che dispose la celebrazione di 30 messe e l'offerta di 12 staia di frumento ogni anno per 40 anni. Di questa disposizione testamentaria colpisce non solo la quantità e il valore del lascito, ma pure la sua durata, che non hanno paragone rispetto agli altri legati.

Ciò si spiega fondamentalmente con il rango di Guardino, un nobile ed agiato commerciante di velluti, che risiedeva a Oriano. Purtroppo di questo come dei seguenti legati non conosciamo lo strumento notarile, per cui non sono possibili ulteriori osservazioni. Tutti comunque seguono la stessa impostazione con l'obbligo di messe e offerte di frumento per un numero variabile di anni. In ordine i testamentari sono gianotus de nava, che il 24 aprile fece obbligo di 6 messe all'anno per 8 anni, francescus de sappis che il 20 giugno diede ordine agli eredi di far celebrare 6 messe e di offrire 2 staia di frumento ogni anno per 10 anni, Angelinus de Brambilla, che il 27 dello stesso mese incaricò i figli Cristoforo ed Ambrogio, gli stessi che fecere abbellire la chiesa di Cassago nel 1542, di far celebrare alla sua memoria 6 messe e di offrire 3 staia di frumento ogni anno per 10 anni, Jacobus de Catijs, che il 3 luglio dispose per 4 messe e 2 staia di grano ogni anno per 8 anni, franciscus de nava, che il giorno dopo diede incarico agli eredi di far celebrare 12 messe e offrire 8 staia di frumento ogni anno per 12 anni, Jacobus de madionis (2), che il 14 luglio dispose a sua volta per 6 messe e 2 staia di frumento annuali per 10 anni. C'è infine un ultimo legato, che risale al 23 luglio, non citato nell'elenco del Perego, ma di cui possediamo il pateat, cioè l'atto di impegno, rogato dal notaio milanese Jo: Bapta de Perego (3). In questo testamento un certo de Maueris figlio di Giacomo impegna i suoi eredi alla celebrazione in perpetuo di 12 messe con officio doppio ogni anno. Esige inoltre la presenza di 12 sacerdoti dai paesi più vicini a Cassago con la paga di 8 soldi imperiali. Purtroppo la parte relativa ai fondi del lascito è largamente rovinata ed in più punti illeggibile, per cui diventa difficile ricostruirne il contenuto.

Dal significato di alcune parole sembrerebbe quasi che il de Maueris abbia ipotecato un pezzo di terra di sua proprietà. Nessun atto posteriore però conferma questa interpretazione. Tra le altre cose il testatore dispone inoltre che venga acquistato un paramento ad uso della chiesa di S. Giacomo del valore di 20 lire imperiali. Attualmente non sappiamo se questo legato fu soddisfatto dagli eredi. Certo è che non se ne trova più traccia nella documentazione posteriore. Non è nemmeno da escludere che il paramento semplice notificato nel 1567 abbia qui la propria origine, mentre si può supporre che la perpetuità della celebrazione delle messe sia stata in qualche modo modificata con qualche atto successivo. Tutti gli altri legati citati stilati nel 1524 non furono mai soddisfatti prima del 1571. In quell'anno S. Carlo ne esigeva infatti nuovamente l'esecuzione. Lo stesso dovette fare anche per tutti gli altri lasciti dal 1524 in poi, ad eccezione di uno solo che, strano a dirsi dopo tutti questi precedenti, fu effettivamente assolto dagli eredi. Tra poco ce ne occuperemo. Ma proseguiamo pure con gli altri legati successivi al 1524. Troviamo dapprima quello di Simon de sappis, il cui testamento rogato il 12 agosto 1528 prevedeva due messe da celebrarsi ogni anno per 15 anni, poi quello di Antonio de Noffeno del 24 settembre 1529 con obbligo di 4 messe e 2 staia di frumento annuali per 6 anni. Segue il legato di Andrea de Cazaniga esattamente un anno dopo con impegno a 6 messe e 3 staia di frumento ogni anno per la durata di 8 anni e infine quello di Tomas de Brambilla del 3 novembre 1533 di 6 messe annuali per 10 anni. Il 9 novembre fu la volta di Jo: Petrus de Nava, il cui legato, che prevedeva 4 messe annuali per 10 anni fu il solo ad essere onorato per tempo dagli eredi.

Nel 1549 infatti fu saldato definitivamente il suo debito verso la chiesa di Cassago. Erroneamente S. Carlo ne chiederà ancora l'esecuzione nel 1571, ignaro di quanto pattuito vent'anni prima. L'atto rogato il 20 agosto 1549 dal notaio Francesco de Isachus di Tabiago è oltretutto molto interessante e ricco di informazioni. Da esso apprendiamo che in quell'anno Sindaco e Procuratore delle terre di Cassago era un certo Jo: Antonio de Maueris detto el bianco, figlio di Giacomo, delegato alla sua funzione in virtù di uno strumento rogato da Erasmo Perego. Da altra fonte si sa che era sposato con una certa Filippina da torrevilla, da cui ebbe nel 1567 la figlia Francesca. Si sa pure che morì nel settembre del 1570 (4). Per quanto abitasse a Cassago è indubbio che avesse parenti anche a Oriano, fra i quali forse la stessa madre del parroco Brambilla. Non è da escludere neppure che sia sempre lo stesso de maueris che abbiamo già trovato fra i testamentari del 1524. Nell'atto del 1549 la sua presenza è molto importante. E' lui infatti a riscuotere le 6 lire imperiali da Francesco de Nava, figlio di Zanoto o Giannotto, per la piena e completa esecuzione del legato di 16 lire imperiali lasciato da Jo: Pietro de Nava detto bigiolum a favore della chiesa di S. Giacomo di Cassago. Ciò dimostra che questa chiesa era governata e mantenuta dalla stessa Comunità del luogo, al cui rappresentante legale era devoluta ogni forma di contributo per il suo mantenimento. Cassago era dunque una cura mercenaria che si manteneva con proventi e redditi propri di questa Comunità. E' molto indicativa a questo proposito l'assenza di qualsiasi cenno in questi legati ad un clero locale e la continua insistenza sull'obbligo a celebrare messe. Solo così infatti, procurando i necessari fondi, era possibile garantire un sempre meno irregolare servizio religioso da parte di preti o cappellani sia di passaggio che dai paesi vicini. Un rapido calcolo ci permette di scoprire che tra il 1524 e il 1566 la chiesa di Cassago avrebbe potuto contare, qualora i legati fossero stati regolarmente eseguiti, su un numero di messe sufficiente a garantire almeno il servizio festivo settimanale. Purtroppo però le cose non andarono così e vien da chiedersi come abbia fatto questa Comunità a procurarsi l'assistenza religiosa prima del 1566. La residenzialità obbligatoria del clero deve essere stata certamente accolta con favore da questa popolazione rurale, che vedeva così diminuire l'incertezza di un servizio spirituale continuo, sia pure a pagamento. Grande deve essere stata anche la soddisfazione locale nel vedere crescere in paese quell'Antonio Brambilla, che sarebbe stato poi consacrato sacerdote.

L'occasione non passò inutilmente: la Comunità nel 1566 lo elesse Rettore della chiesa di Cassago, obbligandosi con una autotassazione e stipulò una convenzione nel 1571 per disciplinare e sostenere il suo servizio religioso. Proprio per queste motivazioni risulta molto strano che la Comunità di Cassago non abbia proceduto contro le inadempienze dei legati e non ne abbia esigito la piena esecuzione, come nel caso di Jo: Pietro de Nava. Probabilmente, come avremo occasione di ripetere, questa possibilità non era una via percorribile nè economicamente nè giuridicamente e per di più, se consideriamo che l'iniziativa doveva partire da gente per lo più analfabeta, ci rendiamo conto subito delle enormi difficoltà dell'impresa. Stando così i fatti, l'inadempienza ebbe gioco facile e durò parecchio, almeno fino all'epoca di S. Carlo e in qualche occasione anche più a lungo. E' il caso ad esempio di tre testatari della famiglia de Sappis e di Gasparo della baretta. Il primo dei quattro, un certo Pietro de Sappis di Tremoncino, nel suo testamento dell'8 maggio 1546, rogato da Tommaso Isachus, aveva ordinato la celebrazione annuale di 10 messe con cera ed officio più la distribuzione ai poveri di Cassago e Tremoncino di quattro staia di pane cotto di frumento (5). Non sappiamo se anche nei casi precedentemente citati le staia di frumento fossero da distribuire ai poveri, come sembra probabile. Certo è che comunque i de Sappis di Tremoncino pare preferissero e incoraggiassero questo genere di donazione, tant'è che anche gli altri due, Ambrogio e Melchiorre, utilizzarono la medesima procedura. Rogato il 18 aprile 1547 da Francescus de Isachis, il testamento di Ambrogio prevedeva la distribuzione di 4 staia di pane di frumento nel giorno della celebrazione del suo settimo e poi per dieci anni e ogni anno altre due staia di pane assieme a 6 messe. Anche Melchiorre lasciò da distribuire ai poveri 4 staia di frumento ogni anno, ma prima di analizzare il suo testamento, che conosciamo per intero, è opportuno accennare al legato di un certo Marino de la baretta, figlio magistro pietro della baretta, che lo precede cronologicamente. Questo testamento rogato durante il pontificato di Giulio III (1550-1555) a Roma il 27 marzo 1551, probabilmente poco prima della morte, ci è quasi interamente noto (6). L'atto che possediamo afferma che Marino della baretta era nativo di Cassago e che in un'epoca imprecisata, per motivi di lavoro o per cautelarsi dalla decadenza del Ducato milanese, si era trasferito a Roma. In questa città aveva acquistato una propria abitazione in platea scrofe regionis campimartis, un quartiere dove si erano radunati di preferenza gli esuli lombardi. L'elenco dei testimoni ne è una prova.

Vi troviamo infatti Antonio de lucino prete della diocesi di Cremona, Tommaso de baronibus piacentino, Antonio de varolis pure lui piacentino e muratore di professione, Giacomo da Caravaggio calzolaio, Giovanni francesco di Valsesia pure lui calzolaio, Biagio Giuliano de Busetis di Brescia e Cristoforo de Frigeriis di Monte Brianza entrambi muratori, Daniele di Benevento fornaio. La via scrofa esiste a tutt'oggi a Roma vicino a Campo Marzio ed incomincia presso la piazza S. Agostino in prossimità della omonima chiesa. In questa città Marino della Beretta praticò evidentemente con molto profitto la sua professione di produttore e commerciante di vini, o forse di oste, tanto da arricchirsi e vivere agiatamente. Da quanto risulta sposò una certa Antonia de fumagallo ma non ne ebbe figli, sicchè quando cadde ammalato e sentì prossima la morte decise di distribuire i suoi beni in opere pie in parte a Roma, nella città che lo aveva ospitato ed in parte a Cassago, dove vivevano ancora alcuni suoi parenti. L'ammontare dell'eredità pari a circa 1000 scudi in contante più altri beni immobili per un valore imprecisato, era assai consistente per quei tempi ed era certo il frutto di una attività economica solida e remunerativa. Tra le principali disposizioni troviamo la volontà di essere sepolto nella chiesa di S. Rocco, a breve distanza dalla sua abitazione romana. A tal proposito lasciò 25 scudi alla società di S. Rocco perchè provvedesse all'ufficiatura ed alla sua sepoltura. Pensò anche ai suoi seppellitori ai quali promise un barile di vino della Corsica. Altri lasciti beneficiarono l'ospedale degli Incurabili di S. Giacomo, presso la chiesa di S. Rocco, al quale assegnò 5 scudi e la società di S. Ambrogio, cui toccarono altri 5 scudi. Per i fanciulli e per le ragazze orfane lasciò 50 giulii, la moneta corrente di Roma così chiamata per l'effige del papa che le diede corso. Infine diede mandato di celebrare delle messe in S. Gregorio e S. Lorenzo fuori le mura, nonchè altre otto messe in chiese o presso altari dove si officiava per la liberazione delle anime dal purgatorio. Fin qui giungono le donazioni romane, dopodichè il testatore passa a Cassago ed agli eredi che lì vi aveva lasciato. Dal valore dei lasciti non v'è dubbio che il suo cuore sia sempre rimasto tenacemente legato alla terra che lo aveva visto nascere ed ai parenti, che gli ricordavano le sue origini. Innanzittutto, ed è questa la parte che riguarda maggiormente l'indagine di questo capitolo, egli dispone che i suoi eredi provvedano la chiesa di S. Giacomo terre de Cassac di un calice e di una pianeta.

A tal fine lascia in eredità 20 scudi. Orbene questa disposizione fu largamente disattesa. Ancora nel 1567 il parroco Brambilla lamenta la sua inadempienza per quanto si dimostri poco preciso e poco informato del contenuto del lascito. Sbaglia infatti sia il nome del testatore che la somma impegnata, dato che sostiene l'esistenza di "uno legato lassato alla predetta giesia dal quondam mf Gio: Maria della bareta in Roma come appare nel suo testamento di somma de scuti venticinque da esser spexi in paramenti per dita giesia" (7). A dire il vero il Brambilla ha successivamente cancellato quanto abbiamo trascritto, forse avvedutosi dell'errore. Fatto sta che di questo legato se ne parla ancora l'anno dopo, appena conclusa la visita del Clivone e questa volta in termini sicuramente più precisi e corretti. Nella lista di tutti gli beni mobili et immobili della Giesia di S.to Jacomo di Cassagho si annota infatti l'esistenza di "uno legatto lassato alla predetta giesia di casagho dal quondam mf Marino della Baretta in Roma, come appare al suo testamento di scuti vinti da essere spesi in ornamento di essa Giesia". In entrambi i casi tuttavia sia il parroco che il funzionario di curia non hanno dubbi nè incertezze riguardo a chi doveva assolvere gli obblighi di quel legato. Sia nel 1567 che nel 1568 gli eredi riconosciuti sono infatti i "figlioli" di Gio: pedro della baretta. Di avviso diverso si mostrò invece S. Carlo che nel 1571 preferì incaricare lo stesso Gio: pedro anzichè i giovanissimi figli, dei quali qualcuno appena nato. Con S. Carlo sembra che siano mutate addirittura le clausole del legato o quanto meno si sia provveduto ad una rivalutazione del debito rispetto al valore della moneta corrente sotto la dominazione spagnola. Si fa riferimento in effetti ad un nuovo strumento rogato dal notaio Gio: Jacomo di Besana, nel quale si obbliga Gio: pedro della baretta, sotto pena di pagare il doppio, a soddisfare entro Pasqua del 1572 il legato in questione. Erroneamente si parla di Martino anzichè di Marino della baretta, non ultimo di una serie di errori che costellano la storia di questo legato. Il valore della pianeta e del calice da acquistare è valutato nel 1571 in 100 lire imperiali. S. Carlo infine destina questa donazione all'altare di S. Maria, un particolare questo che non era presente nel testamento originario (8). Ma ormai erano passati 20 anni dal giorno della sua stesura e probabilmente nessuno era più interessato a rispettarlo fino a tanto, forse nemmeno gli eredi di Marino della baretta, che si erano intascati il meglio dei suoi averi. La lunga lista di questi eredi cassaghesi incomincia con Caterina, figlia di Andrea Fumagal nipote del testatore, che ricevette 50 scudi per la sua dote. Seguono le tre sorelle Hipolita, Adriana e Giovanna, figlie di Antonio de fomagal, anch'esse nipoti di Marino, che insieme ebbero 100 scudi da utilizzare per le rispettive doti. Ad un altro nipote, Giacomo, lasciò 40 scudi mentre al fratello, Gasparo della baretta, nominato suo erede universale, furono assegnati tutti i beni restanti dopo la spartizione.

Marino volle inoltre che dopo la sua morte fosse restituita alla moglie Antonia la dote di 250 scudi ed un valore in mobili pari a 170 scudi, che a suo tempo il testatore aveva ricevuto all'atto del matrimonio. Marino ha particolari attenzioni per la moglie poichè aggiunge di seguito tutta una serie di clausole, che servono a cautelarla ed a procurarle un avvenire quanto più possibile economicamente sicuro e dignitoso. Dapprima dichiara che le 100 monete d'oro e d'argento che possedeva sono di proprietà della moglie, inoltre le lascia la casa posta in Coratio dicti ghisij, la casa nuova cioè che egli stesso aveva fatto costruire presso S. Ambrogio e che in quell'anno era abitata da un certo signor Federico Cantor. Sua moglie non solo aveva il diritto di abitarla, ma poteva affittarla e lasciarla ai propri eredi. La vigna che possedeva e che gli aveva garantito per anni lavoro e lucrosi guadagni passò agli eredi citati a patto che garantissero alla moglie ogni anno alla vendemmia 5 barili di mosto puro e 4 barili di mosto annacquato. Da ultimo tutti gli altri suoi beni mobili ed immobili furono intestati a Jo: Antonio, Giacomo, Margarita e a tutti gli altri figli, che sarebbero nati a Jo: Pietro, il suo nipote figlio del fratello Gasparo. Fra l'altro il testatore vietava la vendita della casa e della vigna prima che fossero trascorsi 20 anni. In tal caso gli eredi dovevano provvedere a distribuire ogni anno il giorno dei morti 4 staia di pane di frumento. Non pare tuttavia che ciò sia mai stato fatto, nè sappiamo se l'esecutore testamentario, lo stesso nipote Antonio de Fumagal, che fu presente a Roma al momento della stesura dell'atto, vi abbia mai provveduto. Per quanto riguarda il legato a favore della chiesa di Cassago pare proprio che non sia mai stato soddisfatto o quanto meno che il tutto sia andato ulteriormente per le lunghe.

Nonostante i richiami di S. Carlo e gli impegni assunti dinanzi al notaio pare proprio che Jo: pedro della baretta, il nipote di Marino, non volesse intendere ragione. Sta di fatto che ancora qualche anno dopo non aveva fatto nulla, anzi, per esser più precisi, "non ha fato lo legato de maria quondam ne quello de gasparo suo padre benchè habia pormesso fargli per istrumento pur per negligentia non gli ha fatti ne si cura di fargli" (9). E' difficile spiegarsi le ragioni di tanta tenace ostinazione. Potrebbero essere motivi strettamente economici, ma non sono da escludere anche altre motivazioni, come avremo occasione di approfondire. Da quel che si sa Jo: petro della baretta, che era nato nel 1531, ed era soprannominato "il gasparino", in ricordo del padre, non versava in evidenti ristrettezze economiche, aveva un proprio lavoro autonomo, abitava in una casa di sua proprietà e ne aveva altre in affitto, retaggio forse della fortuna ereditata dal facoltoso zio. A Cassago era ormai il solo, assieme al fratello Mario e al cugino Jo: Antonio, a potersi fregiare di questa parentela, che ben presto tenderà a scomparire. Jo: pedro della baretta fu al centro di una nuova controversia con la chiesa di Cassago in quegli stessi anni ancora per un altro legato, rogato questa volta da suo padre Gasparo. Costui il 30 giugno 1559 fece un legato di sole 4 messe per 10 anni e ne investì il figlio Jo: Pietro, il quale, come abbiamo già avuto occasione di discutere, si guardò bene dall'assolverlo così come aveva fatto per quello dello zio. Ma torniamo a Melchiorre de Sappis figlio di Bernardino. Abitava anche lui a Tremoncino, dove i de Sappis avevano vasti possedimenti da lungo tempo. Giunto verso la fine dei suoi giorni pensò bene, come sottolinea egli stesso, di provvedere ad bona ordinare. Tutto il testamento, rogato il 5 novembre 1562 dal notaio milanese Gabriele de Castilliono (10), è in effetti un lungo monologo del testatore, la cui preoccupazione più viva è quella di mantenere intatti nel tempo i suoi averi e di trasmetterli senza vendite, spartizioni, nè alienazioni ai propri discendenti o comunque a persone che portino il suo cognome. Tra l'altro afferma di essere stato sposato due volte, dapprima con Helisabetta de Galbusera, da cui ha avuto il figlio Bernardino, e poi con Lucia de Barettis, che è nota altrimenti con il soprannome di Margiona o marsona (11). In conformità al suo desiderio di conservare i beni di famiglia, nomina unico erede Bernardino, ma poichè il ragazzo a quanto pare è simplex et fatuus, cioè un po' lento nei ragionamenti, incarica sua tutrice la moglie Lucia della quale ha piena fiducia. Nel caso che questo figlio fosse morto o non avesse avuto figli, l'eredità avrebbe dovuto passare ad Helisabetta, la figlia avuta dalle seconde nozze. Il testatore però è alquanto sospettoso e impone che il di lei marito Paolo de Scaciatis o Dischazati non possa aver parte alcuna nel possesso e nell'uso dell'eredità. Al massimo potevano esserne investiti i suoi figli, ma non lui. Per quanto strana, questa disposizione doveva avere un minimo di fondatezza e non solo manifestare l'acrimonia del suocero verso il genero falegname, tant'è che i suoi timori si rivelarono fondati e di lì a poco Elisabetta e Paolo finirono per litigare e per separarsi definitivamente. Pare che Paolo de Dischazati si comportasse male o fosse addirittura tacciato di eresia, ma neppure sua moglie e la suocera dovevano essere stinchi di santo poichè ricevettero la pubblica riprovazione di S. Carlo (12). Fra le ulteriori disposizioni testamentarie Melchiorre dà indicazioni verso la chiesa di Cassago affinchè si celebrassero 7 messe ogni anno in perpetuo. Inoltre voleva che il suo cadavere fosse seppellito in questa chiesa. Non solo, ma imponeva agli eredi di erigergli un sepolcro o una tomba. In più ordinava di distribuire ogni anno e per sempre 4 staia di pane di frumento ai poveri che si trovavano a Cassago. Non si sa se queste disposizioni siano mai state tutte eseguite. Neppure S. Carlo pare sia riuscito a ottenerle. Ancora nel 1574 gli eredi erano inadempienti, dopodichè moglie e figlia scomparvero addirittura da Cassago.

Il legato passò di mano probabilmente assieme ai beni sui quali si fondava. E' certo che venne comunque onorato dai nuovi proprietari: nel 1623 il parroco Cristoforo Galbiato annotava infatti: « Jo P. Cristoforo Galbiato curato di Cassago Confesso hauer l'anno presente del 1623 detto quatordeci messe per il legato lasciato dal quondam Marchior Zappa del loco di treoncino qual hà lasciato di far dir sette messe l'anno e di dar per elimosina stara n. 4 di pane di formento l'anno in perpetuo et le sudete messe le ho dette per hauer riceputi li danari dalla Villa di renate, et insieme da essa riceputo li danari di un Moggio di frumento quali si sono distribuiti per tutto il Commune conforme alla mente del testatore » (13). Ed eccoci finalmente agli ultimi due legati, che in ordine di tempo introducono ormai gli anni di rettoria del Brambilla. Il primo è del 25 giugno 1563. Fu rogato a Milano da Jacomo de Martini per conto di Antonio Mauero, che potrebbe essere nuovamente quello stesso sindaco di Cassago in carica nel 1549 e che abbiamo già ricordato, tanto più che il suo erede era Gio: Pietro il fratello del parroco. Se a suo tempo si erano ipotizzati probabili legami di parentela, ora è possibile precisare meglio che Antonio Mauero era forse il fratello della madre del parroco. Il testamento di questo zio del parroco prevedeva la celebrazione di una messa alla settimana, forse per 20 anni. Questa clausola in effetti non è chiara, nè del resto possediamo il documento originale per una più opportuna valutazione. Gli atti della visita pastorale del 1571 a loro volta su questo argomento sono tutt'altro che precisi. Certo è che si tratta di un legato interessante, poichè l'istituzione di una messa settimanale poneva le basi per una presenza regolare di un sacerdote. Non è da escludere che il testatore pensasse in questo caso a garantire una dote ad Antonio Brambilla, che a quell'epoca era sacerdote già da 10 anni, col fine di garantirgli una dignitosa residenza in paese. Antonio Mauero però morì solo nel 1570 per cui il legato non potè avere effetto immediato e quando divenne esecutivo la Comunità di Cassago aveva già provveduto altrimenti a proprie spese al mantenimento del parroco. La lista dei legati non adempiuti in epoca preborromaica si conclude infine con quella del padre di Battista Tronzanio o Trenzinus. A dir la verità oltre al testatore non è noto neppure l'anno del rogito. Si sa solo che c'era l'obbligo di distribuire in elemosine due pani ad ogni famiglia fino a 4 staia di frumento ogni anno. Anche questo legato conobbe la difficoltà del soddisfacimento comune ai precedenti, nè del resto poteva essere altrimenti. A parte qualche raro caso, come ad esempio quelli di Marino de la bareta o di Melchiorre Zappa, che avevano lasciato donazioni sufficienti ad eseguire quanto richiesto nel testamento, la maggior parte infatti di tutti i legati non aveva un bene immobile o capitali su cui essere ipotecati. Dice bene a questo proposito l'anonimo cronista della curia che, dopo aver diligentemente e ordinatamente trascritto tutti i legati di Cassago, conclude ingenuamente che "gli suprascripti testatori non hàno obligato luogo particolare supra il quale siano fundati, ma solamente obligano gli heredi a perficere tal lasso o legato" (14). Il che è tutto dire. Per quanto numerosi e pieni di pii propositi in realtà questi legati erano lasciati alla buona volontà degli eredi, che con ogni probabilità avevano ben altro cui pensare. Indaffarati a saziare le bocche dei propri familiari non potevano certo permettersi di sfamare una volta all'anno l'intero paese, come pretendeva ad esempio il padre di Battista Trenzino o la gran parte di tutti gli altri testatori (15). Senza fondi economici consistenti tutto era inevitabilmente destinato a svanire come una bolla di sapone. In questa ottica è più che giustificata la renitenza degli eredi ad assumersi un onere imprevisto e per di più gravoso. Non per nulla S. Carlo stesso incontrerà molte difficoltà a pretenderne l'esecuzione e in qualche caso il suo sforzo sarà addirittura vano.

 

 

 

(1) Nota legatorum seu ordinum factorum per infrascriptos ad pias causas, in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18, q. 28.

(2) Alcuni rappresentanti di questa famiglia sono noti nel lecchese verso la fine del '300. In un documento del 24 agosto 1397 redatto a Olate sono citati Antonium et Zanem de Madio, Mazinum de Madio, Johannem dictum Colderam de Madio e Gasparo dicto Conto de Madio (A.S.M., Arch. Notarile, Notaio Martino de Rochis fq. Rochetto, cart. 27). In altro del 31 luglio 1389 si cita un certo Jacobinus dictus Mininus de Madio figlio di ser Petri del loco di Malgrate (A.S.M., Arch. Diplomatico, Fondo di Religione, Pergamene, Brescia varie, cart. 97). In uno stemmario del XV sec., il Codice Trivulziano 1390, al foglio 78r è riportato lo stemma di famiglia dei de madijs de clivate, che riporta su fondo arancio un castello rosso con due torri simmetriche, sormontato da aquila nera.

(3) Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(4) I Registro battesimi, morti e matrimoni, Arch. parr. di Cassago.

(5) Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(6) Testamentum Marini Barettae, in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(7) Notificatione de tutti li beni mobili et immobili, op. cit.

(8) Ordinationi per la chiesa di Santi Jacomo et Brigida parochiale del luogo di Cassago Pieve di Missaglia, in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(9) Lista de chi fa e non fa li legati a loro lasciati, in Arch: Curia Arciv. Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18, q. 28.

(10) Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(11) Atti della Visita pastorale di S. Carlo del 1571 e Status animarum loci Cassaghi 1571, in Arch. Curia Milano, Pieve di Missaglia, vol. 18.

(12) Cfr. Atti della Visita pastorale del 1571.

(13) Nota delli offici, in Libro battesimi, matrimoni e morti, 1622-1661, in Arch. parr. Cassago.

(14) Lista de legati, foglio cit.

(15) Uno staio di frumento equivaleva a circa 18,3 litri attuali. Cfr. A. MARTINI, op. cit.. Dalla sua lavorazione si potevano ricavare circa 20 Kg di pane bianco, sagomato a forma di pagnotta del peso medio ipotetico di 800 o 900 g ciascuno.