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Ileana Tozzi: Gli Agostiniani a Rieti

chiesa di sant'Agostino a Rieti

chiesa di sant'Agostino a Rieti

 

GLI AGOSTINIANI A RIETI NELLO SPECCHIO DELLE FONTI ARCHIVISTICHE E MATERIALI

dott. ssa Ileana Tozzi

 

 

 

La comunità degli Agostiniani, costituitasi a Rieti intorno alla metà del XIII sec. nei pressi dell'antica Piazza del Leone riadattando e ricostruendo ex novo un sito già appartenuto agli Eremitani, fiorì nei secoli promovendo presso la sua chiesa la devozione popolare per la Madonna della Cintola e per i Santi fioriti nel corso dei secoli all'interno dell'Ordine. La chiesa ha una struttura architettonica poderosa, pressoché intatta nelle sue armoniose linee romaniche ingentilite dal corpo absidale gotizzante (l), dominate dalla mole severa della torre campanaria che ben s'inserisce nella cerchia delle mura urbiche. Particolarmente suggestivo è il chiostro rimodernato nel corso dei secoli XVI-XVII, descritto ed apprezzato dall'erudito reatino Loreto Mattei per le sue «colonne di bellissimo ordine dorico tutte d'un pezzo.» (2) All'interno, la primitiva decorazione parietale affiora dalle scialbature degli intonaci progressivamente stesi per adeguare la vasta aula a rinnovate esigenze stilistiche e liturgiche. Nella sua dotta e dettagliata Descrittione della città di Rieti, dedicata nel 1635 al cardinale Francesco dei conti Guidi da Bagno (3), il canonico Pompeo Angelotti descrive così la chiesa degli Agostiniani: «...avanti d'entrar nella gran Piazza del Leone, è il Seminario dal piissimo Cardinal Amulio in essecutione del Sacrosanto Concilio di Trento, prima d'ogn'altro com'Idea fondato. La Piazza, che qui vedesi, è campo aperto per gl'Esercitij Militari: detta del Leone dalla marmorea figura di esso, che nel fonte si vede. Qui vicino scorgesi il Tempio del Gran Dottore, e Principe de 'Teologi S. Agostino, co'l suo Convento fabbricato alla forma di quell' de' SS. Francesco e Domenico, arricchito dal miracoloso corpo di Giovanni Semplice Reatino, Beato dell'istess'Ordine, come fede ne fa frà Giuseppe Panfilo nelle Croniche dell'Ordin 'Eremitano, al foglio 56 e nel Catalogo de' Beati Agostiniani, che nello stesso libro registra con la Vita del Beato» (4). Ma non solo il beato Giovanni il Semplice (5), vissuto nella quiete dell'eremo agostiniano sul colle dell'Annunziata intorno alla prima metà del XIV secolo, è additato alla devozione dei fedeli. Numerose sono le opere pittoriche che ritraggono Sant'Agostino, a volte affiancato dalla madre Santa Monica che tanta parte ebbe nella sua conversione. Così pure è frequente l’immagine di San Nicola da Tolentino, di Santa Rita da Cascia, di San Tommaso da Villanova. Risale alla metà del XIV secolo la lunetta affrescata all'interno del timpano del portale d'accesso raffigurante la Vergine con il Bambino, Sant'Agostino e San Nicola da Bari, come attesta l'iscrizione

ANO DNI MCCCLIIII DIE VIII OC[TU]BRIS FECIT FIERI HOC OPUS NICOLAUS ONGARUS

Si tratta di un bell'esempio di pittura dalle ascendenze umbro-senesi, a conferma del fatto che la città di Rieti, terra di confine fra il Patrimonio di San Pietro ed il Regno di Napoli, fu per secoli cerniera fra le correnti artistiche maturate nei centri più grandi, ricchi e culturalmente evoluti. L'interno, a navata unica, è illuminato dalle vetrate policrome ricostruite a metà del XX secolo, incluse nelle finestre a sesto acuto delle absidi a base ottagonale, ed è scandito dalla ordinata serie di altari di gusto neoclassico che testimoniano l'impegno degli Agostiniani ad adeguare la loro chiesa al dettato della venticinquesima seduta, che concluse e coronò i lavori del Concilio di Trento. Gli altari furono addossati alle pareti lasciando una modesta intercapedine rispetto alla preesistente muratura: ciò ha consentito in buona parte la conservazione degli affreschi medievali che secondo l'uso proprio degli Ordini Mendicanti costituivano un'autentica Biblia pauperum. Un recente intervento di restauro, promosso dalla Soprintendenza per il patrimonio artistico e storico di Roma e del Lazio, ha consentito di recuperare in buona parte gli affreschi della paretina interna a destra dell'ingresso e della più ampia parete adiacente a cornu Epistulae. Si tratta di un autentico palinsesto pittorico dei secco XIV-XV, in cui viene ritratta più volte la Madonna in maestà. Particolarmente raffinata è l'immagine di gusto gotico, in scritta all'interno di un baldacchino, accanto a cui è l'arcangelo Michele dalle ali versicolori, che con la sua lancia trafigge il demonio. Nella lunetta sovrastante è tratteggiata con vivacità figurativa e cromatica una scena di difficile interpretazione, che ha come protagonista una donna, forse un'indemoniata. Nella parete più ampia, purtroppo sconciata dall'apertura di un finestrino fortemente strombato, si sovrappongono strati diversi di pitture: alcune di questo risultano rigidamente impaginate entro comici geometriche, lungo le quali scorrono frammentarie scritte in caratteri gotici, altre invece sono caratterizzate da una straordinaria vivacità narrativa. Alla prima serie va ricondotta una delicata Madonna galattofora, unitamente con la Maddalena penitente che copre le sue nudità con il manto serico dei lunghi capelli, con San Nicola di Bari, raffigurato in abito vescovile con i suoi emblemi parlanti, con il Cristo risorto che reca il Libro sapienziale. In un riquadro, è lo stemma di un committente di provenienza toscana: si tratta infatti del gallo nero in campo dorato, che fu simbolo della Lega costituitasi fra Gaiole e le altre terre del Chianti. Alla seconda serie, si ascrive invece la rappresentazione di una scena di vita quotidiana che si sviluppa su due diversi registri contigui: in una piazza cittadina, delimitata dalla mole di una torre, i frati eremitani attendono chi a capo chino, chi in ginocchio la benedizione di Sant'Agostino, mentre uomini e donne attendono ai loro affari. Solo uno storpio, trainato su una piccola piattaforma dotata di rotelle, si accosta al Santo, forse confidando nel suo aiuto. Segue, all'interno della cornice in stucco del primo moderno altare, un affresco di grande pregio, riconducibile alla maniera del pittore abruzzese Andrea De Litio (6). Anche l'epoca di realizzazione dell'affresco sembra corrispondere, se si pone come termine post quem la data di canonizzazione del religioso agostiniano, elevato alla gloria degli altari da papa Eugenio IV nel 1446. Al tempo Andrea De Litio era un giovane artista già conosciuto ed apprezzato nelle città d'Abruzzo ai confini con il Patrimonio della Chiesa, alcune delle quali ricadevano nei margini di competenza della Diocesi di Rieti (7). Ma se stilisticamente e cronologicamente l'affresco può essere compreso nel regesto dell'artista morsicano, la ricchezza narrativa e la peculiarità del soggetto lo pone in relazione con le decorazioni che scorrono lungo il registro inferiore delle pareti nord/ovest, sud/est e sud/ovest del Cappellone della Basilica di San Nicola a Tolentino. Negli altri due altari eretti nel corso del sec. XVIII, al tempo del riallestimento della chiesa, sono inclusi a cornu Epistulae rispettivamente un bell'ovato in cui è inclusa una Madonna con il Bambino Gesù a cui segue una bella tela del tardo Cinquecento, dedicata alla Madonna della cintola.

Presso la chiesa degli Agostiniani fu a lungo attiva la confraternita intitolata alla Madonna della Cintola, tradizionalmente legata all'attività di catechesi dell'Ordine: la tradizione attribuiva infatti l'assegnazione dell'abito che ne distingueva i religiosi all'intervento miracoloso della Vergine, che avrebbe offerto a Santa Monica la cintura da legare ai fianchi, in segno di umiltà, povertà, penitenza, obbedienza. Sul finire del XVI secolo, la comunità reatina conferì al pesarese Giovan Giacomo Pandolci (8) l'incarico di dipingere una tela dedicata alla Madonna della Cintola. L'opera, benché pesantemente ridipinta nel 1836 per volontà del priore fra Nicola Barsotti, mantiene integri i tratti propri dello stile narrativo piano ed efficace dell'artista: entro una cornice di sobrio impianto classicheggiante, illeggiadrito dai giochi di luce dei tendaggi, la Vergine siede sul trono alto su due gradini che spiccano sulla pavimentazione definita prospetticamente al centro della scena, sostenendo la figuretta del Bambino Gesù che tiene in mano la nera cintola. Ricorrendo ad un simbolismo d'effetto, benché facilmente decodificabile dai membri della confraternita, Giovan Giacomo Pandolfi pone in relazione alla destra della scena le due madri - la Vergine Maria e Santa Monica - associandole in una intensa circolazione di gesti e di sguardi carichi di affettuosa sollecitudine, mentre a sinistra si sviluppa su un piano volutamente mistico e dottrinale la relazione fra i due figli, il Bambino e Sant'Agostino, ai piedi del quale è il libro aperto sulle cui pagine sono leggibili le date 1594-1599. Il lungo arco di tempo intercorso fra l'incarico e il compimento dell'opera allude ad una controversia che oppose il pittore ai frati, come registra puntualmente lo storico reatino Angelo Sacchetti Sassetti in un suo documentato saggio (9). Alla Madonna della Cintola fu dedicata anche una statua processionale in legno, opera dell'ebanista reatino Salvatore Porrina. Nei tre altari a cornu Evangelii sono rispettivamente lacerti di affreschi tardomedievali, una tela raffigurante la Sacra Conversazione con San Nicola da Tolentino e Santa Rita, un antico Crocifisso ligneo. La tela secentesca, di anonimo autore di ascendenze laziali, ripropone lo schema convenzionale della Sacra Conversazione: dall'alto di una nuvola, la Vergine Maria mostra il Bambino Gesù ai Santi Agostiniani che si rivolgono a lei in atto di preghiera. A sinistra, San Nicola da Tolentino riceve la benedizione, quasi una carezza, da parte del Bambino Gesù, a destra Santa Rita si rivolge alla Madonna, mentre un angioletto in basso tende la corona ad un giovane monaco inginocchiato, che rivolge al cielo il giglio simbolo della sua santità di vita. Un cespo di rose, un delicato paesaggio montano sono gli elementi figurativi che impreziosiscono il quadro. Del riallestimento post-tridentino fecero parte anche i due grandi altari laterali che chiudono i bracci del transetto: a cornu Evangelii, l'altare gentilizio dei Canali con la bella tela del cavalier Lattanzio Niccoli raffigurante l'Estasi di Santa Rita da Cascia (1643), a cornu Epistulae l'altare della famiglia Clarelli - che dette a Rieti un vescovo, monsignor Girolamo, il quale resse la Diocesi fra il 1761 ed il 1769 - con la tela del pittore temano Ludovico Carosi raffigurante la Strage degli Innocenti sovrastata nel frontespizio dall'immagine dipinta della Fuga in Egitto. Proprio da quest'ultimo altare sono stati avviati i lavori di restauro, consolidamento e riassetto promossi dalla Soprintendenza ai Beni Storici ed Artistici per la chiesa che fu un tempo dei Padri Agostiniani. La bianca mensa dell'altare con le sue pregevoli dorature è impaginata da doppie colonne di un vivace color rosso, che esalta i cromatismi della tela, ed è sovrastata da un'ampia cornice che si sviluppa su tre diversi livelli, scanditi da stucchi armoniosi che raffigurano fregi e festoni fitomorfi, cherubini in gloria, angeli musicanti, culminando nel bel baldacchino crocifero. Gli stemmi dei nobili Clarelli - tre rose incluse in una fascia orizzontale nel campo di destra, il braccio che impugna la spada illuminata da tre stelle nel campo di sinistra- recano memoria dell'antica committenza. Altre opere d'arte sacra furono dedicate dagli Agostiniani della comunità di Rieti ad abbellire la loro chiesa e suscitare la devozione verso i Santi dell'Ordine. Per effetto delle soppressioni ottocentesche, alcune di queste sono andate smarrite, altre hanno contribuito ad arricchire la dotazione del Museo Civicolo. Due tele fanno invece parte della collezione della Pinacoteca Diocesana. Tra i dotti e caritatevoli seguaci del Santo Vescovo d'Ippona, nel corso del secco XVI si distinse lo spagnolo Tommaso da Villanova, arcivescovo di Valencia, predicatore e consigliere presso l'imperatore Carlo V. Lo zelo con cui Tommaso da Villanova esercitò la sua missione all'interno dell'Ordine, dove fu più volte Priore delle comunità di Salamanca e Burgos, Visitatore delle Province di Castiglia ed Andalusia, e come pastore della Diocesi di Valencia, dove si impegnò nell'opera di assistenza ai poveri e di evangelizzazione dei moriscos fu unanimemente riconosciuto, tanto da essere dichiarato beato nel 1618 e canonizzato nel 1658 ad opera di papa Alessandro VII. Negli anni immediatamente successivi alla canonizzazione, il vescovo monsignor Ippolito Vicentini (11),che resse la Diocesi di Rieti fra il 1670 ed il 1701, anno della sua morte, volle offrire alla chiesa degli Agostiniani una tela raffigurante il Santo che incarnava per i contemporanei l'immagine del vescovo ideale, accanto a Sant'Agostino ed a San Nicola da Tolentino. Della realizzazione dell'opera fu incaricato il pittore Pietro Locatelli, nato a Roma intorno al 1634, attivo fino al 1710. Lo stile privilegiato da questo artista è piacevolmente classicheggiante, e mai si discosta dalle modalità compositive proprie della scuola romana messo a punto da maestri indiscussi come Baldi, Berrettini e Maratta. Nella città natale, il Locatelli lavorò per le chiese di Sant'Agostino Santa Maria delle Vergini, a Siena fu attivo presso l'Ospedale di Santa Maria della Scala, a Tivoli affiancò Ciro Ferri nella decorazione pittorica della Cattedrale. Forse fu proprio la comunità romana degli Agostiniani a procurargli il contratto con il vescovo di Rieti: sta di fatto che l'opera fu apprezzata dal nobile committente e dai frati del complesso conventuale di Sant'Agostino, che videro così onorati i Santi più amati del loro Ordine. La pala d'altare, dalla elegante cornice mistilinea, raffigura le figure dei Santi Agostiniani entro un luminoso scenario convenzionale, in cui si fondono armoniosamente i tratti della pittura di paesaggio con le vestigia del mondo classico, che alludono al passaggio dal tempo all'eternità. Sant'Agostino, il dotto retore che dall'incontro con Ambrogio vescovo di Milano maturò la conversione al Cristianesimo, in cui fece confluire il retaggio della tradizione classica, è raffigurato impegnato nella stesura di un codice mentre trova appoggio ad una colonna, nel cui plinto è inscritto lo stemma gentilizio di monsignor Vincentini. La figura di San Tommaso da Villanova reca le insegne della dignità vescovile, mentre San Nicola da Tolentino indossa l'abito dell'Ordine degli Agostiniani, il cui emblema - un cuore ardente - è recato da un cherubino. La tela realizzata da Pietro Locatelli nei primi anni dell'episcopato di monsignor Ippolito Vincentini fa parte, dal tempo delle soppressioni postunitarie, delle proprietà di pertinenza della Mensa Vescovile ed è in deposito presso la Pinacoteca Diocesana (12). Un'altra tela secentesca, custodita presso i depositi della Pinacoteca Diocesana, raffigura i Santi Agostino, Giovanni Battista, Bernardino da Siena con i loro emblemi parlanti, aderendo a quello stile convenzionale che fu particolarmente apprezzato nell'età post-tridentina.

 

 

(1) Così un'anonima annotazione correda una fotografia realizzata agli inizi del XX secolo per conto dell'ufficio tecnico del Comune di Rieti: “Abside e torre della chiesa di S.Agostino; edificio, con l'annessa conventuale abitazione, della prima metà del secolo XIII; mansione di Templari, secondo taluno, poiché esiste nell'esterno dell'abside, come rilevasi nella fotografia, scolpita e murata una croce di tale Ordine. Più probabilmente fu costruzione ed abitazione di una delle maestranze Religiose, che da quell'Ordine derivarono. Vi esiste internamente un bel Plaustro Berninesco, non ultimato.” (Archivio fotografico del Comune di Rieti, busta F 4 32/2). (

2) Cfr. Loreto Mattei, Erario Realino, cap. IV I, 2

(3) Vescovo di Rieti dal 1635 al 1639, il cardinale Francesco da Bagno provvide al riassetto ed al restauro dell'antico Palatium Domini Papae, che dagli inizi del XIV secolo era residenza vescovile. In particolare, conferì al pittore sabino Vincenzo Manenti (Canemorto, 1600-1674) l’incarico di decorare ad affresco la grande aula delle udienze ed alcune delle stanze adiacenti.

(4) Descrittione della città di Rieti del Sig. Pompeo Angelotti all'Emin. e Reverendiss. Sig. Card. Di Bagno Vescovo di Rieti, Roma 1635 (edito presso Gio. Battista Robletti), pp. 46-47

(5) Giovanni il Semplice, nato a Porchiano nel territorio della Diocesi di Amelia dalla nobile casata dei Bufalari, morì presso l'eremo dell'Annunziata a soli diciotto anni di età, nel 1347: Venanzio Varano della Vergiliana nel suo saggio La Valle Santa - Rieti rammenta così il testo di un'iscrizione che ne celebrava i meriti spirituali: “un'antica iscrizione ci tramanda in povertà d'espressioni l'anima semplice e pura di questo Eremitano di S. Agostino, giovane semplice, giocondo ed umile, pieno di carità verso gli infermi e gli ospiti … ubbidiente e paziente sempre coi fratelli perseverante … un giorno sull'altare vide una luce ... poco dopo ammalò ... non molti giorni prima della morte nella sua cella un usignolo cantò ... Sulla sua tomba dolcemente canta il rosignolo. Giaceva il suo sepolcro nella Chiesa agostiniana dell'Annunziata, sulle colline omonime non lungi da un'antica villa cardinalizia fuori della reatina città, e dentro il coro v'era una sua antica immagine dipinta nel muro, vestita degli abiti dell'ordine e intorno al capo, si come aureola umana, in pochi caratteri trascritti il compendio della sua vita terrena", cfr. Venanzio Varano della Vergiliana, La Valle Santa - Rieti, Firenze1923, pp. 130-131

(6) Andrea De Litio, nominato a volte nei documenti del XV secolo come Andrea di Lecce Morsicano, appartenne per nascita ad una famiglia di artisti di lontane ascendenze venete, e per cultura fu in grado di accostarsi alla lezione di Piero della Francesca: nato intorno al 1420, fu a lungo attivo presso i centri maggiori della via della lana, da Atri a Sulmona, da Guardiagrele, a Tagliacozzo all'Aquila. Riguardo all'attribuzione dell'affresco reatino, cfr. I. Tozzi, I cicli pittorici tardomedievali della chiesa reatina di Sant'Agostino: un intervento di recupero, un'ipotesi attributiva, in Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Incontri culturali dei Soci, Penne l giugno 2003, L'Aquila 2003, pp. 5-15

(7) Il cui territorio per 2/3 era costituito dal Vicariato di Regno

(8) Avviato all'attività artistica dal padre Giovanni Antonio, pittore presso il duca di Urbino, Giovan Giacomo Pandolfi nacque a Pesaro nel 1567 . Giovanissimo, lavora a Perugia nella sagrestia della cattedrale di San Lorenzo. Di qui raggiunge Rieti, dove è attivo presso le chiese di San Francesco e di Santa Caterina d'Alessandria. Nel 1594, realizza una pala d'altare raffigurante l'Immacolata Concezione per la cappella dei Priori del palazzo comunale. Vicissitudine personali e familiari, che gli fanno subire l'onta del carcere, lo inducono a rientrare a Pesaro, dove darà ancora buona prova delle sue qualità artistiche fino al 1636, anno in cui compie il più impegnativo dei suoi lavori, la decorazione dell'Oratorio del Nome di Dio.

(9) Secondo lo storico Angelo Sacchetti Sassetti, nel 1594 il Pandolfi aveva ricevuto l'incarico di provvedere all'intero allestimento della cappella dedicata alla Madonna della Cintola, ma, a causa di infiltrazioni d'acqua dal tetto che i frati non avevano provveduto a riparare, l'artista non era stato in grado di compiere la decorazione a fresco nei tempi e nei modi previsti e concordati. Mentre il pittore chiedeva ai frati di corrispondergli comunque il prezzo pattuito per la realizzazione dell'opera, questi ultimi contestavano che l'artista aveva arbitrariamente interrotto i lavori. La vertenza si compose solo nel 1599 con la consegna della tela. (cfr. Angelo Sacchetti Sassetti, La giovinezza di Giovanni Giacomo Pandolfi da Pesaro, Rieti 1955)

(10) Istituita nel 1865, la Pinacoteca Civica fu allestita fino alla fine del secolo XIX proprio negli ambienti della chiesa di Sant'Agostino, mentre l'adiacente complesso conventuale fu adibito a sede del Convitto Municipale. Lesionata dal terremoto del 1898, la chiesa fu temporaneamente chiusa e la pinacoteca trasferita nel 1909 presso il Palazzo Comunale. Fu poi restituita al culto quando vi fu trasferito il titolo parrocchiale dalla vetusta chiesa di San Leopardo. (11) Ippolito Vincentini nacque da un'antica e nobile famiglia reatina il 18 giugno 1638. Ordinato sacerdote nel 1670, nello stesso anno conseguì alla Sapienza il dottorato in utriusque iure e fu nominato vescovo da papa Clemente X. Consacrato dal cardinale Gaspare Carpegna l'11 gennaio 1671, resse la Diocesi reatina per un trentennio, impegnandosi con particolare dedizione al riassetto della disciplina ecclesiastica.

(12) Cfr. Diocesi di Rieti, La Pinacoteca Diocesana, San Gabriele 2005