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Giuseppe Lazzati: LA CONVERSIONE DI SANT'AGOSTINO

La campagna di rus Cassiciacum a Cassago Brianza

La campagna di rus Cassiciacum a Cassago Brianza

 

Giuseppe Lazzati

LA CONVERSIONE DI SANT'AGOSTINO

 

 

Si compiono quest'anno 1600 anni dal giorno in cui in Milano giungeva a compimento un fatto le cui conseguenze avrebbero influito profondamente sulla storia della Chiesa che è dire della cultura teologica e filosofica, della spiritualità cristiana e la cui presenza non può dirsi spenta. Si tratta della conversione di Agostino, punto di partenza per la sua santità. Non è questa la sede per una dotta disquisizione sul fatto che esigerebbe, materialmente parlando, troppo spazio e l'affronto di questioni di difficile esposizione per chi scrive e di non minore difficoltà per il lettore non allenato a tale genere di riflessione.

Basterà più modestamente ricordare gli aspetti che permettono di cogliere il fatto nelle sue componenti essenziali già per sé capaci di recare luce a quel bisogno di conversione che non possiamo dire estraneo al nostro tempo. Sappiamo tutti che Agostino è africano e la prima domanda che affiora alla nostra curiosità è quella di sapere come o perché era giunto a Milano.

La risposta esige qualche notizia biografica almeno per chi non ne avesse conoscenza alcuna.

Agostino nacque a Tagaste nella Numidia il 13 novembre del 354, in una famiglia di modeste condizioni, nella quale il padre, Patrizio, era pagano e si farà cristiano prima di morire, mentre la madre, Monica, era fervente cristiana che oggi veneriamo come santa e il cui apporto alla conversione del figlio, apporto fatto di esemplare fedeltà a Cristo, di consiglio e, soprattutto, di lacrime non fu certo di poco valore . Agostino fece i suoi primi studi a Tagaste, passò poi alla vicina Madaura, dopo di che, appassionato, diremmo oggi, allo studio delle lettere, la poesia e la retorica a 16 anni si recò a Cartagine, tappa certamente importante non solo per i suoi studi, ma anche per la sua vita. Se, infatti, egli si impegnava a fondo soprattutto nello studio dell'eloquenza, spinto dal desiderio ambizioso di distinguersi in essi e salire in gloria riuscendo a distinguersi nella scuola, appunto, del professore di eloquenza non senza gonfiarsi d 'orgoglio ( Conf. III, 3), il suo temperamento, anche a motivo dell'ambiente, lo portò spesso a cedere all'ardore della sensualità.

Nella «ridda di turpi amori che crepitavano attorno a lui che amava di amare» (III, 1), si unì a una donna dalla quale ebbe un figlio, Adeodato. Questa bruciante passione non spegneva però in lui quel desiderio - e forse posso usare un vocabolo più forte che meglio esprima la vera situazione del suo spirito quel bisogno di verità che animava la sua mente. Seguendo lui arrivò a leggere, a diciannove anni, il libro di Cicerone, l'Ortensio, una esortazione alla filosofia che «cambiò i suoi sentimenti e fece perfino diverse le sue preghiere, diversi i suoi voti e i suoi desideri» (III, 4).

Questa, dunque, la situazione di Agostino ventenne: la compresenza in lui di una sensualità in cerca di continue soddisfazioni e di una ricerca di verità che, se in parte nasceva dal desiderio di farsi un nome come retore o maestro di eloquenza, per altra parte obbediva al bisogno di approfondire la conoscenza del proprio essere e delle sue contraddizioni nella implacabile lotta tra lo spirito e la materia con le sue indomabili istintività. Acceso, grazie alla lettura del testo ciceroniano, di desiderio amoroso della sapienza ma non trovando in quel testo il nome di Cristo che pur non battezzato egli «conservava scolpito profondamente nel cuore avendolo bevuto con il latte materno» (III, 4) si volse alla lettura della Sacra Scrittura: ma la trovò per la forma - «indegna di essere comparata con la dignità tulliana di Cicerone » (III , 5) e per il contenuto difficile ad essere compresa.

Così la ricerca della verità lo portò tra i manichei che illusoriamente gli apparvero capaci di guidarlo a una conoscenza di tutta la realtà fondata unicamente nella ragione, avendo come fulcro di tutta la loro dottrina l' esistenza dei due principi: quello del bene e quello del male. E non si sbaglia pensando che proprio tale aspetto costituisse per Agostino l'attrattiva che più gli fece apprezzare la setta dei manichei: essa, in forza del dualismo che la qualifica, lo liberava dal senso della colpa e dal rimorso di cui attribuiva la responsabilità al principio cattivo quale causa del male. Al manicheismo restò fedele per alcuni anni, se pure con entusiasmo decrescente mano mano che la sua inesauribile sete di verità lo portava a conoscere altre posizioni di pensiero come quella degli scettici maestri del dubbio. Si staccò dai manichei ascoltando l'insegnamento di S. Ambrogio. Ma come arrivò a Milano?

Finiti gli studi a Cartagine, dapprima insegnò grammatica, per breve tempo, a Tagaste, sua città natale. Poi aprì una scuola di eloquenza a Cartagine, di qui, nel 383, male sopportando la vita turbolenta o eccessivamente goliardica degli studenti cartaginesi, andò a Roma sempre come insegnante di retorica. L 'anno successivo, il 384, non senza la segnalazione di Simmaco, prefetto di Roma, fu chiamato a Milano come professore ufficiale di retorica. Venire a Milano e incontrarsi con Ambrogio fu la stessa cosa. Il vescovo milanese - tale da circa 10 anni - «noto a tutto il mondo come uomo dei migliori, pio cultore di Dio, con i suoi discorsi dispensava al popolo l'agape del tuo frumento, la letizia dell'olio e la sobria ebbrezza della verità» (V, 13 ).

Assisteva alla sua predicazione attraverso la quale gli si chiarivano, grazie alla esegesi spirituale del Vescovo milanese, quelle Scritture che gli erano risultate incomprensibili alla prima lettura. A Milano continuava la sua convivenza con la donna dalla quale aveva avuto Adeodato, ma lo raggiunse anche la madre Monica, fatta assidua ed entusiasta frequentatrice di Ambrogio «che amava come un angelo di Dio perché sapeva che per opera sua, in quel frattempo, Agostino era arrivato a quello stato fluttuante di dubbio attraverso il quale presumeva con certezza che sarebbe passato dalla malattia alla guarigione» (VI, 1). Ambrogio volle anche conoscere il retore giunto da Roma: «lo accolse paternamente e da buon vescovo si mostrò assai contenuto della sua venuta» (V, 13 ).

Purtroppo gli impegni pastorali che occupavano tutto il tempo del santo vescovo non concedevano tanto tempo quanto Agostino avrebbe desiderato per porre le domande che lo tormentavano: doveva accontentarsi di visite brevi e della predicazione che ascoltava appassionatamente ogni domenica. Così, decise di restare catecumeno fino a che intera gli balenasse tutta la verità di cui era in cerca e di lasciare definitivamente e totalmente i maniche! dei quali sempre più avvertiva non solo l' inconsistenza ma gli errori che ne caratterizzavano il pensiero. La sua frequentazione era con amici pure africani, Alipio, Nebridio, alla ricerca di chi potesse aiutarlo ad uscire dalla situazione spirituale in cui viveva. Per questo si recò pure da Simpliciano «padre in quel tempo al vescovo Ambrogio nel ricevere la grazia e come un padre riamato» (VII, 2). Da lui meglio conobbe la vicenda di Vittorino, maestro di retorica in Roma e, da pagano qual era, convertito e morto cristiano. In questa cerchia di amici che vivevano da cristiani convinti, se continuava l'assillante ricerca della verità non rimaneva indifferente alla esortazione che da loro veniva, a risolvere la propria posizione sul piano morale, abbandonando la concubina, madre di Adeodato, che rimaneva a soddisfazione della sua non spenta sensualità, e decidersi ad ammogliarsi risolvendo il problema delle due volontà, come egli stesso dice «l'una vecchia, l'altra nuova, quella carnale, questa spirituale che combattevano tra loro e con il loro dissidio facevano strazio della mia anima» (VIII, 5 ). È in questa situazione di spirito, sempre alla ricerca della verità e pure non insensibile al pungolo dei sensi, che egli dapprima viene a conoscenza ad opera di Ponticiano della esistenza a Milano di un monastero, mantenuto in vita da Ambrogio, nel quale viveva un notevole numero «di più fratelli» noi diremmo di monaci, ritiratisi dal mondo, sull'esempio di Sant' Antonio, per vivere in assoluta continenza, il loro rapporto con Dio imitati in questo anche delle loro fidanzate. Il racconto di Ponticiano fece grande impressione ad Agostino svegliando in lui un vivo senso di vergogna constatando la propria incapacità a tradurre in atto la ispirazioni che erano nate anche in lui dal giorno in cui si era liberato dagli errori dei manichei. Rientrato in casa si ritira nel giardinetto adiacente alla casa, seguito da Alipio impressionato dallo stato d 'animo che sconvolgeva la mente di lui.

«Sorgono gli ignoranti e si portano via il cielo, diceva, e noi con la nostra scienza privi di senno, continuiamo a rotolarci nella carne e nel sangue» (VIII, 8). La lotta che in lui si scatena - racconta in pagine di singolare tragicità - lo fa allontanare da Alipio, ma è interrotta dal canto di un bimbo 0 di una bimba in cui erano ripetute le parole «prendi e leggi». Sotto lo stimolo di tale richiamo, ritorna da Alipio e preso il libro delle lettere di S. Paolo che da qualche tempo aveva cominciato a leggere, e apertolo a caso vi legge in silenzio il versetto che primo gli viene sott'occhio: «non nelle gozzoviglie e nelle ubriachezze, non nelle morbidezze e nelle impudicizie, non nella discordia e nell'invidia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non prendetevi cura della carne nelle concupiscenze» (Rom 13, 13 sg.). A tale lettura, gli balena nel cuore come una luce di serenità che fa scomparire tutte le tenebre dell' incertezza (VIII, 12). Rivela ad Alipio l'accaduto e poi rientra in casa e narra alla madre che è avvenuto.

Essa esulta trionfante vedendo compiuto quello che gemendo e piangendo soleva chiedere a Dio. E il capitolo 12 del libro VIII finisce con le parole: «E invero, tu (Dio) mi avevi convertito a te persuadendomi a non cercare né moglie né altra speranza di mondo [ ... ] e avevi mutato il suo lutto in gioia, in una gioia assai più copiosa di quanto essa aveva desiderato» (VIII, 12) .... E l'agosto del 386; l'anno seguente dopo un soggiorno a Cassiciaco Agostino riceverà il battesimo e inizierà il nuovo cammino. Ci sarà qualcuno che voglia leggere nel libro delle «Confessioni» quello che qui si è rapidamente ricordato e partecipare così più vivamente a quello che la conversione significò per Agostino e potrebbe significare anche oggi per chi vive l'esperienza di lui in termini simili alla sua ?