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Martiri AfricaNI: DATIVO E I MARTIRI DI ABITINA

Graffito del Buon Pastore proveniente dalle catacombe di Sousse (Museo di Arte cristiana di Sousse)

Graffito del Buon Pastore

dalle catacombe di Sousse

 

 

DATIVO E I MARTIRI DI ABITINA

 

 

 

Questi martiri offrono un esempio fra i più chiari del fatto che la santità, in particolare nei primi tempi della storia della Chiesa, è un fenomeno collettivo, in cui la solidarietà ed anche l'emulazione, di fronte alla prova, sono il motore decisivo della piena realizzazione spirituale di tutto un gruppo. E' una realtà che risulta con tutta chiarezza nella Passione dei martiri di Abitina, denominazione di uso corrente per designare il testo tramandatoci dai manoscritti che lo hanno conservato sotto il titolo di Passio sanctorum Datiui, Satumini presbyteri et aliorum, perché questi martiri furono arrestati ad Abitina, situata sui confini della Medjerda, oggi Chouhoud al-Bâtin, presso Medjez El-Bab, l'antica Membressa, a circa 80 chilometri da Cartagine.

Si tratta di una cinquantina di fedeli che furono inizialmente condotti al tribunale della loro piccola città, ove confessarono una prima volta la fede cristiana davanti ai magistrati della colonia, per confermare, sostenendosi reciprocamente, questa confessione sotto tortura al cospetto del proconsole Anullino, a Cartagine. Confessione collettiva, la confessione dei cristiani di Abitina rientra nella serie di martirii «riesumati», fenomeno che può manifestarsi in una situazione di scisma, allorché l'una delle due Chiese cerca di farsi forte del sangue versato e delle sofferenze subite durante una persecuzione nell'epoca in cui la Chiesa era ancora unita.

I cristiani di Abitina comparvero davanti ad Anullino il 12 febbraio 304, anno in cui la violenza della grande persecuzione scatenata da Diocleziano e da Massimiano toccava il suo culmine: tuttavia, il resoconto che ci è pervenuto, redatto sulla base di un verbale processuale autentico (gli Acta proconsularia) è certamente opera di un cronista posteriore, che ne ha fatto uno strumento di propaganda in favore della setta donatista.

Si sa che gli Acta proconsularia - se non la Passione ricostruita a partire da quei documenti - furono prodotti e letti dai vescovi donatisti all'epoca della conferenza di Cartagine del giugno 411. Solidali nella confessione, i martiri di Abitina non appaiono raggruppati nei martirologi antichi. Questo è dovuto al fatto (precisato nel preambolo del testo) che essi «hanno versato il loro sangue santo in luoghi ed in momenti diversi» e che alcuni di loro, come suggerisce l'appendice della Passione, hanno anche consumato il loro martirio nell'oscurità della prigione, dove sarebbero morti di fame. A questa dispersione nel martirio corrispondono, nel Calendario di Cartagine, le menzioni isolate che, secondo Duval, «sembrerebbero attestare che la Chiesa d'Africa celebrava il loro dies natalis in date diverse, corrispondenti ad una tradizione locale sulla morte di ciascuno». Così, Eva e Regiola vengono festeggiate insieme con un Felice il 30 agosto; Ampelio il 12 settembre. Altri nomi figurano ancora in questo calendario, troppo comuni però perché si possano senz'altro identificare con quelli dei martiri di Abitina. Solo il prete Saturnino è menzionato in un'iscrizione martirologica africana, a Uppenna (Henchir Chigarnia).

 

Le circostanze del martirio e il carattere della Passione

Si sa che gli editti promulgati nella primavera del 303 dagli imperatori Diocleziano e Massimiano imponevano ai cristiani di rinnegare pubblicamente la loro fede e di manifestare la loro fedeltà all'Impero con due tipi di azioni concrete: da un lato, dovevano consegnare (tradere) le Sacre Scritture - nel caso in cui ne avessero possedute delle copie - e dall'altro offrire sacrifici (thurificare) agli imperatori. Nel corso dei «giorni della consegna» (dies traditionis), il vescovo di Abitina Fundano, che non conosciamo da altre fonti, accettò di consegnare le Scritture che aveva sotto la sua custodia: gettate nel fuoco sfuggirono miracolosamente alle fiamme grazie ad una pioggia torrenziale. Ma la «consegna» (traditio) del vescovo lo collocava immediatamente nel numero di coloro che, dall'inizio della persecuzione, avevano apostatato e il cui errore sarebbe stato successivamente condannato dalla Chiesa donatista. Ormai senza pastore, con la basilica confiscata, i fedeli si riuniscono per le funzioni liturgiche in case private, talora in quella di un certo Ottavio Felice (che non necessariamente bisogna identificare con l'uno o l'altro dei due martiri chiamati Felice: il nome era uno dei più comuni); talaltra in quella del lettore Emerito. In mancanza del vescovo, le funzioni erano presiedute dal prete Saturnino, circondato dai suoi quattro figli: Felice e Saturnino (lettori), Maria (vergine consacrata) ed il piccolo Ilariano.

Mosaico tombale di età bizantina proveniente dalla Basilica di Uppenna che ricorda Saturnino

Basilica di Uppenna: mosaico tombale di Saturnino di età bizantina

Tuttavia, queste riunioni non poterono rimanere a lungo segrete, e all'inizio dell'anno 304 il gruppo fu arrestato e condotto al tribunale davanti ai magistrati locali. Dunque i cristiani di Abitina furono arrestati e torturati per l'accusa di riunione illecita: questa è la prima caratteristica peculiare degli Atti, gli unici (per l'Africa) a farci sapere che i cristiani siano stati martirizzati solo per questo motivo. Il carattere specifico di questa Passione ne deriva quasi automaticamente: i fedeli arrestati formano un gruppo molto unito e solidale, che raggiunge Cartagine cantando, durante tutto il percorso, inni al Signore. Nulla riesce a sgretolare la coesione del gruppo: né il tentativo di Fortunaziano, fratello di Vittoria, che tenta di salvare la sorella accusando senza risultato Dativo di aver approfittato della sua ingenuità e di averla condotta a forza - in compagnia di Seconda e di Restituta (altre due cristiane del gruppo) - da Cartagine ad Abitina; né la calunnia, di natura non precisata, con cui un certo Pompeiano attacca ancora Dativo; né il diverso trattamento che il proconsole Anullino riserva ai membri del gruppo, risparmiando alle donne l'interrogatorio e la tortura e mettendosi a discutere solo con Vittoria, che viene però trattata con molto riguardo. Solo la morte ha ragione della coesione del gruppo, perché il martirio prende, per gli uni e per gli altri, vie diverse.

 

Lo svolgimento dell'udienza a Cartagine

Se le prime righe della Passione recano la data di un giorno - «la vigilia delle idi di febbraio», cioè il 12 febbraio - per la confessione collettiva dei martiri di Abitina davanti al proconsole Anullino è un testo di sant'Agostino a precisare l'anno, dandoci la data consolare del 304 (all'epoca del nono consolato di Diocleziano e dell'ottavo di Massimiano). Come di regola avveniva, un verbale del processo (Acta proconsularia) fu steso alla conclusione dell'udienza: la precisione tecnica della data consolare fornitaci da sant'Agostino induce a pensare che, durante la Conferenza di Cartagine, alla quale egli partecipava nel 411, proprio il verbale ufficiale sia stato prodotto come documento dai suoi avversari donatisti. Parallelamente, però, doveva esistere una relazione scritta da un contemporaneo dei fatti, sulla base di appunti presi nel corso dell'udienza.

In seguito forse, in un'epoca imprecisata, furono aggiunti un preambolo ed un'appendice - che costituiscono un vero e proprio manifesto di propaganda della setta donatista -, ad inquadrare questa relazione che già doveva essere ben diversa dal freddo e secco verbale stenografato dai segretari del proconsole. La ricostruzione della genesi del documento è il semplice risultato della sua analisi. H. Delechaye che conosceva molto bene questo scritto, sostiene che l'autore del testo che leggiamo, tralasciando preambolo ed appendice, era presente alla scena, in piena ,comunione d'intenti con i confessori: «E' difficile credere che un susseguirsi di scene tanto vivaci sia stato immaginato da un agiografo che prende spunto da un documento d'archivio sotto forma di Atti proconsolari. Una delle caratteristiche più interessanti della Passione, in cui non vengono riportate solo domande e risposte, ma anche le invocazioni che il dolore strappa di bocca ai martiri, non è di quelle che gli stenografi imperiali dovevano annotare sulle loro tavolette». Il risultato è che il testo di cui disponiamo è prezioso per il ritratto morale che ci restituisce (e lo vedremo più avanti) di individualità ben caratterizzate e non meno prezioso per la possibilità che ci fornisce di ricostruire lo svolgimento di questo tipo d'udienza processuale.

In conformità con lo scenario confermato da altri Atti di martiri, dopo che l'atto d'accusa (elogium) dei magistrati di Abitina è stato trasmesso d'ufficio al proconsole, questi dà inizio agli interrogatori incominciando da Dativo, decurione, ben presto messo sul cavalletto (eculeus: nella sala ce ne sono due) e preparato per la tortura. Di essa si occupano i carnefici (che si danno il cambio), per mezzo di uncini di ferro che lacerano le carni dei martiri; nella tortura però si fa uso anche di bastoni, sotto i cui colpi muoiono due confessori. Al termine di ogni interrogatorio, il proconsole emette la sentenza, che varia col variare del grado di responsabilità di ogni imputato. Cosi, molti confessori morranno in carcere per le ferite e gli stenti; il principale responsabile delle riunioni liturgiche illecite, il prete Saturnino, è comunque subito mandato al supplizio.

 

Le personalità dei santi martiri di Abitina

Come si è detto sopra, gli appunti presi nel corso dell'udienza da un testimone più attento a rendere testimonianza degli atteggiamenti e delle reazioni dei confessori che non a registrare le fasi del dibattito, ci restituiscono una serie di ritratti straordinariamente vivaci dei principali protagonisti. Noi ci limiteremo a citare due esempi. Innanzitutto quello di Tazelita, probabilmente nient'altri che il Telica della lista. Il suo comportamento è tipico della solidarietà che lega così strettamente i martiri di Abitina e non esclude la spontaneità generosa: non appena Dativo è legato sul cavalletto di tortura ed esposto alla minaccia degli uncini di ferro, Tazelita si fa avanti ed afferma ad alta voce le responsabilità collettive del gruppo: «Noi siamo cristiani, ci siamo riuniti per celebrare i nostri riti».

Messo immediatamente sotto tortura, con l'ingiunzione di denunciare l'istigatore (auctor) della riunione, Tazelita, come colto da un'improvvisa debolezza, rivela il nome del prete Saturnino, ma si riprende e subito aggiunge: «... e noi tutti». Questa replica, rettifica compresa, è stata scrupolosamente registrata dal redattore donatista, il che conferisce a colpo sicuro una garanzia di autenticità al suo resoconto - il quale, in contrapposizione ai traditores disonorati, fa una concessione alla debolezza umana dei confessori - e, d'altra parte, conferma la presenza di una solidarietà costante che lega questi martiri tra loro. Successivamente, Tazelita riscatta la sua debolezza passeggera alternando eroicamente, sotto la tortura che lo strazia, i rimproveri ai suoi carnefici per l'ingiustistizia che commettono alle invocazioni e alle lodi al Signore.

 

Un'emulazione simbolica

Veniamo ora a considerare la figura di colui che, dopo l'apostasia del vescovo Fundano, è divenuto il capo spirituale della nuova comunità. La deposizione del prete Saturnino è caratterizzata dalla serena sicurezza del pastore che non si espone da se stesso, ma che non si tira indietro. Al proconsole che gli chiede perché ha riunito i fedeli per la celebrazione, risponde semplicemente che «la celebrazione dovuta al Signore non può essere interrotta».

Subito legato al secondo cavalletto, di fronte a Dativo, proprio come in aiuto a quest'ultimo era accorso Tazelita, egli vede «lanciarsi nella lotta» al suo fianco il lettore Emerito, che interviene spontaneamente per rivendicare il merito di esser stato il promotore delle riunioni, dal momento che aveva offerto al gruppo la sua casa: «Io sono l'istigatore: in casa mia le riunioni hanno avuto luogo». La generosa emulazione, onnipresente in questa Passione, può essere considerata come il simbolo, il sigillo particolare dei martiri di Abitina.

 

Quarantanove fedeli martirizzati

Subito dopo il preambolo, la Passione dei martiri di Abitina ci fa i nomi dei quarantanove fedeli, trentuno uomini e diciotto donne, che furono arrestati in una casa privata, quella di Ottavi o Felice, dove celebravano la messa, e condotti al foro, ove confessarono la loro fede. Ma la maggior parte di questi confessori è rimasta nell'ombra. All'udienza del proconsole Anullino, il 12 febbraio del 304, si mettono in evidenza alcuni protagonisti e, in particolare, non il prete Saturnino, ma un personaggio chiamato, Dativo, soprannominato il Senatore», che subì per primo l'interrogatorio di identità.

Questa priorità si spiega indubbiamente con la posizione sociale di Dativo, suggerita dal suo soprannome: Dativo era senatore» non di Roma, ma probabilmente della sua piccola patria di Abitina, in cui, in qualità di decurione, doveva far parte del consiglio municipale. L'ordine di successione dei confessori sul cavalletto insanguinato dalle torture è sconvolto dall'emulazione nella ricerca del martirio: dapprima, Tazelita (senza dubbio il Telica della lista) si precipita per proclamare che la responsabilità della riunione liturgica è collettiva. Poi, mentre Dativo, era fiaccato sotto i colpi, gli succede il prete Saturnino, ben presto sostituito sul cavalletto dal lettore Emerito. Due confessori di nome Felice muoiono poco dopo sotto i colpi di bastone, mentre Ampelio, definito fedelissimo custode della legge e delle Scritture divine», confessa a sua volta, seguito da Rogaziano, Quinto, Massimo, Felice il Giovane, uno dei figli del prete. Un altro figlio del prete, Saturnino il Giovane, è l'ultimo a passare sotto il cavalletto: la sua fierezza nella confessione gli vale un trattamento rigoroso.

Unica donna ad essere interrogata, Vittoria chiude questa marcia trionfale: il redattore della Passione ha visibilmente e deliberatamente dato un rilievo particolare alla sua confessione. Vittoria aveva un fratello pagano, Fortunaziano, che tenta disperatamente di salvarla contro la sua volontà, senza riuscirci: allo stesso modo, vani sono i tentativi del proconsole al riguardo della giovane donna. Vittoria, nella Passione, appare una figura un po' archetipica, poiché riunisce in sé la bellezza, la nobiltà di nascita ed il carattere, e non esita a gettarsi nel vuoto per sottrarsi ad un matrimonio forzato e, miracolosamente salvata e consacrata a Dio, manifesta con fierezza davanti al console Anullino la sua libertà nella confessione della fede.

 

La persecuzione di Diocleziano e Massimiano ad Abitina

All'epoca di Diocleziano e Massimiano, il diavolo dichiarò guerra ai cristiani, esigendo i santissimi Testamenti del Signore e le Scritture divine, per esser bruciati, distruggendo le basiliche del Signore ed impedendo di celebrare in Suo onore i riti sacri e le santissime assemblee. Ma l'esercito del Signore non tollerò una prescrizione tanto mostruosa, ebbe orrore di quel comando Sacrilego, si rivestì subito delle armi della fede e scese in campo per lottare contro il diavolo più che contro gli uomini. Anche se alcuni, consegnando ai pagani le Scritture del Signore ed i Testamenti di Dio, perché fossero bruciati da un fuoco empio, commisero contro la fede un peccato mortale, quanto più numerosi furono coloro che agirono con coraggio, conservando le Sacre Scritture e versando il loro sangue per difenderle ! Pieni di Dio, dopo aver sottomesso e schiacciato il diavolo, cogliendo, con la loro passione, la palma della vittoria, tutti questi martiri sigillarono, con il loro stesso sangue, la sentenza decretata contro i "traditori" e i loro complici, per opera della quale essi li avevano respinti dalla comunione della Chiesa: non era infatti concesso che la Chiesa di Dio accogliesse insieme traditori e martiri.

Resti di una basilica cristiana a Cartagine

Resti di una basilica cristiana a Cartagine

Così, da ogni parte, immense colonne di confessori correvano verso il campo di battaglia e, dovunque uno di essi avesse scoperto il nemico, lì drizzava l'accampamento del Signore. E così non appena la tromba di guerra squillò nella città di Abitina, nella casa di Ottavio Felice, i gloriosi martiri levarono le insegne del Signore e, mentre celebravano il servizio domenicale secondo l'uso, furono arrestati dai magistrati delle colonie e dall'ufficiale della polizia del posto. Erano il prete Saturnino coi suoi quattro figli, cioè i lettori Saturnino il giovane e Felice, la vergine consacrata Maria ed il piccolo Ilariano, insieme a Dativo, detto "il senatore", Felice, un altro Felice, Emerito, Ampelio, Rogaziano, Quinto, Massimiano, Telica, Rogaziano, Rogato, Ianuario, Cassiano, Vittoriano, Vincenzo, Ceciliano, Restituta, Prima, Eva, Rogaziano, Givalio, Rogato, Pomponia, Seconda, Ianuaria, Saturnina, Martino, Cloto, Felice, Margherita, Maggiore, Onorata, Regiola, Vittoriano, Pelusio, Fausto, Daciano, Matrona, Cecilia, Vittoria, Berectina, Seconda, un'altra Matrona, Ianuaria.

Dopo il loro arresto, furono condotti pieni di gioia al foro. Su questo primo campo di battaglia, Dativo si fece avanti per primo, lui che i genitori santi avevano generato per fame un senatore vestito di bianco nella curia celeste. Si fece avanti anche il prete Saturnino, affiancato dalla schiera numerosa dei suoi figli, una parte dei quali egli destinò al martirio, lasciando l'altra alla Chiesa, a ricordo del suo nome. Veniva dietro a loro la schiera del Signore, in cui risplendeva lo sfolgorio delle armi celesti, lo scudo della fede, la corazza della giustizia, l'elmo della salvezza e la spada a doppio taglio, la parola di Dio: con la protezione di queste armi, essi diedero ai loro fratelli la speranza della vittoria. Subito però arrivarono al foro della loro città e là, sostenendo il primo combattimento, riportarono la palma della confessione con l'atto di accusa del magistrato".

Passione capp. 2-3

 

La confessione di Vittoria

"E perché il molto devoto sesso femminile e il gloriosissimo coro delle vergini non fossero privati della gloria di un simile combattimento, tutte le donne, con l'aiuto del Signore Gesù Cristo, combatterono nella persona di Vittoria e furono in essa incoronate. Infatti, santissima tra le donne, gloria ed onore dei confessori, nobile di nascita, santissima per la sua pietà, pudica di costumi, Vittoria, nella quale la bontà naturale rifulgeva con pudica semplicità, ed in cui alla bellezza del corpo rispondeva un'ancor più bella fede dell'anima e l'innocenza della santità, gioiva per la seconda palma che le sarebbe toccata nel martirio per il Signore. Già fin dalla sua infanzia risplendevano in lei segni molto chiari di purezza e nella giovane età apparivano il rigore purissimo della sua anima e, per così dire, la dignità della futura passione.

Infine, quando la sua perfetta verginità aveva raggiunto l'età matura, poiché la giovinetta, contro la sua volontà e malgrado la sua opposizione, era stata costretta al matrimonio dai genitori che le davano suo malgrado un promesso sposo, per sconfiggere colui che avrebbe rapito il suo pudore, essa si gettò segretamente in un abisso: sostenuta dai venti, che si mettono al suo servizio, è accolta sana e salva nel seno della terra [...]. Così, affrettandosi al martirio, Vittoria portava davanti a sé, nella sua mano destra, la palma della purezza. Al proconsole che le chiedeva che cosa avesse da dire, Vittoria rispose a voce alta: "Sono cristiana", Poiché Fortunaziano, suo fratello e suo avvocato difensore, diceva che il senno della sorella era offuscato da vani argomenti, Vittoria rispose: "No, perché io sono cristiana, e i miei fratelli sono coloro che osservano i comandamenti di Dio". A queste parole, Anullino, deponendo l'autorità del giudice, si abbassò a tentare di persuadere la giovinetta: "Rifletti: vedi che tuo fratello desidera garantire la tua salvezza".

Al che, la martire di Cristo rispose: "Queste sono le mie idee, io non le ho mai cambiate, Se io ho preso parte all'ufficio e ho celebrato il servizio domenicale coi miei fratelli, è perché sono cristiana".

 

La comparizione dei martiri davanti ad Anullino

Così, quando gli agenti dei servizi del proconsole glieli presentarono, spiegandogli che i magistrati di Abitina li avevano deferiti al suo giudizio in qualità di cristiani, avendo celebrato l'officio domenicale trasgredendo il divieto degli imperatori e dei Cesari, il proconsole interroga in primo luogo Dativo per sapere quale fosse la sua condizione e se avesse celebrato l'officio. Non appena ebbe dichiarato di essere cristiano e di aver celebrato l'officio, gli si chiede il nome dell'istigatore della santissima riunione e senza indugio si dà ordine agli agenti di metterlo sul cavalletto e di tenerlo pronto, una volta che fosse stato disteso, per gli uncini di ferro. Ma, non appena i carnefici eseguirono con feroce accanimento questi ordini crudeli, poiché già torturavano a parole e minacciavano coi loro uncini i fianchi del martire denudati in vista delle ferite, all'improvviso Tazelita, martire coraggiosissimo, si fece avanti per esporsi alle torture e gridò: "Noi siamo cristiani: ci siamo riuniti per l'officio". Subito, il furore del proconsole si infiammò: ruggendo per la grave ferita inflittagli dal gladio spirituale, colpì il martire di Cristo coi colpi più duri, lo distese sospeso sul cavalletto, lo lacerò con gli uncini che sibilavano minacciosi.

Ma, in risposta, il gloriosissimo martire Tazelita, esposto alla furia dei carnefici, rivolgeva al signore le seguenti preghiere di ringraziamento: "Grazie a Dio ! Per il tuo nome, Cristo, Figlio di Dio, libera i tuoi servi". Mentre così pregava, il proconsole gli chiese: "Chi, insieme a te, è stato l'istigatore della vostra assemblea ?" Poiché il carnefice raddoppiava il suo accanimento, egli rispose con voce chiara: "Il prete Saturnino e tutti". O martire che assegna a tutti lo stesso rango! Egli non mise il prete davanti ai suoi fratelli, ma al prete associò i fratelli in una confessione comune. Così, rispondendo ad una domanda del proconsole, egli indicò Saturnino, non per tradire colui che egli vedeva unito a sé nella stessa lotta contro il diavolo, ma per dimostrare al proconsole che l'officio era stato celebrato come si doveva, poiché con loro c'era anche un prete.

Così, simultaneamente alla sua voce, si spandeva anche il sangue di colui che pregava il signore e, fedele ai precetti del Vangelo, il martire chiedeva il perdono per i suoi nemici, mentre essi dilaniavano il suo corpo. Infatti, mentre era torturato, egli rimproverava tanto i carnefici quanto il proconsole con queste parole: "Voi agite ingiustamente, sciagurati ! Voi agite contro Dio. Dio Altissimo, non dare il tuo consenso ai loro peccati ! Voi accumulate peccati su peccati, sciagurati ! Voi agite contro Dio, sciagurati ! Noi osserviamo i precetti del Dio altissimo ! Voi agite ingiustamente, sciagurati ! Voi dilaniate degli innocenti. Noi non siamo degli assassini, non abbiamo commesso alcuna colpa. Dio, abbi pietà ! Io ti ringrazio: per il tuo nome, Signore, dammi la forza di sopportare. Libera i tuoi servi dalla prigionia di questo mondo. Io ti ringrazio e non sono degno di renderti grazie !" E poiché i suoi fianchi, più fortemente lacerati dai colpi degli uncini erano martoriati e il sangue sgorgava a fiotti dai solchi crudeli, egli sentì il proconsole dire: "Tu stai incominciando ad accorgerti di ciò che dovrete soffrire". Subito egli rispose: "Per la gloria ! Io rendo grazie al Dio dei Regni. Già appare, il regno eterno, il regno incorruttibile ! Signore Gesù, noi siamo cristiani, noi siamo tuoi servi. Tu sei la nostra speranza, tu sei la speranza dei cristiani. Dio santissimo, Dio altissimo, Dio onnipotente, lode a Te. Per il tuo nome, Dio onnipotente !"

Passione, capp. 5-6