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Conventi AgostinianI Femminili: Schio

Suore nel monastero di Schio

Suore davanti alla cappella

Suore nel monastero di Schio

Suore del monastero

 

 

DALLE CRONACHE DEL MONASTERO AGOSTINIANO

di mons. Luciano Dalle Molle

 

 

 

Della chiesa di Sant'Antonio abate e del monastero agostiniano ho avuto modo di parlare varie volte nel nostro "Bollettino" parrocchiale. In particolare circa le vicende liete e tristi del monastero ho scritto nel "Bollettino" di febbraio del 1999. Un periodo particolarmente triste per la vita delle monache fu quello che andò dalla fine del ‘700 alla metà dell'800.

La bufera napoleonica si abbatté anche sul nostro convento che nel 1810 fu soppresso, messo all'asta e acquistato dalle famiglie Gardellin e Maraschin. Solo nel 1825 le tre sorelle sr. Maria Giuseppina, sr. Maria Angela e sr. Maria Ludovica Pasini, figlie di Ludovico e sorelle di Eleonoro Pasini, riuscirono a mettere insieme la somma necessaria per recuperare almeno una parte del monastero, quella che era stata acquistata dalla famiglia Gardellin. L'altra parte rimase di proprietà dei Maraschin. Mi sembra interessante ripercorrere queste vicende seguendo le cronache manoscritte che il monastero conserva e che ho potuto vedere per gentile concessione della Madre badessa.

 

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Scrive dunque la cronista: "Dopo la soppressione napoleonica le tre sorelle Pasini si radunarono in una casetta, non si sa se di proprietà delle Pasini, e si diedero ad una vita tanto grama con lo scopo di risparmiare denaro onde poter fare l'acquisto del loro monastero. Con la povertà volontaria sostennero anche i dileggi di coloro che le dicevano povere vecchie imbecilli e vane sognatrici ... Parte del monastero era stato ceduto ai Maraschin, i quali venivano trasformandolo in una elegante palazzina: il rimanente del fabbricato, quello più lontano dalla Chiesa, era divenuto proprietà dei Signori Gardellin: e fu appunto da costoro che le nostre povere Religiose ne poterono fare l'acquisto.

A ciò si prestarono tre pie persone di Schio: il M. Rev.do don Giuseppe Rossetti, il Sig. Gaetano Garbin e il Sig. Gaetano Scarpieri che nel 1826 comperarono lo stabile per conto delle Religiose, le quali s'impegnarono di pagarne l'importo nel corso di sei anni, come infatti fecero. E fu così che dopo 16 anni rimisero il piede fra quelle mura benedette che sole rimanevano a testimoniare l'antica pietà, poiché il resto era stato trasformato in abitazione secolare. Tutto era da restaurare per ridurlo allo stato primitivo e ci volle del coraggio !, ma il più era fatto". La cronista si diffonde poi a parlare delle fatiche e dell'impegno delle Monache per rendere abitabile il monastero. Poi continua: "Ci voleva però la Chiesa, perché quella primitiva restava tagliata fuori dal Palazzo Maraschin. Molte erano le difficoltà sulla riuscita dell'impresa, perciò pochi porgevano mano.

Tra questi una vecchia cronaca del Convento ricorda con profonda riconoscenza il M. Rev.do Arciprete don Luigi Piccoli che tanto si interessò e colle parole e coi fatti". La chiesa iniziata il 21 settembre 1834 con la posa della prima pietra, fu solennemente benedetta il 4 agosto 1839 e aperta al culto pubblico. A coprire le spese concorsero anche i Maraschin proprietari del palazzo sorto su una parte del monastero.

Un suo rappresentante il canonico Andrea Maraschin, mosso dal rimorso perché la sua famiglia aveva occupato una parte del monastero, indirizzava all'Arciprete di Schio questa lettera datata 4 settembre 1826: "Sentito il progetto del ripristino delle Monache in porzione del fu Convento di S. Agostino di questa città, io mosso dal desiderio di cooperare per quanto sta in me al maggior lustro della Religione e della Patria, sendo che le suddette Monache si assumono anche a carico la educazione delle fanciulle e mosso poi anche specialmente di porre in calma la mia coscienza e quella dei miei eredi e successori sul possesso della porzione del Convento acquistata dalla mia Famiglia, mi obbligo con questa mia lettera, che intendo e voglio abbia per me e per i miei eredi ogni più valida forma di obbligazione ad esborsare per la fabbrica della nuova Chiesa in servizio delle Monache entro quattro anni mille ducati veneti solo per altro che eseguita sia le seguente condizione: che venga ottenuta dalla S. Sede per me e per i miei eredi e successori una piena e perpetua benedizione sull'acquisto e sul possesso della porzione del Convento che attualmente possiede la mia Famiglia: sicché né io né i miei eredi e successori possan venire mai più in verun modo su ciò molestati o turbati ..."

 

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Sappiamo che la nuova chiesa delle Monache dopo solo 40 anni fu abbattuta per lasciar il posto all'attuale voluta dal sen. A. Rossi per il Quartiere nuovo. Non è che le Monache abbiano accolto con molto entusiasmo la decisione del Senatore.

Scrive la cronista: "Venne abbattuta la nostra Chiesa, che contava appena quarant'anni di vita e con essa il bello e comodo Coro, che ne aveva diciannove, frutti l'una e l'altro di ansie, di sacrifici non indifferenti da parte di quelle poche e coraggiose Madri che avevano posto mano al ripristino. Il nuovo tempio seppellì nell'ombra e nell'umido di tramontana il Monastero, tolse alcune delle celle migliori per posizione e in più sostituì due malagevoli Cori a quello preesistente".

 

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Poco prima la cronista aveva parlato del colera dell'anno 1855 che aveva mietuto vittime anche nel monastero, tra cui la Abbadessa Mr. Maria Chiara Navarotto morta "in odore di santità". E aggiunge: "Altra singolarissima ospite di quegli anni fu una piccola negra, Giuseppina di Maria Morette, schiava africana proveniente da Marsiglia. Aveva sei anni e morì a sedici il 4 luglio 1874. Di lenta infiammazione di cuore e di testa".

Era dunque di poco più anziana di santa Bakhita, si chiamava Giuseppina come la nostra Santa, era di pelle nera ed era stata schiava come lei. Il nome originale di questa giovane monaca di colore era Baath ed era giunta a Schio a sei anni e mezzo, assieme a un'altra moretta, Kera, di cinque anni (che morì quasi subito), riscattate dai mercanti di schiavi musulmani da don Nicolò Olivieri. Battezzata nel nostro duomo l'8 marzo 1857 con i nomi di Maria Laura Giuseppina, questa prima immigrata di colore a Schio, studiò presso la Pia Scuola Femminile cittadina fino al 1863, quando le suore Dorotee che la reggevano furono sostituite dalle Canossiane.

Entrata fra le Agostiniane nel 1864, le privazioni patite in schiavitù ne affrettarono la scomparsa nell'epidemia di dieci anni dopo. A questa nostra prima concittadina di colore Edoardo Ghiotto, collaboratore del "Bollettino" ha dedicato un'esauriente Scheda archivistica nel numero di aprile 1992.