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Il castro medioevale 

Testata d'angolo di contrafforte nell'area del castro scoperta a luglio 2007

Testata d'angolo di contrafforte nell'area del castro

 

 

IL CASTRO MEDIOEVALE DI CASSAGO

di Luigi Beretta

 

 

 

L'acquisizione di proprietà in Cassago nel XII secolo da parte del monastero di Pontida modificò la struttura amministrativa e giurisdizionale che si era venuta consolidando nel corso del X-XI secolo Gradualmente Pontida assunse infatti un ruolo di primaria grandezza tra i pochi grandi proprietari che potevano vantare diritti sulle terre, che corrispondevano all'odierno comune di Cassago. Oltre ai citati nobili de Raude troviamo la castellania o corte di Cremella, la Basilica di S. Giovanni di Monza, da cui Cremella e il suo monastero benedettino dipendevano, e il monastero di Civate. Mentre quest'ultimo (1), al pari di Pontida, era un caposaldo delle mire egemoniche dell'arcivescovo milanese nelle terre brianzole, la presenza dei de Raude, della Basilica di Monza e soprattutto la corte regia di Cremella rivela al contrario l'influenza del partito imperiale e ghibellino poi, che poteva contare nelle immediate adiacenze anche sulla corte di Bulciago e di Barzanò. Queste ultime due località erano dotate di un castello. Non è da escludere che già in questo secolo a Cassago esistesse quel castro che verrà documentato con sicurezza solo nel XIII secolo.

In effetti castelli si andavano attrezzando un po' dappertutto: la necessità dell'incastellamento dei villaggi apparve improcrastinabile già alla fine del IX secolo quando gli Ungheri con improvvise scorrerie saccheggiavano quanto trovavano sul loro cammino. Ma fu soprattutto la debolezza del potere centrale, che coincise con il declino della dinastia carolingia, a consentire ai singoli domini di ottenere o di arrogarsi i diritti di castellanza. In Brianza, terra di frontiera già popolata di guarnigioni longobarde, questo processo fu stimolato dalla diffusione di piccole corti abitate con la propria servitù dai discendenti di stirpe militare, che saranno all'origine del ceto nobiliare dall'XI-XII secolo in avanti. La presenza di così numerosi centri di potere introdusse una microconflittualità permanente anche in Brianza e vari atti imperiali dell'XI e XII secolo intimano sovente di non molestare in alcun modo le popolazioni dei villaggi, indifese a fronteggiare azioni di guerra, sabotaggi, rapine. Purtroppo in quel XII secolo i conflitti non mancarono: prima la guerra tra Como e Milano, poi la discesa nel 1154 di Federico Barbarossa, furono foriere di inevitabili disastri. In quel periodo arcivescovo di Milano era Oberto da Pirovano (1146-1166), fecondo riformatore del clero ambrosiano, che politicamente fu solidale con la sua città nello sforzo militare che la contrappose all'imperatore fino al fatale 1162.

Dopo il tragico assedio che portò alla capitolazione ed alla distruzione della metropoli, le condizioni e lo stato giuridico delle terre lombarde furono rimodellati a favore dei feudatari tedeschi vincitori al seguito del Barbarossa e dei suoi alleati italiani (2). Per quanto concerne il territorio di Cassago la nuova situazione che venne a crearsi è fotografata in due diplomi emanati nell'aprile del 1162, un mese dopo cioè l'espulsione dei milanesi da Milano (3). Il primo è datato 21 aprile e fu redatto da un certo notaio Johannes nel castro di Cremella (4): si tratta di una carta di investitura di terre a favore della chiesa di Monza. Alla presenza di alcuni testimoni locali il nunzio imperiale Benedetto appellato de Asia, forse in ricordo della sua partecipazione alla crociata del 1147-1149 predicata da S. Bernardo, concesse a Guidone arciprete della Basilica di S. Giovanni il districtus, cioè la signoria di diritto pubblico, su tutte le terre da esso possedute nelle località di Oggiono, Sala, Sirone, Tornago, Cassago, Monticello, Casirago, Missagliola, Maresso, Torricella e Missaglia. L'atto non specifica quali erano gli appezzamenti terrieri di Cassago interessati, tuttavia è verosimile che si tratti di una riconferma delle proprietà già acquisite al Tornago, cioè l'odierno Tremoncino, e nei territori che dipendevano dalla comunità di Cassago.

Altri documenti del XII e del XIII secolo le specificano e le individuano meglio nei particolari: un privilegio papale del 31 marzo 1169 ad esempio conferma i diritti e le consuetudini sulla chiesa di S. Gregorio di Oriano (5), mentre un altro del 27 luglio 1206 fornisce un inventario delle terre che si estendevano fino a Zizzanorre (6). La formula in loco et fundo quod dicitur Turnagum et in loco et fundo quod dicitur Cassagum, usata nel diploma del 1162, per esprimere i possessi terrieri, è inoltre quanto mai indicativa, poichè negli atti altomedioevali designa sempre il territorio esterno al centro abitato quantunque dipendente geograficamente e giuridicamente dal villaggio. Ciò significa che la Basilica di Monza nel XII secolo non aveva la signoria di Cassago, non era cioè il dominus loci ma poteva vantare speciali diritti solo su qualche rustico e non già sugli abitanti di questo paese. La Basilica di Monza inoltre era stata investita solo del districtus, il diritto cioè di amministrare la giustizia, la difesa e i servizi, ma non dell'honor, il potere cioè di riscuotere tributi. I sottoposti pertanto erano soggetti alla legge di questo nuovo feudatario e non più a quella dello stato imperiale. Tuttavia l'assenza dell'honor e del collegato diritto di castellantia esprime la relativamente modesta importanza della Basilica di Monza in Cassago in contrapposizione per esempio ai suoi poteri in Cremella, dove invece poteva vantare honor et districtus. Non è un caso che a Cremella fosse proprio la Basilica di Monza a possedere il castro, dove esercitava la sua signoria sulla corte ed esigeva la castellantia, il diritto cioè di pretendere un contributo per la manutenzione dell'impianto militare e di leva. Anche il monastero di Civate, che per opera del suo abate Algiso aveva cercato di liberarsi dalla influenza politica ed economica dell'arcivescovo milanese (7) sostenendo e aiutando strategicamente la vittoriosa discesa del Barbarossa, era in una condizione analoga alla Basilica di Monza e non era nella facoltà di avanzare diritti sul centro abitato di Cassago.

Un diploma del 27 aprile 1162 (8), redatto a Pavia dal cancelliere Uldarico nella residenza imperiale, al monastero di Civate assegna piuttosto la signoria sulla villa o loco de Suzanore, cioè Zizzanorre, confermandone tutti i precedenti diritti e privilegi, fra i quali scopriamo il districtus e il fodulum (9). Questo atto non sanziona nuove proprietà, ma sostanzialmente riconferma quelle che il monastero di Civate già possedeva sia sotto forma di beneficio che di feudo: Zizzanorre era dunque feudo di Civate già prima del 1162, acquisito in un'epoca e con modalità a tutt'oggi sconosciute. E' noto comunque che già nel X secolo questo monastero vantava proprietà in Brianza, che erano state parzialmente usurpate da un certo Gisilberto da Merate. Un diploma imperiale dato a Pavia il 14 maggio 927 condannava infatti questo Gisilberto a restituire il maltolto al legittimo proprietario (10). Fondamentalmente i possessi del monastero di Civate si addensavano e si estendevano ai fianchi dell'omonimo monte da Cesana e Suello fino ai colli di Brianza, costituendo quasi una barriera verso la pianura. Il diploma del 1162 mostra l'imperatore coronato da uno stuolo di magnati tedeschi ed esprime come ormai l'abbazia si sentisse legata a quel mondo altomedioevale, che stava declinando. Questa autonomia di Civate all'ombra dell'imperatore durò ben poco perchè già nel 1170 abate di Civate divenne Corrado de' Caimi, fratello di Galvano destinato dai milanesi a governare la nuova città di Alessandria, che doveva essere un avamposto contro il Barbarossa. Il centro abitato di Cassago in questo periodo era probabilmente già sotto la diretta influenza del monastero di Pontida che, dopo la prima acquisizione di terre nel 1117 quando era priore Teudoaldo (11), aveva perseguito un concreto piano di espansione dei propri interessi in questa località. In tale prospettiva si inseriscono infatti le acquisizioni di nuovi possedimenti agricoli nella campagna ove scorre il corso d'acqua denominato Roxello (12) e soprattutto i diritti circa le decime e le pertinenze della chiesa cassaghese di S. Maria. Il governo dei possessi di questa chiesa era esercitato certamente già prima del 1151, dato che esattamente in quell'anno vi fu una contesa tra i monaci di Pontida e la chiesa di Missaglia proprio circa i diritti sulle decime ed i redditi derivanti dai fitti e dal censo delle terre in dotazione alla chiesa di S. Maria.

La contesa aveva origini lontane e si allacciava alla creazione stessa del territorio plebano, sancito definitivamente dal concilio di Roma dell'826, che aveva determinato anche la gerarchizzazione delle chiese rurali: al di sotto delle pievi furono così organizzati numerosi oratori o tituli dipendenti dall'archipresbyter della chiesa plebana. Nacque la figura giuridica della plebs, cui era connesso il diritto di riscuotere le decime, che nella pianura padana furono imposte prima con un capitolare del 780-790 e poi con il Capitolare Mantovano Generale dell'813. L'obbligo di pagamento fu infine ribadito nel febbraio 832 in un capitolare di Lotario I (13). Questi vantati diritti di decima delle chiese plebane e cappelle ad esse sottoposte, si erano tuttavia affievoliti nei secoli di fronte al contrastante imporsi di nuovi emergenti ceti e potentati locali e in epoca relativamente recente la materia era stata riesaminata, tanto che una bolla di Adriano IV (1154-1159) aveva modificato la situazione relativamente alle chiese o agli oratori di nuova o più recente costruzione al fine di garantirne economicamente la sopravvivenza (14). 

Le chiese plebane o di più antica costruzione si opposero a questo tentativo di ridurre i loro consolidati privilegi e aprirono annose e travagliate vertenze presso l'autorità ecclesiastica. Così poteva accadere che a Cassago le decime dei fedeli che erano serviti dalla chiesa di S. Maria nonchè i redditi delle sue pertinenze venissero riscosse dal monastero di Pontida a svantaggio della chiesa plebana di Missaglia, che invece li pretendeva per sè. Durante il priorato di Alberto, forse anch'egli un da Vimercate e forse zio di Pinamonte console di Milano, l'oggetto del conflitto fu esaminato nel 1151 da Guido nella sua veste di vescovo di Ostia, che pronunciò una prima sentenza ove diede ragione ai monaci di Pontida e torto ai Canonici di Missaglia. La sentenza fu pronunciata proprio nel 1151 poichè Guido da Somma solo in quell'anno e per pochi mesi fu vescovo durante il pontificato di Eugenio III, mentre prima aveva il titolo di cardinale prete e con tale qualifica era stato legato pontificio in Lombardia per diversi anni (15). Una nuova e analoga sentenza venne ancora pronunciata nel 1186 in un privilegium di papa Urbano II, che riconfermò i diritti del monastero di Pontida riguardo la cappella o chiesa di S. Maria.

Questo privilegium nel suo complesso sancisce l'importanza economica e politica raggiunta dal monastero di Pontida, mentre il contenuto della sentenza se da un lato documenta il livello dei poteri e dei diritti di Pontida sulla chiesa di S. Maria, dall'altro manifesta la novità del ruolo assunto da questo monastero nella gestione economica e spirituale di Cassago. Esso inoltre prospetta quale fu la primitiva origine di quei poteri feudali che sfoceranno nel secolo successivo nella istituzione del castaldato pontidese. I privilegi di Pontida furono ampiamente riconfermati nel 1210 a Pavia dall'imperatore Ottone IV, che "rendeva libero ed esente da ogni fodro e qualsiasi esazione il monastero di Pontida, con tutti i suoi castelli, ville, possessioni, case etc...".

 

 

 

(1) La questione è tuttora discussa: cfr. BOGNETTI-MARCORA, L'abbazia benedettina di Civate, Civate 1957, 142-143; MAGISTRETTI, Appunti per la storia dell'Abbazia di Civate, in Arch. Stor. Lomb. 1898, IX, 88; GIULINI, Memorie di Milano etc., IV, 519; C. CORTINOVIS, I Priori Maggiori di Pontida, Brembate 1978.

(2) Diverse sono le ipotesi sullo stato giuridico dei milanesi dal 19 marzo 1162, giorno dell'espulsione dalla città, fino al 27 aprile 1167 con il rientro e la ricostruzione della civitas. Il Ficker ritiene che Federico accettando la resa e facendo ai Milanesi grazia della vita, abbia applicato il bando del 1159 e li abbia dichiarati servi, confiscandone i beni. Gli immobili fuori città sarebbero stati lasciati in godimento agli antichi possessori, costretti a farsi coltivatori e legati alla gleba, contro delle prestazioni variabili ad arbitrio degli ufficiali imperiali incaricati del governo e della amministrazione dei beni regi in questo territorio. Era dunque una condizione giuridica non dissimile da quella dei servi manentes su terra regia, nel caso non fossero protetti da guarentigie o consuetudini (FICKER, Forschungen zur Reichs-und Rechtsgeschichte Italians, Innsbruck 1874). Il Tschirch invece, citando il Gesta Federici di Goffredo da Viterbo e gli Annales Colonienses Maximi, mette in luce che la misura principale decretata da Federico contro i Milanesi fu il divieto di abitare in città e sostiene, pur nel dubbio, che i cittadini non divennero servi e conservarono integri i loro diritti sulle cose. I Milanesi tuttavia decaddero dalla condizione di cives a quella di rustici, anzi di rustici senza speciali privilegi, venendo così assimilati all'infima classe libera rurale soggetta al districtus del dominus loci, rappresentato in questo caso dall'ufficiale imperiale (TSCHIRCH, Beiträge zur Geschichte Maidlands, Halle 1884). Infine Darmstaedter ritiene che i cittadini conservarono la libertà, ma vennero loro confiscate tutte le terre. Egli parte dal presupposto che gli ufficiali delegati nei territori lombardi percepivano tutto il reddito delle terre milanesi (DARMSTAEDTER, Das Reichsgut in der Lombardei und Piemont, Strasburgo 1896).

(3) Federico fece grazia ai Milanesi, che, arresisi a discrezione, avrebbero dovuto essere uccisi, stando alle disposizioni del banno imperiale. Federico fu ancora più clemente e permise che i milanesi abitassero nelle vicinanze della città e restituì gli allodi che, acquistati a giusto titolo, erano stati tolti ai cittadini privati dei beni e della libertà. Si trattava degli allodi del contado occupati dalle truppe regie durante le varie fasi dell'assedio. Milano fu quindi governata dal vescovo di Liegi da maggio fino ad agosto, quando se ne partì dalla città lasciando il potere nelle mani del suo luogotenente Pietro da Cunin. Avidissimo costui usò ogni mezzo per estorcere denari: in quella stessa estate pretese a suo vantaggio miglio e vino dai contadini, nella pasqua del 1163 impose il pagamento di una forte taglia nel palazzo di Monza e in estate chiese per la constitutione dell'imperatore un quarto dei redditi agricoli e del bosco oltre a un terzo del fieno raccolto. Nel contado Henricus vero Suevus dimorava in montem Ghezonis e raccoglieva i tributi del lodigiano, Marquardus de Crunibac occupava Trezzo, Magister paganus dimorava al Baradello e reggeva il comasco, Hostensis Lunartium de Mandello governava invece il Seprio. Narrano gli Annales Coloniensis Maximi che "Comes Gazonus in Seprio et Martexana secundum predictum colligebat et peccunias creditas Sepriensibus et Martexanis exigi prohibebat et multos Mediolanensium et instrumenta reddere et debito finem facere captos coegit". Le oppressioni del Cunin indussero il vescovo di Liegi a destituirlo e a sostituirlo con Federicus clericus nel settembre 1163, il quale tuttavia si mostrò ancora più esoso. Rientrato nell'ottobre 1163 l'imperatore Federico accertatosi dei danni prodotti dai suoi emissari cercò di porre rimedio in Monza restituendo gran parte delle tasse esigite senza motivo. Morto nel 1164 il vescovo di Liegi fu sostituito da Marquardo di Grumbach, che incaricò una commissione di cinque lombardi di imporre e riscuotere i tributi. Viene così impedita la caccia, sia con il cane che con la rete, nè si potevano fare lacci o fosse per la cattura degli animali. Marquardo se ne sta a Monza, dove riscuote tutti gli esosi tributi sia in denaro che in natura, come uova, polli, maiali, fieno, legna, vino, agnelli, frumento. Marquardo muore nel 1166 ed è sostituito da Henricus de Disce, il quale in luglio impone il fodro, una tassa del valore di 1500 libbre imperiali. Il fodro era pagato tuttavia solo dai cittadini, cives o burgensis, mentre i contadini, rustici o forenses, erano gravati da imposte corrispondenti agli onera rusticana (specialmente manutenzione di strade), che erano obbligati a rendere al dominus loci o alla civitas, se da questa dipendeva.

(4) A. F. FRISI, Memorie Storiche di Monza e sua corte, Milano 1794, II, carta LXII.

(5) Biblioteca Capitolare di Monza, pergamene, privilegi papali e A. F. FRISI, op. cit., II, n. 68.

(6) A. S. M., Pergamene fondo di Religione, S. Giovanni di Monza, cass. 590.

(7) In quello stesso 1162 il papa Alessandro III, che si era ritirato in Francia assieme ad Oberto da Pirovano (1146-1166) arcivescovo di Milano, fece redigere una bolla nella quale si elencava fra i beni dell'arcivescovo milanese anche il "Monasterium Sancti Caloceri de Clavate cum ecclesiis suis", cfr. N. SORMANI, Apologismorum Mediolanensium volumen primum ... , Milano 1740, I, pars 2, 232-234.

(8) BOGNETTI-MARCORA, L'abbazia benedettina di Civate, op. cit., 59-60. Il diploma conosciuto è una copia del primissimo Trecento finita nell'archivio dei canonici di Pisa. Quella carta aveva probabilmente il solo compito di preparare una nuova conferma imperiale dei possessi di Civate. L'imperatore Enrico VII era stato a Milano e aveva ricevuto la corona ferrea il 6 gennaio 1311. Giunto con l'intento di pacificare le fazioni Guelfe e Ghibelline, aveva alla fine dovuto appoggiarsi ai soli Ghibellinni che con Matteo Visconti rappresentavano la tradizione feudale della campagna, con cui era solidale l'abate di Civate. L'imperatore passò in Toscana portandosi appresso la pergamena, se pure non gli fu inviata laggiù nell'ultimo periodo della sua sfortunata avventura. Enrivo VII infatti morì a Bonconvento presso Siena il 24 agosto 1313 e i suoi fedeli ne portarono le spoglie a Pisa. Fra le cose ormai inutili restava in Pisa anche la copia del vecchio diploma di Civate.

(9) Il fodulum o fodro, dal fracone fodar ovvero "nutrimento", indicava in epoca medioevale la contribuzione di foraggio dovuta al sovrano e al suo esercito quando transitavano per un territorio a loro soggetto.

(10) G. DOZIO, Cartolario Briantino corredato di note storiche e corografiche, Milano 1857, 14-16.

(11) Teudoaldo discendeva dai nobili "da Vimercate" ed era fratello di Alcherio. Questa famiglia aveva ricevuto dall'arcivescovo di Milano Landolfo da Carcano (979-998) la pieve di Vimercate con ampi possessi in Brianza e più tardi la corte di Cisano sul bergamasco, cfr. DOZIO, Brivio e la sua Pieve, 51. Teudoaldo nel 1119 si recò a Milano con Bernardo e Landolfo monaci per ringraziare i milanesi dinanzi a tutto il popolo nel teatro della città, dato che grazie alle loro elargizioni in denaro si era potuto costruire un monastero in onore di S. Giacomo nel luogo detto di Pontida. Poi furono stesi i regolari strumenti in cui si ordinava che non si toccasse nulla di quanto veniva consacrato a Dio e al detto monastero, cfr. C. MANARESI, Gli atti del Comune di Milano fino all'anno 1216, Milano 1919, 5-6. Dalle pergamene del monastero di S. Giacomo conservate all'Archivio di Stato di Milano sappiamo con certezza che fu priore di Pontida dal 1117 al 1146, cfr. A. S. M., cart. 6, nn.6- 33. Il breve albero genealogico di Teudoaldo è così composto: Teudaldo da Vimercate - Teudolado e Alcherio che sposa Adelasia, da cui nascono Ospinello che sposa Peregrina e Pinamonte che sposa Baldina, cfr. E. RIBOLDI, Pinamonte da Vimercate, 1901.

(12) Pergamena n. 4487 della Biblioteca Ambrosiana. L'elenco enumera 23 appezzamenti equivalenti a circa 60 pertiche lavorabili al massimo da due contadini. Nella descrizione si parla di campi, boschi e prati ma non di case coloniche o di chiese: è probabile che queste pertinenze non entrassero fra i possedimenti della chiesa di S. Maria. Di questi possessi al Roxellum si ha nuova documentazione nel 1215, in un atto di affitto di terreni in tale località che si dice iacente in territorio de Tornago, cfr. Codice NI 15, inf. fol. 5v/5r, in Biblioteca Ambrosiana.

(13) M. G. H., Capitularia regum francorum, I, n. 89, n. 92 e n. 202.

(14) Cfr. Codice 68 della Biblioteca di Montecassino a commento della Bolla di Adriano IV circa i diritti delle chiese più antiche in confronto dei nuovi oratori a riguardo delle decime dei fedeli che ne erano serviti.

(15) F. KEHR, Italia pontificia, VI, part. I, 193