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Eco S. Agostino: Vita di sant'Agostino

La copertina del fascicolo

La copertina del fascicolo

 

 

L'ECO DI S. AGOSTINO

DEDICATO ALLE GLORIE DI MARIA SS. MA DEL BUON CONSIGLIO.

PERIODICO MENSILE REDATTO DAI PADRI AGOSTINIANI DELLA CONGREGAZIONE DI S. GIOVANNI A CARBONARA DI NAPOLI.

NAPOLI - DAI TIPI DI SALVATORE MARCHESE - VICO DE' SS. FILIPPO E GIACOMO N . 21

CON APPROVAZIONE DELL' AUTORITÀ ECCLESIASTICA

ABBONAMENTO POSTALE

 

STORIA POPOLARE DELLA VITA DEL PATRIARCA S. AGOSTINO VESCOVO D'IPPONA PADRE E DOTTORE DELLA CHIESA

 

 

 

CAP. I - CASSIACO ED IL CATECUMENO

VOL. II - ANNO II - 4 GIUGNO 1887 - FASCICOLO VI - PAG. 1 E SEGG.

 

Avveniva la grande mutazione operata dalla destra dell'Eccelso nella conversione portentosa di Agostino, un circa venti giorni innanzi la vendemmia, ovvero tra il finire d'agosto e il principiare del settembre del 386. Il nuovo convertito a Gesù Cristo videsi uscito dal pelago delle amarezze le più cocenti, ed introdotto nel santuario della felicità. Il mondo con le sue vanità e diletti era addivenuto vile ed abietto agli occhi suoi. Le soavità dell'amore divino lo inebriavano, e la sua gratitudine la più viva ed ardente lo sollevava a Dio con i più teneri e fervorosi ringraziamenti: «O mio Dio, egli esclamava, io son vostro servo, perché ebbi a madre una delle vostre ancelle. Spezzate le mie catene; vi debbo un sacrifizio di lode, vi lodino dunque, o Signore, il mio cuore e la mia lingua, e tutte le mie ossa gridino: Signore, chi è simile a voi? Parlino esse, e voi mio Dio rispondetemi, dite all'anima mia: Sono il tuo Salvatore. O Gesù Cristo! voi siete proprio il mio sostegno e la mia redenzione.... Quali subitanee delizie nel rinunziare alle vanità! Voi le cacciavate, mio Dio, dall'anima mia, e vi entravate al loro posto più amabile di ogni soavità, più sfolgorante di ogni luce, più intimo di ogni unione e più grande di ogni grandezza. Il mio cuore divenne libero dalle cure che danno l'ambizione, l'amore delle ricchezze e la ricerca dei piaceri colpevoli; e già cantava alla chiarezza del lume che m'irradiava; le mie ricchezze e la mia salute, o Signore Dio mio, voi solo siete.» Cosi disposto a camminare nelle vie di Dio, avrebbe Agostino voluto immediatamente sottrarsi da tutte le relazioni sociali, e ad imitazione del grande S. Antonio e degli asceti dell'Egitto, nascondersi nella solitudine, e consacrarsi lungi dal secolo alla contemplazione delle divine grandezze. L'anima sua generosa era già assorta all'altissimo concetto della contraddizione che v'ha tra un cristiano riscattato dal Sangue del Figliuolo di Dio, e il rivendersi di questo al servizio della pagana eloquenza, dal perché l'uomo mondano si era già trasformato in un serafino. Ma per non arrecare disgusto alta nobiltà milanese che tanto lo amava, con l'affidarne i figli alle sue lezioni, al bel finire dell'anno scolastico, e per non dar luogo a storti giudizi con repentina precipitazione, riputò bene proseguire la scuola fino alle prossime ferie autunnali. Inoltre egli era povero: col sudore della fronte alimentava sé, la madre e il giovanetto Adeodato suo figliuolo, come poteva abbandonare l'impiego, da cui riceveva tutto il suo bene presente? Romaniano, il vero amico e benefattore instancabile, gli era provvidenzialmente dappresso. Siccome plaudiva ad ogni suo bene riguardante la scienza e la verità, si offrì generosamente a perpetuargli i suoi soccorsi. [1]

Onde quest'uomo singolare nella stessa misura che conseguì tutto l'amore e la riconoscenza del cuore tenero di Agostino; così meriterebbe la stima e la venerazione di tutta la Chiesa; mentre senza di lui Agostino non sarebbe divenuto sì grande, per tutta irradiarla con le sue virtù e con la sua sapienza. Per le vacanze non richiedevansi che circa venti giorni, i quali decorsero per Agostino con la lentezza di altrettanti secoli, tanto era in lui ardente il desiderio della solitudine, e l'impeto della carità divina che lo spingeva ad immergersi tutto nel sommo Bene. L'indugio, anziché indebolire il suo spirito, lo infiammava vieppiù a cagione degli esempi de' santi che gli erano stati narrati, e che teneva fissi innanzi al suo pensiero. Finalmente l'ora sospirata suonò. Adducendo la ragione già nota a tutti della malattia de' suoi polmoni, che gli cagionava raucedine e debolezza di voce, ed impedivagli la forte e sentita declamazione, rinunziò al suo impiego per sempre. Questo male, che prima l'impensieriva e lo faceva tremare, onde non poche volte ne pianse al considerare che non avrebbe avuto ove desumere i mezzi a vivere, in questo caso riconobbe qual nuovo benefizio provvidenziale, dandogli la via aperta a camminare tra i soli interessi della eternità. Con modestia e senno degni di lui fece un secreto del suo cuore la determinazione presa ed il voto dell'anima sua. Non lo rivelò che alla madre e ad alcuni amici impegnati a seguirlo, e tra questi ad un tale Verecondo nativo di Milano [A] e professore di rettorica. Era questi ancora pagano, ma per gli esempi di sua moglie fervente cattolica, aveva conosciuto e studiato il cristianesimo, onde si era già determinato di abbracciarlo. In udire il generoso progetto de' cari amici, sentissi penetrato dal più vivo dolore, dal ché, se poteva imitarli nell'abbandono di tutto, e con la perdita del temporale fare acquisto dell'eterno, abbandonar non poteva la sua sposa legittima. Agostino ed Alipio furono penetrati della afflizione di lui, e si fecero a consolarlo con tutta la forza della loro carità ed eloquenza. Si rassegnò difatto alla sua sventura di doversi separare da sì egregio amico, qual'era soprattutto Agostino, e determinò a santificarsi col battesimale lavacro e con l'adempimento dei doveri del proprio stato. Ma intanto, a mostrargli la grandezza del suo affetto e la pienezza di sua approvazione pel progetto così eroico, gli offrì una sua casina sita su d'alto colle in un suo podere chiamato CASSIACO. Agostino accolse con riconoscenza l'offerta propizia, e vi si ritirò sollecitamente con la madre santa Monica, col fratello Navigio, che aveva dall'Africa accompagnato la madre in Italia, Adeodato suo figlio, Alipio suo amico, Trigezio, e Licenzio figlio di Romaniano, ai quali poscia si aggiunsero Lastidiano e Rustico suoi cugini e nipoti.

Era circa il principiare di ottobre dell'anno stesso 386. Mancavano, e lo dovevano poi sempre, gli altri due amicissimi, il dolce Nebridio e 'l sopra nominato Verecondo. Pel primo era perfino assegnato il posto a CASSIACO, e la sua assenza era a tutti di pena, e fra tutti ad Agostino. Vi presenziava però di spirito, scrivendo tanto frequente ad Agostino, chiedendogli la soluzione de' suoi dubbi intorno a Gesù Cristo, che indusse Agostino a pregarlo di lasciarlo alquanto in riposo. Battezzato poco dopo, ed uscito dal sacro fonte ripieno di spirito cristiano, dopo poco altro tempo passò agli eterni riposi. Verecondo dolce, onesto ed illuminato, anche [lui] dopo qualche anno purificato nel sacro fonte passò al cielo, con grande conforto di Agostino, il quale ringraziava la misericordia divina nell'avere retribuito questo caro uomo con le delizie del Paradiso in cambio dell'ospitalità datagli in CASSIACO, ed il contrario sarebbe stato di grande suo rammarico. [2]

Ecco la bella famiglia raccolta nel delizioso e pacifico soggiorno di CASSIACO, della quale Monica era la madre. Inebriata nel mirare i suoi figli e nipoti raccolti col buono Alipio nello studio della sapienza, che è il conoscimento di Gesù Cristo, secondo la sublime espressione di Agostino, li serviva tutti come se tutti li avesse partoriti, e come se da tutti fosse stata generata. Li amava con tenerezza, li correggeva e dirigeva con rispetto, li serviva con la carità di santa, acciò non mancassero di conforto alcuno. Attendeva ancora a preparare il frugale banchetto e li obbligava [di] frequente a sospendere gli studi e le conferenze, affinché attendessero alla mensa ed al riposo. Agostino dal canto suo rendevasi il padre, il fratello, l'amico di tutti, mentre ne era il precettore. Tutti profittavano a maraviglia del torrente di sapienza che sgorgava dalle sue labbra. Le ispirazioni del suo genio e gli slanci del suo cuore servivano a tutti di ali per ascendere ai voli sublimi della verità e della virtù. La sua piccola società convertivasi in una accademia permanente di dottrina, di pietà e di cristiano ascetismo. La mortificazione, l'orazione e il circolo, disputando sempre con obbiezioni ed argomentazioni, fino a quando le verità spoglie di ogni neo non sfolgoravano di tutta la loro bellezza, formavano la comune occupazione e la comune delizia. Una sola pietanza e sempre uniforme formava il cibo quotidiano del santo Dottore, con la quale attutiva appena la fame per tener lontana la morte. Dopo lunghe e divote preci, mai prima della metà della notte recavasi al riposo, e la mattina allo spuntare del sole trovavasi a conversare con Dio, alla di cui presenza umiliavasi nella rimembranza dell'ignominiosa sua vita trascorsa, e diffondeva l'anima sua, implorando l'abbondanza della grazia celeste, per esserne confortato nello stato di miseria spirituale in cui miravasi. Dice egli, che ogni dì spargeva lacrime copiose ed amare d'innanzi a Dio, acciò lo avesse sanato dalle sue piaghe, e lo affliggeva la convinzione della propria indegnità nel non meritare di essere risanato con quella prontezza che desiderava. A conseguire si gran bene mercè del battesimale lavacro, rendevasi premuroso di presto e con profondità istruirsi nella cristiana dottrina. All'uopo per lettera domandò [a] S. Ambrogio quale dei libri della santa Scrittura fossegli più acconcio al bisogno. Questi gli rispose suggerendogli Isaia Profeta, perché tra tutti tratta del Vangelo e della vocazione de' gentili. Ma perché lo trovò tanto sublime da richiedere molto studio a comprenderlo, onde non era per lui libro di semplice lettura, riserbandone la meditazione ad altro tempo, si appigliò al libro dei Salmi.

Questo libro, che potrebbe intitolarsi «il gemito di un cuore penitente» divenne per lui un tesoro inesausto di tenerezze, di affetti e di elevazioni sovrumane. Sembravagli scritto dallo Spirito Santo per la penna davidica a bella posta per lui! Tutto applicava a sé con inesprimibile forza e s'immergeva nell'umiltà, nella carità, nella contrizione e nelle speranze più sublimi, nella misericordia infinita di Dio. Scrive nelle sue Confessioni: «O quali voci espressive, spiccava a voi, o mio Dio, nel leggere i Salmi davidici, tutti ripieni di fede viva e di dolce speranza, molto convenienti per espellere dall'animo mio il suo naturale orgoglio! Con quali slanci mi trasportavano verso di voi, e di quale ardore m'infiammavano? Avrei voluto cantarli a tutta la terra per conquistarla a voi. Eppure, si cantano per tutta la terra, e non v'à chi s'accenda del sacro ardore della fede. Io bruciava ad un tempo e fremeva di timore e di speranza, ed esultava nella misericordia vostra, o Padre mio. Quanta commozione mi eccitavano quelle parole: «Mentre v'invocava mi esaudiste, o Dio della mia giustizia, e allora che la tribolazione mi stringeva il cuore, voi ne dilataste i seni. Proseguite adunque, o Signore, ad avere misericordia di me, ed esaudite propizio la mia preghiera». Allora nell'intimo sentimento della mia anima sentivami invadere da profondo timore a cagione della vostra presenza, e gli affetti miei si risolvevano in pianto, quando ascoltava dal vostro santo spirito: «Figliuoli degli uomini: fino a quando vi serberete gravi e duri di cuore, amerete le vanità e correrete dietro la menzogna?» ed io sono stato questo stolto di cuore duro e perverso! E voi, o Signore mi avete ingrandito col risuscitarmi dalla morte del peccato, richiamandomi a voi mediante la grazia del vostro spirito consolatore. «E poi leggeva: Adiratevi, e non peccate. Quanto era commosso da queste parole, io che aveva imparato da voi, o mio Dio, ad entrare io furore contro di me a cagione delle mie colpe passate, a fine di non più commetterle in avvenire. Ed in quel secreto dell'anima mia nel quale mi era adirato contro di me, ed in cui commosso fin nel fondo del cuore vi aveva offerto in sacrifizio la mia antica corruzione, voi o mio Dio , avevate cominciato ad essermi dolce e ad inondarmi della vostra allegrezza, ed ogni parola che leggeva, mi trapassava l'anima e mi strappava un grido. «Ed oh! come io irrigava di lagrime il versetto seguente: Sarò in pace quando sarò con Dio. O beate parole! In lui solo dormirò e prenderò riposo. Si mio Dio, perché voi solo siete quell'Essere costante che non cambia mai, in voi è il riposo e la dimenticanza di tutte le pene. Questo è il fondamento incrollabile della mia speranza. «Leggendo ardeva, - prosiegue il santo Dottore, - e bene avrei voluto fare qualche cosa per aprire le orecchia a quei molti, tra i quali io era stato uno dei peggiori, quando cieco e rabbioso latrava contro le vostre sante Scritture, tutte raggianti di luce e scorrenti miele soave. Mi consumava dal dolore pensando ai nemici di quei libri divini. O mio Dio, come dipingere tutt'i sentimenti che provavo in quei giorni felici?». [3]

Così Agostino, con l'anima sua sublime, penetrata dal doppio spirito di contrizione e di amore, studiando orava, ed orando studiava di applicare a sé tra dolcissime lagrime, i Salmi davidici e le altre sante Scritture, slanciandosi a tutte le delizie della nuova fede, ed a tutte le gioie dell'ammirazione e della pace.

 

 

 

CAPO II - IL SANTO ED IL DOTTORE DELLA CHIESA.

VOL. II - ANNO II - 2 LUGLIO 1887 - FASCICOLO VII - PAG. 25 E SEGG.

 

Un grande orgoglio aveva precipitato il genio ed il cuore di Agostino in grandi eccessi ed in grandi errori ed una grande umiltà lo cangia con mirabile trasformazione in un gran Santo, ed in un grande Dottore della Chiesa. Fin da quei primordi questi due raggi splendidissimi spuntarono ad incoronarne la fronte, e quale nuovo Mosè a lui richiamavano la stima e la venerazione del mondo. S. Agostino aveva già conosciuto sé medesimo, e la triste esperienza della passata sua vita già illustrata dai lumi sovrani della fede e dalle cognizioni copiose tratte dallo studio delle sante Scritture, tesori inesausti delle grandezze di Dio e della miseria dell'uomo, lo avevano inabissato nel fondo di una umiltà senza pari. Alla memoria incancellabile del passato sommamente temeva pel presente e per l'avvenire; poiché si era intimamente convinto, che senza continuato prodigio della grazia, in quanto a sé poteva ricadere in tutt'i suoi abborriti eccessi. Se da un lato Egli consolavasi nel Dio suo Salvatore, e ne era penetrato d'intima riconoscenza, dal ché piaceri, grandezze e ricchezze tutte del mondo, come Salomone riputava, vanità di vanità, ed afflizione di spirito non solo, ma anche turpitudini ed enormezze innanzi a Dio ed alla ragione; dall'altro lato considerando la mutabilità, l'incostanza e la fralezza umana, santamente riempivasi di salutare timore. Specialmente allora che miravasi tormentato dai pensieri e dagli stimoli impuri, prorompea in gemiti profondi ed in lagrime copiose; ed annichilato in sé stesso, con la vivezza della fede raccoglievasi nelle piaghe di Gesù Cristo, che riputava ed appellava l'unico e sicuro rifugio di salvezza. Per fare che le piccole trasgressioni non avessero slargate le vie a colpe maggiori, e con le ricadute non si fosse reso immeritevole delle divine misericordie, vegliava continuamente sul suo cuore, guerreggiavane gli smoderati appetiti, per così spogliarsi dell'ultimo atomo del fermento del vecchio Adamo, ed adornarsi delle sovrane virtù del nuovo Adamo che è Gesù Cristo, mercè di una condotta sempre più santa e più perfetta. Un sol difetto si mostrò in lui ostinato, perché appartenente alla lingua, ed era quello di giurar frequente passato poi in abito. Ma tale fu il suo studio e la sua cura incessante nello allontanarlo dalle sue labbra, che, aiutato dalla grazia, giunse a superarlo, e neppure inavvertitamente a ricadervi. Si può vedere con somma maraviglia a quale altezza di delicata perfezione in brevissimo tempo pervenne Agostino in questo suo ritiramento, in occasione di una puerile contesa avvenuta per emulazione letteraria tra i due suoi discepoli Trigezio e Licenzio. Ammonendoli con paterna tenerezza acciò non facessero servire i loro studi a pascolo della vanità e dell'amor proprio, ma bensì a solo profitto della scienza e della verità, diceva loro: «E ché? Così dunque voi fate? Forse non siete ancora commossi al gran numero dei difetti dai quali noi siamo oppressi, e delle folte tenebre che ci avviluppano. Così dunque riducete l'applicazione dell'anima vostra a Dio, e l'elevazione della vostra mente alla verità? Ah! figliuoli miei, non mi opprimete più con nuovi dolori, ve ne scongiuro, perché son troppe le miserie che mi affliggono! Se mai siete convinti che io meriti da voi qualche considerazione e qualche amicizia per l'amore che vi porto, e per la diligenza con la quale mi adopero nel formare i vostri cuori; se io vi amo quali miei cari e desidero il vostro bene, e tanto di bene quanto ne voglio per me medesimo, pagatemi con giusta riconoscenza, dandomi la ricompensa quale vostro maestro: la riconoscenza e la ricompensa che mi aspetto è che siate buoni». Ciò dicendo, le lagrime gli scorrevano con abbondanza tale, che lo impedirono parlare più oltre. Quei giovanetti si confusero e si umiliarono, cercando perdono e promettendo non più cadere in simile fallo. Un leggiero detrimento della carità ed una colpa adunque che non era grave, tanto lo afflissero, tanto dolore gli cagionarono nel cuore, e tante lagrime ne fecero sgorgare. Ne risulta ancora la sublime rettitudine di sua intenzione nel dirigere tutti i suoi pensamenti e tutte le sue operazioni al suo Dio, facendo Dio vita della sua vita, ed a Lui consacrandosi quale ostia di amore. Epperciò Dio, uscendogli incontro quale madre onorificata, ed ogni dì più a lui manifestandosi, lo riempiva vieppiù con la copia vasta dei suoi lumi, per i quali ascendendo da cognizione in cognizione al culmine più alto della scienza religiosa, vieppiù si avanzava nel conoscimento di Dio somma verità, e si accumulavano nel suo cuore quelle nozioni divine che gli facevano prelibare le delizie del cielo. Ogni lume, ogni dono, ogni grazia che riceveva dal suo Dio ne accresceva l'amore e la riconoscenza, a segno da non potersi esprimere. Avvenne in quel tempo che fosse da Dio visitato con dolore atrocissimo di denti. Gli spasimi erano intollerabili, perché superiori all'umana forza. Credeva egli morire; ma senza piangere il finire di sua vita, piangeva inorridito dal perché non era stato ancora purificato dalle acque salutari del battesimo. Nel colmo di fiero parosismo temendo soccombere, pregò la madre ed i compagni ad aiutarlo con le loro orazioni, implorando dalla clemenza divina a liberarlo. Tutti si posero all'uopo genuflessi, e fu di stupore per tutti, che appena poste le ginocchia su la terra, il dolore finì interamente per non riapparire mai più. Agostino tocco vivamente alla prontezza del favore celeste fin dall'intimo del suo cuore, arse di riconoscenza inesprimibile, e non sapeva saziarsi dal ringraziare l'Altissimo, riempiendosi nel tempo stesso di soavità nel mirare si bene corrispondere i fatti alle promesse della fede. I mondani ed i peccatori, al mirare S. Agostino dal convertirsi a Dio sempre immerso nella mestizia e nel pianto, crederanno forse che volendolo imitare, sarebbe altrettanto che immergersi nella infelicità e nel dolore. Ma si ingannerebbero grandemente. Il pianto e le pene della contrizione delle colpe, essendo frutti di carità perfetta, dice Agostino medesimo, contengono una dolcezza superiore a quella del miele e del favo. É tale una dolcezza celeste, che vale più una sola lagrima di questa tenerezza sparsa ai piedi di Gesù Cristo per imparadisare l'anima, che tutte le delizie del mondo unite insieme. Imperocchè le delizie del mondo essendo senza Dio, sono vanità efimere; le dolcezze della pietà venendo da Dio contengono una sostanza saziativa che unisce a Dio col triplice ed infrangibile ligame dell'umiltà, della fiducia e dell'amore. «Le acute spine, - dice egli - , con le quali Dio mi penetrava il cuore, mi riuscivano di consolazione sovrumana, perché con esse la mano divina domava le mie passioni, e mi riformava il cuore, abbassandovi le montagne e spianando le colline del naturale orgoglio e dei pensieri vani, e dissipava le vie dubbiose dell'aspro e rozzo mio naturale. E ciò è che avviene a chiunque misura l'immenso periodo della eternità, col volgere brevissimo della vita presente». S. Agostino intanto, con queste espansioni e tenerezze dell'anima, con queste mire sublimi di rettitudine, con questi ardori ineffabili di carità, mentre tocca il culmine del più sublime ascetismo per purificare e perfezionare sé stesso, non lascia di essere il grande filosofo pieno di zelo per istruire il mondo. Attendendo allo scopo per cui domandò la solitudine, per ricercare cioè la verità ed acquistarne sempre più profondamente la scienza, co' suoi pochi compagni e discepoli metteva sempre in campo dubbii e quistioni nel conversare, in guisa che mai rimanesse bricciola di tempo per parole inutili, ma solo si trattasse di lucro per la mente e pel cuore, e d'incremento della pietà e della scienza di Dio. Voleva che i giovani studiassero il giorno, e lasciava ad essi libera la notte al riposo, per riserbare a sé solo la notte stessa. Il giorno o nella sala de' bagni in tempi piovosi e freddi, o sotto un albero nella campagna in tempi ridenti e dolci, parlava sempre, ed in queste conferenze eruttava sul labbro le illustrazioni sovrane di sua vasta intelligenza, miste alla piena della celeste unzione che ne inondava l'anima. Tanto spesso innestava nei suoi argomenti l'augustissimo e santissimo nome di Gesù, che Alipio, il quale non era a parte della vasta copia dei suoi doni, e voleva che avesse parlato con tuono [tono] tutto da filosofo senza frammischiarvi tanta ascetica, ne lo rimproverò dolcemente. Ma Agostino, dal canto suo, in qualità di maestro e di presidente in quelle scientifiche dissertazioni, con serietà gli restituì il rimprovero, mostrandogli, che la coltura dell'uomo emana dalla ragione e dall'autorità, e che per lui, in fatto di autorità, valeva più la sola autorità, della Sapienza incarnata, che quella di tutt'i filosofi i quali uniti insieme posti a confronto con Gesù Cristo, erano come le tenebre innanzi al sole. Imparino i filosofi odierni a ben dirigere ed a coordinare la loro ragione sotto la scorta della ragione suprema ed infinita. Essi han per vezzo di mettere tutta la forza della loro intelligenza nel contrastare il Verbo fatto carne, e non vogliono avvedersi che si travolgono nell'errore e nella bestemmia, vivono ignobili, muoiono senza nome, o al più non ereditano che una memoria di stranezza, delirio ed esecrazione. Da questi studi e conferenze di Agostino, che egli ad apice voleva che tutto si scrivesse, ne risultarono varie opere insigni, primi doni del suo ingegno fatti alla Chiesa. In prima vi furono tre libri contro gli Accademici. Questi filosofi gli avevano barrata di montagne altissime ed insuperabili la porta della verità e della sapienza, ed Egli spianando coteste montagne a via di obbiezioni alte e profonde con facilità e chiarezza disciolte, mostrassi in possesso della chiave della verità ed arbitro di aprirne tutt'i tesori. Dedicò questi libri al benefattore Romaniano, a fine di sospingerlo a questo studio delizioso ed interessante, ed a compire di ravvederlo dagli errori ai quali egli lo aveva traviato. La seconda opera fu sulla Vita beata, risultante da tre giorni di conferenze in occasione del suo giorno natalizio, in cui Monica ed Adeodato spiccarono a preferenza, e dove dimostra che non si può essersi felice se non nel conoscimento e godimento di Dio. La terza opera abbraccia due libri su l'ordine dei beni e dei mali della vita presente, e svolge sublimi argomenti intorno la Provvidenza divina contro i Manichei, nonché segna la regola da tenersi negli studi per passare dalle cose visibili alle invisibili. Questi libri intitolava ad un tale Zenobio [B], amicissimo di Romaniano, per soddisfarlo in alcune quistioni che prima gli aveva proposte. Le quistioni sono al numero di 83 sopra diversi argomenti. [C] Compose anche due libri intitolati i Soliloqui, nei quali parlando a solo a solo con la sua ragione, gitta le mirabili fondamenta della filosofia cattolica e tratta di materie di eminente importanza. Vi fa vedere quanto col sussidio dello studio e dell'orazione abbia in breve tempo dilatati gli spazi di sua intelligenza [in] rapporto alla religione, e quelli della sua ardentissima carità. Ogni linea di questa sua opera è un faro luminoso di sapienza ed un dardo di quell'ardore che gli divorava il cuore. Non possono leggersi senza sentirsi l'anima elevare a Dio su le penne ardite de' suoi pensieri, e riscaldare dell'amore divino. Agostino adunque catecumeno solitario di CASSIACO mostrasi nel breve spazio di circa sei mesi il gran Santo ed il gran Dottore della Chiesa con le sue virtù esimie e coi primi rivoli emanati dalla sua sapienza.

 

 

 

CAPO III - L'ARDORE DEL BATTESIMO

VOL. II - ANNO II - 6 AGOSTO 1887 - FASCICOLO VIII - PAG. 55 E SEGG.

 

CASSIACO, luogo delizioso per la sua postura, per le sue amenità e per le bellezze de' suoi orizzonti e delle sue produzioni, per S. Agostino divenne un paradiso più che a Giovanni non fosse l'isola di Patmos; imperocchè, se Giovanni in Patmos gusta solo visioni e misteri: Agostino si scioglie in deliqui di rivelazioni e di amore. Egli si eleva nelle contemplazioni dell'Infinito, gli si manifesta con quanta luce è capace sostenere una intelligenza creata in terra di viatori [viandanti]. A questa luce mirando Agostino il suo Dio, lo conosce con la pienezza di cui è suscettibile la sua anima privilegiata, e delle di cui infinite perfezioni s'innammora col fuoco maggiore di quella fiamma, di cui abbiamo veduto ardere il suo cuore anche ne' traviamenti suoi. Nella misura stessa con la quale conosce ancora ed abborre sé medesimo per la bruttezza che lo deformava. Vorrebbe quindi con uguale ardore mondarsi dalle sue piaghe e sanare, per rendersi senza macchie degno del caro suo Bene, e perché altra medela [medicina] a tal sanamento non è prescritta dal Medico divino, oltre l'acqua battesimale, a questa, più che cervo assetato al fonte, aspira con tutte le potenze dell'anima sua. L'umiltà nascondendogli i mirabili effetti della carità, che con battesimo di amore purifica l'anima da ogni macchia delle quali era insozzata, non gli lasciava mirare la sua anima fatta bella della più cara innocenza. Non vedendo questi prodigi della carità operati in sé, sentiva il solo peso della sua miseria, onde diceva un giorno ai suoi giovani compagni e discepoli. «Oh come mi ricopro di vergogna allora che veggo le piaghe dell'anima mia! Tutti i giorni le bagno delle mie lagrime e prego Dio di guarirle; ma sento profondamente quanto poco io merito questa grazia. Vivono sempre nella mia memoria quelle immagini stampatevi dalle mie abitudini. Deboli e pallide finché veglio, aspettano il mio sonno per insinuarvi un piacere e strapparmi un'ombra di consenso. Illusioni miserabili, ancor troppo potenti nell'anima mia! Ma la vostra mano, o mio Dio, non ha il potere di rimarginare tutte le mie ferite? Ecco perché umilmente confesso al mio Signore, che sono tuttavia nella mia miseria». [4]

Egli doveva aspettare fino alla Pasqua per incorporarsi a Gesù mediante il Battesimo come il tralcio s'innesta nella vite, e mettervisi in comunicazione di morale personificazione e di grazia, di santità e di merito. A questa grande felicità egli aspirava, e sospirava l'istante fortunato per trovare un alleviamento alle sue pene, un conforto alla sua debolezza, un ristoro ed una guida ne' suoi combattimenti, una luce più viva nelle sue tenebre. Ma non v'era altro uso nella Chiesa di Milano nell'accogliere i Catecumeni adulti al sacro Fonte. Bisognava rassegnarsi ad aspettare, purificandosi sempre più e preparandosi con crescente fervore. Il fervore di Agostino aveva raggiunto il suo culmine e non era più capace di accrescimento, onde aspettar non poteva sì rassegnato, ma fremendo e piangendo con un martirio positivo di amore. La colomba che geme nel cercare il suo compagno, era un'immagine di Agostino che cercava il suo Salvatore, rinascendo con lui mediante l'acqua di rigenerazione e lo Spirito Santo. Sempre tra la memoria delle colpe passate e tra le elevazioni più sublimi della carità sembrava agitato e smaniante tra le amarezze del pentimento e le soavità dell'amore, or nell'abisso della propria miseria ed or tra le altezze degli ardori serafici, e sempre con un cuore rigurgitante di lagrime, che emanano a rivoli dagli occhi e mostrano al di fuori le celesti tenerezze dell'anima e le ineffabili unzioni della grazia dell'anima stessa e del cuore. Contrizione ed amore, ecco le fiamme tra le quali Agostino, come oro nel crogiuolo si purificava perennemente per ben prepararsi al Battesimo a cui aspirava. Considerando sé medesimo, si riputava sempre immeritevole di un tanto benefizio e temeva di riceverlo malamente disposto. «Pensando al Battesimo, - Egli diceva -, Mirarmi così imperfetto e male preparato! Ma spero, o mio Dio, che coronerete in me l'opera della vostra misericordia, aspettando la pace definitiva che tutte le mie potenze interne ed esterne saranno con voi, quando la morte sarà assorbita dalla vittoria». [5]

A sempre meglio prepararsi e disporsi, egli metteva in opera gemiti, dolori ed affetti i più solenni che possano mai ispirarsi dalla fede, dalla speranza e dalla carità, dei quali forse non si riuscirà a leggerne gli uguali nella storia della santità. All'idea sempre viva dei suoi traviamenti e delle contraddizioni dell'anima sua, udivasi esclamare: «Ohimè! Signore, abbiate di me pietà. Le mie tristezze peccaminose combattono con le mie sante gioie, e da qual parte è la vittoria? Io non lo so ancora. Ahimè! mio Signore, abbiate di me pietà. Pietà, Signore! Voi lo vedete, non vi nascondo le mie piaghe. Voi siete medico, io sono infermo! Siete voi misericordia, io sono il miserabile.» E così dicendo, piegava riverente il capo, si percuoteva il petto, spargeva lagrime, sospirava ed esclamava: «Ti amo, o mio Dio, ti amo! E che cosa io amo con l'amar voi? La beltà corporale? La gloria? La luce amica degli occhi? Le dolci melodie del canto, l'odore soave dei fiori e dei profumi, la manna, il miele, o le delizie della voluttà? Oh! no; nulla di questo io amo nell'amare Voi. Eppure amando voi, amo una luce, una melodia, un profumo, un cibo, una voluttà; luce, melodia, profumo, alimento che si gustano solo dall'anima; luce che supera i confini dello spazio; melodia che sdegna le misure del tempo; cibo che sazia senza fermare la fame; voluttà che è potente e non produce la nausea: questo io amo, amando voi o mio Dio». [6]

Il rimedio, la speranza, il rifugio, la consolazione si accrescevano in Agostino insieme alla più tenera e filiale confidenza dell'elevare i suoi sguardi a Gesù su la Croce, «Oh! esclamava, di quale amore ci avete amato, o Padre infinitamente buono! Non risparmiaste il vostro Figlio, ma lo sacrificaste per noi peccatori. Sì, per noi, colui che non riputò rapina l'essere uguale a Voi, si fece obbediente fino a morire, e morire in Croce! Per noi si offerse insieme vincitore e vittima, e vincitore perché fu vittima; insieme sacerdote ed ostia, e sacerdote perché fu ostia. Per noi finalmente, egli che è vostro Figlio si fece schiavo, affinché noi schiavi divenissimo vostri figli. Ah! giusta è la ferma speranza che io fondo sopra di voi, che voi guarirete i miei languori, altrimenti cadrei nella disperazione, tante son gravi e molte le mie infermità. Sì molte e grandi, ma mille volte più grande è la virtù dei rimedi vostri». [7] Era egli tanto atterrito ed oppresso dalla moltitudine delle sue miserie, che giunse a determinarsi di andare per sempre a nascondersi in un deserto. L'esempio udito di S. Antonio Abbate gli restava impresso nell'anima, onde se a quel grand'uomo giovò il seppellirsi al mondo per custodire la sua innocenza, molto meglio egli credeva sarebbe convenuto a lui seguirne le traccie per fare la dovuta, penitenza delle proprie colpe. Avrebbe eseguito questo suo generoso disegno, se Dio non si fosse con lui spiegato direttamente in contrario, avendolo già, come l'Apostolo Paolo, destinato a portare la gloria del suo nome, ed a sostenere le sue giustificazioni in tutta la Chiesa Cattolica. «Aveva io deliberato, - dice il Santo Dottore -, di andarmi a nascondere in un deserto. Voi però me ne distoglieste, mio Dio, rassicurandomi con quelle parole: Per tutti è morto Gesù Cristo, affinché quelli che vivono non più per sé vivano, ma per colui che morì per essi. Io getto dunque nel vostro seno tutte le mie inquietitudini, mio Dio, a fine di vedere e gustare le maraviglie della vostra legge. Voi sapete la mia ignoranza, ammaestratemi. Conoscete la mia infermità, guaritemi. Ma i superbi non provino di scoraggiarmi col ricordarmi i miei delitti. Conosco il prezzo del riscatto per me offerto; è il sangue di quel Figliuolo unico, in cui sono tutti i tesori della divinità». [8] Avrebbe voluto Agostino supplire almeno agli orrori del deserto con mortificazioni e penalità corporali, e copiare in qualche modo nella sua carne le piaghe e le pene che contemplava nel suo Salvatore. Portava santa invidia al suo discepolo ed amico S. Alipio, perché era fiero domatore del suo corpo, come egli lo chiama, il quale per umiltà e per spirito di penitenza in apparecchio al battesimo, nel cuore dell'inverno si era recato pellegrino a Roma, camminando a piè nudi sui ghiacci da Milano alla santa Città. [9] [D]

Nulla di simile permettevagli lo stato di deterioramento nel quale trovavasi la sua salute. Non poteva neanco digiunare per la debolezza. Quantunque l'aere balsamico di CASSIACO gli avesse sulle prime giovato non poco, pure aveva sempre infiammato il petto. Fatica e commozione lo avevano estenuato. Spesso gli faceva pena non poco il parlare. Vi erano dei giorni ne' quali neppure poteva scrivere, una febbre lenta lo divorava ogni dì, e non rare volte dovè sospendere le conferenze della sera per totale mancamento di forze, o per invasione della infiammazione generale nel capo, nella faccia e nei denti, come abbiamo già menzionato, che gli cagionava crudeli tormenti. La salute di Agostino avrebbe avuto bisogno di lunghi anni di calma per potersi consolidare: onde fa maravilia, come, permanendo le stesse cagioni, ed aggiungendovi il fuoco della carità che lo consumava vieppiù, la [sua vita] potesse durare per altri 41 anni circa, sempre intrepido a lottare tra fatiche ed amarezze incredibili, se non vi fossero monumenti incontrastabili che ne rendono testimonianza. Tutto fu in lui miracolo di carità. Di cotesta carità animatrice e consumatrice S. Agostino bruciava aspirando al battesimale refrigerio. Alla mancanza delle macerazioni del corpo suppliva con la contrizione dell'anima e con gli ardenti affetti del cuore, che con la loro intensità erano bastevoli alla più sublime giustificazione, a tal ché, se fosse a Dio piaciuto a sé chiamarlo prima del battesimo di acqua, sarebbe volato nel più alto de' cieli pel battesimo di desiderio e di affetto. L'umiltà facendolo aspirare al sacramento esteriore, che interiormente l'avrebbe purificato, lo faceva del pari innanzi a Dio esclamare: «Eravate dentro di me o mio Dio, ed io vi cercava al di fuori, e precipitando nelle bellezze create, perdeva miseramente la mia bellezza natia. Esse mi tenevano lontano da Voi, mentre senza di voi sarebbero nel nulla. La vostra voce vincendo la mia sordità mi ha richiamato; comparve il vostro splendore, brillò e trionfò del mio acciecamento. La vostra fragranza mi profumò, io la odorai, ed eccomi sospirare verso di voi. Il vostro gusto celeste si comunicò all'anima mia, ed ora, o Signore, ho fame e sete di voi. Eccomi tutto inondato e trafelante tornare al vostro fonte. Oh! non permettete che alcuno me ne allontani; fate che io me ne sazi e ne ricevi la vita». [10]

 

 

 

CAPO IV - LA SACRA ONDA RIGENERATRICE

VOL. II - ANNO II - 3 SETTEMBRE 1887 - FASCICOLO IX - PAG. 73 E SEGG.

 

Finalmente si accostava il tempo nel quale le ardenti aspirazioni di Agostino dovevano venire pienamente soddisfatte. Era costume della Chiesa di Milano di ammettere i catecumeni al Battesimo sempre nella notte tra il Sabato Santo e la Domenica della Pasqua di Risurrezione, come tuttora si pratica nella Chiesa Romana. Coloro che aspettavano un tanto bene dovevano presentarsi al principiare della Quaresima per farsi ascrivere nel numero dei Competenti, ovvero degli abili alla ricezione del sacrosanto lavacro, ed indi in tutto il volgere della Quaresima dovevano assistere alle istruzioni che facevansi su i doveri della vita cristiana. S. Agostino non perdé istante nell'abbandonare all'uopo la campagna, e nel ridursi a Milano. Diede il suo nome con quello del suo figliuolo Adeodato e del diletto amico Alipio. Non contento d'essersi apparecchiato per sei mesi interi a ricevere il gran Sacramento della divina misericordia, con tante lagrime, mortificazioni e meditazioni sublimi, con le quali aveva ordite tante nobili opere a difesa della verità che si voleva proscritta, della provvidenza che si negava e della vera filosofia, che mentre è figlia e sorella e più propriamente ancella della Religione, pretendevasi farne la nemica militante contro la medesima, come se nulla avesse ancor fatto, volle raddoppiare di fervore e di stenti, di orazioni e letture sacre. Dall'altezza di un sapere impareggiabile, facendosi fanciullo per rendersi atto al regno de' cieli, si abbassa con un convincimento profondo e con inesprimibile avidità ed attenzione, ad assistere alle istruzioni catechistiche che farsi solevano ai Competenti. Avrebbe potuto essere dispensato, ma non volle, determinato a seguire l'esempio del celeberrimo Vittorino, che da S. Simpliciano gli era stato narrato. Egli medesimo, dopo molto tempo, si compiaceva quasi dell'applicazione, dello studio e del rispetto col quale ascoltava questi salutari insegnamenti al cospetto di tutta Milano, che l'aveva in tanta estimazione di sapienza, e che restava rapita al vederne la pietà, la modestia e l'umiltà [11].

L'ape che soavemente succhia il miele dal calice dei fiori, o il cervo assetato che a larghi sorsi beve le fresche e limpide acque del ruscello, sono immagini approssimative degli ardori e delle delizie con le quali S. Agostino si beava nelle lezioni che ascoltava, e nel dare l'esame settimanile, come era di uso, edificava e sbalordiva con le sue risposte, esponendo i misteri appresi fecondati con vedute sublimi, che li ruminava con la contemplazione. S. Agostino, non perdendo istante alcuno del tempo, dopo i suoi doveri e gli esercizi di pietà, cercava il suo sollevamento nello studio e nello scrivere, e col metodo tutto suo proprio di studiare e scrivere trattando con Dio. ln prima compose il libro dell'Immortalità dell'anima, quale terzo libro compimento di due libri de' suoi Soliloqui, scritti a CASSIACO. Scrisse pure, come ne avvisa S. Possidio suo discepolo e biografo, Saggi sulla dialettica, la rettorica, la geometria, l'aritmetica e la filosofia, nello intento di trovarvi e stabilirvi di gradi certi e sicuri per elevarsi ed innalzare anche gli altri dalle cose corporali alle celesti, e dai rivoli delle scienze all'inesausta sorgente di tutte le scienze che è Dio. Questo sublime e delicato pensiero degno di S. Agostino, compreso ed attuato dal Serafico S. Bonaventura, ha arricchito la Chiesa dell'opera insigne della Riduzione delle Arit alla Teologia, scritta da questo illustre dottore. S. Agostino di siffatti lavori non ne aveva esemplare alcuno allora che tesseva l'opera delle sue Ritrattazioni. Potevano al certo trovarsi presso di altri, e di fatto son pervenuti a noi, quantunque il dottissimo Tillemont, perché mancanti della robustezza e soda erudizione del santo Dottore, non li riconosca per lavori di lui. Noi crediamo che come saggi avere non potevano queste perfezioni, e potevano bene acquistarli con lo svolgimento delle materie. Agostino non ebbe più tempo di occuparsene, perché sopraggiunto da altri immensi lavori più importanti. Il grande desiderio di conseppellirsi con Gesù Cristo nel battesimale lavacro faceva passare i giorni per S. Agostino con la lentezza dei secoli. Ma passarono finalmente, arrivò la Domenica delle Palme, detta la Domenica dei Competenti, per raffermare la domanda del battesimo da tutti gli aspiranti, ed Agostino co' suoi compagni adempì. Come passasse questi giorni immediati della settimana maggiore si può agevolmente immaginare. Tommaso Cantipratense [E] ed il Coriolano nella Cronaca dell'Ordine Eremitano asseriscono, che negli ultimi tre dì, giovedì, venerdì e sabato, serbò un perfetto ed inviolato digiuno. Se così fosse, sarebbe stato per lui il massimo de' sacrifizi, atteso lo stato di debolezza nel quale trovavasi. Certo è che lo spirito di fede di contrizione e di amore era in lui quello dei più gran santi, per lo che niuno forse si era mai accostato al sacro fonte con disposizioni più eminenti. Tradottosi tra la notte del sabato santo ed i primi albori della domenica di Pasqua, che in quell'anno ricorreva il dì 25 aprile, nella Chiesa di S. Giovanni Battista, [F] poco lungi dalla Cattedrale, seguito dal figlio, da Alipio, da Trigezio e da S. Monica, e da alcuni altri, in veste bianca orlata di porpora ed avvolto in largo e lungo velo, abito di lutto secondo l'uso africano e romano, si dispone cogli altri battezzanti intorno alla salutare fonte di rigenerazione. Alla prima aurora Ambrogio comparve, e dopo l'orazione consueta chiamò Agostino e lo immerse tre volte nell'acqua, dalla quale Agostino usciva con un grido di gioia ripetendo la prima volta: Credo in Dio, la seconda: Credo in Gesù Cristo, la terza: Credo nello Spirito Santo. Indi il santo Vescovo, dopo alcune orazioni pronunziate ed alta voce, con le braccia aperte ed elevate, e poi su la testa umiliata del santo giovane che piangendo genuflesso si batteva il petto, versò l'acqua sacra, [G] dicendo: "Io ti battezzo in nome del Padre del Figliuolo e dello Spirito Santo". Ed ecco Agostino rinato a Dio, alla Chiesa, a sé ed alle anime. Consepolto con Cristo pel battesimo, con Cristo risorge nuova creatura e nuovo plasmo per vivere novella vita, nel giorno ed ora medesima in cui Cristo usciva dalla sua tomba gloriosamente risorto. Secondo l'uso della Chiesa di Milano, S. Ambrogio si precinse di tovaglia, e genuflesso innanzi ad Agostino lavogli i piedi, indi lo vestì di lunga tunica bianca, già preparata da santa Monica, simbolo dell'innocenza ricevuta. In ultimo, preso in mano un cero acceso, segno della carità che doveva consumarlo, cogli altri battezzati similmente adorni, assistito che ebbe alla solenne messa pontificale, si accostò all'altare a riceve per la prima volta le carni ed il sangue dell'Agnello immacolato, unendosi anche con intima e reale unione a quel Dio, che rallegra e rinnova la sua gioventù. Quale paradiso di gioia inondasse le belle anime di Agostino e di Monica in questa circostanza solenne non è a potersi descrivere da penna umana. Il desiderio di Monica di vedere il figlio convertito e fatto cattolico, onde per ventidue anni profuse ferventi preghiere e torrenti di amarissime lagrime, e gli ardori di questo figlio nell'aspirare al santo lavacro di giustificazione possono essere d'indizio ad immaginare la vastità della riconoscenza, dell'amore e della loro felicità. S. Agostino dalla Chiesa ove ricevé il battesimo e partecipò alla mensa Eucaristica usciva come trasfigurato. Il suo volto acquistò una serenità angelica, i suoi occhi erano candidi ed amorosi come di colomba, esprimenti gli ardori della carità aumentati de' quali divampava l'anima sua. La sua fronte sembrava coronata dei gigli della castità riacquistata, ed adorno dell'aureola di Dottore insigne della Chiesa. Egli si considerava come la pecorella evangelica, che, smarrita e ritrovata dal buon Pastore, da questi era stato su le proprie spalle ricondotto all'ovile del Padre celeste. «Tosto che fui battezzato, dice Agostino, si allontanarono dall'anima mia tutte le inquietitudini con le quali mi agitava la rimembranza della mia vita passata. Né poteva in quei primi giorni saziarmi delle ineffabili dolcezze che io gustava considerando la profondità de' consigli divini intorno alla salvezza del genere umano. Quante lagrime io non profondeva nell'ascoltare il canto de' vostri Inni, o mio Dio, potentemente e soavemente commosso dalle voci della vostra Chiesa? Quelle voci penetravano nelle mie orecchie e la vostra verità distillavami nel cuore; ardeva dell'amore di pietà, e dagli occhi miei scorrevano lagrime, nelle quali io trovava la pace, la gioia ed il conforto. [12]

Questo canto d'Inni, e di Salmi, che si era l'anno avanti introdotto in occasione della persecuzione dell' Imperatrice Giustina contro S. Ambrogio, la Chiesa di Milano ne aveva abbracciato l'uso, che poi si sparse per tutta la Chiesa». Agostino piangeva non solo per la dolce commozione che presentemente ne riceveva, ma ricordando che l'anno innanzi aveva udito gli stessi cantici con cuore freddo e ciglio asciutto [13], e pensando agli altri cantici immensamente più belli ed armoniosi che nel Paradiso risuonano tra i cori degli Angeli e dei Santi intorno al trono della maestà dell'Altissimo. Addivenuto pel battesimo domestico di Dio e concittadino dei Santi, obliando tutte le cose della terra, a quell'eterna dimora passò ad abitare coi suoi pensieri e coi suoi affetti, aspirando d'esservi presto accolto per godervi col suo Gesù. «O soggiorno ammirabile, - esclamava S. Agostino -, sfolgorante luce sovrana, residenza di gloria del mio Dio, quanto mi è cara la vostra beltà, e come nel fondo di questo lontano esilio a voi ardentemente sospiro!…. I miei canti vi diranno il mio amore, i miei gemiti vi faranno conoscere i languori e le sofferenze del mio pellegrinaggio, ed il mio cuore sollevato al di sopra di questa misera terra dalla cara memoria delle celeste Gerusalemme, non sospirerà che per lei mia patria e mia madre, e per voi suo re, suo sole, suo protettore e suo sposo! No, i miei sospiri non taceranno finché [non] mi abbiate ricevuto nella pace di quella e cara madre, e la vostra mano che radunò le dispersioni e riformò le deformità dell'anima mia, sia pronta a darle quella bellezza che non perirà più, o mia misericordia, o mio Dio.» [14]

E chi mai potrebbe riconoscere in questo Agostino l'Agostino di due soli anni addietro? Tutto in lui è i cangiato! Da uomo terreno è divenuto uomo celeste. Neppure le più lievi vestigia in lui si ravvisano di quell'orgoglio indomabile, di quell'ambizione sterminata, di quella cupidigia inesplicabile che prima lo deformavano. La continenza che tanto lo spaventava a cagione dell'umana fralezza, ora perché confortato dalla grazia di Gesù Cristo, è divenuta la sua più cara delizia, il suo amore e la sua vita. «Se alcuno mi presentasse, diceva Agostino, una donzella adorna a dovizia di tutte le doti di natura e di fortuna, alla quale dovessi dare il mio cuore nella più pura e santa unione, non l'avrei degnata neppure d'uno sguardo». [15] Ma diamo uno sguardo al quadro magnifico pennellato dalla mano stessa di S. Agostino, esprimente la mutazione perfetta operata in lui dalla destra dell'Eccelso. «Voi, o Signore, che siete tutta bontà, avete con occhio compassionevole riguardato il baratro profondo di morte, ove io mi era miseramente precipitato, e con la vostra mano onnipotente traeste fuori il mio cuore dall'abisso di corruzione in cui era luttuosamente sepolto. Questo cambiamento meraviglioso che voi in me faceste, consisteva nel non amare e non volere più quelle cose che io prima amava e voleva, ed in opposto nel volere ed amare solo quello che voi amate e volete. Come mai in un istante, mi divenne cosa grata e gioconda l'essere privo di quei vani piaceri che prima io temeva tanto di perdere? Non altrimenti, se non perché voi, che siete la vera contentezza e somma beatitudine, li discacciaste da me, ed in luogo loro subentraste voi stesso, che siete più soave e più dolce di tutte le delizie. Io m'intesi immediatamente libero dalle cure mondane dell'ambizione, delle ricchezze, della voluttà e di tutti gli oggetti miserabili della terra». Il suo cuore adunque si era vuotato di tutto, e si era riempito di Dio; e Dio sempre generoso nella largizione de' suoi doni, in ragione delle grandi disposizioni recate da Agostino al battesimo, lo arricchiva non solo delle solite virtù infuse, ma di copiosi carismi celesti atti a costituirlo il più gran Padre e gran Dottore di sua Chiesa. S. Dacio [H] Arcivescovo di Milano appena dopo un secolo dalla morte di Agostino, disponendo delle tradizioni custodite nella sua Chiesa, lasciò scritto, che oltre la grazia santificante con le teologali virtù che l'accompagnarono col battesimo, ricevé i doni del consiglio, del discernimento, della vigilanza in tutto, acciò non fosse stato mai da incertezza, da inavvertenza, da sorpresa, da insinuazione alcuna distratto dal bene, o sospinto a lieve mancamento. Sopratutto venne ricolmo del dono della interpretazione delle sante Scritture, pel quale potesse dettare una serie di canoni sapientissimi, onde esporle secondo il senso genuino della Chiesa, e presentarne secondo coteste norme una esposizione completa, al nobile scopo di sottrarle dall'arbitrio sfrenato della eresia, che faceva della Scrittura, mercè la privata interpretazione, la fucina inesauribile di tutti gli errori. Questi doni difatto rifulsero sempre in Agostino a grado eminente. S. Ambrogio con la sua penetrazione, forse anche avvalorata da illustrazione celeste, previde, che l'entrata di Agostino nella Chiesa per mezzo del battesimo, era l'apparizione del più grande astro che illuminato avrebbe la Chiesa ed il mondo. Sicuro che Egli in breve discendendo nella tomba avrebbe dovuto tacere con le proprie labbra, esultava nel Signore dal chè viveva Agostino, e meglio che lui parlerebbe per difendere la verità della fede e magnificare le glorie della religione. Il grande amore, che ebbe Agostino per la verità, lo stento [la fatica] col quale la ricercò, la gioia con la quale ad essa erasi abbracciato, ed i primi saggi valorosi coi quali aveva incominciato a difenderla, cose tutte ben note al grande Vescovo di Milano, gli erano di soprabbondante guarentigia per assicurarlo, che Agostino sarebbe stato per la Chiesa un celeste Davide, a lei inviato per sbaragliare e conquidere tutto l'esercito ereticale che la tribolava. Quindi non faccia maraviglia se, ad onta della critica, che vuole essere vincitrice anche allora che non adduce prove positive in contrario, ritiene la tradizione veneranda, che Ambrogio accompagnando i Neofiti dal battistero alla Cattedrale processionalmente, camminando al lato di Agostino, spinto da un estro di santa gioia, elevò la voce al canto dicendo: Te Deum laudamus; Te Dominum confitemur. Agostino, il di cui cuore specialmente in quell'istante di suprema commozione, era come una corda armonica che oscilla e rende lo stesso tuono dell'altra corda scossa e vibrata, immediatamente rispose cantando: Te aeternum Patrem omnis terra veneratur. S. Ambrogio soggiunse l'altro versetto, ed Agostino l'altro, e così fin che giunsero in Chiesa finirono di comporre quest'Inno sublime che il Pontefice S. Gelasio, al finire del secolo ordinò che ogni dì si fosse cantato dal Clero cattolico dopo l'uffizio notturno non solo, ma anche ogni qualvolta occorresse porgere ringraziamenti solenni all'Altissimo in tutta la Chiesa, per grazie ricevute. Epperò si chiama, Inno dei SS. Ambrogio ed Agostino. La Basilica Cattedrale di Milano era piena di popolo commosso al grande avvenimento. Tutti gli occhi erano fissi in Agostino, che tra gli altri Neofiti spiccava, siccome per celebrità di nome, così per compostezza, modestia e penetrazione interiore, per cui sembrava anziché un uomo, uno di quegli Angeli in veste bianca apparsi alle Marie accanto al sepolcro vuoto del Salvatore risuscitato. S. Ambrogio coronare, volle la funzione con un sermone di circostanza, e con quella eloquenza degna della sua mente e del suo cuore, quasi tutto si versò su di Agostino. Tra l'altre cose, pieno del sacro entusiasmo che lo investiva, esclamò: «Rendiamo grazie al Signor nostro Gesù Cristo, per avere in questo giorno fatto alla Chiesa il dono d'un tale e tanto principe di sapienza. Rallegriamoci nel Signore, e si rallegrino gli Angeli ancora per questa sì insigne conversione, si rallegrino gli Angeli insieme il cielo e la terra, e benedicano il Signore che a sussidio e guida degli uomini ha illuminato Agostino… Chi è che ha espugnato l'animo di Agostino? Chi lo ha superato e gloriosamente vinto? No, non è stata la forza delle argomentazioni, non la virtù della parola, né l'incanto della eloquenza; ma solamente sono state la onnipotenza e la clemenza di Dio. Per lo ché, se altro prodigio non vi fosse, questo solo basterebbe a dimostrare la divinità del Salvatore e della Chiesa». [16] [I]

E difatto, il popolo di Milano toccò in quel giorno l'ultimo fastigio dell'edificazione e dell'esultanza, in guisa che, come disse Agostino del battesimo del celebre Vittorino, che questo era seguito plaudente urbe, così poteva ripetersi che il battesimo di Agostino avveniva tra i plausi di tutta la città di Milano. Plaudì la Chiesa tutta siccome venne al conoscimento di questa conversione meravigliosa, ed in ogni anno rinnova il suo tripudio ed i suoi ringraziamenti a Dio, celebrandone coi sacri riti la memoria, come quella della Conversione del grande Apostolo. Il paradiso ancora si ricolmò di nuova letizia poiché se gli Angeli tripudiano e fanno festa per la conversione d'un peccatore qualunque, ancorché dovesse vivere a sé nella oscurità, quanto più dovevano esultare per Agostino, che conoscevano dover esser e il persecutore e il distruttore di tutti i vizi e di tutti gli errori? Lo stesso Dio finalmente, secondo il nostro modo di comprendere e di esprimerci; dové esultare, plaudirsi e rallegrarsi pel suo trionfo riportato in Agostino, accrescendo la sua gloria con uno de' più grandi miracoli della sua grazia. A questa maraviglia della bontà divina pensando Agostino, confuso e riconosciente esclamava: «Mio buon Dio! che cosa si fa mai nel peccatore penitente, che maggiore debba essere il vostro gaudio salvando un'anima ridotta alla disperazione, e liberandola da maggiori sventure, di quello che sarebbe se minore fosse stato il periglio, o una dolce speranza l'avesse di continuo sostenuta? Padre veramente di misericordia, maggiore dunque è la vostra gioia per un peccatore che venga a penitenza, di quello che lo sia per novantanove giusti che di penitenza non bisognano». [17] Procuriamo ancor noi questo gaudio al cuore di Dio, e cedendo docilmente agli stimoli salutari della sua grazia, diamoci in tutto alla penitenza con l'abbandono de' vizi e con la pratica costante delle cristiane virtù.

 

 

 

CAPO V. - LA PARTENZA DA MILANO

VOL. II - ANNO II - 1 OTTOBRE 1887 - FASCICOLO X - PAG. 97 E SEGG.

 

S. Ambrogio, a rendere nel suo popolo sempre grande il concetto dell'importanza della conversione di S. Agostino, e per dare al proprio cuore l'ultima espansione della gioja che lo riempiva, volle nel dì seguente di Pasqua tenere S. Agostino alla sua mensa, splendida per significazione di carità e di pietà. S. Monica, per la quale il santo Prelato nutriva una profonda venerazione, come ad un portento delle cristiane matrone, Navigio, Adeodato ed Alipio furono commensali. S. Agostino spesso venne ammesso a lunghe conferenze con S. Ambrogio, e quella delizia che non poté ottenere altre volte per esporgli i suoi dubbi e le sue ambasce, ebbe in sorte di godere con usura per ascoltarne dal labbro fecondo le lezioni sublimi sul come inoltrarsi sempre per le difficili vie della perfezione evangelica. [J] Allo scopo medesimo frequentava anche il caro e santo vecchio Simpliciano, maestro e direttore di S. Ambrogio nelle scienze della Chiesa e nella virtù. A questa doppia scuola, resa feconda dagli ardori ineffabili di sua carità, imparò a spiccare l'ultimo volo, che ha la sua fermata all'ultimo eroismo dell'abnegazione, abbandonando interamente il mondo e le sue speranze per consacrarsi tutto ed irrevocabilmente alla servitù del sommo Essere, dominatore supremo di tutte le cose. All'uopo manifestò questo suo desiderio, e di volerne vestire l'abito quale si usava dai Romiti abitanti nelle solitudini lontane dalla società corrotta, e viventi nascosti con Gesù Cristo in Dio. Consisteva quest'abito in una tunica rozza di lana nera, che dal collo scendendo fino ai malleoli fissavasi ai lombi con una cintura di pelle, fermata mercè un anello di osso, con un estremo penzolante a sinistra che discendeva fino all'orlo dello stesso abito. Aveva le maniche larghe in modo, che trovandosi le braccia conserte sul petto, esse giungevano alle ginocchia. Vi si aggiungeva su le spalle una mozzetta come quella usata dai Vescovi, con la differenza che a tergo prolungavasi stringendo sempre e terminava a punta fino alla regione sacrale, su di cui fissavasi un largo cappuccio per cuoprirsi il capo secondo i bisogni. Compivasi infine con proporzionato mantello, che posto su gli omeri sotto il cappuccio si prolungava a pari dell'abito, e tutto lo ricuopriva. Incedendo solevano fare uso del bastone, ricordando che fossero pellegrini su la terra, e simbolo della Croce che formava la loro gloria ed il loro sostegno. S. Simpliciano con S. Ambrogio plaudirono a questa seconda vocazione di S. Agostino, e ben la stimarono conveniente, in quanto che vi era ordinazione del Concilio di Nicea [18] che coloro che si consacravano a Dio abbracciando il celibato, si fossero distinti con simil veste, e la chioma si tagliassero, lasciando solo un cerchio di capelli intorno al capo a forma di corona, a segnale di abbandono di tutte le cure e di tutti i pensieri terreni. E poiché conoscevano, che quest'uomo incomparabilmente grande, per amore di Gesù Cristo rinunziando alla Cattedra, che teneva con tanto splendore e con tanto lucro, si era ridotto a povertà estrema, da aver bisogno dei soccorsi del sempre generoso Romaniano, a proprie spese provvidero del panno opportuno. La santa madre Monica lavorar volle di sua mano questo nuovo vestimento, e l'eseguiva versando più lagrime di gioia che punti non vi mettesse. S. Agostino avrebbe voluto rivestirlo nella Domenica in Albis, ottava di Pasqua, quando deporre doveva l'abito bianco del Neofito, ma il lavoro non venne a tempo. Fu mestieri aspettare fino al venerdì susseguente, nel quale S. Ambrogio benedisse gli abiti e ne lo vestì con nuova solennità. Era il 5 maggio, e perciò la Chiesa riunendo in questo giorno la storia del ravvedimento, battesimo e circostanze di complemento, ne celebra l'annua fausta memoria della Conversione, come celebra quella della Conversione dell'Apostolo S. Paolo. Se questa veneranda tradizione non fosse pei critici soddisfacente per considerare il 5 maggio come giorno della Conversione di S. Agostino, si legga nel Martirologio Romano ciò che al 5 maggio è scritto. Se il 25 aprile giorno del Battesimo del divino Dottore, viene scambiato dal 5 maggio, ciò è seguito o in conseguenza della riforma Gregoriana del Calendario, o per altra sapiente ragione alla quale la Chiesa universale si stà. [K]

Questo giorno divenne sacro per la Chiesa, a ragione di avere avuto nella Conversione di S. Agostino il Principe di tutt'i suoi Dottori; ma fu d'uopo considerarsi solenne pel Monachismo di Occidente, che in S. Agostino ebbe il suo primo movimento, e deve aversi per solennissimo per l'Ordine Eremitano e per tutte le altre Istituzioni monastiche che su di esso si modellarono o ne assunsero la Regola, [L] considerandolo come il giorno della loro fondazione, stanteché S. Agostino fu il seme donde queste ebbero essere, sviluppamento e vita, come rami dal tronco ed il tronco dalla radice. Quest'abito monastico fu sempre caro oltremodo al santo Dottore, e mai volle dismetterlo fino alfa morte. Lo preferiva, come vedrassi, allo stesso abito episcopale, dal perché, come Egli diceva, indossava coteste divise umili ed abbiette senza vergogna, a causa d'essere nato da parenti poveri, e bene gli convenivano; mentre le insegne episcopali le indossava per necessità sempre con rammarico e con grande pudore, a causa che Egli ne era indegno ed immeritevole. Non solo lo scopo di consacrarsi a Dio indusse S. Agostino a desiderare e domandare questa sua esteriore trasformazione, ma altri motivi ebbe del pari sublimi. Il primo fu di confessare nella più ampia forma pubblica il suo Dio, da lui per tanti anni disconosciuto ed oltraggiato con errori e peccati; il secondo, perché l'abito nero veniva abborrito dai romani e sopratutto dagli africani, come narra Tertulliano [19] i quali solevano perseguitare con scherni e ludibri coloro che lo vestivano; voleva a questi andare incontro, onde punire in sé il suo passato orgoglio nel ricercare con tanta avidità gli onori, la vanità, le distinzioni e gli applausi del secolo, e partecipare così agl'improperi di Gesù Cristo. Ignoriamo se nel dì medesimo o in appresso i suoi compagni indossassero le medesime divise. Anche prima che S. Agostino si fosse convertito, aveva Egli concepito il gran pensiero di riunirsi co' suoi compagni a vita comune, per attendere, come abbiamo detto a suo luogo, allo studio della sapienza. Il suo progetto dileguossi per la questione delle donne. Risorse il pensiero ardente in udendo la vita ammirabile di S. Antonio Abate narrata da Potiziano, e dileguossi, perché se la sua mente era convinta, il suo cuore non era convinto, il suo cuore non era ancora tranquillo. Ora che la grazia battesimale lo aveva tutto riempito di Dio, e per frutto ineffabile lo spingeva allo stato perfetto della vita monastica, a vista che ostacolo alcuno non si frapponeva, ne rinnovò determinatamente la proposta. S. Alipio trasalì per la gioia; l'angelico Diodato protestò seguire il padre suo ovunque lo avesse guidato a santificarsi; Navigio già vedovo nel fior degli anni , essendo d'età minore del fratello Agostino, a volentieri si offriva ad accompagnarlo. Evodio, altro cittadino di Tagaste, già condiscepolo e seguace degli errori di Agostino, da qualche anno convertito e battezzato, trovandosi in quei giorni in Milano si aggiunse con lui. Possidio, alunno anche caro di S. Agostino, lo assicurava che la sola morte teneva la spada per separarlo dalla compagnia e di lui. Cosi altri compagni fino al numero di undici parimente si offrono, e gli furono fedeli. Ma se vestissero l'abito monastico in Italia o a Tagaste, non v' ha ragione a poterlo stabilire, se dir non volessimo, che avendoli la grazia uniti nello stesso pensiero e nella medesima tendenza, sospingerli doveva all'immediata imitazione del santo, ed eroico Maestro. [20]

 Checché ne sia, fu stabilita la determinazione di abbracciare la vita perfetta conforme a quella degli Apostoli, attendendo lontani da tutte le cure secolari agli studi, a lucro della divina gloria, a profitto della verità da ricercarsi, illustrarsi, propugnare e diffondere. Versava la semplice questione della scelta del luogo più acconcio all'attuazione di sì santa e nobile idea; ma proposta da Agostino, all'unanimità si disse dover essere una delle campagne su i colli di Tagaste nell'Africa, patria comune, ed accanto alle famiglie e conoscenti per goderne i favori nelle occorrenze. Abbenchè S. Agostino avesse desiderato maggiore abnegazione delle cose e delle relazioni mondane, e maggiore abbandono alle cure amorose del Padre celeste, che nutrisce sempre con immutabile larghezza i suoi figli; pure fidato nella buona volontà dei suoi discepoli, ed al perfezionamento compito fatto in essi dalla grazia, nonché a vista dei morali e spirituali vantaggi che potevano rifluire nei concittadini ed alla patria, con la sua carità annuì al comune parere, e la partenza fu stabilita. Di questa compagnia, altri precedettero ed altri seguirono, ed Agostino, Monica, Navigio, Adeodato, Alipio e Possidio si misero in viaggio, volgendo la seconda metà di settembre, dopo un maraviglioso rapimento avuto da S. Monica nel dì 16 di questo mese, sacro alla memoria di S. Cipriano Vescovo di Cartagine [M] e Martire glorioso, narrato dal Bollando, [N] che sembra fosse seguito in Milano. Elevata la santa matrona dalla terra, ed ammessa a vedere cose che non lice a labbro umano ripetere, esclamò con grande impeto: «Voliamo al cielo! voliamo al cielo!» Stupefatti Agostino, Adeodato ed Alipio, che trovavansi in casa, accorsero, e trovatala riavuta dall'estasi, domandarono che cosa mai fussele avvenuta. Monica non rispose punto, ma raggiante in viso d'un allegrezza tutta divina non sapeva altro ripetere che le parole del re Profeta. «Il mio cuore e la mia carne esultarono in Dio vivo. [21]

S. Agostino adunque, dopo il suo battesimo dimorò a Milano per lo spazio di circa cinque mesi, vari dei quali passò nell'Eremo del santo Abate Simpliciano, a fine di bene apprendervi le pratiche della vita monastica. Ma da discepolo, per obbedire a questo suo venerando padre spirituale, ne divenne superiore e maestro. S. Simpliciano in omaggio agli altissimi lumi ed ai fervori straordinari di Agostino, volle che istruisse i suoi alunni, e con umiltà degna di lui anche egli se ne costituì discepolo. S. Agostino, impegnandosi con tutte le tenerezze del suo cuore si adoperò a sollevarli vieppiù a Dio, ed a maggior disprezzo del mondo; e poiché vide che ognuno viveva secondo le ispirazioni della propria pietà, mancanti di un regolamento comune, li fornì di una regola e li formò alla vita perfetta, con grande loro spirituale vantaggio. Arrivato il tempo della partenza, genuflesso ai piedi del santo Abate, lo ringraziò dei grandi benefizii dei quali lo aveva cumulato e ne implorò ed ottenne la benedizione. Si licenziò dai Religiosi, che lasciò immersi nel pianto, in fine con la madre e compagni di viaggio, dopo visitati i religiosi e le vergini che vivevano nei chiostri sotto la direzione di S. Ambrogio, per attingere anche dalla loro conversazione i documenti della vita che doveva intraprendere, si recò a prender congedo e benedizione dal santo Arcivescovo, il quale serrandolo nelle sue braccia, lo benedisse co' suoi per l'ultima volta, e gl'implorò un viaggio pieno di tutti i favori celesti. Lasciò dunque Milano tutta ripiena del suo gran nome per la sua vasta sapienza, e del buono odore di Gesù Cristo per le sue virtù segnalate. Pare che Genova dovesse essere il luogo della prima stazione di questa illustre compagnia di eroi, come porto il più vicino e il più frequentato, onde presto trovare comodo naviglio per tragittarsi in Africa; ma perché S. Agostino, come vogliono antichi storici e le locali tradizioni, era stato assicurato che nel Monte Pisano vi dimorava uno stuolo di santi anacoreti, viventi secondo le norme e gli esempi del grande S. Antonio di Egitto, quale ape industriosa, sitibonda di succhiare il nettare dai più squisiti fiori, onde formarne il miele per nutrirvi delle dolcezze divine i discepoli che avrebbe raccolti in Africa, volle visitarli e studiarli, e senza far conto delle circa trecento leghe che prolungavano il suo cammino, invece di muovere per l'Emilia, si diresse per la Toscana, onde poi nel porto di Ostia trovar naviglio per le patrie regioni. Giunto che fu difatto al Monte Pisano, ne sormontò le vette per visitarne i solitari abitatori. Il venerabile Abate, già pieno della rinomanza del grande Agostino, come conobbe esser questi quel desso, raddoppiò le sue cortesie, riputando la sua visita come quella di un angelo. Fece chiamare tosto i suoi Monaci e lo presentò ai medesimi, dicendo essere cotale personaggio Agostino, il quel glorioso Africano che poco fa aveva riempito l'Italia con lo strepito di sua conversione, e che avendola finita interamente col mondo, aveva abbracciato la vita monastica, ed ora dirigevasi a piantarla nella patria, a santificazione delle anime. Sorpresi e consolati quei buoni solitari, si serrarono intorno a S. Agostino per baciargli riverenti le mani o il mantello, e lo pregarono a volere porger loro il pane della divina parola per rafforzarli nel loro santo proposito, e scaldarli nel divino amore. S. Agostino, spinto dalla sua carità, con piacere s'intrattenne per alcun tempo con essi. Li beò con la sua incantevole eloquenza, li esortò alla vita comune, li fornì di regola per poter tendere più agevolmente alla perfezione evangelica, come aveva usato in Milano coi discepoli di S. Simpliciano, ed in ultimo, lasciandoli ristorati coi pascoli della salute, contento Egli pure di avere trovato in essi tanta docilità e tante virtù, riprese coi suoi il cammino. Da queste amene foreste degli Appennini accompagnandolo, gli storici ce lo mostrano nelle spiaggie ridenti del mare di Civitavecchia, e ci descrivono uno spettacolo d'inesprimibile bellezza ed un documento di prezioso valore. Il sistema adottato dal Santo Dottore, di ripartire il tempo in due parti, l'una consacrandone all'orazione, alla recita de' Salmi, nella lettura della Bibbia, in breve, alla vita intima con Dio, che è la vera felicità ed il vero riposo in questo mondo; l'altra dando alle più alte speculazioni filosofiche e teologiche, non venne mai da lui alterato neppure nel viaggiare. Egli fin da Milano, avendovi terminato un trattato contro i Manichei, e concepito il disegno del trattato della vera Religione, aveva incominciato pure a fissare gli acuti suoi sguardi su i misteri altissimi della Trinità e della Incarnazione. Non già che Egli allora scrivesse su questi sublimissimi argomenti, come opinarono alcuni autori, perché allora trovandosi agli inizi dei suoi profondi studi teologici, atto ancora non era a trattarne; ma sospinto dalla potenza della carità che gli ardeva nel cuore verso il Sommo Essere, e dalla forza del suo ingegno a penetrarne il come nell'unità della natura tre Persone si contengono, assorto in questo pensiero, in Civitavecchia, dove, non sappiamo se per giorni o ore s'intrattenesse per esaminare gli esercizi di pietà di una moltitudine di Asceti ivi viventi in particolari solitudini, passeggiando alla spiaggia del mare, videsi riscosso dalla sua contemplazione, dall'incontro di un fanciulletto grazioso e vispo. uesti aveva formato un piccolo cavo, e con una conchiglia prendeva l'acqua del mare e nel cavo la versava. Soffermatosi a rimirarlo, amabilmente gli disse: «Ma ché, caro fanciullo: vorresti tu trasferire tutta l'acqua nel mare in questo cavo?» Il fanciullo sorridendo ma in tono serio rispose: «E perchè no? Non sarebbe più agevole trasferire tutto il mare in questo cavo, che fare entrare nella tua mente l'oceano immenso della SS. Trinità? ». Disse, e disparve. S. Agostino si avvide allora, che quel bambino, o era Gesù, o un Angelo inviato ad umiliarlo. Tremante e confuso desistè da ulteriori indagini. Abissato in profonda umiltà ed adorando, non osò mai più elevarsi a quella luce infinita, se non, come Egli dice nelle sue Ritrattazioni, per ordine espresso di Dio medesimo, volgendo l'anno quattrocento, ovvero nel sesto anno del suo episcopato, nel quale cominciò a scrivere la sua grande opera sulla Trinità augustissima. I critici hanno esercitate le loro forbici su questo avvenimento già da molti secoli incarnato nella coscienza cristiana, ed eternato dalla poesia, pittura ed altre belle arti; ma avendo noi spianate le loro difficoltà, lo riteniamo a ragion veduta, e ne ammiriamo il documento prezioso senza tener conto di quegli uomini strani e temerari, i quali, non comprendendo neppure sé medesimi, essendo l'uomo un aggregato di misteri impenetrabili, pretendono scrutare e comprendere l'infinito, e perché comprenderlo non lo possono, lo rinnegano disdegnosamente, o se lo vogliano accomodare alla propria capacità ed imbecillità. Un venerando Santuario edificato nel luogo dell'apparizione narrata è degno monumento, che attesta tuttora l'umiliazione di S. Agostino, e l'audacia sfrenata dell'ignorante filosofismo. [O] S. Agostino ripreso il viaggio, giunse in Roma a tributare i primi fiori di sua fede su la tomba di S. Pietro e degli altri Apostoli. Premurato da S. Monica, a cagione del freddo di novembre che annunziava la crudezza del prossimo inverno, acciò non gli fosse stato di nocumento alla salute malferma, ne partì dopo pochi giorni per trasferirsi ad Ostia ed imbarcarsi pel paese natio.

(continua)

P. A. d. J.

 

 

 

Note

 

(1) - Cont. Acad. lib. II c. II

(2) - Conf. lib. IX. c. III

(3) - Conf. lib. IX. c. IV

(4) - Conf. lib. X. c. XXX

(5) - Conf. lib. X. c. XXX

(6) - Conf. lib. X

(7) - Conf. lib. X

(8) - Conf. lib. X

(9) - Conf. lib. X

(10) - Conf. lib. XII

(11) - De fide ed Operibus, Cap. VI n. 9

(12) - Conf. lib. IX. c. VI

(13) - Conf. lib. IX. c. VII

(14) - Conf. lib. XII. c. XVI

(15) - Soliloq. lib. I cap. X

(16) - Serm. 92

(17) - Conf. lib. VIII. c. III

(18) - Canon. 76

(19) - Apol. c. 12

(20) - S. Ambr. Serm. 92 - S. Anton. P. 3 tit. 24 cap. 14 - Clem. VI in Hom. S. August - B. Jord. de Saxson., de vitis Eremit. - Ambr. Corilolano, ed Altri

(21) - Bolland. 4 magg

 

 

 

 

 

 

Annotazioni Storiche

 

(A) - Non ci sono notizie storiche certe di Verecondo, quindi non sappiamo se sia nativo di Milano o se sia giunto in questa città da altre regioni dell'impero per esercitare l'insegnamento di Grammatica, (non di Retorica). Era sicuramente il proprietario della Villa di CASSICIACO (CASSIACO).

(B) - Dei Libri scritti a CASSIACO, Agostino dedicò il "De Ordine" all'amico Zenobio, il "De Beata Vita" a Manlio Teodoro, il "Contra Academicos" a Romaniano.

(C) - Il libro: "De diversis quaestionibus octoginta tribus - Ottantatre questioni diverse", non fu scritto A CASSIACO (Cassago Brianza), ma in Africa. Agostino dal 391 al 395 termina la dettatura a varie questioni poste dai confratelli, che poi da vescovo raccoglierà in un libro. [G. Catapano - Agostino - Ediz. Carocci - 2010]

(D) - Alipio non compì a piedi nudi il pellegrinaggio da Milano a Roma, ma solo parte del tragitto da CASSIACO (Cassago Brianza) quando con Agostino si reca a Milano per ricevere il Battesimo. - Scrive Agostino: "Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna e facemmo ritorno a Milano. Alipio volle rinascere anch'egli in te con me. Era già rivestito dell'umiltà conveniente ai tuoi sacramenti e dominava così saldamente il proprio corpo, da calpestare il suolo italico ghiacciato a piedi nudi, il che richiede un coraggio non comune." - [Confess. IX, 6.14]

(E) - Tommaso di Cantimprè (Thomas Cantiprantensis), scrittore e teologo fiammingo, nato nel 1201 in Belgio, a 16 entrò novizio nel monastero agostiniano di Cantimprè dove venne ordinato sacerdote per poi passare all'ordine dei Domenicani. Autore di diverse opere in latino, alcune delle quali a carattere agiografico incentrate su figure di mistiche fiamminghe, morì a Lovanio presumibilmente nel 1272.

(F) - Il battistero di Santa Tecla, collocato accanto alla Cattedrale Milanese, di forma ottagonale e riscoperto con gli scavi effettuati a partire dal 1961, venne usualmente chiamato chiesa di San Giovanni al Fonte nei documenti medievali. Cadente ormai dopo un millennio fu demolito nel 1355, o meglio nel 1410. [Paredi Angelo - Dove fu battezzato S. Agostino - 1965]

(G) - "Ambrogio ripetutamente afferma che nel fonte il battezzando discende giù; che, dopo, battezzato, sale fuori. In altro luogo dice che il battezzato durante il battesimo viene lavato in tutto il corpo: "in ps. 118, 16, 29: nunc quoque in evangelii mysteriis recognoscis quia baptisatus licet toto corpore, postea tamen esca spiritali potuque mundaris." - La vasca quindi doveva avere notevoli dimensioni. Doveva essere provvista di gradini per scendete giù nell'acqua, e per poi risalire fuori. Dato che parecchie persone vi scendevano in una stessa notte pasquale, dobbiamo supporre che vi fosse acqua corrente, o almeno, che l'acqua potesse essere di frequente cambiata. Doveva essere quindi provveduta di un canale per addurre l'acqua, e di un canale di deflusso. Con ogni probabilità vi erano anche dispositivi per riscaldare l'acqua, perché a Milano nel mese di aprile un bagno freddo non lo fa nessuno." [Paredi Angelo - Dove fu battezzato S. Agostino - 1965]

(H) - San Dacio (Dazio) - Fu Vescovo di Milano presumibilmente dal 530 al 552, anno della sua morte, avvenuta a Costantinopoli, dove si era rifugiato dopo che nel 539 i Goti di Vitige avevano saccheggiato Milano. Molto amato dai milanesi, le sue spoglie furono riportate a Milano e deposte nella Basilica di San Vittore. Lo scritto a cui l'Autore fa riferimento sono gli "Annali" (Annali Daziani), un'opera che è citata da diversi autori medioevali, ma che gli studiosi non hanno ancora stabilito in maniera definitiva se Dazio abbia realmente scritto questi Annali sulle vicende della Chiesa milanese, (ora andati perduti), o se la loro esistenza sia soltanto leggendaria.

(I) - Il Sermone n. 92 "De Augustini Baptismo", di cui l'Autore riporta uno stralcio, attribuito a S. Ambrogio è ora concordemente ritenuto dagli studiosi un testo apocrifo dell'VIII secolo.

(J) - Non vi è alcuna documentazione storica che attesti questo pranzo conviviale tra S. Ambrogio, Agostino ed i suoi amici e parenti.

(K)) - Liturgicamente gli Agostiniani celebravano durante l'anno cinque feste di S. Agostino: il dies natalis (28 agosto), la Conversione (dapprima il 5 maggio, più tardi il 24 aprile), le due Traslazioni del corpo (la prima il 28 o il 29 febbr., la seconda l' 11 ottobre), la Riunione al corpo (5 giugno), la data cioè nella quale entrarono ad ufficiare la basilica di S. Pietro in Ciel d'oro ed ebbero in custodia, insieme ai Canonici Regolari, il sepolcro del Santo. Quest'ultima festa fu celebrata solo per breve tempo (dal 1338 al 1343), quella della seconda traslazione (11 ottobre) fu abolita nella riforma di s. Pio X, le altre vengono celebrate tuttora. [A. Trapè -Introduzione a S. Agostino - La venerazione dei fedeli].

(L) - Intorno alla questione storica della data della composizione della Regola Agostiniana, scrive P. Agostino Trapè: "Le ipotesi principali sono tre: la prima indica come data probabile il 391, più o meno in coincidenza con la fondazione del monastero d'Ippona, il monastero dei laici; la seconda indica il 400 in coincidenza con l'«affare» del monastero di Cartagine che diede occasione al De opere monachorum; la terza sposta la data fino al 427- 428, dopo il De correptione et gratia in coincidenza con la controversia sulla grazia sorta nel monastero di Adrumeto. [Sant'Agostino La Regola - Introduzione di A. Trapè - Ed. Ancora 1971 - Pag. 87]

(M) - L'Autore fa coincidere la data del martirio di San Cipriano avvenuto a Cartagine il 14 settembre del 258, ma che probabilmente al tempo di Agostino era celebrata a Milano il 16 settembre con una "visione mistica" di Monica in questa città. Il testo medievale da cui l'Autore ha tratto questo avvenimento è probabilmente una lettera scritta da Agostino alla sorella e pubblicato negli Acta Santorum dei Bollandisti. - In proposito, parlando della vita di S. Monica, P. Agostino Trapè, dopo aver citato le fonti storiche sicure (Le Confessioni, I Dialoghi di Cassiciaco - Vita Agostino di Possidio), scrive: "Queste dunque le fonti: cercarle altrove è perder tempo e farlo perdere. La lettera di Agostino alla sorella (Bollandisti, Acta sanctorum, maggio I, pp. 480-481) è tardiva e spuria; non è perciò attendibile". [P. Agostino Trapè - Il XVII Centenario della morte di S. Monica].

(N) - Jean Bolland (1596 - 1665), Gesuita e storico belga, fu chiamato a 36 anni a continuare il lavoro del suo predecessore Heribert Rosweyde (1569-1629), che impressionato dal grande numero di storie apocrife sulla vita dei Santi, concepì il progetto d'una pubblicazione volta a giustificare (e comprovare storicamente) il culto dei Santi. Jean Bolland iniziò la pubblicazione secondo l'ordine del calendario, ed i primi due volumi degli "Acta Santorum", dedicati ai santi di gennaio furono pubblicati ad Anversa nel 1643. Questo grande progetto fu continuato dai sui successori che presero il nome di "Bollandisti", giungendo nel 1940 alla pubblicazione di 68 volumi.

(O) - Alla tradizione riguardante questo avvenimento della vita di S. Agostino farebbe riferimento presso il porto di Bertaldo (tra Corneto e Civitavecchia) una iscrizione in lettere gotiche di presunta età medioevale (XIII Secolo), un tempo affissa all'esterno della chiesa di Allumiere e ormai irrintracciabile. La Lapide, ammoniva i viandanti e gli abitatori del luogo a sostare e a rimirare il romotorio e il santuario della SS. Trinità, in quanto proprio presso di esso Sant'Agostino aveva principiato a scrivere il trattato sulla trinità, poi interrotto a seguito della miracolosa apparizione del fanciullo.