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Garbelli: Il passaggio del corpo di Sant'Agostino da Casei

Copertina degli Atti del Convegno

Copertina degli Atti del Convegno di Casei Gerola

 

 

 

IL PASSAGGIO DEL CORPO DI SANT'AGOSTINO DA CASEI GEROLA

IL TEMPIO ROMANO DI CASEI

LA CHIESA DI LIUTPRANDO

LA CAPPELLA VOLUTA DALLO SCHIAFINATI

IL SANTUARIO DEL 1641

di Lucio Garbelli

pubblicato in Sant'Agostino, don Orione e il Santuario della Madonna delle Grazie in Casei, Convegno di studi nel 50° anniversario della riapertura del Santuario della Madonna delle Grazie di sant'Agostino, Casei Gerola 27-28 agosto 1994

 

 

 

Il passaggio del corpo di Sant'Agostino

In un anno tra il 721 e il 725 (verosimilmente nel 723) successe un grande avvenimento destinato a nobilitare la storia di Casei: il passaggio del corpo di Sant'Agostino e la sua sosta in questo preciso luogo. Il re longobardo Liutprando aveva riscattato dai Saraceni per 60.000 scudi d'oro le reliquie del grande vescovo di Ippona Agostino Aurelio, nato a Tagaste il 13 novembre del 354 e morto ad Ippona il 28 agosto del 430. Agostino era figlio del pagano Patrizio e di Monica, cristiana di elevate virtù. Studiò a Cartagine dove si legò con una donna da cui ebbe il figlio Adeodato e dalla quale si separò quindici anni più tardi, a Milano. A Cartagine la lettura dell'Hortensius di Cicerone lo distolse dalla vita dissipata in cui era caduto, e da allora si dedicò completamente alle filosofie religiose.

La prima a sedurlo fu il Manicheismo, da cui a poco a poco si staccò per cadere in uno scetticismo sconsolato. Giunto però a Milano, la lettura dei neoplatonici gli ridestava l'entusiasmo per i problemi della trascendenza, l'eloquenza di Sant'Ambrogio, le esortazioni della madre Monica, la lettura della Bibbia lo prepararono alla conversione che avvenne nel 386. Allora si ritirò con la madre, il figlio e un gruppo di amici a Cassiciacum (nome oggi rivendicato da alcune località presso Milano, ma anche nome molto vicino a Cassium [1], antico nome romano di Casei, secondo il Maragliano, il Capsoni e il Manfredi) per prepararsi al battesimo. Dopo circa sei mesi tornò a Milano dove ricevette il battesimo insieme col figlio. Partì da Milano verso la fine del 387 per tornare in Africa e ad Ostia trovò la morte la madre Monica. Arrivò a Tagaste nel 388 e qui trovò la morte il figlio diciassettenne Adeodato. Dai suoi solitari studi vennero a trarlo i cittadini della vicina Ippona che lo acclamarono sacerdote e nel 397 diventò vescovo della città.

Anche da vescovo conservò le sue abitudini monastiche e la sua attività principale fu la predicazione e l'apostolato scritto. Per tutta la vita Agostino lottò contro gli eretici: Manichei, Donatisti, Pelagiani, Ariani, ma svolse anche opera civile: quando Bonifacio, governatore d'Africa, ribellatosi, chiamò in aiuto i Vandali e gli furono contrapposti i Goti, Agostino fece opera di pace e riconciliò Bonifacio con la corte. Ma troppo tardi: tutta l'Africa settentrionale soggiaceva ormai alla furia devastatrice di Genserico re dei Vandali e le forze romane si chiusero ad Ippona. il sopraggiungere della morte risparmiò ad Agostino il dolore di vedere presa ed arsa la sua Ippona. Ci ha lasciato molte opere, alcune delle quali, secondo recentissimi studi, non attribuibili direttamente a lui. Le opere sono catalogabili in filosofiche e letterarie, polemiche, esegetiche, dogmatiche o morali. Le reliquie di Sant'Agostino, dapprima portate in Sardegna, furono poi traslate e portate a Pavia, capitale dei Longobardi, come già detto, per volontà dello stesso re Liutprando. Le sante reliquie passarono da Genova, da Savignone, da Tortona e da Casei, secondo un'antica tradizione e secondo le testimonianze di storici raccolte da mons. Clelio Goggi e dal canonico Bertetti [2], prima di essere riposte in S. Pietro in Ciel d'Oro, dove si venerano tutt'ora. Il perché del passaggio da Casei è spiegabile dal fatto che proprio la via più breve tra Tortona e Pavia passava da Casei con un guado sul Po molto vicino all'attuale ponte della Gerola: una delle tante vie chiamata Romea perché percorsa dai pellegrini che si recavano a Roma per pregare sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e dei Martiri Cristiani. Inoltre questa via, nei pressi di Pavia aveva il pregio di passare verso sud-ovest, evitando il Siccomario, allora zona molto paludosa.

Il corpo di Sant'Agostino si fermò, quindi una notte nell'antico tempio pagano di Cerere a Casei, divenuto ormai da tempo chiesa cristiana dedicata alla Vergine dove, secondo le cronache del tempo, operò stupendi miracoli. Così riporta lo storico mons. Clelio Goggi: ... Il punto di incontro era Savignone. Re Liutprando si era colà recato il giorno prima: ed appena vide discendere le sacre reliquie, deposte le insegne regali, a capo scoperto, a piedi nudi, si prostrò con la faccia a terra per venerarle (...). Allo spuntar del giorno, dovendosi trasportare le sacre reliquie alla capitale del regno, Pavia, si accinsero i portatori a sollevarle, ma essendosi provati in molti, non vi riuscivano (...). Fra i presenti eravi Graziano, vescovo di Novara (...) il quale avvicinandosi confidenzialmente al re, gli disse che la misericordia di Dio era da implorarsi più con i voti e con le opere, che con le parole e gli atti esterni. Il che udito, Liutprando fè voto di donare in perpetuo il territorio di Savignone alla chiesa di S. Pietro di Pavia (...). Allora, con immenso giubilo del re e dei presenti, si avviò la processione (...). Con ogni probabilità il sacro pegno passò da Tortona, e da qui - attraverso l'antica trasversale detta nel Medioevo la Romea - andò a pernottare a Casei, ove dicono operasse dei miracoli, e dove fu edificata una chiesa in onore del Santo e dipendente dal Monastero di S. Pietro in Pavia (...). La descrizione di questa traslazione è data da Pietro Oldrado, arcivescovo di Milano, in una lettera a Carlo Magno. Le notizie, in essa contenute, collimano con quanto S. Beda, che ne era il contemporaneo, narra nella cronaca e nel martirologio, ove accenna a prodigi avvenuti in quella circostanza; e nella sostanza, sono ammesse da Benedetto XIII nella bolla Summi Dei, e da Leone XIII nel breve del 14 novembre 1900, relativo alle feste del Santo (...)".

Fin qui la spiegazione dello storico Clelio Goggi. Il titolo, dunque, di Madonna di Sant'Agostino aggiunto popolarmente a quello di Madonna delle Grazie, non è altro che la testimonianza del grande fatto storico avvenuto.

 

Il tempio romano

Nella posizione dell'attuale santuario della Madonna delle Grazie di Sant'Agostino è tradizione, come già accennato, vi fosse stato anteriormente un tempio pagano dedicato prima a Pomona e poi a Cerere. La tradizione non è così strana, perché la posizione rispetto all'Oppidum, sicuramente di origine romana, è proprio quella degli antichi templi romani: cioè a una certa distanza dall'abitato (circa 1/4 di miglio) e sulla via consolare che conduceva a Tortona (via Postumi a chiamata poi nel Medioevo Romea). La dedicazione prima a Pomona e poi a Cerere è abbastanza ovvia perché entrambe erano dee preposte al buon esito dei raccolti: Pomona divinità italica protettrice dei giardini e degli alberi da frutto che aveva in Roma un sacerdote particolare chiamato Flamen Pomonalis, Cerere antica divinità dell'agricoltura identificata con la dea greca Demetra e in relazione col culto di Bacco e Proserpina; in suo onore si celebravano, in primavera, la festa dei Cerealia e in agosto la festa riservata alle sole donne; guarda caso, anche oggi in onore della Vergine nello stesso luogo si celebrano due feste: il Lunedì dell'Angelo in primavera e l'8 settembre alla fine dell'estate.

Non sappiamo come fosse l'antico tempio, perché allo stato attuale non possediamo reperti archeologici tali che ci indichino la pianta dell'antica costruzione, ma possiamo immaginarla, come gran parte dei templi romani e greci, orientata con la facciata verso est e l'ara e il simulacro ad ovest nella cella. Il tempio, probabilmente, aveva un porticato su tutti e quattro i lati; le colonne, probabilmente erano sei in facciata e dodici sui fianchi, secondo il modello classico. Nel 1944 e negli anni '60, durante i lavori di restauro e il rifacimento del pavimento si sono trovati resti di costruzioni precedenti che non seguivano esattamente il perimetro attuale dell'edificio. Al passaggio del corpo di Sant'Agostino, nel 723, probabilmente, l'antico tempio romano aveva già subito modifiche per essere adattato al culto cristiano: infatti l'interno dei templi romani (cella) era piuttosto piccolo essendo riservato quasi esclusivamente ai sacerdoti, mentre la chiesa cristiana deve essere ampia perché luogo di riunione di tutta la Comunità; per questo furono pochi templi pagani che diventarono luoghi di riunione per i Cristiani e lo diventarono solo dopo sostanziali modifiche della struttura.

 

La chiesa di Liutprando

Nel 723, quindi, Liutprando fece fermare il corpo di Sant'Agostino in questa chiesa già dedicata alla Vergine e proveniente dalla trasformazione di un tempio romano. Qualcuno pensa che le sacre reliquie fossero state fatte pernottare in aperta campagna, ma non si riuscirebbe a spiegare come mai un'insigne reliquia non fosse stata fatta fermare più convenientemente e dignitosamente in una delle chiese già esistenti in Casei. Certamente non nella chiesa principale di S. Giovanni Battista, già esistente nel 455 e rifatta nel XIV secolo come la vediamo oggi, perché di modeste proporzioni provenendo dalla trasformazione delle antiche terme romane e quindi con notevole disagio per il numeroso seguito di notabili e pellegrini che non avrebbero potuto trovare conveniente sistemazione all'interno dell'Oppidum; ma le reliquie e il seguito avrebbero potuto trovare conveniente ospitalità almeno presso altre due chiese fuori dalle mura, costruite dagli stessi Longobardi: la Basilica di S. Pietro in Borgo e la Basilica di S. Michele Maggiore. Liutprando volle invece far fermare l'imponente processione, prima di arrivare a Pavia, proprio in prossimità della porta di Casei che conduceva a Tortona e a Genova in una chiesa già dedicata alla Vergine e proveniente dalla trasformazione di un tempio romano.

Liutprando, sia per i fatti straordinari avvenuti nella circostanza, sia per ricordare il grande avvenimento voluto da lui stesso, a riprova della riconciliazione avvenuta tra i Longobardi e la Chiesa Cattolica, fece ingrandire o restaurare o, molto più probabilmente, ricostruire la chiesa certamente grandiosa, come era grandiosa la basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro, dove furono traslate e collocate nel posto d'onore le spoglie di Sant'Agostino e dove, per sua volontà, fu egli stesso sepolto alla sua morte presso il pilone destro vicino al presbiterio. Giova qui ricordare che l'attuale basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro non è la primitiva costruzione longobarda, ma la ristrutturazione e la riedificazione di essa in periodo romanico, e probabilmente, a grandi linee ne ricalca le dimensioni. Liutprando, quindi, volle lasciare un segno anche a Casei con il restauro o, più probabilmente, la ricostruzione della chiesa già dedicata alla Vergine aggiungendo il nome di Sant'Agostino alla dedicazione primitiva e donando il terreno su cui era costruita al Monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia.

Anche della chiesa longobarda, come del tempio romano non conosciamo l'esatta forma, ma probabilmente ricalcava il perimetro dell'antico tempio romano e la costruzione era stata certamente edificata anche con materiale dell'antico tempio: probabilmente furono usate soprattutto le colonne per la difficoltà di reperirne di nuove. Certamente era a pianta basilicale, ma non secondo il verso dell'attuale santuario, ma in corrispondenza del braccio trasversale della croce della pianta, cioè era anch'essa orientata come l'antico tempio romano con la facciata verso est, tant'è vero che nel 1612 la cappella dedicata alla Vergine, fatta costruire dallo Schiafinati era rivolta ad est, nella posizione dell' attuale cappella del Crocefisso.

Probabilmente, quindi, nel 1612 si aveva ancora notizia dell'antica chiesa, anche se non più esistente, e si volle in quell'occasione ricordare l'avvenimento del 723, dipingendo Sant'Agostino a destra della Vergine, e l'antico edificio, mantenendone il suo orientamento. Nel 1612, quindi, il Casellese Antonio Schiafinati fece costruire una cappella sul posto della grande chiesa voluta da Liutprando. Non conosciamo il motivo della distruzione di tale edificio, ma, vista la devozione dei Casellesi verso la Vergine e verso Sant'Agostino ancora molto forte oggi, è difficile pensare che la chiesa sia scomparsa per incuria, ma è più facile presumere che fosse stata distrutta da qualche evento bellico (basti pensare al triste periodo che visse Casei alla fine del '400 e nel '500 con la discesa dei Francesci e degli Spagnoli ed alle tristi vicende che portarono allo sbrecciamento delle mura e delle fortificazioni dell'Oppidum da parte degli Spagnoli), o da qualche evento naturale quale le inondazioni del vicino Curone o terremoti che, è storicamente accertato, sono avvenuti nella zona. Certamente la chiesa di Liutprando, pur essendo grandiosa, va collocata nella tipologia delle costruzioni longobarde che non erano molto solide per le approssimative tecniche costruttive: tanto è vero che, come già accennato, l'attuale basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia non è l'originaria che ospitò il corpo di Sant'Agostino, ma è una ricostruzione di epoca romanica dell'XI secolo, dopo il danneggiamento avvenuto a causa di un terremoto. 

 

La cappella dello Schiafinati

Come dicevo, nel 1612 la chiesa voluta da Liutprando non esisteva più, ma la memoria di essa e del passaggio del corpo di Sant'Agostino era ancora molto vivo, tanto che il Case!lese sig. Schiafinati fece erigere una cappella, secondo quanto descritto nella visita pastorale di mons. Aresi [3], in cui si trovava l'affresco che oggi campeggia sull'Altar Maggiore: la Vergine del Rosario con in braccio il Bambino che tiene con la sinistra una rosa; alla destra c'era Sant'Agostino in abiti pontificali a ricordo dei prodigi avvenuti durante la permanenza nel luogo delle sue reliquie e, a sinistra, Sant'Antonio Abate, uno degli antichi patroni di Casei, a ricordare che nel luogq si è sempre impetrata la protezione per i raccolti dalla Vergine e per gli animali domestici, valido aiuto per il lavoro dei campi, dal Santo considerato loro protettore (da non dimenticare poi che il sig. Schiafinati portava il nome del Santo). Sotto l'affresco vi era la scritta: "MDCXII (anno millesimo secentesimo decimo secundo) regnatori deo almaeque superum parenti profusa casellensium largitione sacrum idibus sextilibus" (l'immagine sovrastante è dedicata a Dio Signore e all'Alma sua Genitrice dalla prodiga generosità dei Casellesi, 13 agosto 1612). La cappella, secondo la visita pastorale citata, fu subito animata da numerosi pellegrini provenienti da Casei e dai luoghi vicini, tanto che il vescovo mons. Aresi nel 1639 concesse il permesso di costruire (cito lo scritto della visita pastorale) "(...) un altare accanto alla immagine della Madonna delle Grazie, chiudendo attorno di mura e almeno un tetto il portico per potervi celebrare la S. Messa (...).   

 

Il Santuario del 1641

La popolazione di Casei, però, andò ben oltre il permesso del vescovo: perché nel 1641, a soli due anni dalla visita di mons. Aresi, troviamo già la chiesa praticamente terminata e grandiosa come la vediamo oggi. Non ci si era limitati, quindi, ad innalzare un muro perimetrale e un tetto secondo il permesso del presule, ma un vero e proprio Santuario. Non sappiamo cosa sia avvenuto di tanto importante, ma nella visita pastorale di mons. Aresi si dice anche: "(...) è grande concorso di gente di detta terra e altri luoghi circonvicini per grazie molte, che si dice aver fatto l'immagine di detta Signora ad istanza delle persone devote che hanno fatto loro elemosine (...)". E tradizione popolare che alcuni signorotti spagnoli che occupavano allora il territorio avessero costruito l'edificio in ringraziamento alla Vergine per favori ottenuti. Ciò non è lontano dal vero e avvalora l'ipotesi che fossero stati gli Spagnoli stessi a distruggere la chiesa di Liutprando e che poi, rosi dal rimorso, l'avessero fatta ricostruire. La costruzione, però, è certamente stata ideata da un architetto italiano che aveva ben presente la tipologia delle costruzioni rinascimentali. L'architetto, comunque, ha voluto ricordare qualcosa dell'antica chiesa distrutta: i matronei, quasi sempre estranei all'arte rinascimentale e presenti solo qualche volta nelle basiliche paleocristiane e nelle maggiori basiliche romaniche, che avevano anche il compito di ospitare i monaci per il canto degli Uffici. La chiesa comunque fu costruita sotto la direzione dei Padri Agostiniani di S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia che ne erano proprietari insieme a molti campi ubicati nel territorio di Casei, secondo i documenti dell'archivio storico comunale.

Nel 1652 la chiesa era ormai libera da qualsiasi carico o soggezione del Monastero di S. Pietro in Ciel d'oro ed era officiata dai sacerdoti dell'Insigne Collegiata di Casei" [4]. Una memoria di quell'anno ricorda tre altari esistenti nel Santuario: quello maggiore, che occupava nell'abside lo stesso posto dove ora è il simulacro della Madonna; il secondo di S. Carlo, alla sinistra di chi entrava (oggi cappella di Sant'Agostino); quello della Madonna stava invece alla destra (oggi cappella del Crocefisso) nello stesso posto della cappella voluta dallo Schiafinati. Nel libro delle messe si trova traccia di una grazia straordinaria: cito lo scritto (...) 1653, al 18 maggio. Domenica detta di Pieve del Cairo, la quale non vedeva, ha ricevuto grazia dalla Beata Vergine: ungendosi gli occhi con l'olio della lampada ha recuperato1a vista, così attestando sua mamma (...)". Non si ha altra notizia del miracolo, ma da quel momento si intensificarono i pellegrinaggi dai luoghi vicini. Non conosciamo esattamente quando l'effigie della Vergine venne trasportata dall'altare laterale destro all'altar maggiore, ma don Giovanni Venturelli ipotizza il trasferimento tra il 1670 e il 1685, mentre era titolare del beneficio del Santuario mons. Lodovico Settala, vescovo di Cremona, che ne avrebbe avuto il permesso dallo zio mons. Carlo Sèttala, vescovo di Tortona [5]. La chiusura del Santuario e il suo acquisto da parte di Don Orione. Conosciamo poi altre piccole notizie durante i secoli, finchè nel 1894 giunge il decreto del vescovo mons. Bandi in seguito alla visita pastorale dell'8 giugno [6]: "(...) L'Oratorio campestre di Casei, sotto il titolo della Natività di Maria Vergine Santissima resta interdetto fino a che non sia debitamente restaurato (...)".

Questo doloroso decreto di fronte agli splendori dei secoli precedenti ci lascia stupiti; ma gli avvenimenti del XIX secolo ci spiegano come mai un Santuario così amato viene chiuso. Ciò non avvenne certo per mancanza di fedeli o per un sopito amore alla Vergine, anzi proprio i fedeli casellesi, cinquant'anni dopo, durante l'imperversare dell'ultima guerra mondiale, spinsero i sacerdoti di Don Orione a dare velocemente corso ai lavori di restauro anche sotto i mitragliamenti aerei. Forse qualcosa si può spiegare analizzando il clima antireligioso diffuso dai Giacobini dopo la Rivoluzione Francese per tutto il XIX secolo, con la soppressione dei beni ecclesiastici decisa da Napoleone nel 1802 (il governo francese fece distruggere anche l'antichissima Pieve di S. Martino extra moenia del X secolo) [7] e quella operata dal Regno d'Italia nel 1867 che privò l'Insigne Collegiata dei numerosi sacerdoti e anche della proprietà del Santuario che passò alla famiglia Colli di Casei. Probabilmente questa famiglia, che diede molti sacerdoti e canonici all'Insigne Collegiata e il vescovo Antonio Colli alla diocesi di Alessandria, con questo acquisto intendeva salvare il Santuario dalla distruzione: infatti ne permise l'officiatura fino al Lunedì dell'Angelo del 1890; ma in seguito anche la famiglia Colli subì un tracollo finanziario che la costrinse a vendere l'edificio ad Antonio Acerbi di Castelnuovo che usò il Santuario come magazzino ed asportò gli altari, le balaustre, il pavimento le pale ecc.

Nel 1926 l'edificio fu venduto a Paolo Torti di Casei che avrebbe voluto trasformarlo in sala da cinema.

È tradizione che l'ultimo proprietario avesse cercato di demolire il muro su cui è dipinto l'affresco della Madonna delle Grazie, ma che fosse stato costretto a desistere sia per le forti critiche rivoltegli dalla popolazione, sia per segni celesti che lo sconsigliarono a portare avanti l'impresa. Nel 1932 il Santuario fu comprato da Don Orione e già dal 1929 era stato catalogato tra i Monumenti Nazionali. Da qui incomincia la storia contemporanea legata alla infanzia di Don Orione alla sua vocazione e al suo amore per la "Santa Madonna", come egli stesso usava invocarla, storia legata anche a tutta la Congregazione fondata dallo stesso Beato che qui, insieme al Santuario della Madonna della Guardia di Tortona e agli altri santuari orionini ha trovato la forza per adempiere ai voti del Fondatore.

 

 

 

Note

 

(1) - A. MARAGLIANO, L'origine dei 74 comuni vogheresi nella toponomastica e nella storia, manoscritto presso la Biblioteca Civica Ricottiana di Voghera, 1930 circa

(2) - C. GOGGI, Storia dei Comuni e delle Parrocchie della diocesi di Tortona, Alessandria 1943 - M. BERTETTI, Cenni storici su Castelnuovo Scrivia, Tortona, 1885

(3) - Archivio della Curia Vescovile di Tortona

(4) - Archivio della Curia Vescovile di Tortona

(5) - G. VENTURELLI, Santuario della Madonna delle Grazie di Sant'Agostino in Casei Gerola, rist. Tortona 1969

(6) - Archivio della Curia Vescovile di Tortona

(7) - Archivio parrocchiale dell'Insigne Collegiata di Casei Gerola