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BIBLIOGRAPHIA AUGUSTINIANA: Scarperia augustinus

Sant'Agostino: il battesimo in una scultura dell'Arca di Pavia

Pavia: battesimo di Agostino

 

 

de SCARPERIA AUGUSTINUS

 

 

 

de Scarperia Fr. Augustinus, filius Naddi de familia Lotini, ortum habuit prima medietate saec. XIV. Augustiniana Regula protessa, videtur illum suam educationem tum spiritualem cum intellectivam efformasse Florentiae in nostro S. Spiritus coenobio. An. 1384 instituitur a superioribus Ordinis, Prior nostri Conventus Lucani, et ex eo quod erat praedicator, certe non infimi subsellii, Generalis Bartholomaeus Venetus, cum esset Lucae illi sequentes concessit gratias, quas ipsissimis verbis Generalis refero: "Die XIIII septembris 1385. Fecimus fratrem Augustinum Naddi de Scarperia conventualem in nostro conventu de Scarperia ab omnibus obedienciis eum eximentes de nostra gratia speciali, a qua conventualitate nullus officialis Ordinis nobis inferior, possit eum amovere nisi, quod absit, propter sua patentia demerita. Item si vocatus sponte ad aliquem ordinis nostri conventum ad predicandum accesserit, quandiu quotiescumque et in quocumque loco in dicto predicationis officio manserit, ipsum conventualem ibidem preficimus; neque ob hoc privatur dicta conventualite conventus Scarparie quotiescumque eum (sic) ad ipsum conventum suum reversus fuerit. Item quod possit ad nos venire ubicumque pro tempore contigerit nos morari. Item quod possit uti stupis et balneis et equitare cum uno socio. (Cfr. Reg. Dd. 2, f. 57v)". An. 1387 Definitores suae provinciae in capitulo de Sancto Miniate illum elegerunt in Priorem conventus Petrae Sanctae, sed ipse statim renuntiavit; quam renuntiationem idem Generalis acceptavit sub die IX augusti eiusdem an. 1387. Eodem autem die "fecimus predicatorem. (sunt verba eiusdem Generalis) in conventu Petre Sancte fratrem Augustinum Lotini de Scarparia tam pro toto anni circulo quam pro tempore quadragesimae. Revocantes et annullantes omnem aliam institutionem predicatoris in dicto conventu factam per quemcumque citra nos; volentes ut in dicto conventu in omnibus pertractari debeat prout in eodem conventu alii predicatores communiter tractari consueverunt. (Cfr. Reg. Dd. 3, f. 39)". Fuit igitur Augustinus noster alienus ab honoribus, humilis, verbi Dei praedicator, et domus Dei zelator. Videtur illum hanc mortalem vitam reliquisse non multo post. Ex documentis allatis evidenter apparet personam Fr. Augustini de Scarperia clare esse definitam; tamen percelebris scriptor Dominicus Manni in Notizie intorno al traduttore de' Sermone appellati di S. Agostino, de quibus infra, his sermonibus in sua editione Florentina an. 1730 praemissae, illum confundit cum Magistro Augustino de Florentia, qui etiam fuit Augustinianus, obiitque an. 1340, cuius persona est omnino diversa. Corrigendus est igitur manifestus error Manni, qui certe ex carentia documentorum, involuntarie erravit. Quod attinet ad ea quae scripsit Fr. Augustinus de Scarperia, neminem pigeat si hic referam quae ipse ego italice de illis scripsi in nostra ephemeride, cui titulus: Bollettino Storico Agostiniano, anno II, pp. 17-19 et 41-46. En igitur quae inibi prostant:

1. Gli ammaestrevoli Sermoni di Messere Santo Augustino recati di latino in volgare dal Reverendiximo et divoto religioso frate Agostino della Scarperia dell'Ordine dei frati Romitani a divotione et chonsolatione d'alquanti divoti giovani ecc. E' questa l'intestazione del cod. 25 del pluteo 27 della Biblioteca Laurenziana di Firenze. Il cod. è del sec. XV, come quasi tutti gli altri che sarò per noverare, appartenne a Girolamo d'Adovardo di Cipriano Giachinolfi, seduto tra' Priori nel 1474, e servì per l'edizione dei medesimi, fatta in Bologna dai fratelli Masi nel 1818 in 8, con l'assistenza del Prof. Luigi Muzzi, la quale, secondo quanto afferma lo Zambrini (Le Opere volgari a stampa, 4.a ediz. Bologna, Zanichelli, 1884, col. 7) "riuscì accuratissima sopra quante altre se ne fecero per lo passato". Ma altra pregevolissima edizione ne aveva già procurata Domenico Maria Manni, in Firenze, 1731 in 4, "che adornolla (così Gaetano Poggiali, Serie del Testi di lingua stampati che si citano nel Vocab. della Crusca, Livorno, 1813, p. 6) di un'erudita prefazione, in cui dice di averla formata sopra un testo a penna allora de' Guadagni, oggi presso di noi, non avendo fatto uso alcuno dell'edizione di Firenze del 1493 pel Miscomini in 4, benchè in Firenze allora se ne facesse nell'anno stesso per Francesco di Dino pure in 4, sconosciuta al Manni e ad altri Bibliografi, forse per la sua rarità, esistenti amendue nella nostra Biblioteca; ed è notabile come queste edizioni non contengono che soli XIX Sermoni, mancandovi quello che nell'impressione del Manni è il XVIII di misericordia de' Poveri, anzi dalla tavola di essi non ne compariscono che XVIII, perchè il primo è confuso col Proemio, di che il Manni non fa alcun cenno. Quattro sono i testi a penna di questo elegantissimo volgarizzamento che presso noi si conservano, i primi tre de' quali, segnati co' numeri 52, 53 e 54 appartenevano già alla famiglia Guadagni, alla quale erano pervenuti da quella di Piero del Nero per ragione di eredità. Fra questi, quello di cui crediamo si servisse il Manni, è segnato col n. 54, scritto nei sec. XIV, il quale abbraccia ancora altre opere ascetiche, fra le quali vi sono due altri sermoni attribuiti al Santo senza nome di volgarizzatore, uno de' quali tratta della miseria di nostra vita, l'altro dimostra come tutti noi dobbiamo morire. (Ritengo che questo codice sia ora il Riccardiano 1345). Ci fa poi specie come il Manni non abbia sopra di ciò detto cosa alcuna; e maggiore si è la nostra sorpresa in vedere che egli non abbia fatto menzione degli altri due codici, che in quel tempo dovevano pur essere uniti a quello di cui egli si valse. Or dunque quello segnato col n. 52 (e questo credo che sia l'odierno Riccardiano 1313, oppure l'altro segnato col n. 1376) scritto ottimamente in carta verso la fine del sec. XIV, oltre ai XX Sermoni indicati, altri due ne contiene, uno della morte, l'altro della vanità e miseria di questo mondo, i quali essendo uniti agli altri è credibile che sieno dello stesso Volgarizzatore, e a giudizio nostro meriterebbero di vedere la pubblica luce ugualmente che i primi venti. Quello però della morte di questo stesso volgarizzatore fu pubblicato in 4, senza data, con la figura del santo incisa in legno, sul cadere del sec. XV e l'edizione sembra fiorentina. (Il Gamba ed il Molini, Codici mss. Ital. della Palatina, Firenze. 1833, in 8. e 24., dicono: che è certamente di Francesco di Dino, giacchè è fatta sugli stessi caratteri de' Sermoni di S. Agostino stampato dallo stesso nel 1493, ed ha sul frontespizio la medesima figura in legno). Avvertasi inoltre come il presente è affatto diverso da quello sullo stesso argomento, che è il ventesimo degli stampati col titolo: Sermone di allegrezza. Il testo poi del cod. n. 53, scritto parte su carta e parte su pergamena, sul principio del sec. XV, contiene varie opere, cominciandosi però dai Sermoni, alcuni de' quali sono diversamente collocati, e sono in maggior numero degli stampati: fra i medesimi avvenne due sulla Natività di N. S. Gesù Cristo e uno della Povertà, i quali non leggonsi nella edizione del 1731. Il quarto Testo è scritto in pergamena sul cadere del sec. XIV in foglio, ed è unito al volgarizzamento del Pastorale, e del Dialogo di S. Gregorio, contenendo sermoni XXI, fra quali evvi quello della Speranza, similmente inedito". Anco il cod. 1405 (P. I, 12) della Biblioteca Riccardiana, contiene questi Sermoni, ma in n. di 21, l'ultimo dei quali è Di digiuni e di elemosine, come pure i cod. 1313 e 1376, oltre i citati, anche un altro Del Giudizio. E gli stessi Sermoni son pur contenuti in altri codici, parte miscell., anepigrafici ed adespoti, della stessa Biblioteca Riccardiana e sono i seguenti N.ri 1290, tra le carte 33a-88b; 1302 (P. III, 1) cc.128a-147b; 1318 (P. I. 9) cc. 47a-105b; l323 (P. I. 14) cc. 1a-29a; 1329, cc. 1a-22b dove leggesi: "scripto per me Michele di Sictij del Buonconsiglio Sitij, 1459", ed a pag. 138: "Fu di Nicola Bargiacchi"; 1334, cc. 2a-27a; 1409 (P. I. 11); 1416; 1429, cc. 1a-56a; 1624; 1625; 1635; 1657; 1672; 1680, e 1696 (P. I. 15) tra le cc. 1a-44a nel quale a tergo della guardia anteriore, figurato a penna e colori, vi è S. Agostino in atto di sermonare ai suoi frati; e dopo il XX sermone (c. 42b) segue subito il XXI Sermone in onorem asunzionis Sancte Marie. "Sapiendo, o fratelli charissimi". Altri codici nella stessa Firenze hanno i medesimi Sermoni volgarizzati, e cioè i cod. 4 (116. E. 5. 1. 20) tra le cc. 51a-75b, e 30 (331 E. 5. 1. 24) tra le cc. 1-41, della Palatina; il codice XVIII tra i Biscioniani della Leopoldina; il cod. CXVIII tra i Gaddiani reliqui della Laurenziana: inoltre il cod. 36 in 4 della Bibl. Chigiana, oggi nella Vaticana; il cod. XII. F. 8 della Biblioteca Nazionale di Napoli; il cod. 401 della Biblioteca Trivulziana, che ha XXI Sermoni, l'ultimo de' quali è De Conscientia che è tra gli inediti; ed altri sono ancora in altre biblioteche che per amore di brevità tralascio di enumerare.

2. Il Libro del Soliloquio di S. Agostino in volgare, tradotto, secondo alcuni biofili, dallo stesso frate Agostino dalla Scarperia. L'Argelati, Biblioteca de' Volgarizzatori, T. I, p. 22, e il Paitoni, Bibliot. degli Autori antichi greci e latini volgarizzati, Venezia, 1766, T. I, p. 28, dicono soltanto che il volgarizzatore dei Soliloqui fu un frate Agostiniano Anonimo. Uno dei migliori codici, che contengono questo libro veramente aureo, è il numero 1379 della Biblioteca Riccardiana, della fine del sec. XIV, membr. ben conservato, di bella ed intellibigile scrittura, ed è diviso in 34 capitoli e comincia: "Impercio che fra tutti i devoti libri che si truovano, lo libro de' Soliloquij de Santo Agostino mi pare di singolare divotione io ò pensato di volgarizzarlo accio che di così santa et utile opera possano ricevere utilità le divote persone che non sono grammatici. Ma perchè il detto libro fu fatto da Santo Agostino orando e contemplando, et solo con solo Dio in segreto parlando, onde soliloquio, parlare con solo Dio è chiamato, conviensi a chi ne vuole parlare et sentire sapore et utilità, havere monditia et purità et pace di mente ecc."; finisce: "et solo li giusti entrano per essa". Altro bellissimo codice è il n. XV del Plut. XXVII della Biblioteca Laurenziana il quale, tra le pp. 80-101, contiene gli stessi Soliloqui dopo i Sermoni di S. Agostino, e tra le pp. 101-108 la Vita dello stesso Santo, pure in volgare. Gli stessi Soliloqui son pure contenuti, dopo i medesimi Sermoni, nel cod. XCV del Plut. LXXXIX della stessa Biblioteca; nel cod. XVIII della Leopoldina tra i Biscioniani e nel cod. CXVIII della stessa Biblioteca; nel cod. 103 C. 3 della Nazionale di Firenze e nei codici 1302, 1320, 1378, 1379, 1425, 1432, 1635, 1756, 1775 e 1333 della Riccardiana; il cod. 1635 oltre i Sermoni ed i Soliloqui ha pure il Libro della vita contemplativa pure di S. Agostino e forse dello stesso volgarizzatore. Questo libro è diviso in sei trattati: "Il 1.o è dell'unità e Trinità di Dio; il 2.o della Città celestiale ch'egli chiama Jerusalem; il 3.o come l'anima diventa fervente di Dio contemplando e sale più alto; il 4.o fa l'anima amante acciocchè Cristo solamente possa amare; nel 5.o l'uomo pieno di sanctitade piagne etc.; nel 6.o che si deve amare le cose che sono di sopra e non quelle che sono di sotto". "Il cod. CXVIII della Biblioteca Laurenziana tra i Gaddiani reliqui, oltre i Sermoni, contiene pure i Soliloqui, ma questi nel presente codice sono divisi in XXXV capitoli, mentre il codice CXIX li ha divisi in XXXIV, come si trovano in quasi tutti gli altri codici. Due buoni codici de' Soliloqui son pure i Palatini 16 (E. 5. 8. 6) e 28 (134. E. 5. 8. 46) della Nazionale di Firenze. Si trovano ancora in molte altre Biblioteche; ma andremmo troppo per le lunghe se volessimo enunciare e descrivere tutti i codici che li contengono. Ci limiteremo perciò a segnalarne le più interessanti edizioni. La prima è quella di Venezia, per Mattheo di Codeca da Parma, s. a., edizione del sec. XV in 8. Gli stessi, - Milano - 1480 - in 4". Edizione tanto rara che sfuggì all'Orlandi, al Maittaire ed al Sassi (Histor. Letterario- Typograf. Mediolanen. i quali non ne fecero alcun cenno. Essere essa elegantissima in fatto di lingua si raccoglie da questo, che lo Zeno, a cui ne apparteneva una copia, dice T. II, p. 468 che "è forse la medesima citata nel Vocabolario della Crusca". Porta unito un Trattato dell'arte di ben morire del Cardinal di Fermo, Domenico Capranica, di data posteriore. Il Paitoni dice ancora che il Mazzuchelli glie ne segnalò un altro esemplare, a cui andava unita una traduzione ms. con questo titolo: "Incomincia il specchio de peccatori del padre nostro Santo Augustino Vescovo Hyponese" di carte 18, con alcune altre orazioni del medesimo Santo in volgare. Fu edito per la prima volta - Venetiis per Bernardinum Venetum, Anno Dm. 1498, die primo Iunii; e poi a cura di Ugo Antonio Amico, Bologna, G. Romagnoli, 1866, in 8. L'Amico credette l'opuscolo inedito. Gli stessi Soliloqui con i Dieci gradi per li quali l'huomo che gliha vine avera perfectione. Impressi in Firenze adì X di Novembre MLXXXI, in 4. In questa ristampa, simigliantissima alla precedente, è agevole a ravvisarsi che nella data manca il CCCC. Gli stessi coi Dieci gradi (s. l. e t.). In fine si legge: "Finiti e soliloquii de Sancto Agostino Et e dieci gradi per li quali l'huomo che gliha viene a perfectione. Adì XX de gnogno (sic) MCCCCLXXXVIIII" (Hain, 2017, e Pellechet, 1522). Gli stessi con i soliti Dieci gradi, Firenzes. s. e t., 1891, in 4, il cui testo è da preferirsi all'edizione del 1480, offrendo in genere lezioni assai migliori. Soliloqui et Manuale di S. Agostino, Milano per Leonardo Pachel, 1491, in 8. A proposito di questa edizione il Sassi (l. c.) afferma di averne avuto presso di se un esemplare "in bellissimo carattere piuttosto grande senza titolo, senza numerazione di pagina ecc. Non ha neppure il nome del traduttore, pare però essere stato uno dell'Ordine di S. Agostino, chiamandolo padre nostro". Furono poi ristampati in Venetia per Mattheo di Codecha da Parma adì XV di Zenaro, 1494, in 8; in Firenze, 1495 per S. P. (da) Pescia in 8. (Copinger. n. 753) - S. l. (Firenze coi caratteri del Morgiani) a dì XX di Giugno 1499 in 4. Inc.: Soliloqui del Divo padre Sancto Agostino, ed è una bellissima edizione. Tralascio altre edizioni di poco conto e soltanto accenno a quella di Verona, Bernardi 1830, in 12, qualificata dallo Zambrini nel l. c. per accuratissima, eseguita dall'ab. Zanotti, il quale però non parla del traduttore, dice di aver collazionato il testo coi codici Riccardiani 1482, 1425 e con un terzo della Biblioteca Gianfilippi di Verona del secolo XIV, ed omise il Manuale. Non meno accurata è pur quella di Parma, Fiaccadori 1838 in 16, e quella eseguita dall'ab. Adamo Rossi, secondo un codice della Biblioteca di Perugia ed è tra le quattordici scritture italiane. Per un'altra edizione non dovrebbe trascurarsi di collezionare il testo col bel cod. 1778 della Biblioteca dell' Università di Bologna che è del sec. XIV. V'ha notato in ultimo che spesso coi Soliloqui va unito il Manuale, pur attribuito a S. Agostino, tradotto certamente da un religioso dell'Ordine Eremitano dello stesso Santo; ma non saprei affermare se questi sia lo stesso fr. Agostino da Scarperia, quantunque sia scritto con lo stesso aureo stile dei Sermoni e dei Soliloqui. Lo stesso deve dirsi del Libro delle celestiali Contemplazioni edito coi Soliloqui ed il Manuale, Parma, Fiaccadori, 1871, il quale è diviso in XXIII capi, e termina: "Finito è il libro delle Celestiali Contemplazioni, fatte dal nostro padre messer santo Agostino, il quale si deve leggere con attenzione e orando". E questa operetta fu tratta da un bel codice membranaceo della Biblioteca Palatina di Parma.

3. La scala dei claustrali, testo a penna inedito, in addietro conosciuto sotto il titolo: Scala di S. Agostino o del Paradiso, edito ed illustrato con note insieme alle operette Della Miseria dell'uomo, al Giardino di consolazione e all'Introduzione alle Virtù di Bono Giamboni dal Dottor Francesco Tassi, Firenze, presso Guglielmo Piatti, 1836, in 8. Dobbiamo dir subito che il Tassi in una erudita dissertazione edita negli Atti dell'Accademia della Crusca, Firenze, Tip. dell'Insegna di Dante, 1829, T. III, pp. 391-414, imprende a dimostrare che la Scala dei Claustrali, o Scala di S. Agostino o del Paradiso in volgare è opera del nostro Fra Agostino dalla Scarperia. Il testo di cui si servì il Tassi per la sua edizione, è quello stesso, secondo la sua affermazione, "del quale si valsero già i compilatori della 2.a impressione del Vocabolario, conforme rilevasi dalla nota 274 riportata a piè della Tavola delle abbreviature degli Autori citati, sopra un codice, che, portando il titolo Scala di S. Agostino o del Paradiso, appartenne a Mons. Piero Dini Arcivescovo di Fermo, nell'Accademia detto il Pasciuto". Il Tassi lo disse della fine del secolo XIV, di pp. 45, che fu da lui posseduto e che questa operetta non è da confondersi con l'altra dello stesso S. Dottore, la di cui differenza ci vien avvertita da un ottimo volgarizzamento, col titolo: I Dieci Gradi per i quali viene l' uomo a perfezione contenuto nel cod. Laurenziano XCV del Pluteo LXXXIX. Vari sono per verità i trattati ai quali fu data la denominazione di Scala celestiale, Scala cristiana o del Paradiso, ed è celebre quella che, in trenta gradi distinta, fu scritta in greco da S. Giovanni Climaco e translatata in ottimo volgare, secondo leggesi nel codice Riccardiano 1351, dal beato gentile da Fulegno de l'ordine de' frati romiti di Santo Agostino". Vi son poi altre scale o gradini di perfezione attribuiti a diversi, tra le quali una delle più commendevoli è la Scala del Cielo di S. Bernardo. Questa è del tutto diversa da quella che pubblicò l'erudito abate Luigi Rigoli in seguito alle Parafrasi degl'Inni del Capponi quale volgarizzamento di un frate Agostiniano, intitolata Scala di S. Agostino da lui tratta dal cod. Riccardiano 1477, mentre quella di S. Bernardo è nel cod. parimenti Riccardiano N. 1427. E quella detta di S. Agostino, di cui al presente ci occupiamo, secondo i Maurini nell'Appendice al T. VI, p. 163 non è punto del nostro S. Dottore, ma di tal Guido o Guigo, quinto Priore della Certosa Maggiore. Nè è da omettere che il ricordato cod. 1477 della Riccard. ha propriamente per titolo: Libro di S. Agostino, detto scala di quattro gradi, volgarizzato da un suo frate; che questo testo molto si avvicina con quello del Pasciuto, e che questo veniva riconosciuto quasi identico con quello di un codice del celebre P. Mauro Bernardini delle Scuole Pie, che avea per titolo: Ammunizione di S. Agostino, come l' anima de' vacare a Dio, perchè in realtà conteneva una Scala del Paradiso in quattro gradi egualmente distinta, quantunque facesse parte di un elegantissimo Leggendario di Santi, scritto in perg. nel 1462.

L'errore poi, secondo il Tassi, per cui quest'opericciola fu attribuita a S. Agostino, sta in ciò, che l'Autore sì nel principio che nella fine, Agostino si noma, scrivendo nell'introduzione: "Con ciò sia cosa che io Agostino, un die occupato di fatica corporale, subitamente mi si rappresentarono nell'animo quattro gradi ecc."; e nella conclusione: "Ma io temo, o figliola mia, o anima santa, o anima beata, che questo ragionamento, che io Agostino faccio con teco, non ci tenesse troppo, imperocchè quanto più parlassimo di esso, più ne crescerebbe la materia ecc.". Onde copisti e non copisti sotto quel nome di Agostino ravvisarono il santo Vescovo d'Ippona, quando sotto il medesimo, conclude il Tassi, è da riconoscere "il celebre e dotto frate Agostino dalla Scarperia, che fioriva sul declinare della metà del sec. XIV, e che agli eremiti Agostiniani della città nostra lustro grandissimo arrecò e splendore. Nè, a sostegno di tale opinione, poco gioverebbe il detto dal Manni nelle Notizie Intorno al traduttore dei Sermoni... cioè che frate Agostino dalla Scarperia, prese non già a tradurre, ma a parafrasare, ad illustrare ed ampliare varie opere morali di quel Santo Dottore. Il perchè, come vedemmo, essendo il presente trattato una stretta imitazione di quello già composto in latino da Guigo, quinto priore della Certosa Maggiore, e che l'antica comune opinione a S. Agostino ascriveva, non sarebbe perciò improbabile il supporre, che indotto da questa falsa credenza col terso e vago suo stile, un tal trattato ad ampliare, ed a nuovamente ordinare imprendesse". Il Tassi dimostra infine che questa Scala di S. Agostino, o Scala dei quattro gradi o del Paradiso, o Ammunizione di S. Agostino chiamar si debba, come scrive l'autore della medesima: Scala degli Claustrali. Un altro bel codice della medesima trovasi pure alla Laurenziana di Firenze tra i codici Ashburniani in una miscellanea volgare scritta nel sec. XV, segnata coi N.i 669-600, ove a pag. 183 incomincia la Scala così: "Con ciò sia cosa che io Agostino essendo occupato da fatica d'animo incominciassi a pensare d'alcuna opera spirituale subitamente mi venne nell'animo quattro gradi, cioè iscaglioni spirituali ecc.". Altri due codici col titolo di Scala del Cielo di S. Agostino sono pure in Firenze nella Nazionale tra i codici Palatini 68 (86. E. 5. 8. 63) e 110 (527. E. 5. 10. 71). Il Miola (Le scritture in volgare della Bibliot. Nazionale di Napoli, p. 28), afferma che ivi ne esiste un altro cod. della fine del sec. XIV, segnato V. C. 22 tra le pp. 116-122 già posseduto dal Card. Seripando, e riferendosi allo Zambrini (l.c.), oltre l'ediz. del Rigoli in Parafrasi poetiche degli Inni Breviario di Vincenzo Capponi, Firenze, Brazzini, 1818, in 8, ne accenna ancora un altra dal titolo: Trattato dei quattro gradi spirituali edito insieme al Monte dell'Oratione, Fiorenza, a petitione dell'herede di Giunta, 1528 in 4.

Avvertiamo in ultimo che in tutte queste operette l'ingegno pietoso del nostro frate Agostino, fa come l'ape industre scegliendo fior da fiore di quanto di più utile potè raccogliere da diversi santi Padri e che è degnissimo di studio per la proprietà, efficacia, la grazia delle voci e delle frasi, e vieppiù ancora per l'arte onde rende in volgare l'originale latino, che non è la servile del più dei traduttori del tempo suo, ma la franca e industriosa di chi mostra di intender bene l'una e l'altra lingua".