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Henri Teissier: Agostino e la libertà

Henri Teissier arcivescovo di Algeri

Henri Teissier arcivescovo di Algeri

 

AGOSTINO E LA LIBERTA'

di Henri Teissier Arcivescovo di Algeri

 

 

Testo della relazione tenuta dall'arcivescovo di Algeri all'Università di Padova il 24 maggio 2002 a chiusura del ciclo di convegni sull'attualità di sant'Agostino.

Il testo è stato pubblicato da 30 giorni il mensile internazionale diretto da Giulio Andreotti

 

 

Ad aprile dell'anno scorso [anno 2001] si è tenuto ad Algeri un colloquio internazionale sul tema "L'africanità e l'universalità di sant'Agostino". In questa occasione, la direttrice del settore delle antichità del Museo di Tipasa, Sabbah Ferdi, ha pubblicato una bellissima raccolta fotografica intitolata: "Agostino di ritorno in Africa, 388-430. Reperti archeologici nel patrimonio algerino".

Si capisce che il titolo ha un duplice significato. Ad un primo livello si intende ovviamente il ritorno di Agostino nel 388 nella sua terra natale, dopo il soggiorno a Roma (383), poi a Milano (384-387) e, infine, di nuovo a Roma e Ostia (387-388). Ma per la dottoressa Ferdi si trattava soprattutto di celebrare "il ritorno di Agostino" in Algeria attraverso l'accoglienza che adesso gli viene riservata nella sua terra natale. Dirò, per precisare il tema di questa conferenza, che per noi si tratterà prima di tutto di scoprire come Agostino ha oggi la libertà di ritornare in Africa, nella sua terra di origine. È in questa cornice che situerò le mie riflessioni su sant'Agostino e la libertà, ossia nel contesto di riconciliazione che si sta vivendo in Algeria con la persona e l'opera di Agostino. L'intervento non avrà lo stesso carattere di quelli che l'hanno preceduto ma, spero, apporterà un contributo specifico alla vostra riflessione sull'attualità di sant'Agostino, sulla sua attualità in un Paese del sud del Mediterraneo oggi quasi completamente musulmano: l'Algeria. Bisogna capire che l'Algeria, dopo aver ottenuto l'indipendenza, si è rivolta in primo luogo al suo passato arabo-musulmano e, ancora di più, agli eroi della sua lunga e difficile guerra di liberazione.

Ma, poco a poco, nel Paese si è andata sviluppando una corrente che ha voluto svelare la storia della nazione in tutta la sua profondità. La prima manifestazione di questa evoluzione è stata l'occasione concessa al cardinale Duval, allora arcivescovo di Algeri, di proporre una riflessione su sant'Agostino in occasione di una conferenza pubblica tenutasi nella prestigiosa cornice del Palazzo della cultura di Algeri, il 26 gennaio 1987 (cfr. El Moudjahid, 29 gennaio 1987). Numerosi ministri algerini, un gran numero di personalità della cultura e un pubblico nel quale i giovani erano forse la maggioranza, assistettero all'evento. Mai, come in quella occasione, il salone fu così gremito. Il titolo della conferenza era "Sant'Agostino e la libertà". Mi sia consentito di riprenderne le idee principali nel corso di questo intervento. La seconda occasione che ha evidenziato il recupero da parte dell'Algeria del suo grande antenato cristiano è stata la conferenza tenuta a Rimini il 23 agosto 1999 dal presidente Bouteflika nel contesto del Meeting annuale di Comunione e Liberazione. In quell'occasione egli dichiarò: «E che cosa dire, poi, dell'algerino sant'Agostino che tanto diede alla Chiesa? Teologo, filosofo, scrittore, tribuno e uomo d'azione, l'autore della Città di Dio e delle Confessioni, che fu vescovo di Ippona, l'attuale Annaba, è considerato giustamente come uno dei dottori più influenti e più prestigiosi della Chiesa cattolica.

Di lui è stato detto che "trattava una questione di diritto come un avvocato di Roma, una questione di esegesi come un dottore di Alessandria, argomentava come un filosofo ateniese, commentava un documento d'archivio come il più erudito degli storici, raccontava un aneddoto come un borghese di Cartagine, un exploit dei circoncellioni come un operaio di Ippona…"». Questa dichiarazione ha aperto le porte nel Paese agli amici di Agostino perché potessero intensificare la loro azione per il "ritorno di Agostino" nella sua patria. Ma, a livello del grande pubblico, in Algeria questo ritorno è stato opera del colloquio internazionale su "L'africanità e l'universalità di sant'Agostino", tenutosi nell'aprile dell'anno scorso. Questo incontro ha significato il rientro pubblico del vescovo d'Ippona nella sua patria. Il presidente della Repubblica algerina ha dichiarato ai suoi connazionali, nel discorso inaugurale tenuto alla presenza dei rappresentanti del governo, del corpo diplomatico e delle autorità costituite, che Agostino «appartiene alla genealogia degli algerini» (El Moudjahid, 2 aprile 2001).

È dunque nel contesto di questo sforzo per restituire, nell'Algeria musulmana, il posto che compete al suo grande antenato cristiano, che vorrei affrontare con voi il nostro tema. Non pretendo di proporre una mia personale riflessione su Agostino nella sua meditazione sugli argomenti specificatamente teologici o filosofici del libero arbitrio, della grazia e della libertà del credente davanti a Dio, quanto piuttosto evocare assieme a voi, in una forma più ampia e senza escludere queste tematiche, gli interrogativi che si pone la società algerina su Agostino e sulla sua libertà all'interno della società del suo tempo, con tutti i determinismi che essa implicava: l'Impero romano, la cultura latina, la sua posizione come vescovo nella Chiesa cattolica, ecc. Mi sforzerò, dunque, di presentare alla vostra attenzione numerose testimonianze sul dibattito che si sta svolgendo in Algeria sul tema della libertà di Agostino, attingendo in particolare dalla stampa algerina che prima, durante e dopo il colloquio gli ha dedicato circa 230 articoli in francese e in arabo. Solamente durante i sette giorni della durata del colloquio sono stati pubblicati una sessantina di articoli sulla stampa francofona e una quarantina su quella di lingua araba. Per rendersi conto della portata del fenomeno nella società, non bisogna dimenticare che si tratta di pubblicazioni scritte da musulmani su organi di stampa musulmani, per un pubblico musulmano, e oltretutto in un Paese dove l'islam è la religione di Stato per dettame costituzionale.

 

La libertà di parlare di Agostino oggi nella sua patria

Prima di tutto è da notare che l'aver riconosciuto il posto che occupa Agostino nella storia dell'Algeria è stata una conquista della libertà di quanti si sono schierati in prima linea in questa battaglia. In piena crisi algerina ciò significava anche mettere a repentaglio la propria vita. Kamal Mellouk, uno dei militanti della causa di Agostino in Algeria, abitante a Souk Ahras, la Tagaste di Agostino, ci faceva capire la gravità del rischio quando scriveva su un quotidiano d'Algeri: «Come non amare sant'Agostino quando è stato lui a insegnarmi di nuovo a sperare, in questo mondo difficile e incerto, a non combattere i miei nemici ma ad amarli per carità e a rifugiarmi nella grazia di Dio durante le difficoltà. Certo, non è sempre cosa facile parlare di sant'Agostino oggi in Algeria, il suo Paese natale, e manifestare ingenuamente e pubblicamente l'amore che si prova per lui, come io faccio: si rischia di risvegliare i demoni dell'odio, dell'ignoranza, dell'intolleranza o di essere semplicemente scomunicati o accusati di apostasia con tutte le conseguenze che questo significa. Ma, quando si ama qualcuno, bisogna assumersi fino in fondo il rischio di questo amore, anche a rischio della propria vita, giacché non c'è amore più bello e più fedele della morte per colui o colei che si ama» [1].

Lo stesso Agostino, nel corso della sua esistenza, ha dato prova di questo tipo di libertà poiché, come è noto, ha perseverato nella sua azione contro i suoi avversari donatisti a rischio della sua vita e una volta si è salvato grazie ad un errore della sua guida che lo ha condotto per un cammino diverso da quello dove lo attendevano i suoi avversari. Ritornando all'Algeria, durante la crisi integralista in cui è sprofondato il Paese dal 1990 al 2000, la prima battaglia per la libertà, legata ad Agostino, è stata quella per ottenere di parlare liberamente di lui nella società algerina. Per riportare solo un esempio particolarmente eloquente, segnalo quest'episodio: un ex ministro algerino per gli Affari religiosi, attualmente presidente dell'Associazione degli Ulema (i sapienti musulmani, ndr), dopo il colloquio di aprile si era recato a Tagaste-Souk Ahras, la città natale di Agostino. Nella moschea aveva dichiarato, secondo quanto riferito da testimoni degni di fede, che gli abitanti della città che avevano organizzato l'omaggio ad Agostino nel corso del colloquio erano colpevoli di "infedeltà" (kofr), poiché Agostino era un infedele.

E si sa che in una situazione di crisi un'accusa di infedeltà equivaleva ad una condanna a morte. Ahmed Kaci, sulla Tribune dell'8 aprile 2001, ha segnalato del resto questa opposizione dell'Associazione degli Ulema alla riabilitazione di Agostino nella società algerina: «Tra le reazioni di opposizione registrate contro lo svolgimento del seminario, emerge quella dell'Associazione degli Ulema che, per bocca di Abderahmane Chibane, ritiene che l'enfant prodige di Tagaste non era altro che un cristiano "agente del colonialismo romano in Algeria e un nemico degli algerini nazionalisti che avevano opinioni diverse dalle sue e che lottavano per la liberazione del popolo"». Un certo numero di articoli sulla stampa algerina hanno d'altronde assunto posizioni simili, utilizzando, a volte, il colloquio di aprile nella loro lotta politica. Così, il capo di un partito islamico, Djaballah, ha rilasciato la seguente dichiarazione su un settimanale algerino [2] di lingua araba: «Agostino era di origine romana, per lo meno per parte paterna. Coloro che vogliono dargli un posto nella società algerina non hanno altro obiettivo che quello di preparare il ritorno nel Paese degli europei d'Algeria (i pieds noirs).

È il partito della Francia». Un altro giornalista, Othman Sa'di, ha scritto sullo stesso tono, nel quotidiano di lingua araba En Nasr: «Avrei gradito che il presidente Bouteflika avesse eretto una statua in onore di Donato che rappresenta il vero nazionalismo numida. Quanto a sant'Agostino, fu il principale agente del colonialismo romano. Fu il migliore strumento nelle mani dell'imperialismo romano per schiacciare il popolo amazigh (berbero), spogliarlo della sua terra e darne la proprietà ai grandi aristocratici dell'esercito romano» [3].

 

La libertà di Agostino rispetto all'Impero romano e ai suoi rappresentanti

In un contesto di attaccamento alla causa nazionale o alle radici arabo-musulmane, come è quello che abbiamo appena menzionato, la prima domanda che ci si è posti in Algeria è stata quella sulla libertà di Agostino rispetto all'Impero romano e ai suoi rappresentanti. Già dieci anni prima del colloquio, un amico algerino di Agostino aveva scritto un articolo intitolato Agostino l'africano. Già durante la settimana successiva, la risposta era giunta da un articolo di pari importanza, Agostino il romano. Nel clima creato dal colloquio, un giovane scrittore algero-marocchino, Kebir Ammi, aveva pubblicato un'opera su Agostino [4].

L'autore aveva immaginato che Agostino di ritorno in Africa venisse sollecitato immediatamente dai suoi compatrioti affinché si unisse alla resistenza contro l'occupazione romana. È così che l'autore fa dire ad Agostino, a proposito di suo padre Patrizio, che costui «avrebbe desiderato che egli prendesse le armi contro i romani...». L'opera si presenta come un romanzo, ma ha esercitato una notevole influenza sui lettori algerini trasponendo nel IV secolo delle prospettive che non erano quelle dell'epoca di Agostino ma che potevano essere quelle di un algerino del 1954 quando era scoppiata la rivoluzione contro la presenza francese [5]. Tra coloro che si opponevano a un ritorno di Agostino in Africa, ve ne sono stati molti che hanno assunto questa posizione. Un ex ministro scrisse sul Matin del 18 aprile 2001: «Sant'Agostino per la sua formazione, le sue convinzioni religiose, la sua azione, si è immediatamente inserito nella storia dell'Impero romano d'Occidente e in quella della Chiesa cattolica romana nella quale, del resto, ha impresso la sua impronta.

A dire il vero, egli ha preso le distanze rispetto alle masse berbere…». Fortunatamente gli studiosi presenti al colloquio hanno dato risposte articolate alle domande che molti algerini si ponevano su questa libertà di Agostino rispetto al potere romano. Per loro è un palese anacronismo considerare Agostino il rappresentante del potere romano contrapposto ai donatisti visti come i veri nazionalisti. Il professor Mandouze ha fatto scoprire al pubblico algerino del colloquio la complessità di questo tema, ricordando che la personalità di Donato è difficile da inquadrare e che ci sono stati per lo meno due "Donato" all'origine del movimento donatista, uno originario di Cartagine e l'altro di Baghai in Numidia [6].

Altri studiosi hanno evidenziato quanto fosse ingiusto porre Agostino a fianco dei grandi proprietari terrieri romani in contrapposizione ai donatisti che avrebbero difeso i poveri contadini. Hanno presentato numerose prove dell'impegno di Agostino in difesa dei deboli contro i potenti. Claude Lepelley, per esempio, ha ricordato che al principio del ministero di Agostino a Ippona «l'élite sociale era sia pagana sia donatista» [7]. Egli precisa che la comunità donatista di Ippona comprendeva dei ricchi notabili e perfino dei grandi aristocratici dei quali almeno due erano senatori: Eusebio (che fu curator cioè amministratore della città) e Celere. Quest'ultimo, prosegue Lepelley, «era un grande proprietario terriero destinato ad una brillante carriera; infatti diventò successivamente vicario in Africa e poi proconsole» [8].

All'inizio del suo ministero a Ippona, Agostino deplora il fatto che «la gente si converte al donatismo per fare dei buoni matrimoni nell'alta società o per ottenere la protezione di nobili appartenenti a questa Chiesa» [9]. E lo stesso autore ricorda che «negli anni 400-411, il vescovo donatista di Costantina, Petiliano, acerrimo avversario di Agostino, apparteneva all'ordine senatoriale» [10].

Non è possibile riportare qui tutta la documentazione presentata al colloquio con tutte le precisazioni necessarie (per esempio, Celere, di cui abbiamo appena parlato, divenne cattolico in seguito). Infine, Lepelley si schiera apertamente contro le idee di William Frend [11] che furono all'origine della tesi che vede i donatisti come paladini del nazionalismo antiromano: «È completamente sbagliato ridurre il donatismo alla sola componente rurale, ai contadini poveri e non romanizzati, come è stato fatto ... sulla scia del libro di William Frend (1952)».

I donatisti furono i primi ad appellarsi al potere romano contro i loro avversari cattolici e sotto Giuliano l'Apostata (361-363) si valsero del potere imperiale. Dopo il 405 e soprattutto dopo la Conferenza di Cartagine del 411, le cose cambiano radicalmente.

Da questo momento in poi sono i cattolici ad appoggiarsi al potere romano. Ma, per valutare la complessità della situazione, è sufficiente ricordare la sorte riservata a Marcellino, il legato imperiale che presiedette la Conferenza di Cartagine che avrebbe dato ragione ai cattolici contro i loro avversari donatisti. Questo alto funzionario, grande amico di Agostino, venne decapitato due anni dopo, nel 413, per ordine del potere romano. Sarebbe facile portare le prove delle numerose richieste rivolte da Agostino agli alti funzionari romani durante tutta la sua vita per difendere gli insorti di partiti diversi. È il caso, per esempio, della lettera con cui chiede che non venga applicata la pena di morte contro i pagani che a Madaura avevano attaccato dei cattolici in una chiesa.

Oppure quando intervenne presso il comes Bonifacio affinché costui esercitasse il suo compito con la persuasione e la diplomazia piuttosto che con la violenza e la coercizione: «È più glorioso uccidere la guerra con la parola che uccidere gli uomini con il ferro, e ottenere la pace attraverso la pace che attraverso la guerra. Coloro che combattono, se sono buoni, cercano senza dubbio la pace, ma la cercano spargendo sangue; al contrario tu sei inviato per impedire che sia sparso sangue» [12].

In molte occasioni Agostino appare libero rispetto al potere romano e ai suoi alti rappresentanti.

 

La libertà di Agostino rispetto ai ricchi

Due interventi al colloquio di Algeri hanno insistito particolarmente sulla dimensione sociale dell'impegno di Agostino: quello di Lepelley, di cui abbiamo già parlato, e quello di padre Angelo Di Berardino incentrato sulla difesa dei poveri attraverso la condanna dell'usura. Per molti algerini contrari ad Agostino, il tema dei circoncellioni, un tempo alleati dei donatisti, fornisce un'occasione per attaccare il vescovo di Ippona. Khadidja Mansouri, di Orano, ha recentemente ripreso questo tema a Roma, in occasione di un colloquio organizzato dall'Augustinianum [13].

Kamal Mellouk, sostenitore algerino di Agostino, aveva criticato questo tipo di approccio già in un articolo del 1995: «Alcuni vogliono presentarcelo [Agostino] come un reazionario dell'estrema destra, più preoccupato di proteggere i ricchi che i poveri. Queste stesse persone vogliono vedere nel conflitto che lo aveva opposto ai donatisti una vera e propria lotta di classe tra imperialisti difesi da Agostino e proletari agricoli della Numidia, i circoncellioni difesi dai donatisti» [14].

L'intervento di Lepelley al colloquio ha portato numerose argomentazioni per respingere questa tesi. Grazie in particolare alle lettere scoperte da Johannes Divjak, Lepelley presenta molti esempi di interventi di Agostino in difesa dei poveri minacciati dalla durezza dei ricchi: la difesa di alcuni piccoli contadini che dei latifondisti volevano ridurre in schiavitù o che erano stati vittime di una duplice imposizione (Lettera 247); i reclami affinché l'autorità imperiale istituisca a Ippona la carica del "difensore della plebe" creata nel 368 dall'imperatore Valentiniano I (Lettera Divjak 22 del 420) [15]; la protesta contro la corruzione o quella contro il rapimento di gente inerme sulle coste per farne degli schiavi; l'appello al rispetto del diritto di asilo nelle chiese a beneficio degli individui ricercati dalle autorità. I Sermoni di Agostino sono disseminati di appelli angosciati rivolti ai ricchi perché vengano in aiuto dei poveri: «Siamo ormai in inverno. Pensate ai poveri, come dobbiate vestire Cristo nudo» (Sermone 25 8, 8).

Agostino invita la sua stessa Chiesa a dare l'esempio: quando è necessario fa vendere i vasi sacri: «Istituì una matricula pauperorum dove erano registrati gli indigenti nutriti e mantenuti a spese della Chiesa» (Lettera Divjak 20, 2). Padre Di Berardino fa le stesse precisazioni riguardo al problema dell'usura: «Là dove le leggi romane del IV secolo si limitano a reprimere gli eccessi nella pratica (dell'usura) che era molto diffusa, Agostino interviene con forza per obbligare i cristiani a liberarsi di questo gravissimo peccato contro la legge divina» [16]: «Colui che ruba qualcosa ad un ricco con la forza è forse più crudele di chi manda in rovina un povero con l'usura?

Ecco le appropriazioni ingiuste per le quali vorrei ed esigerei la restituzione, ma a quale giudice ci si può rivolgere per questo?» (Lettera 15 3, 25).

 

Libertà, verità e coercizione

Una delle più gravi ingiustizie fatte ad Agostino è stata quella di dipingerlo come un partigiano della coercizione in nome della verità. La sua parabola personale è stata in primo luogo una lunga ricerca della verità, dal manicheismo allo scetticismo, quindi al neoplatonismo e al cristianesimo. Ha percorso le grandi correnti di pensiero del suo tempo cercando con passione la verità fino a quando essa non giunse a toccargli il cuore: «Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova» (Confessioni X, 27). Serge Lancel, nel suo intervento, riassume la questione in questi termini: «Non si può eludere la questione del ricorso al braccio secolare nelle fasi finali della lotta antidonatista, all'inizio del V secolo.

Ma sarebbe troppo facile contrapporre in maniera artificiosa dei cristiani scismatici considerati tenacemente indipendenti rispetto alle autorità imperiali e un vescovo cattolico presentato come sottomesso a queste stesse autorità. Agostino, a partire dal 403-404, si è rassegnato a utilizzare contro i suoi avversari tutte le risorse legislative disponibili, spesso antiquate, per porre fine al terrorismo del braccio armato dei donatisti, i circoncellioni, quando ha dovuto constatare che il timore delle leggi e della forza militare era più forte della discussione» [17]. Nel suo rapporto con gli altri, chiede che si privilegi il dialogo, cercando indefessamente gli argomenti che possano riscuotere consenso. È per questo che vorrebbe che invece di punire i recalcitranti, ci si sforzasse di condurli alla verità. Due interventi sono stati dedicati al tema del dialogo in Agostino: quello di Thérèse Fuster, Agostino, uomo del dialogo e della relazione, e quello di Maria Grazia Mara su Agostino: uomo della relazione umana e del dialogo nelle Confessioni.

Un altro intervento, presentato dal professor Tahar Absi di Algeri, ha affrontato questo stesso argomento partendo dalla concezione agostiniana dell'educazione. Il cardinale Duval aveva parlato diffusamente di questo tema nel corso del suo intervento al Palazzo della Cultura, riconoscendo che alla fine Agostino si era lasciato persuadere. Ma riportava anche le belle parole rivolte da Agostino a Vincenzio, vescovo donatista di Cartennas, l'odierna Tenes (Lettera 93): «Nessuno dovrebbe essere costretto all'unità di Cristo; è con la parola che bisognerebbe agire, con la discussione che bisognerebbe combattere, con la ragione che bisognerebbe vincere...» [18].

Il cardinale Duval ricordava inoltre la bella affermazione di Agostino alla Conferenza di Cartagine: «La vittoria appartiene solo alla verità e la vittoria della verità è la carità». Infine (è ancora Agostino a parlare, per bocca del cardinale Duval): «Nessuno di noi dica di avere già trovato la verità: cerchiamola, come se fosse ignota a tutti noi» (Contro la lettera di Mani detta del fondamento 27, 34). Ricordiamo che tutti questi testi furono presentati dal cardinale Duval davanti ad un pubblico algerino in un'epoca in cui ancora vigeva il sistema del partito unico e, dunque, della verità unica.

 

Libertà di Agostino rispetto al prestigio di Roma

Agostino è stato educato alla conoscenza di tutto il patrimonio della cultura classica. Tutta la sua opera restituisce questa conoscenza e ne mostra l'estensione, per esempio, nel De civitate Dei, quando passa in rassegna il pantheon romano e ne critica i minuziosi dettagli (De civitate Dei IV, 8). Agostino si situa all'interno dell'Impero romano del suo tempo e ne sa apprezzare la grandezza. E tuttavia, egli sa distinguere i piani nella Città di Dio: quello dell'opera divina che, tramite la grazia, tocca il cuore dell'uomo e quello delle forze umane che costruiscono l'Impero. Ha il coraggio di evidenziare la brama di dominio che con guerre incessanti ha sottomesso il mondo mediterraneo alla potenza di Roma. «Questo risultato» dice Agostino «è stato raggiunto con molte e immani guerre, con grande scempio di uomini e grande spargimento di sangue umano» (De civitate Dei XIX, 7).

È noto che Agostino è stato spettatore nel 410 del sacco di Roma da parte di Alarico senza lasciarsi andare alla disperazione, come ha fatto il suo contemporaneo San Gerolamo. Ha negato allo Stato romano il nome di repubblica perché non era nato dalla giustizia che fa la Città di Dio: «Se dunque lo Stato (res publica) è cosa del popolo, se la definizione è vera, non è mai esistito lo Stato romano, perché mai fu cosa del popolo, ed egli [Cicerone] ha dimostrato che questa è la definizione dello Stato. Ha infatti definito il popolo come l'unione di un certo numero d'individui, messa in atto dalla conformità del diritto e dalla comunanza degli interessi. Nel dibattito spiega che cosa intende per conformità del diritto, poiché dimostra che senza la giustizia non si può amministrare lo Stato; è impossibile dunque che si abbia il diritto in uno Stato in cui non si ha vera giustizia» (De civitate Dei XIX, 21).

Questi principi lo hanno condotto al seguente giudizio (di una libertà assoluta in rapporto ai poteri terreni) espresso nel famoso testo dove gli imperi senza giustizia sono paragonati a delle bande di briganti: «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati?» (De civitate Dei IV, 4). «Muovere guerra ai vicini, continuare con altre guerre, sconfiggere e assoggettare per semplice ambizione di dominio popoli che non davano molestia, che altro si deve considerare se non un grande atto di brigantaggio?» (De civitate Dei IV, 6).

Con lo stesso spirito, Agostino si è opposto alla tortura alla quale il giudice ricorreva contro degli innocenti per cercare di conoscere i colpevoli: «E che dire quando un tale subisce la tortura in un processo e viene straziato quando s'investiga se è colpevole e un innocente subisce pene certissime per un reato incerto?» (De civitate Dei XIX, 6). Tutti questi importanti testi sono stati ricordati nel corso del colloquio di Algeri o nei commenti della stampa. Mi pare che queste citazioni siano sufficienti ad illustrare la libertà di Agostino rispetto al sistema sociale nel quale è cresciuto e ha vissuto. Quanto distanti sono queste riflessioni dai giudizi categorici che gli attribuiscono i suoi avversari attuali in Algeria!

 

La libertà di riconoscersi figlio della propria cultura

Agostino è il più grande dottore latino della sua epoca. Ma questo prestigio della lingua latina, che egli utilizza con una totale padronanza, non lo porta a disprezzare la cultura particolare del popolo numida da cui proviene. È nota la sua celebre risposta al grammatico Massimo di Madaura ricordata, tra l'altro, dal professor Kevin Coyle nel suo intervento. L'interlocutore di Agostino aveva ironizzato sulle consonanze puniche dei nomi dei martiri africani Miggin, Namphano e altri. Agostino replicò: «Sei così dimentico di te stesso, fino al punto da ritenere di dover criticare dei nomi punici, tu, africano, nell'atto di scrivere ad africani e vivendo noi tutti e due in Africa?» (Lettera 17, 2) [19].

È sulla stessa scia che si situa anche la risposta, ugualmente celebre, a Giuliano di Eclano durante la questione pelagiana. L'avversario di Agostino lo definisce "poenus disputator" o "poenus tractator" o "poenus orator" o, infine, "poenus scriptor". Agostino non contesta il riferimento alla sua identità "punica", ma risponde al suo avversario dicendogli che non può sbarazzarsi con il sarcasmo di un'argomentazione che non è in grado di confutare con argomenti degni della questione trattata (Ad Turbantium, fr. 52) [20].

È degno di nota, d'altra parte, che Agostino dopo la sua conversione a Cassiciacum e il battesimo a Milano abbia voluto ritornare nella sua terra natale per non abbandonarla più e inscrivere tutta la sua opera entro la Chiesa d'Africa. Questa libertà di situarsi all'interno della sua propria cultura, Agostino la esercita anche all'interno della Chiesa.

Ha combattuto il particolarismo donatista facendo leva sul tema dell'inscrizione della Chiesa d'Africa nella Chiesa universale. Ma, contemporaneamente, ha anche affermato la libertà della Chiesa d'Africa nelle sue relazioni con la Chiesa di Roma. La crisi pelagiana e le difficoltà della Chiesa d'Africa con il papa Zosimo hanno messo in evidenza la libertà della Chiesa d'Africa nel momento in cui difende la sua tradizione teologica. Lo stesso succede quando essa difende le sue tradizioni ecclesiologiche e rifiuta che un chierico africano vada a Roma per porre fine a delle discussioni cui si dovrebbe porre fine in Africa.

 

Libero arbitrio, onnipotenza divina e salvezza attraverso la grazia

Il tema teologico della "libertà in Agostino" doveva essere il punto centrale del dibattito proposto in questa conferenza. In realtà ho situato questo aspetto della nostra riflessione alla fine del mio intervento trattandosi di un problema filosofico-teologico. Bisogna anche precisare che, per il momento, la riflessione su Agostino in Algeria non si è posta a questo livello. I problemi relativi all'identità hanno dominato il campo con le loro argomentazioni storiche.

Agostino può essere considerato un antenato dell'Algeria pur essendo cristiano ed esprimendosi in latino? Può incarnare la figura di un eroe nazionale quando tutta la sua vita si colloca all'interno dell'Impero romano? Come si è visto, fino a questo momento, l'interesse dell'Algeria si colloca al di fuori della riflessione teologica di Agostino. La nostra ricerca dell'attualità di Agostino in questo campo sarà pertanto limitata; tuttavia possiamo prendere le mosse dalla conferenza pubblica tenuta dal cardinale Duval nel 1987. La prima parte del suo testo si intitolava "Libero arbitrio, prerogativa essenziale dell'uomo". Il cardinale vi riprendeva brevemente le posizioni di Agostino del De libero arbitrio, trattato iniziato, come è noto, a Roma ma terminato in Africa. Egli puntualizzava alcune posizioni di Agostino rispetto alle idee degli astrologi, un tema, questo, che è stato ripreso nel colloquio di Algeri. È noto, infatti, che la visione musulmana tradizionale resta caratterizzata da una certa sottomissione al destino.

Duval riportava la frase di Agostino a Evodio: «C'è qualcosa che dipende dalla volontà più della volontà stessa?» (De libero arbitrio I, 12, 26). Successivamente, il cardinale Duval passava ad un altro piano non più filosofico come il problema del libero arbitrio, bensì teologico, con la questione della grazia e della libertà. Egli affrontò la questione partendo dalla sua concezione spirituale che era una concezione agostiniana: «In cosa consiste soprattutto l'attività di quella che Agostino chiama libertas? Nel fatto che Dio che è amore trasforma la vita dell'uomo affinché essa sia esercizio dell'amore». La distinzione di piani tra il livello filosofico e il livello teologico di una questione non è sempre facile da percepire nelle analisi della stampa algerina. È per questa ragione che facendo il resoconto della conferenza del cardinale su Algérie Actualité, Mustafa Cherif diceva: «La difesa dei diritti dell'uomo, credente o non credente, poggia sull'idea fondamentale del libero arbitrio. Principio che fa sì che un uomo è uomo quando compie attraverso la libertà la volontà divina che si esercita attraverso la grazia secondo la teoria cristiana» [21].

In questo giudizio vediamo che è difficile, in un contesto musulmano, distinguere il problema del "libero arbitrio" affrontato da Agostino all'inizio della sua vita, soprattutto a causa del manicheismo, dal problema della grazia e della libertà che doveva sorgere dalla crisi pelagiana.

Il primo problema va posto ad un livello in ultima analisi filosofico e, fino ad un certo punto, è un problema comune alle società di cultura musulmana e di cultura cristiana. Il secondo è un problema di tipo teologico più specificatamente cristiano giacché si situa ad un livello che si dovrebbe definire come il livello del sovrannaturale. Uno dei giornalisti che hanno trattato questo argomento traduce in arabo la parola "grazia" con "perdono", sintomo, questo, della difficoltà ad entrare nel vocabolario teologico propriamente cristiano. Nel colloquio su sant'Agostino era previsto anche un dibattito su libero arbitrio, grazia e libertà. Doveva essere introdotto da una conferenza su questa problematica affrontata partendo da un'ottica islamica. L'intervento è stato presentato dal professor Bouamrane Cheikh con il titolo "Predestinazione e libero arbitrio nell'islam".

Ma questa problematica non ha suscitato nessun dibattito né in sala né sulla stampa. Il professor Otto Wermelinger ha affrontato lo stesso tema da una prospettiva cristiana con il titolo "Decisioni del Concilio africano del 418 sulla grazia e la libertà presentate da Agostino a Bonifacio, vescovo di Roma". Egli ha situato l'azione della grazia là dove l'aveva collocata il cardinale Duval: l'ispirazione dell'amore divino. Per Agostino, dice Wermelinger «la grazia è un aiuto efficace che illumina l'intelletto e che trasforma. L'amore divino è tale che Dio tocca il cuore dell'uomo».

 

Conclusioni

Così una società musulmana ha cominciato ad assimilare nel suo patrimonio una figura cristiana emblematica. È un punto di partenza. Molti algerini non si sentono ancora sufficientemente liberi nei confronti della loro storia al punto da includervi un cristiano di cultura latina.

Ma, poco a poco, delle personalità coraggiose hanno potuto restituire ad Agostino la sua libertà nella società delle sue origini. Si tratta di un lungo lavoro, ancora in corso. Bisogna infatti liberare Agostino dai pregiudizi che ne alterano l'immagine e fanno di lui un agente dello Stato romano e della sua espansione culturale. Una volta avviato questo lavoro, si dovrà svincolare la riflessione in Algeria dai soli problemi di identità per guardare alle questioni fondamentali che Agostino pone e che hanno un senso per tutti gli uomini: il problema del male, la relazione tra uomo e Dio, i rapporti, l'azione di Dio nella storia e la storia delle azioni dell'uomo, e tanti altri temi ancora che Agostino affronta con la sua tipica passione e il suo rigore intellettuale. Bisogna dire che resta da fare ancora un grande sforzo di traduzione in arabo delle opere di Agostino affinché la sua riflessione passi negli ambienti universitari di lingua araba che hanno la vocazione e la competenza per trattare questi problemi.

Agostino e la libertà, dal punto di vista dell'Algeria, significa prima di tutto la libertà degli algerini di fronte ad Agostino, alla sua persona, al suo messaggio. Molti non hanno ancora questa libertà. Ma molti anche, usando della loro libertà, riconoscono in Agostino un maestro per la loro vita, nella loro identità di musulmani ed esprimono la gioia di sapere che questo Maestro è originario del loro Paese. Una bella testimonianza in questo senso ci è offerta da Kamal Mellouk, questo cittadino di Tagaste-Souk Ahras di cui abbiamo già parlato più volte.

Egli afferma «di voler approfondire il suo rapporto con Agostino per una migliore conoscenza, attraverso il suo itinerario spirituale, del proprio itinerario verso Colui per cui siamo fatti, Colui che ci ha orientati a Lui».

Quindi aggiunge: «sant'Agostino è oggi e resterà sempre il nostro compagno di viaggio. Ho ritenuto di lui il senso dell'interiorità e soprattutto l'acutezza delle risposte a problemi che sono ancor oggi i nostri stessi problemi. Quando ho scoperto che le Confessioni sono il dialogo che Agostino stabilisce con Dio, sono rimasto colpito in modo particolare. Le Confessioni, il libro che è sempre sul mio comodino, è pieno, dall'inizio alla fine, della presenza del Creatore. È anche una lunga e commossa lettera aperta a Dio, che Agostino lascia a chi vorrà leggerla, perché ciascuno possa vedervi la grazia divina all'opera».

Ecco un aspetto notevole dell'attualità di Agostino nell'Algeria di oggi e una testimonianza sulla libertà di un algerino musulmano nel suo rapporto col messaggio di Agostino.

 

 

 

Note

 

(1) - El Watan, 10 settembre 2000, p. 11

(2) - El Chourouk al arabi, 23-29 aprile 2001

(3) - En Nasr, 30 aprile 2001

(4) - Taghaste, Éditions de l'Aube, Parigi 1999

(5) - La conferenza di Claude Lepelley, tenuta alla École française di Roma il 5 febbraio 2002, dal titolo Les Romains en Afrique ou l'Afrique romanisée? Archéologie, colonisation et nationalisme en Afrique du Nord, fornisce un'ampia e nutrita analisi di questo tipo di anacronismi

(6) - A. Mandouze, "Augustin et Donat", Atti del colloquio di Algeri (di prossima pubblicazione a Friburgo e Algeri)

(7) - C. Lepelley, "La lutte en faveur des pauvres: observations sur l'action sociale de saint Augustin dans la région d'Hippone", Atti del colloquio di Algeri

(8) - Ibidem

(9) - Ibidem

(10) - Ibidem

(11) - W. H. C. Frend, The donatist Church. A Movement of protest in Roman North Africa, Oxford 1952

(12) - Lettera 229, 2

(13) - Cfr. El Watan, 7 maggio 2002, p. 12

(14) - K. Mellouk, Saint Augustin, algérien malgré nous, in El Watan, 13 e 14 gennaio 1995

(15) - J. Divjak, Sancti Augustini opera. Epistolae ex duabus codicibus nuper in lucem prolatae, Vienna 1981, p. 234

(16) - A. Di Berardino, "La défense du pauvre. St. Augustin et l'usure", Atti del colloquio di Algeri

(17) - S. Lancel, "Entre africanité et romanité: le chemin d'Augustin vers l'universel", Atti del colloquio di Algeri

(18) - Cfr. A. Mandouze, L'aventure de la raison et de la grâce, Parigi 1968, p. 371

(19) - K. Coyle, "L'identité du christianisme nord-africain aux temps d'Augustin", Atti del colloquio di Algeri

(20) - Cfr. M. Lamberigts, "The Italian Julian of Aeclanum versus the African Augustin of Hippo", Atti del colloquio di Algeri

(21) - M. Cherif, Religion et liberté selon l'Augustin algérien, in Algérie Actualité, 5-11 febbraio 1987