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monaci e cultura agostiniani

Abito di monaci agostiniani Abito di monaci agostiniani

 

Il vestito agostiniano

 

 

 

 

 

 

 

 

L'ABITO DEI MONACI DELL'ORDINE AGOSTINIANO

 

 

 

 

L'uso dell'abito nero con la cintura di cuoio alla cintola da parte dei monaci agostiniani è documentato sin dai pontificati di Innocenzo IV e Alessandro IV e dalle relative Bolle che ne regolano l'utilizzo.

La tradizione (sorta quasi certamente nel Trecento alle origini dell'Ordine) fa risalire la nascita dell'adozione di tale abito ad una leggendaria visione di Monica, madre di Agostino. Secondo questa tradizione popolare dopo la morte del marito Patrizio, Monica si sarebbe rivolta in preghiera alla Vergine Maria, che le apparve vestita con un abito cinto da una cintura nera, esattamente quello che avrebbe indossato dopo la morte dello sposo Giuseppe. La Vergine, rivolgendosi alla madre di Agostino, le garantì che quanti l'avessero imitata avrebbero ricevuto la sua protezione e la sua consolazione.

Fra gli effetti di leggendario episodio deriva anche la tipica devozione agostiniana alla Madonna della Cintura o della Consolazione. La cintura di cuoio è l'elemento distintivo degli abiti di tutti i gruppi di religiosi agostiniani (scalzi, recolletti, monache), mentre i membri di molte comunità e confraternite spiritualmente legate all'ordine prendono significativamente il nome di "cinturati".

 

 

Dal Convegno su Sant’Agostino e gli Agostiniani nel medioevo svoltosi presso l'Auditorium "Nicola Fusconi" Convento di S. Nicola da Tolentino il 22-25 settembre 1999, si riporta un estratto di Raffaele Argenziano (Università di Siena) che tratta dell'abito degli agostiniani

 

Con la bolla Licet Ecclesiae Catholicae il papa decreta la nascita ufficiale dell'Ordo Eremitarum Sancti Augustini (Ordine degli eremiti di s. Agostino). I membri di tale ordine assunsero la Regola di s. Agostino. Una componente molto antica legata a questa regola era quella dei Canonici regolari il cui abito era composto da una tunica nera o bianca sulla quale portavano la cotta o rocchetto di lino bianco e quando erano in coro indossavano la cosiddetta almuzia che consisteva in un cappuccio attaccato al mantello che copriva le spalle: doveva avere la foggia della primitiva cuculla, ma col tempo questa subì notevoli trasformazioni. In relazione ai Canonici Regolari e a proposito del loro abito è interessante ricordare, poiché non mi è possibile presentare la riproduzione, una raffigurazione di Agostino come Canonico regolare eseguita dal chierico pavese Opicino de Canistris nel 1335 ca. su pergamena conservata nel Vaticano Palatino 1993. Si possono però esaminare due delle numerose raffigurazioni del vescovo di Ippona presenti in un gruppo di codici del XII secolo provenienti dalla cattedrale di Siena e di uso non strettamente liturgico che mostrano per esempio, anzi per scampolo, quale tipo di cultura frequentassero e possedessero i canonici, oggi conservati presso la Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena.

Questi manoscritti sono i resti di quella Bibliotheca di cui tratta il canonico Oderico nel suo Ordo Officiorum Ecclesiae Senensis del 1215 ed aiutano a ricostruire la cultura senese del tempo, soprattutto ecclesiastica ovviamente, e inserita in quella Scuola capitolare la quale nei secoli XI e XII, come dice Paolo Nardi, era «l'unico vero centro di cultura della città» e probabilmente in contatto con il nascente Studio senese. Tra i testi rimasti abbondano, appunto, quelli di sant'Agostino o di commento ad Agostino e ciò è comprensibile poiché, come si è detto, i canonici si richiamavano ad Agostino. La festa del santo il 28 di agosto era celebrata dai canonici della cattedrale con particolare solennità: «festum ... celeberrime a canonicis faciendum est» perché Agostino dette la regola ai canonici e anche nel caso la sua commemorazione cada di domenica è sempre privilegiata rispetto a ciò che accadrebbe per qualsiasi altro santo «quia festum sancti Augustini est canonicis festivitas specialis». Di Agostino ci sono rimaste, nella Biblioteca senese vari manoscritti e tra questi il In Johannis Evangelium tractatus cui è premesso un calendario e al quale segue la Expositio in Matheum di Remigio Autissiodorensis (codice F. I. 2.). Questo codice, databile al secondo quarto del secolo XII , ha poche iniziali figurate tra esse una lettera M include un personaggio che scrive su un codice (c. 95 t.); la sua veste non è 'all'antica', come avrebbe un evangelista e quindi deve essere 'moderna', in effetti sembra un abito talare con tanti bottoni al centro. Poiché il testo è un'ammonizione al lettore di Agostino e poiché la figura è rivolta verso chi guarda sembra di poter identificare questo personaggio con Agostino stesso. Se così è, avremmo anche recuperato la veste dei canonici del duomo di Siena. L'altro codice è un Omiliarioum sive Lectionarius super Evangelia (codice F. I. 5.) del terzo o ultimo quarto del secolo XII la cui decorazione è attribuita dal Garrison al Maestro della Bibbia di Napoli.

Una scritta sul codice certifica la provenienza dal convento agostiniano femminile di S. Marta a Siena, che, ovviamente, non può essere la provenienza originaria poiché nel XII secolo né esistevano le suore agostiniane, né la chiesa, fondata un secolo dopo. Il Garrison, basandosi sulle identità della legatura di questo codice, con quella dei codici sicuramente provenienti dalla cattedrale, ipotizza anche per questo la stessa datazione. A parte ciò, né per il contenuto, che è di Omelie patristiche, né per i personaggi rappresentati si può legare questo Omiliario con Siena; però il Garrison studiando il gruppo di codici che sulla base dello stile possono essere attribuiti al Maestro della Bibbia di Napoli, ha individuato questo come un miniatore di formazione umbro-romana che ha lavorato in Toscana e quindi, è probabile, anche a Siena. Questo miniatore in tutte le opere sue o della sua bottega, mostra scarsa coscienza iconografica. Nelle illustrazioni prodotte dal Garrison di codici a lui attribuibili si mostra infatti iconograficamente scorretto poiché nel Passionario Barberini o nell'Omiliario Vaticano rappresenta sant'Antonio Abate come un giovane apostolo, forse l'evangelista Giovanni, sant'Eugenio papa come un vescovo, sant'Ambrogio e sant'Agostino come papi . Queste incongruenze iconografiche non notate dal Garrison si trovano anche nel nostro codice. E' come se modelli di vescovi e papi - è in queste figure che si ha la confusione - fossero intercambiabili. Questa mancanza di controllo da parte della committenza può essere anche indizio che i miniatori e decoratori non sono in questo caso legati al luogo specifico ma lavorano come una bottega che prende ordinazioni senza badare tanto non dico alla qualità delle immagini ma alla loro congruità iconografica. Lo scambio tra vescovi e papi è reso possibile, evidentemente, dalla mancanza di attributi specifici ancora non in uso e che invece rendono più facilmente riconoscibili i personaggi nell'iconografia a partire dalla fine del secolo XIII. Sant'Agostino è qui rappresentato in modi incongrui: come giovane vestito con tunica bianca, mantello, con libro e la tonsura (c. 215 t.): è possibile rintracciare anche in tale raffigurazione l'abito dei Canonici regolari? Tornando agli ordini eremitici presenti alla Grande Unione, i Brettinesi mantenendo fermo l'ideale di semplicità e povertà che stava a fondamento del loro ordine, indossavano un abito composto da una tunica, un mantello con la cocolla, uno scapolare e una cintura di cuoio; la materia era di panno grezzo né bianco né nero quindi un colore che possiamo supporre tendente al grigio. Questo fece sorgere una controversia sull'abito con i Frati Minori i quali, almeno nelle Marche, portavano un abito molto somigliante creando grande confusione tra i fedeli che elargivano le elemosine.

Inoltre, sempre nelle Marche, e più specificamente nella zona del Montefeltro, erano presenti anche gli Eremiti del beato Giovanni Bono che, meno uniformi nel vestire - indossavano ora la tunica con la cocolla e la cintura, ora solo la tunica con il bastone e in fogge molto diverse - contribuirono ad accrescere la confusione. Tale situazione richiese l'intervento del pontefice Gregorio IX il quale, con la Bolla Dudun apparuit nel marzo del 1240 stabiliva che i Giamboniti dovevano portare una tunica ampia di colore nero con in vita una cintura e in mano tenere il bastone e che la lunghezza dell'abito permettesse di potere vedere le calzature. Inoltre quando chiedevano l'elemosina avevano l'obbligo di dire a che ordine appartenessero. Tali norme dovevano essere seguite anche da tutti gli altri ordini eremitici esistenti nella regione.

Ma la posizione assunta dai Brettinesi che, ritenevano queste norme contrarie allo spirito di povertà e quindi alla loro tradizione, richiese un ulteriore intervento papale il quale con la Bolla, Cum venerabilibus fratribus del 21 agosto 1240 e con la Bolla Licet vobis dederimus del 24 agosto 1240, stabiliva il Natale di quell'anno come il termine ultimo entro cui questi dovevano adottare il nuovo abito di colore grigio e senza cintura. La questione sembrava così risolta. Se non che riconfermando nel 1250 Innocenzo IV le costituzioni dei Brettinesi e lasciando immutate le norme stabilite sull'abito nel 1240 le quali contenevano la frase «quilibet frater cingatur desuper ampla corrigia non consuta» induce costoro a riprendere l'uso della cintura.

Ciò scatena nuovamente la questione con i Francescani i quali ricorrono ancora una volta al papa Alessandro IV che con la Bolla Recordamur liquido del 22 febbraio 1256 riconferma definitivamente le norme emanate da Gregorio IX nel 1240: i Giamboniti porteranno l'abito nero con la cintura, i Brettinesi l'abito grigio senza cintura. Ma nel marzo dello stesso anno entrando questi due ordini a far parte dell'Ordine di s. Agostino subiranno un risolutivo e radicale cambiamento dell'abito: tunica di colore nero con cappuccio e cintura di cuoio. Per gli Eremiti del beato Giovanni Bono non ho potuto reperire nessuna raffigurazione, mentre per i Brettinesi può essere valida un'ipotesi avanzata da Fabio Marcelli. Nell'affresco, attribuito al Maestro di s. Agostino, databile agli anni settanta del Duecento, presente ora alla Mostra di Fabriano sul Maestro di Campodonico si vede sant'Agostino mentre dona la Regola a dei monaci.

Questi sono senza dubbio eremiti poiché è possibile distinguere chiaramente i loro capi di vestiario. Alle spalle del vescovo di Ippona sono raffigurati dei personaggi identificabili come agostiniani che sopra la tunica nera indossano una cotta di colore bianco visibile anche in altre raffigurazioni come nella scena del funerale di s. Nicola da Tolentino affrescata nel Cappellone del Convento di Tolentino. Questo indumento era portato durante lo svolgimento di cerimonie liturgiche. Ma torniamo all'affresco staccato. In questa raffigurazione i committenti, cioè gli agostiniani, identificabili nei personaggi alle spalle di Agostino hanno voluto che si rappresentasse la cerimonia svoltasi nel giorno della «Magna Unio» del 1256. I personaggi davanti al santo possono essere identificati come i componenti dei diversi gruppi eremitici in quel giorno presenti oppure, come ci suggerisce Fabio Marcelli, considerando che le comunità brettinesi nell'area geografica in cui è stata eseguita l'opera erano numerose, come Eremiti dell'Ordine di Brettino.

Per l'abito dei Guglielmiti abbiamo a disposizione un affresco staccato attribuibile al Maestro di S. Agostino degli anni settanta del secolo XIII, in cui è raffigurato s. Guglielmo da Malavalle. Egli indossa, come si può vedere sotto la tunica con il cappuccio legata in vita da una cintura di pelle nera una sottoveste bianca. Poiché questo abbigliamento è del tutto simile nella foggia e nel colore a quello degli eremiti si può dedurre che l'abito dei Guglielmiti non avesse delle caratteristiche specifiche.