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Camillo Pace: Sant'Agostino

Copertina del volumetto di Camillo Pace

Copertina del libro di Camillo Pace

 

 

 

S A N T ' A G O S T I N O

Vescovo d'Ippona - Dottore della Chiesa (354 - 430)

 

di Camillo Pace

 

 

Biblioteca del Popolo

Centesimi 80 il volume

CASA EDITRICE SONZOGNO della Società Anonima ALBERTO MATARELLI Via Pasquirolo, 14 MILANO

Volume 133

Ogni volume consta di 64 pagine di fitta composizione e contiene un completo trattatelo elementare di scienza pratica, di cognizioni utili ed indispensabili, dettato in forma popolare, succinta, chiara, alla portata di ogni intelligenza.

 

Finito di stampare il 15 ottobre 1928

 

 

 

La figura del grande Dottore

Una delle più grandi conquiste che, dopo quella di san Paolo, abbia fatto la Chiesa cattolica, è stata la conversione di Agostino alla vera fede. Uno degli ingegni più portentosi, che abbia avuto il mondo da' suoi principi ai giorni nostri, un cuore pieno di vita, schiavo al tempo stesso del mondo ed avido di Dio, trovò finalmente la sua pace, dopo tormentose lotte interne ed alternative di disfatte e di vittorie, nell'unico Dator d'ogni bene, nell'increata Sapienza, costretto a confessare, umile, fiducioso e supplichevole, a Dio: « Ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in Te ! ». Non v'è, senza dubbio; alcun Santo la cui storia non offra ai cristiani un vivo interesse ed un prezioso insegnamento; tuttavia la vita di coloro che sono stati grandi peccatori prima di diventare grandi santi, ci tocca più direttamente il cuore ; ci sentiamo, in certo modo, più vicini a coloro che hanno conosciuto e subito le stesse nostre umane debolezze. Le vie che conducono al Cielo son due: l'innocenza o la penitenza.

Certo, la prima è la più bella; per questa Egli ci vorrebbe, ma, purtroppo, soltanto pochi riescono a percorrerla: i più, dopo disgraziate cadute, non hanno che scegliere la seconda. Perciò le vite dei Santi ci si presentano sotto due aspetti, secondo la via da essi seguita. Gli innocenti sembrano quasi non sian composti della nostra fragile creta, abbiano vissuto sempre come angeli del Cielo e raggiunta, l'eternità senza neppur conoscere gli abissi della colpa e del peccato. I peccatori invece, abbandonati, più o meno, alle perverse inclinazioni dell'orgoglio e del senso, giunsero a conoscere in tempo l'abisso verso il quale s'incamminavano, s'arrestarono e posero ogni loro studio nel contrastare ai malvagi loro istinti ed a vincerli, riducendosi in tal modo a salute e giungendo alla più sublime perfezione.

In entrambi i generi di vita è da ammirar la divina Provvidenza che, con modi vari e meravigliosi, attira le anime a sé. Però nella pratica, i fedeli, che purtroppo, nella grande maggioranza, debbono seguire la seconda via, traggono più profitto dagli esempi dei peccatori convertiti: lo stesso Agostino è di questa, opinione e giudica più proficua la lettura di questi ultimi esempi. E giustamente, perchè noi poveretti, deboli ed incapaci, quando ci vediam proposti Santi sempre perfetti e miracolosi, ci sentiamo come cader d'animo al loro confronto mentre se vediamo un uomo, dapprima dedito al mal fare dipoi ravveduto, intraprendere la propria rigenerazione e diventar Santo, sentiamo allora venir meno le scuse per la nostra debolezza e, tocchi il cuore di salutare rimorso, siamo costretti a dire con Agostino: « Quello che han fatto questi e quelli perché non lo posso fare io? ». Anch'essi hanno provato difficoltà a vincere i loro vizi, ma non si scoraggiarono e vinsero. Perché non ne seguirò l'esempio? Lo stesso Santo era così persuaso di tale verità che non ebbe rossore di pubblicare, nelle sue Confessioni, tutti gli errori da cui erasi ottenebrata la sua mente e tutti i vizi da cui era stato piagato il suo cuore, per poter mostrare, anche ai più restii ed induriti, la via da seguire per raggiungere la perfetta riabilitazione.

La meravigliosa conversione di grandi peccatori ci dà un potente incoraggiamento nelle miserie nostre, e invita a non disperar mai di noi stessi, mostrandoci come anche le maggiori colpe non possano stancare la divina misericordia. La Maddalena, ed il Buon Ladrone insegnino !

C'è chi teme di scoprire difetti nelle anime sante, non sapendo quanto sia potente il braccio di Dio per far, servire quei difetti non solo alla sua gloria, ma alla perfezione degli stessi suoi figli. Quanto bene non ha Egli ricavato e dalla negazione di Pietro e dalle persecuzioni di Paolo, e dagli errori di Agostino! Quanto dolorosa ma proficua esperienza utilissima al bene delle anime, non han ricavato Pietro, Paolo ed Agostino dai falli loro! Ben arduo è il compito di riassumere in queste brevi pagine una vita così travagliata e al tempo stesso sì mirabile, come quella di sant'Agostino.

Dinanzi all'immensa falange delle sue opere, ricolme di teologia, d'esegesi e di metafisica, verrebbe meno il coraggio di affrontare il lavoro, se dietro la severità dei testi non ci incoraggiasse il benevolo, ieratico volto del santo vescovo, che si anima, diventa straordinariamente vivo e parlante, prende un'espressione confacevole con tutti i tempi. Ci troviamo di fronte ad una delle esistenze più passionali, più movimentate, più ricche d'insegnamenti che ci offra la storia.

Nulla v'è, infatti, di più romantico di quell'esistenza errante da Tagaste a Cartagine, da Milano a Roma, e che, cominciata tra il tumulto delle passioni ed i piaceri delle grandi città, termina nella penitenza, nel silenzio e nel raccoglimento d'un chiostro.

 

Nascita e fanciullezza di Agostino

Il lembo settentrionale dell'Africa, bagnato dal Mediterraneo e che comprende ora la Tripolitania, la Tunisia, l'Algeria e piccola parte del Marocco, formava l'antica Chiesa d'Africa, gloriosa di figli come Tertulliano, Agrippino, Cipriano ed il nostro Agostino. Era allora divisa in sei provincie ecclesiastiche: l'Africa Proconsolare, con a capo Cartagine ; la Numidia, con Tagaste Ippona e Costantina ; la Bizacena con Adrumeto ; le due Mauritanie con Sitifi e Cesarea. Numerosissimi erano ovunque i vescovati ; ammontavano ad oltre cinquecento. Però, quantunque Costantino avesse, sin dal 313, proclamato la libertà della Chiesa, il paganesimo non era ancora del tutto abbattuto, anzi aveva, specialmente nell'aristocrazia, sì profonde radici da tentare, di tanto in tanto, di risorgere.

 

* * *

 

Da questo ambiente turbato e corrotto la Provvidenza suscitò la salvezza della religione con la nascita di Aurelio Agostino. Nacque egli in Tagaste, nella Numidia (l'attuale Algeria), dove ora sorge il villaggio arabo di Souk-Ahras, il 13 novembre del 354, mentre la sua cittadina natale, abbandonata la setta di Donato, era rientrata nella cattolica comunione. Suo padre, Patrizio, era pagano ; la mamma, Monica, fervente cristiana : la Chiesa l'annovera tra le Sante di Dio.

I genitori d'Agostino appartenevano ad onesta famiglia ; il padre, pur non essendo ricco, apparteneva ai Curiali, amministratori cioè dei pubblici uffici. Aveva, però, un carattere duro e violento, che esercitò a lungo l'eroica pazienza della santa, consorte. La quale, oltre ad esser una cristiana praticante, era anche virtuosissima, nè lasciò, quindi, nulla d'intentato per ridurre il marito alla mitezza e convenirlo alla religione sua. Alla fine Dio coronò i suoi sforzi di felice successo, perché, vinto dalla sua dolcezza ed umiltà ed illuminato dalla Grazia, Patrizio alla fine si convertì e fece la morte del giusto. Agostino aveva anche una sorella, Perpetua, maggiore di lui in età, che dopo una santa, vedovanza, fu preposta dal fratello, già vescovo, a capo di un monastero da lui fondato.

Un fratello più giovane, Navigio, si mantenne sempre buono, e seguì la madre nelle sue peregrinazioni dietro l'errante Agostino, ritornando finalmente in Africa, dove morì. Monica nutrì da sé il figliolo, istillandogli col latte materno un vivo amore a Gesù. Usavasi allora differire il battesimo ad età avanzata, quindi la madre, pur spiacente di non poter subito render cristiano il bambino, si affrettò nondimeno di recarlo subito alla chiesa per ascriverlo fra i catecumeni, coloro, cioè, che, prima di esser battezzati, venivano istruiti nella Fede cattolica. La cerimonia consisteva nel formare un segno di croce sulla fronte del neonato e nel porre nella sua bocca il sale benedetto. Quanto rimpianse Agostino quella ritardata partecipazione della Grazia, battesimale : come la condannò poi! La Chiesa, infatti, in seguito agli abusi sopravvenuti ed alle rimostranze di santi Padri, specialmente d'Agostino, da tempo ha ordinato di battezzare i bambini subito dopo la nascita. Le più vigili ed affettuose cure dedicò Monica alla cristiana educazione del figlio. Quasi presagendo la grandezza dell'opera cui Dio la destinava, di cooperatrice, cioè, nella conversione e nella missione del futuro Dottore della sua Chiesa, pose ogni pensiero nel rafforzare i dettami della coscienza di lui, prevedendo purtroppo vicino il momento del passaggio dalle sue cristiane lezioni ai pagani esempi del padre. Adattavasi, perciò, con celeste lume, alla puerile intelligenza del fanciullo, già sì sveglio, per fargli conoscere i grandi principi della Fede, la vera e pura luce del Vangelo, insinuando, al tempo stesso, nel suo tenero cuoricino, il disprezzo per le terrene cose. Spesso gli additava il Cielo, cercando di mettergliene in cuore un desiderio così profondo che nulla potesse soddisfarlo senza di esso.

Le lezioni di questa madre teneramente amata lasciarono tracce profonde nell'animo del figliolo. Apprese da lei l'amore infinito pel Figlio di Dio «disceso per umiltà sino alla nostra superbia» e ne rimase talmente rapito che ne custodì gelosamente nel cuore il ricordo anche in mezzo agli errori ed alle follie giovanili. Inoltre la pia genitrice, per sempre più rafforzare la coscienza di lui, studiavasi d'ispirargli da una parte l'orrore al peccato, che abbassa ed insozza il cuore umano, e dall'altra l'amore a Dio ed al prossimo, riuscendo a modellare quel cuoricino a sentimenti nobili e i puri. Quanto, fin dall'infanzia, nonostante l'incredulità del padre, fosse radicato in Agostino il sentimento di fede e di pietà, istillategli dalla santa sua madre, lo dimostrò nella prima malattia, che, sugli otto anni, lo ridusse in fin di vita. Nonostante la gravità del male, non pensa che a Dio, all'anima, all'eternità. Passato, però, il pericolo, il padre, che durante la crisi del male aveva lasciato libera la moglie di battezzarlo, s'oppose nuovamente, rimandando ad altro tempo la cerimonia. Monica, ritenendo inutile ogni insistenza, dovette cedere, tanto più che la Chiesa tollerava quell'uso.

Però divenne, d'allora in poi, se possibile, più vigile e premurosa. Riconobbe in se stessa il dovere di vegliale sempre più dappresso il figliolo, risolvette di non perderlo di vista, sacrificando a lui ogni pur lecito passatempo : ne fu l'angelo tutelare. Temendo poi che le nascenti passioni si sviluppassero più forti e gagliarde con la scusa, degli esempi paterni, senza tregua ingegnavasi di seminare nel tenero cuore di lui le più belle cristiane virtù. Agostino ricorda lo zelo materno scrivendo : M'insegnava a metter Dio sopra ogni cosa, anche al di sopra di lei e di mio padre, ad ascoltar Lui solo, ad amarlo sopra tutto.

E tale fu la Grazia che il Cielo concesse a quella madre per raggiungere il suo nobile intento, che le resistenze e le obiezioni di Patrizio erano impotenti davanti all'autorità ch'essa aveva sull'animo del figlio.

 

Primi falli e primi studi.

Agostino confessa con dolore i difetti della sua fanciullezza, scrivendo che, nonostante sì buona educazione, cominciò ad offendere Dio in un'età che, non sempre a proposito, si chiama età dell'innocenza. Rubacchiavo anche nella dispensa e dalla tavola dei miei, o tirato dalla gola, o per dare ai ragazzi, che, vaghi come me di ruzzare, pure volevano esser pagati. E nel giocare con essi m'ingegnavo di vincere con frodi, per amore di esser tenuto bravo; ciò che del resto, non avrei affatto tollerato da loro; che se li scoprivo, li maltrattavo: quando venivo scoperto, piuttosto che confessare, andavo in furie.

Aveva un'eccessiva paura dei castighi, specialmente della sferza, usuale punizione della scuola d'allora; si rivolge, perciò, ingenuamente al Signore, pregandolo : Incontrai uomini che ti pregavano, e, come potei, conobbi che Tu sei qualche cosa di grande e che puoi esaudirci. Quindi, piccolino com'ero, cominciai a pregarti, con tutto l'affetto del mio piccolo cuore, di non esser battuto nella scuola.

Umilmente racconta che, fanciullo, amava sovrastare agli altri e ch'era appassionato per le lodi. Trascinato dalla curiosità lasciavasi condurre, da persone più attempate di lui, con le quali aveva stretta relazione, ai giuochi pubblici e ai teatri. Narra ancora come, una volta, con altri fanciulli depredarono, di notte, le frutta nell'orto d'un vicino al solo fine di danneggiarlo, essendo quelle ancona acerbe : e da ciò fa rilevare il danno che procurano le cattive compagnie, perchè, pur di far mostra dinanzi ai compagni, molte volte il fanciullo fa ciò che da solo non farebbe. Agostino mette in guardia i genitori a non fidarsi troppo dell'apparente bontà dei figlioli, umili e sottomessi in casa; ma di sorvegliarli dovunque, spesso accadendo, come a lui, che lungi dallo sguardo materno, si abbandonano a trasporti che non si permetterebbero certo in famiglia.

Qual frutto, Dio mio - confessa umilmente - ho raccolto da tutte queste cose che, arrossendo, ricordo? Specialmente di quel danno recato al vicino per sola cattiveria? Da solo, certo non l'avrei fatto. Oh! amicizia cattiva, nemica d'ogni bene! Si accorre al male e si ha vergogna di non aver perduto ogni vergogna. Agostino, frattanto, cresceva. La sua precoce intelligenza destò l'ambizione paterna. Come la madre nulla tralasciava per inspirare e rassodale le virtù in Agostino, così il padre non risparmiò cure e sacrifici per coltivare le eccellenti disposizioni allo studio scorte nel figlio.

Appena guarito dalla grave infermità di cui abbiamo parlato, gli fece apprendere tutto ciò che comportava la tenera età sua. Afferma Agostino d'aver avuto, in quel tempo, grande avversione allo studio: non riusciva a comprenderne l'utilità, gli riusciva insopportabile stare a lungo seduto nella scuola, e con mille sotterfugi cercava d'ingannare i maestri, quelli che lo conducevano alla scuola e persino i genitori.

Avevo in avversione lo studio - egli scrive - e m'indispettivo d'esservi costretto ...; tuttavia devo ringraziare Dio perché me ne tornò bene. Senza quella cavezza, nulla, mai, avrei imparato. Però lo scopo di coloro che mi facevano studiare non era altro che per destinarmi un giorno alle ricchezze ed agli onori che in fondo, non sono che povertà ed obbrobrio. Tu, invece Dio mio, ti sei servito dei miei tirannelli per procurare a me grandi vantaggi.

Le sue cadute erano frequenti, talora gravi; egli stesso ce le narra nelle Confessioni, che sono la storia sincera di un'anima che fa, a Dio e agli uomini, l'umile racconto, non lo sfoggio, delle sue colpe, l'esame severo della coscienza sua. Tuttavia, egli lo riconosce, accanto al male v'era anche del bene. Tra i difetti che Agostino confessa si mostra il germe delle rare qualità del gran Santo che divenne. Si accusa del male; attribuisce il bene a Dio solo.

Conservavo, per un sentimento interiore, l'integrità de' miei sensi. Nei piccoli pensieri che si svolgevano sui piccoli oggetti, amavo la verità, nè volevo essere ingannato ; avevo buona memoria, amavo l'amicizia. Fuggivo il dolore, ma fuggivo altresì la bassezza e l'ignoranza. Quante cose degne d'ammirazione e di lode vi sono in un piccolo essere! E son tutti doni di Dio : io non me li sono dati. Sono miei, e sono me stesso. Colui che mi ha fatto è buono: Egli stesso è il mio bene, lui ringrazio con trasporto, di tutti i beni ch'io possedevo, fanciullo.

 

Alla scuola di Madaura.

Agostino frequentò dapprima la scuola di Tagaste. Il padre, però, fiero dell'ingegno del figliolo, aveva deciso, per quanto di mediocre fortuna e nonostante il dolore che la separazione avrebbe cagionato a Monica, di mandarlo a studiare nella vicina Madaura, a circa sei miglia dalla città nativa. Colà avrebbe potuto più facilmente accrescere la sua cultura dedicandosi alla grammatica, alla rettorica ed alla poesia. Aveva 14 anni. Ben presto vi si fece notare per la vivacità dell'ingegno e per la tenacia della memoria. Acquistò una piena conoscenza della lingua latina, riuscendogli ostica la greca : sua delizia furono i poeti del secolo d'oro.

Più tardi si rimprovererà infatti di aver pianto sulla morte di Didone e deplorerà l'accecamento di coloro che si curano piuttosto di parlare bene che di bene agire. Agostino, negli studi, trionfava sempre. Le lodi, il plauso dei condiscepoli e dei maestri, superate le prime noiose nozioni, l'infervoravano sempre più ad apprendere ed a farsi onore. I suoi successi lo fecero da tutti ritenere per un giovanotto di belle speranze. Queste lusinghe, queste lodi, questi onori furono la rovina della sua innocenza.

Lontano dal vigile sguardo materno e dalle persuasive, insistenti esortazioni di lei, il suo carattere divenne frivolo e dissipato. Cominciò a frequentare i teatri per vedervi rappresentate le scene dei classici che formavano la delizia dell'animo suo. Si diede, con sempre maggior passione, alla lettura dei poeti latini e, man mano, divenne sempre più sordo ai richiami della coscienza. Virgilio, con l'Eneide, formava la sua passione dominante. Lo leggeva e rileggeva tanto da saperlo quasi a memoria. Nei suoi scritti, anche più austeri, e sino alla fine della vita, cita interi brani del suo poeta prediletto. Trascinato dalla sua focosa natura s'abbandonava senza ritegno alle attrattive seducenti di quel poema, le viveva, le faceva sue ; ed il suo cuore, indifeso contro le insidie della voluttà, cedette conquiso.

E divorò altresì le opere di tutti i poeti più licenziosi : Plauto, Terenzio, Tibullo, Properzio, Catullo. Specialmente quest'ultimo lo sconvolse.

Quale non poteva essere l'effetto di quelle letture pagane in un vergine cuore? Quell'anima bella, così fiera, così forte, non ancona santificata dalla grazia battesimale, si attossicava ognor più nelle mondane licenze.

Ed Agostino, in quella tenera età, sì pericolosa, cominciò a sentirsi dominato da un incognito turbamento. Grossolani istinti - egli confessa - salivano dal bollore della mia gioventù e tanto oscuravano il mio cuore che non potevo più distinguere la luce pura di un'affezione legittima dalle immagini tenebrose d'un cuore colpevole. Così accendevasi in me il fuoco divoratore e la mia gioventù piombava nell'abisso di vergognosi peccati.

Eppure, timido e riservato qual era, ricopriva d'un fitto velo i suoi disordini e nessuno sospettava delle procelle che gli sconvolgevano il cuore.

 

Ritorno a Tagaste - Agostino pervertito.

L'intelligenza d'Agostino, già sveglia e perspicace, aveva, nei due anni di studio a Madaura, dato non dubbi segni di quel ch'egli sarebbe un giorno divenuto.

Le scuole di una città di provincia non erano, però, sufficienti alla sua brama di sapere. Il padre pensò allora di mandarlo, a Cartagine, dove il figlio avrebbe potuto trovare tutto ciò che gli abbisognasse : scuole superiori, maestri famosi, biblioteche ricchissime. Ma le sue risorse non gli permettevano, così, d'un tratto, di decidere la cosa. La vita del figlio, laggiù, sarebbe stata, costosissima. Patrizio, tuttavia, non si sgomentò e s'accinse con ardore alla riuscita del suo disegno. Agostino, frattanto, terminato l'anno scolastico, ritornò, per le vacanze del 369, a Tagaste per disporsi alla partenza per Cartagine. Dovette, invece, trattenersi quasi un anno in casa prima che fossero prese tutte le informazioni, fosse pronto il corredo e riunito il danaro necessario.

Questa dilazione riuscì fatale ad Agostino : dedicò ai piaceri tutto l'anno che passò in famiglia. Non è a dire con qual gioia Monica accogliesse il ritorno dell'amato figliolo. Povera madre!

Lo riteneva sempre innocente, e se lo riabbracciava con trasporto. Avesse almeno il traviato giovane avuto il coraggio di confidarsi a lei, di gettarsi piangente fra quelle braccia che sempre avevano consolato i suoi infantili dolori ; avesse tutto confessato! Come ne avrebbe avuto consiglio e conforto, quali saggi avvertimenti, quanti cari ricordi dell'intemerata fanciullezza non gli avrebbe essa rievocato alla mente : v'era ancora tempo a salvezza! Invece Agostino tace, nulla manifesta alla santa e savia genitrice delle sue ree passioni, rendendo in tal modo sempre più deplorevole lo stato dell'anima sua. Libero dalla tutela dei maestri, costretto all'ozio, cominciò a cedere alle tentazioni da cui era circondato, s'abbandonò ai piaceri, portandovi tutta la foga della sua passionale natura. Strinse legami d'amicizia con giovani dissoluti ; fu condotto nelle loro società perfino dal padre, solo intento nella gioia di vedere il figliolo corteggiato e stimato.

Il bollore della gioventù, la simulazione del cuore, la compagnia dei cattivi, tutto concorse ad affrettare lo scoppio delle violente passioni ed a guastare il suo cuore. Il povero Agostino in mezzo ai peccaminosi suoi diletti, era tutt'altro che felice. Un'anima bella come la sua non poteva trovare riposo in quella vita disordinata. Dai primi falli cominciò la prima tristezza, e crudelmente soffrì, cercando pace e felicità dove non poteva trovare che tormento ed amarezza. Al destarsi da una colpevole gioia inorridiva di sé, quasi sorgesse dal fondo d'un immane letamaio.

E ricordando le sue miserie esclamava :

Tu eri sempre là, o Signore, per colpirmi con la tua misericordia spandendo le più crudeli amarezze sui miei godimenti colpevoli per insegnarmi che non v'è felicità per colui che ti offende ... Tu versavi sui miei sregolati piaceri una nausea piena d'amarezza, per invitarmi in tal modo a ricercare le vere gioie, senza disgusti e senza rimorsi. Neppure la seducente libertà di cui godeva, lo rendeva felice.

Credevo - soggiunge - di esser libero e non vedevo che fabbricavo le mie catene : godevo nel secolo la libertà dei ribelli. Talora nell'abisso in cui era caduto, rivolgeva al Signore una preghiera di soccorso ; tanto però era triste lo stato suo che anche pregando temeva d'esser esaudito. Lo confessa egli stesso :

Dicevo al Signore : «Dammi castità e continenza», e soggiungevo poi fra me: «Non adesso, però!». Questo era lo stato deplorevole di Agostino dai 16 ai 17 anni d'età. Erano bastati quattro anni di disordini per distruggere tutto l'amoroso lavoro della santa sua madre! La noncuranza del padre, se non pure gli incentivi, che egli, pagano, gli forniva alla colpa, le malizie dei maestri, la lettura di libri velenosi, la frequenza di profani spettacoli, le amicizie seducenti e soprattutto la mancanza di quella grazia speciale del Battesimo non ancora conferitogli, furono le ragioni della sua spirituale rovina.

I brani che nelle sue, Confessioni riguardano quel triste periodo della sua vita, riempiono l'animo di doloroso stupore. Neppure le ammonizioni della madre facevano più breccia sul suo cuore indurito. Monica non conosceva appieno il miserevole stato in cui era caduto il figliolo, però al suo sguardo materno divinatore non poteva sfuggire il disordine avvenuto nella coscienza di lui.

Io giudicavo - dice Agostino - questi avvisi come chiacchiere di femminuccia, che avrei avuto vergogna di secondare.... Eppure, mio Dio, erano avvisi tuoi! Ed io non lo sapevo!... Credevo che tu tacessi e che fosse lei che parlasse quando tu mi parlavi per bocca sua ; ed eri tu ch'io disprezzavo in lei ; io, suo figlio, il figlio della tua serva ; io, tuo servitore!... E correvo nel precipizio con tale cecità, che quando i miei compagni mi raccontavano, me presente, le loro indegne azioni, mi vergognavo di esser meno corrotto di loro e compievo il male non solo per il piacere di commetterlo, ma altresì per menarne vanto. A tanta pervicacia si aprirono finalmente gli occhi di Monica, comprese appieno la depravazione del suo Agostino e ne fu atterrita.

Cercò, allora, d'insinuarglisi per le vie del cuore mostrandogli tutto il suo dolore e tutte le sue lacrime. E spesso, passeggiando con lui e stringendoselo amorosamente al seno, tornava a parlargli di Dio come ne' primi tempi della sua fanciullezza ; le ricordava l'avita Fede la pace serena dei cuori puri, la bruttezza del peccato, l'orrore ch'esso deve destare nell'animo nostro. Agostino, però, più non intendeva quel materno ed amoroso linguaggio ; e siccome non gli reggeva l'animo di svelarle appieno lo stato suo, e neppure voleva contristarla, così comincio a schivare la sua compagnia : l'affettuoso e pio sguardo della sua santa madre gli dava noia e pena.

E cercò distrarsi con la caccia, nella compagnia degli amici in conversazioni e divertimenti indegni di lui. Quanto amaramente Agostino pianse di poi quegli anni funesti! Come gli morse il cuore il pensiero di quelle materne lagrime versate invano!

E Monica piangeva e pregava ; aveva riposto tutta la sua fiducia in Dio che «non avrebbe permesso che perisse un figlio di tante lacrime!» . E non rimase delusa nella fiducia sua!

 

* * *

 

Finalmente tutto fu pronto alla partenza. Con l'aiuto finanziario di un ricco di Tagaste, tal Romaniano si riunì il danaro necessario per vivere in quella grande metropoli, e Agostino, ricolmo il cuore delle migliori speranze e insieme al suo mecenate ed alla madre, partì per Cartagine alla fine del 370 : aveva 17 anni.

 

Studente a Cartagine.

Divenuta l'Africa provincia romana, dopo La definitiva vittoria di Scipione Emiliano, e rasa al suolo Cartagine, questa risorse man mano a nuova vita e sotto l'Impero era già diventata una delle prime città per il lusso ; il commercio e le ricchezze, rivaleggiando con successo con Antiochia ed Alessandria d'Egitto. Vi fiorivano le belle lettere e le arti e nei suoi teatri si rappresentavano con sfarzo e maestria le più belle opere drammatiche romane e greche. I giochi del circo e le lotte dei gladiatori erano ancora in onore. Agostino rimase ammirato alla vista della grande città. Le sue larghe vie, tutte nuove, le sue ville, i suoi templi, i suoi palagi, i suoi porti, la sua popolazione cosmopolita maravigliò e rapì lo studente di Madaura, e finì per sconvolgerlo del tutto ; sul principio ne restò quasi sperduto. Nessun soggiorno poteva essere per lui più pericoloso di quello.

Quantunque abitasse presso Romaniano, questi, dedito agli affari ed ai piaceri egli stesso, non era certo in grado di sorvegliarlo. Se Cartagine era un centro di studi in cui si trovavano i maestri più abili nelle lettere e nelle scienze, era anche, e soprattutto, un centro di piaceri in cui il paganesimo, ancora latente, sfoggiava i suoi licenziosi spettacoli, nei quali il culto di Venere si mostrava con tutte le sue scene impure, dove affluivano tutte le seduzioni delle grandi città ed il vizio elegante sembrava ai giovani un titolo di gloria.

Se già, durante la sua dimora a Madaura e a Tagaste, sordo ai saggi consigli della madre, aveva cominciato,a lasciarsi trascinare da indegne passioni, giunto a Cartagine non ebbe più ritegno. L'anima sua, priva di Dio e vuota, di spirituale alimento, aspirava a qualche cosa che l'appagasse, senza trovarla. Si trovava in quell'immensa città solo, libero di se, senza nessuno che, in quella ancor tenera età, lo consigliasse e lo dirigesse. Vi si era recato senza dubbio con un grande desiderio d'aumentare il suo sapere e di farsi un nome celebre; però aveva portato con sé anche un'anima assetata d'amore. E tale pensiero talmente l'ossessionava che è la prima cosa a cui pensa quando dovrà parlare degli anni colà trascorsi :

«Amare ed essere amato» gli sembrava l'unica ragione del viver suo. Tale dissipazione, però, non gli impedì d'applicarsi con amore ed alacrità ai diletti suoi studi. Per quanto grandi fossero le seduzioni di quella metropoli Agostino ben sapeva che non v'era stato mandato per divertirsi o per esercitarsi soltanto. Di modesta condizione qual era, doveva assicurarsi l'avvenire, farsi una fortuna. La sua famiglia contava su di lui. Non ignorava la situazione punto lieta de' suoi e ben sapeva con quanti sacrifici gli avevano fornito i mezzi per terminare gli studi. Divenne perciò uno studente laborioso,

S'univa, bensì, alle allegre compagnie ed ai chiassi di cui han sempre fatto mostra gli studenti di tutti i tempi, ma non prendeva parte ai loro eccessi. I più turbolenti, per esempio, avevano formato a Cartagine una specie di banda d'indisciplinati detta I demolitori. Uno dei compiti di quest'accozzaglia di scapestrati era d'andare a far chiasso durante, le lezioni d'un professore, d'invaderne l'aula e di fracassar tutto sul loro passaggio.

Si divertivano pure a canzonare i nuovi venuti dalla provincia e, profittando della loro semplicità, complottavano per essi tiri birboni. Agostino, però, riprovava questi eccessi, nè vi prendeva parte; compreso della sua morale superiorità sopra quei turbolenti elementi, vi si accompagnava solo quanto lo comportassero. l'educazione e la buona creanza. Pensava, soprattutto a studiare.

 

* * *

 

Con la sua straordinaria facilità d'apprendere, subito emerge tra i suoi condiscepoli. Nella scuola del rètore, di cui seguiva il corso, era il capo de' suoi compagni. Primeggiava in ogni materia e poteva vantarsi d'aver imparato tutto ciò che poteva imparare dai maestri del suo tempo : rettorica, dialettica, geometria, musica, matematica. Terminato il corso degli studi aveva in animo di dedicarsi al diritto, per darsi poi, grazie alla sua arte oratoria, al foro. Era, infatti, quella la via degli onori e delle ricchezze per un giovane di talento qual egli era. Però - è costretto a confessare - anche quegli studi, che hanno nome di onesti, miravano ad educarmi nelle contese del fôro perch'io vi primeggiassi con tanta più lode quanto meglio sapessi ingarbugliare le questioni. È così vano l'uomo da menar vanto della sua stessa cecità! Ero già in rettorica il più bravo e; con gioia n'ero tronfio di orgoglio, sebbene con minor baldanza di altri - tu lo sai bene, mio Dio! - che frequentavo sfacciatamente vergognandomi di non essere come loro : andavo con essi, e qualche volta la loro amicizia mi divertiva, per quanto ne aborrissi le opere... E andavo in tal modo verso il precipizio con tale accecamento che, in mezzo ai compagni della mia età, avevo vergogna di esser meno vizioso di loro, quando li udivo vantarsi delle loro turpitudini e tanto più gloriarsene quanto più erano vergognose... E mi compiacevo di fare il male non solo per sete di godimento, ma per sete di gloria... Eppure qual cosa è più dispregevole del vizio? Ed io, per timore d'esser disprezzato, mi facevo più vizioso di quel che fossi. E quando non avevo commesso eccessi tali da eguagliare i più depravati, mi vantavo di quello che non avevo commesso; temendo di sembrare tanto più degno di disprezzo quanto più ero regolato.

 

* * *

 

Eppure Agostino, quantunque attorniato da cattivi compagni, esteriormente era corretto e rispettato da essi, che ne ammiravano il bel tratto, le doti brillanti dello spinto e tutte quelle regole esteriori che fan parte della buona civiltà. Applicato fortemente agli studi ed ingolfato totalmente in essi si salvò forse per questo da cadute più gravi e più frequenti Appariva, insomma, uno di quei giovani, di cui tanto leggermente si vantano tante madri poco cristiane, le quali, accecate dall'amore verso i figlioli, chiudono gli occhi e chiamano debolezze umane i disordini loro, liete soltanto che primeggino nelle scuole, e sieno dotati di bel modo d'esporre e di maniere gentili.

Non è quindi da stupire se, con tante perniciose occasioni, gli occulti e palesi abissi della depravazione di Agostino si facessero ogni dì più profondi ; fino a giungere a profanare con la sua leggerezza i sacri templi.

 

Adeodato.

Agostino doveva passare nove anni a Cartagine completamente dimentico della sua vera vocazione, in dispute sterili e funeste per sé e per gli altri. E per tutto quel tempo - egli esclama ricordando gli orrori della sua prima gioventù - tu tacevi, Dio mio! Dove ero io mentre ti cercavo? Tu eri a me dinanzi, ma io m'ero talmente allontanato da me stesso, che non mi ritrovavo. Tanto meno potevo ritrovar tè, Purezza infinita!

Fu senza dubbio, quello il periodo più inquieto e, in alcuni momenti, più doloroso della sua vita. Tuttavia un affetto più stabile venne a temperare, senza correggerla, quella vita disordinata.

Il pianto di Agostino penitente ci tramandò la memoria d'un colpevole legame con una persona, il quale, se una costanza di quattordici anni non ne diminuisce la colpa, ci rivela il cuore di lui e ci toglie il sospetto ch'egli non abbia più fatto ricadute di simil genere. In quel tempo - egli scrive - vivevo con una donna che non mie era unita col legittimo legame del matrimonio e che non avevo cercato che per soddisfare un desiderio vago ed irriflessivo. Tuttavia non vedevo che lei sola e le restavo fedele; ma riconoscevo già, per mia profonda esperienza, quale distanza separava l'unione coniugale, che ha per scopo di mettere al mondo dei figli, dall'unione di un illecito amore, i cui frutti nascono nostro malgrado, benché, quand'essi vengono, ci obblighino ad amarli.

Per quanto poi non avesse la forza di strapparsi a quell'esistenza, continuava, però, a sentirne tutto il vuoto, e non gustava senza turbamento i piaceri che sì avidamente aveva cercato. E amò, come poteva amar lui, con tutto il trasporto della sua natura, con tutto l'ardore del suo temperamento; con tutti i suoi sensi, con tutto il cuor suo.

Mi precipitai là - scrive - dove desideravo essere avvinghiato. Ma come in tutto giungeva agli estremi, come dandosi per intero pretendeva aver tutto in compenso, s'irritava di non esser degnamente contraccambiato : non l'era mai abbastanza.

Era amato, ma anche la certezza di questo amore, sempre troppo povero per lui, esasperava la violenza e l'ostinazione del suo desiderio. Dio mio - esclama - caddi in quel tranello dell'amore in cui avevo tanto desiderato d'essere preso. Per la tua misericordia, qual fiele sparse la tua bontà su quelle dolcezze! Appena fui amato e potei gioire in segreto di ciò che mi asserviva, mi slanciai allegro in una rete di pene in cui ero colpito dalle verghe di ferro della gelosia, del sospetto, dei timori e delle risse. Da quell'illegittimo connubio gli nacque un figliolo.

Strano contrasto di parole! Quel bambino, che lo stesso padre chiama «figlio del peccato», fu chiamato Adeodato cioè «dato da Dio»! Eppure quell'esserino, forse non desiderato, forse accolto all'annuncio con penosa sorpresa, era « un dono del cielo! » Avutolo, Agostino l'amò teneramente, nè mai se ne separò : accettò con coraggio la sua paternità ed i legami che l'univano alla donna furono rinserrati maggiormente, quell'unione prese quasi una dignità coniugale. La madre d'Adeodato giustificava essa quell'attaccamento che durò per dieci anni?

Il mistero con cui Agostino volle ascondere la donna che più aveva amato, è per noi quasi impenetrabile. Senza dubbio essa era d'umilissima condizione, ed una grande differenza doveva certo sussistere tra l'educazione dei due.

Ciò non impedì che Agostino serbasse a lungo per lei un vivissimo affetto. Nonostante il suo mutevole carattere, l'anima sua impressionabile e pronta, non l'abbandonò, e col suo consenso, che alla sua conversione. Solo allora la donna torno in Africa e si ritirò in un convento, dove visse e morì santamente. Adeodato, poi, giovane di straordinario ingegno, fu battezzato nello stesso giorno di suo padre e si consacrò al Signore.

A 18 anni circa, ricco di meriti, se ne volò al cielo.

 

Una sosta sulla cattiva via - L' "Ortensio".

Nel 371, dopo appena un anno che Agostino si trovava a Cartagine, il padre mori. Le esortazioni, l'esempio, la pazienza e le preghiere di Monica avevano, man a mano, ridotto l'animo del marito più ben disposto verso la religione cattolica. Si ignorano i particolari della sua morte, solo si sa che all'approssimarsi di essa ricevette con fervore il Battesimo, assistito dall'angelo che Dio gli aveva dato per sposa e che, a forza di dolcezza, d'affetto e di coraggiosi sacrifici, l'aveva ricondotto sulla via della virtù e restituito in morte al Creatore.

Quella morte venne a minacciare nuovamente l'avvenire d'Agostino. Come avrebbe vissuto senza gli aiuti paterni? come proseguire gli studi? Monica, però, seppe superare tutte le difficoltà : con le sue economie, il poco che n'era venuto dall'eredità di Patrizie e l'efficace aiuto di Romaniano, venne in soccorso allo studente in bisogno. E Agostino, tranquillizzato sulla sua sorte, riprese, a cuor leggero l'antica vita di studio e di dissipazione. Non sembra poi che molto si rammaricasse di quella morte ; anche nelle sue Confessioni appena vi accenna. La madre aveva avuto più ascendente sull'animo suo, per quanto lo comportava l'indomito suo vigore di 18 anni ed il trasporto che sentiva per le allegre comitive. Del resto, pur accompagnandosi agli amici, conservava, pur essendo lieto della loro società, quel ritegno che conveniva al futuro professore. Aveva insito in sè, quasi contrappeso alla sua esuberante sentimentalità, un intimo senso dell'ordine : l'anarchia, il tumulto ripugnavano alla sua nobile intelligenza.

Un'altra ragione, inoltre, lo induceva a non abbandonarsi senza ritegno alle gazzarre degli amici. Dal padre, piccolo proprietario terriero, aveva, in mancanza d'altro, eredito un profondo buon senso. Allevato all'austera e frugale disciplina della provincia, ne conservava, anche in città, le consuetudini ; le pazzie giovanili e le azzardate avventure de' suoi amici non potevano a lungo rattenerlo. E poi, le cariche cui aspirava dell'insegnamento e dell'avvocatura l'obbligavano a mantenere sin d'allora un certo decoro. Lui stesso ci dice che, anche ne' peggiori disordini, teneva a non ledere l'urbanità. La preoccupazione del suo avvenire, unita alle disillusioni, resero ben presto più saggio il giovane studente. Anche in mezzo alle sue peccaminose abitudini conservò libera la mente per lo studio e per la riflessione.

Sentiva forse il culto della sua futura missione e poneva ogni cura nel parlare con assoluta purità di lingua. Anche dopo la conversione, se condanna la letteratura profana, come avvelenatrice delle anime, difende però la bellezza del linguaggio. Alla scuola declamava deliziosamente. Tutti l'applaudivano : il maestro lo citava ad esempio. Quei trionfi gliene facevano presagire di più grandi e proficui. Perché, in fine, bisognava pur vivere : gli aiuti della madre e la generosità di Romanzano non erano inesauribili. S'ingegnava perciò a rinsanguare la smunta scarsella di studente, sia scrivendo versi per concorsi poetici che dando lezioni a compagni meno progrediti di lui. Cercò allora di calmare il bisogno d'affetto che gli tormentava il cuore con l'amicizia : e fu un amico affettuoso e fedele sino alla morte. Aveva con sé il compaesano Alipio, il futuro vescovo di Tagaste, che l'aveva seguito a Cartagine e che andrà con lui più tardi a Milano ; Nebridio, compagno non meno caro, che presto doveva morire; Onorato, che trascinò nell'errore e poi si sforzò di trarnerlo : e quell'altro compaesano il misterioso giovane di cui non ci dice il nome, di cui poi pianse amaramente la morte.

Con quale abbondanza d'affetto Agostino penitente rievocherà quell'amicizia! Ciò che più m'univa ai miei amici - scrisse - era il diletto di parlare e ridere insieme, di renderci scambievoli, affettuosi servigi, di leggere belle cose, di scherzare amichevolmente, discutere anche senza però mai bisticciarci, come si fa con se stesso, e di avere il piacere di ritrovarsi dopo ordinariamente tutti d'accodo, di istruirci a vicenda, di desiderare l'amico assente e di gustare la gioia del suo ritorno. Ci amavamo scambievolmente con tutto il cuore e tali testimonianze d'amicizia, che si rivelavano dal volto, dalla voce, d'agli occhi, in mille altri modi, erano tra di noi come pura fiamma che fondeva in una le nostre anime indissolubilmente ...

Ben si comprende come tali amicizie abbiano disgustato Agostino dai compagni schiamazzatori d'una volta. La piccola cerchia che lo dilettava, era calma e giuliva. Era, in sostanza, una vita tutta pagana, in ciò che in essa v'era di migliore, di più dolce, quella che allora conduceva Agostino. La rete sottile delle abitudini e delle occupazioni giornaliere l'avvolgeva a poco a poco. Pure a soli 19 anni, sentito parlare della grande difficoltà che presentavano all'interpretazione le Categorie d'Aristotile, da non potersi intendere se non spiegate da valentissimi professori e con pratici esempi, volle da se interpretarle. Si maravigliò di non ritrovarvi difficoltà di sorta : senza l'aiuto di alcuno, lesse tutte le opere del sommo greco : musica, geometria, aritmetica, con facilità sorprendente.

 

* * *

 

Il primo serio risveglio della coscienza provenne ad Agostino dalla pagana filosofia. Mentre rischiava d'inabissarsi in quella molle esistenza, una leva potente ne lo trasse di colpo fuori. Un puro caso, ma un caso provvidenziale, gli mise tra le mani l'Ortensio di Cicerone. L'aprì con indifferenza, come avrebbe fatto di qualunque altro libro di studio, che faceva parte del programma d'allora.

Una luce, inattesa e sovrumana, risplendette ad un tratto d'innanzi a lui. Il cuore gli battè con violenza e con ulta l'anima rilesse quelle frasi piene di un senso abbagliante e rivelatore. Una meravigliosa visione illuminava l'anima sua. Se come pretendono i filosofi antichi, anche i più grandi e i più illustri, - scriveva Cicerone - noi abbiamo, un'anima immortale e divina, conviene pensare che, quanto più essa avrà perseverato nella sua via, cioè nella ragione, nell'amore della ricerca della verità, quanto meno si sarà impigliata e insudiciata negli errori e nelle umane passioni, più le sarà facile d'innalzarsi e di risalire al Cielo.

Il cuore d'Agostino era maturo per ricevere salutare e profondo, tutto il significato di quelle sublimi parole. Esse sconvolsero infatti l'animo suo. Consacrare tutta la sua vita allo studio della sapienza, sforzarsi verso la contemplazione di Dio, vivere quaggiù d'una vita quasi divina : ecco quel che Agostino era chiamato a realizzare nel nome di Cristo : un ideale impossibile con la pagana sapienza.

Leggendo l'Ortensio d'un tratto ne aveva afferrato il programma. Quell'ideale gli sembrava così bello, così degno del sacrificio di tutto ciò che aveva amato, che nessun'altra cosa ora aveva valore, per lui. Sprezzava la rettorica ed i vani studi cui essa lo costringeva, quegli onori e quella gloria che g1i riprometteva. Tutte queste cose come potevano reggere al paragone della sapienza? Si sentiva per essa pronto a rinunciare al mondo. Tuttavia quegli eroici slanci non furono, nella natura mobile ed impressionabile d'Agostino, di lunga durata.

Non per questo riuscirono inutili, però. Una radiosa immagine che ci colpisce nella prima giovinezza, si potrà affievolire con gli anni, eclissarsi giammai ; ne rimarrà, anche in mezzo alle peggiori cadute, perenne il ricordo. Calmata l'impressione suscitatagli da quella, lettura, Agostino cominciò a riflettere. Gli antichi filosofi gli promettevano la sapienza ; ma il Cristo non la riprometteva egli pure? Era forse tra essi possibile una conciliazione? E non era forse l'ideale evangelico, in fondo più umano di quello dei filosofi pagani? Se si sforzasse dì sottomettersi, d'accordare in lui la fede dell'infanzia e le ambizioni d'allora? Esser saggio alla maniera di sua madre, de' suoi avi, delle sue buone ancelle di Tagaste, di tutte le umili anime cristiane, di cui aveva appreso ad apprezzare le virtù? e, al tempo stesso, eguagliare Platone per la forza del pensiero! Che sogno! Sarebb'egli possibile?

L'illusione fu di breve durata : comprese che mancava in quella filosofia la base con la mancanza del Nome di Cristo.

Una cosa raffreddava il mio ardore - scrive Agostino - cioè che il Nome del Cristo non v'era ; e questo Nome, per la sua misericordia, o Signore, questo Nome del tuo Figlio, mio salvatore, il mio cuore l'aveva succhiato col latte di mia madre e lo conservava profondamente; ed ogni dottrina in cui questo Nome non appariva, per quanto esposta bene, con eleganza, e per quanto verosimile fosse, non poteva impadronirsi interamente di me.

Eppure era costretto a confessare :

C'è un libro di Cicerone, l'Ortensio, con un'esortazione alla filosofia, che cambiò i miei sentimenti, cambiò, o mio Dio, le preghiere che ti indirizzavo e rese altri i miei voti e le mie brame. Non ebbi più che disprezzo per le vane speranze, desiderai con ardore incredibile l'immortalità della sapienza e cominciai a levarmi e a ritornare a Te.

E sebbene non avesse ancora il coraggio di rompere i suoi lacci, pure si diede a cercare la sapienza con amore e diletto.

Oh! - esclama - come ardevo dal desiderio di togliermi dalle cose terrene, e rivolare dalla terra a Te, mio Dio. Mi sentivo eccitato ad amare, cercare, raggiungere e strettamente abbracciare la sapienza. E l'Ortensio mi piaceva specialmente, perchè non mirava ad infatuarmi di questa o di quella setta, ma sì della sapienza medesima, ed al mio cuore, ai miei desideri, alle mie ricerche non presentava che questa sola conquista.

 

* * *

 

Il dialogo di Cicerone, però, pur non soddisfacendo la sua sete di verità, gli fece sentire tutta l'insufficienza della filosofia pagana e lo fece rivolgere per un istante verso il Cristianesimo. Ebbe l'idea perciò, di bussare alla porta della Chiesa e d'indagare se non vi fosse, almeno da quel lato, una via praticabile per lui.

Questo pensiero lo condusse a studiare le Sacre Scritture, ma non le gustò affatto. L'ammiratore della classica eloquenza, abituato alla nobiltà ed all'eleganza di Cicerone, respingeva l'ardita semplicità della, Bibbia. Per tornare a Dio e necessaria l'umiltà e la purezza del cuore, non disturbato da passioni ma tranquillo, giacché i superbi e gli impuri non son capaci di penetrare quel linguaggio divino. Lo stesso Agostino lo confessa dicendo :

Mi decisi di rivolgere il mio spirito alle Sacre Scritture per giudicare quali che fossero. Ed ecco che vi trovo quelle cose che non si svelano, che non sono senza velo nemmeno per gli umili; esse, semplici sul principio procedendo nello studio diventano sublimi pur essendo velate di mistero ... Vi rinvenni un libro impenetrabile all'orgoglioso, un libro il cui ingresso è angusto nè permette l'entrata se non curvando la testa. Purtroppo allora non ero uomo da umiliarmi per entrare! ... La mia vita peccaminosa m'ascondeva il senso di quel libro divino, che mi sembrò indegno d'esser paragonato alla maestà ciceroniana. Il mio orgoglio, lo ripeto, riprovava quella sublime semplicità. e la mia intelligenza, abituata alle roboanti frasi dei rètori, non riusciva, a scoprirne l'ascoso significato. Quel divino linguaggio è scritto soltanto per gli umili, i piccoli in ispirito; io, però, sdegnavo di farmi piccolo,e, pieno di me, mi ritenevo ben grande.

Agostino avrebbe voluto trovare nella Sacra Scrittura, più che la verità, l'eleganza del dire ; avrebbe voluto trovarvi il Nome di Cristo senza trovarvi la sua Croce ; ricevere i lumi del Vangelo a patto di non rinunciare alle abitudini ree, senza fare alcun sacrificio. Non rifletteva che la legge di Dio è un giogo soave, un peso leggero, ma non cessa perciò d'essere e un giogo ed un peso. La Grazia del Cielo farà la parte maggiore, ma anche l'uomo deve parteciparvi. Dio che ci creò senza di noi, non vuoi salvarci senza di noi!

 

Aderisce al manicheismo.

Quella lettura, arida per lui, lo disgustò ben presto e, come aveva fatto per , l'Ortensio, le volse le spalle per cercare altrove quel che potesse soddisfare l'animo suo assetato di luce.

L'orgoglio, che gli rendeva penoso il sottomettere, l'umiliare la ragione, l'intelligenza di cui andava sì fiero, lo gettò nell'eresia dei Manichei che rimproveravano precisamente al cattolicismo d'imporre la Fede.

 

* * *

 

Il manicheismo ebbe origine in Persia da uno schiavo chiamato Cubrico e che si diede i! nome di Manete, cioè consolatore. Era un miscuglio d'errori persiani, caldaici, egiziani uniti alla filosofia greca dopo le conquiste di Alessandro il Grande e quelle dei Romani. Lo schiavo lo aveva dedotto da un vecchio libro, non giunto sino a noi, avuto in dono. Il suo sistema ammetteva due dèi : del bene e del male ; due anime nell'uomo, con impulsi contrastanti all'uno o all'altro; l'irresponsabilità conseguente dei propri atti. Negavasi la necessità del battesimo, del matrimonio cristiano, del culto alle immagini e alla Vergine. Non meravigliamoci se uno spirito così retto e positivo come Agostino si sia lasciato inabissare in una dottrina così tortuosa, losca, contaminata da favole così grossolanamente assurde. Eppure egli non solo vi aderì, ma vi persistette per ben nove anni. Egli stesso però confessò poi che la sua caduta fu specialmente originata dalla sua dissoluta condotta e dal suo orgoglio. L'impurità avvilisce l'uomo, acceca l'intelletto, indurisce il cuore e gli toglie il gusto delle cose celesti. L'orgoglio e la presunzione di noi stessi ci toglie il lume della ragione e fa cadere i più nobili ingegni in abissi incalcolabili. Così avvenne a Davide che, «fatto secondo il cuore di Dio», divenne adultero ed omicida ; a Salomone che, sapientissimo, prevaricò e cadde nell'idolatria ; a Pietro, il più zelante degli Apostoli, che rinnegò per tre volte il suo diletto Maestro.

Inoltre nel manicheismo c'era da soddisfar tutte le tendenze. I capi della setta non iniziavano che a gradi i loro catecumeni : e Agostino, non fu altro che uditore in quella setta. Ciò che attirava ai Manichei gli spiriti elevati era che si spacciavano per razionalisti. Spandevano, inoltre, per ogni dove, il grido di «Verità! Verità!». E la verità era appunto quel che cercava Agostino, che si abbandonò a loro per ritrovare alla fine quella «verità» con tanto sfoggio annunciata. Vantavano la loro dottrina come scritta dal loro profeta sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. Ne mostravano in grossi volumi il contenuto, ma lungi di sottoporlo all'esame dei oro seguaci, si limitavano alla critica dei libri e dei dommi cattolici. Facevano risaltare nella Bibbia, con grande abbondanza, incoerenze, assurdità, interpolazioni, asserendo che buona parte delle Sacre Scritture era un'invenzione giudaica. Trionfavano, poi, soprattutto nel segnalare le contraddizioni nei Vangeli : li sovvertivano a forza di sillogismi.

Si comprenderà facilmente quanto questo sforzo di dialettica seducesse Agostino. Con la sua mirabile sottigliezza d'esposizione, presto divenne più forte ancora de' suoi maestri. Nelle riunioni prendeva la parola, disputava contro i testi, li confutava perentoriamente e riduceva i suoi avversari al silenzio. Veniva applaudito e ricolmo di lodi! Una religione che gli procurava tali successi non poteva esser che la vera ! Gli errori dei Manichei seducevano Agostino anche per un altro lato. Egli ancora non era arrivato a concepire la natura spirituale, che non cade sotto i sensi ed è accessibile alla ragione pura.

Ora Manichei non ammettevano altro che la materia : per essi il principio del bene come quello del male era una sostanza estesa che non differiva dal resto della materia se non ciò che essa era più sottile e più sciolta. E pretendevano di adorare sotto il nome di Dio appunto quest'essere corporeo : in tal modo l'errore che offuscava lo spirito d'Agostino trovava corrispondenza nel manicheismo. D'altra parte lo seduceva anche l'esistenza d'un principio eterno del male. Trascinato da passioni ardenti, ma turbato dagli importuni richiami della propria coscienza, avrebbe voluto potersi scusare dinanzi ai suoi occhi e persuadersi ch'egli subiva, suo malgrado, la tirannia delle sue inclinazioni, l'irresistibile influenza della natura sua. Al tempo stesso, però, gli ripugnava d'ammettere che Dio fosse l'autore del male.

Gli sembrava che la dottrina dei Manichei conciliasse tutto : essa riconosceva due dèi coesistenti da tutta l'eternità : l'uno, principio del bene, che abitava il soggiorno della luce ; l'altro, principio del male, che abitava il soggiorno delle tenebre. Il mondo era stato creato dal principio del bene, ma il principio del male aveva introdotto il disordine nell'opera dell'altro ; e d'allora tutte le creature portavano in sé il doppio marchio delle due divinità nemiche. Da ciò due anime nell'uomo, opposte l'una all'altra come i loro autori : l'anima ragionevole emanata dal buon principio e l'anima passionale dal cattivo.

Invano Manete, per accreditare la sua dottrina, dandola per cristiana, dichiarava che l'anima ragionevole può esser liberata per mezzo del Vangelo dall'impero dell'anima passionale ; era costretto, però, ad ammettere che l'uomo subisce in una certa misura le imposizioni dello spirito cattivo ; e la responsabilità del peccato cadeva in parte sul principio eterno del male. Mi persuadevo - scrive Agostino - che non siamo noi che pecchiamo, ma che una non so quale natura estranea pecca in noi. Piaceva al mio orgoglio credere ch'io non fossi colpevole, e quando avevo fatto qualche cosa di male, invece di accusarmene per ottenere da Te, mio Dio, la mia guarigione, perché avevo peccato contro di Te, mi piaceva scusarmene ed accusare non so qual altro essere ch'era in me e non era me.

Non so qual sentimento di pietà m'impediva, di credere che Dio, ch'è buono, avesse potuto creare alcuna creatura malvagia; stabilivo due sostanze opposte l'una all'altra, tutte e due infinite, ma la cattiva più strettamente, la buona più largamente. E da questa credenza avvelenata procedevano i miei peccati.

Quando, divenuto vescovo, si sforza di spiegarsi com'abbia potuto aderire al manicheismo, non trova che queste due ragioni: La prima, un'amicizia che s'è impossessata di me sotto una tal quale apparenza di bontà e che fu come una corda d'affetto gettata al mio collo ...; la seconda, i funesti successi che quasi sempre riportavo nelle discussioni.

Anche ad una terza ragione, e più poderosa, egli stesso accenna, in varie parti de' suoi scritti, come causa di quel prolungato accecamento: il manicheismo autorizzava la scostumatezza, professando che non siamo responsabili del male che avviene in noi. I nostri vizi e peccati son opera del principe del male, del dio delle tenebre nemico del Dio della luce. Ora si rifletta che Agostino, come «uditore», non era stato ancora iniziato agli osceni segreti della setta e che di essa conosceva soltanto la dialettica dottrinale in quanto critica dei Libri Santi ; inoltre aveva specialmente bisogno di scusare la sua condotta con una morale sì comoda ed indulgente : stava allora per contrarre il legame con colei che doveva esser la madre del suo Adeodato.

 

Ritorna ed apre scuola a Tagaste.

A vent'anni Agostino aveva terminato i suoi studi a Cartagine. Sappiamo che il desiderio dei parenti, i consigli dei maestri, la sua ambizione e le sue attitudini lo designavano al foro.

I suoi disegni però sull'avvenire dovevano essere profondamente modificati. Non solo rinuncia all'avvocatura, ma, mentre tutto gli sembrava sorridere, sulla soglia della giovinezza, abbandona d'improvviso Cartagine e si ritira in Tagaste per una modesta cattedra di grammatica. Agostino tace sulle ragioni che lo spinsero a questo passo.

È probabile che sua madre non potesse più aiutarlo, avendo a carico altri due figli. Non gli rimaneva, che guadagnarsi la vita e cercare di trarre profitto dal sapere acquistato. Però, scolaro di recente, non poteva, con qualche probabilità di riuscita, aprire scuola a Cartagine, affrontando la concorrenza di tanti rinomati maestri. Se voleva vivere del suo lavoro, non gli rimaneva che ridursi in una località più modesta. Venne a proposito l'invito di Romaniano che gli offriva di venire a Tagaste come precettore di suo figlio. Non altri che Agostino, legato a lui dall'amicizia e dalla riconoscenza, poteva adempire tale ufficio presso il ragazzo. Inoltre il ricco mecenate, che apprezzava il talento di Agostino, doveva esser ben lieto di trattenerlo nel paese natale, sperando di fargli avere, poi, in quel municipio, una posizione brillante. Gli propose, quindi, di aprire una scuola di grammatica, ripromettendogli allievi e l'appoggio del suo considerevole credito. Monica, senza dubbio, aggiunse le sue preghiere a quelle di Romaniano, ed Agostino cedette.

Gli costò molto, però, quel sacrificio : trattavasi di rinunciare a Cartagine ed ai suoi piaceri; al legame con la persona amata ; a tutto un insieme di care consuetudini : eppure partì e se ne stette più d'un anno lontano.

 

* * *

 

Un lato interessante di tutta la vita d'Agostino è la facilità con cui si distacca dall'ambiente in cui vive ed interrompe le sue più care abitudini. Prima d'arrestarsi alla verità cattolica, quante dottrine non ha egli esperimentato?! Ed anche dopo la sua conversione, in un'esistenza così lunga, nei suoi scritti teologici, nelle sue polemiche, quante volte non s'è corretto? Le sue Ritrattazioni ne sono la prova. Sembra che l'assuefarsi all'ambiente sia per lui una limitazione alla libertà, che l'aspetto dei luoghi in cui abita gli diventi odioso come una minaccia di servitù. Sente confusamente che la sua patria è altrove, e che, se troverà riposo, sarà soltanto nella Casa del Padre celeste.

Quale slancio d'amore e di fede è contenuto in quella sua splendida esclamazione : Ci hai creati per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in Te!

Questa mobilità d'umore fu probabilmente la vera causa della sua partenza per Tagaste. E poi lo lusingava anche il pensiero di ritornare nella sua cittadina natale col prestigio e l'autorità di maestro. Ì compagni d'una volta sarebbero stati suoi allievi!

I Manichei infatti l'avevano fanatizzato. Trasportato dal suo zelo di neofito e lusingato dai trionfi riportati nelle pubbliche riunioni di Cartagine, sperava di figurare tra i suoi compatrioti e forse anche di convenirli. Infine non era certo l'ultimo dei suoi desideri il riabbracciare la madre, per la quale, nonostante la sua vita dissipata e la sua recente passione, nutriva vivissimo affetto.

 

Il domicilio materno precluso ad Agostino.

L'accoglienza, però, che gli riserbava Monica doveva non poco sconcertarlo. La madre stava preparata per riceverlo, ansiosa d'accertarsi s'egli era diventato davvero un apostata, penando a credere che il suo caro figlio fosse stato capace di commettere sì grave delitto.

Divenuta vedova, la moglie di Patrizio aveva fatto notevoli progressi nelle vie della perfezione cristiana. La Chiesa, in quei tempi, non solo offriva alle vedove il soccorso morale de' suoi sacramenti e delle sue consolazioni, ma a quelle che facevano voto di continenza, accordava, insieme a certe prerogative, una speciale dignità. Come le vergini consacrate, esse, nelle basiliche, occupavano un posto d'onore separato con una balaustra da quello delle altre matrone. Portavano inoltre un abito speciale e dovevano condurre una vita degna, in tutte le manifestazioni esteriori, degli onori loro accordati.

L'austerità di Monica s'era accresciuta col fervore della sua fede : era d'esempio alla popolazione di Tagaste. Docile alle direttive ecclesiastiche, sollecita, nel servizio dei fratelli, larga nelle limosine per quanto glielo permetteva la sua condizione, era assidua, agli uffizi della basilica. Due volte al giorno, mattina e sera, si vedeva puntualmente all'ora della preghiera e dei sermoni. E vi si recava, dice Agostino, non per immischiarsi ai convegni e ai pettegolezzi delle donne, ma per ascoltare la parola di Dio nelle omelie e pregarlo affinché l'esaudisse nelle sue preghiere.

La santa vedova avrà senza dubbio imposto alla sua casa la stessa regola severa da lei seguita. Nell'austerità dell'ambiente materno, lo studente di Cartagine, col suo fare emancipato, dovette cagionare una penosa maraviglia.

Monica subito s'accorse che essa ed il figlio non si comprendevano più ; e cominciò a fargliene rimostranze. Agostino si ribellò ; anzi, con la presunzione, di giovane professore, fresco di studi, con la tagliente ed aggressiva sicurezza dell'eretico, si vantò altamente d'esser manicheo. La madre, profondamente ferita nella sua pietà e nel suo materno amore, gli comandò di rinunciare ai suoi errori. L'ostinato figliolo rispose con sarcasmi alle esortazioni della povera donna.

Dovette essa credere allora che la separazione tra lei ed il figliolo divenisse irreparabile, che Agostino avesse commesso un'irrimissibile colpa. Da madre cristiana, assoluta nella sua fede e preoccupata di difenderla, ebbe orrore del suo tradimento.

Forse, anche, con l'occhio divinatore delle madri, vedeva più chiaro nell'anima del figliolo, di quel che non vi scorgesse egli stesso. E s'affliggeva che si disconoscesse fino a quel punte e respingesse la Grazia che poteva conquistarlo al cattolicismo. Come? Non si contentava di perder se stesso, ma poneva in pericolo anche gli altri, discuteva, perorava con i suoi amici, abusava della sua seduttrice parola per gettare il dubbio nelle loro coscienze?! E la coraggiosa donna, la madre modello, prese una risoluzione estrema che poche madri avrebbero il coraggio di prendere. Proibì al figliolo d'assidersi al suo desco, di ricoverarsi sotto il tetto materno. Lo scacciò di casa!

Dovette essere un grave scandalo per Tagaste!

 

* * *

 

Non sembra tuttavia che Agostino sia rimasto molto afflitto del rigore materno. Nell'ubriacatura della sua falsa scienza, aveva quella specie d'inumanità che spinge gli intellettuali a fare scempio dei più profondi e dolci sentimenti per sacrificarli agli astratti idoli loro. Non solo non s'inquietò punto se la sua apostasia faceva pianger la madre, ma neppure si diede pensiero di conciliare le chimere della sua mente malata con la vivente realtà dell'anima sua. Ciò che l'imbarazzava, lo negava con disinvoltura, soddisfatto d'aver bene parlato e d'aver colto al laccio dei suoi sillogismi, gli uditori suoi.

Scacciato da Monica se n'andò tranquillamente da Romaniano. La fastosa ospitalità che vi ricevette, lo consolò ben presto dell'esilio materno. Del resto se l'amor proprio aveva sofferto un affronto, l'orgoglio di vivere nella famigliarità d'un personaggio così importante era, per un giovane vanitoso, un compenso bastevole ad appagarlo. Romaniano, infatti, destava, per il lusso e la prodigalità, l'ammirazione di tutto il paese. Proprietario di estesissimi fondi, aveva saputo crearsi nella contrada una superiorità incontrastata e permanente. Rivestito della maggiore e più redditizia delle pubbliche cariche, era il vero dominatore di Tagaste e delle città vicine. Prodigo di banchetti e di feste, teneva sempre tavola bandita ai clienti ed agli amici. Sapeva poi condursi con tanta delicata prodigalità da esser soprannominato « il più umano, il più liberale, il più raffinato, il più felice degli uomini ». Nè lesinava a se stesso ogni comodità, ogni fasto. S'era fatto costruire una villa ricca di giardini e di terme, quale appena possedevano gli antichi patrizi romani. Numerosissimi schiavi erano ai suoi ordini ed egli stesso, alla festa dei suoi decurioni, facevasi protettore non solo di Tagaste, ma, anche delle vicine contrade.

Ben si comprende come, vivendo nel lusso d'una di tali ville, Agostino abbia, senza troppo dispiacere, sopportato i rigori materni. Per trovarvisi bene non aveva che seguire la sua naturale inclinazione : l'epicureismo. In quanto all'istruzione dei suoi allievi, vi si dedicava quando poteva. Romaniano, del resto, se lo accaparrava dal mattino alla sera. Si andava a caccia, si davano banchetti, si leggevano versi, si discuteva sotto gli ombrosi viali dei giardini.

Naturalmente Agostino s'ingegnò di convertire alla sua setta anche il suo mecenate. E non era difficile impresa. Non sembra che quell'epicureo abbia mai avuto convinzioni religiose precisate. Influenzato da Agostino, s'approssimò al manicheismo ; quando questi l'abbandonò per abbracciare il platonismo, anch'egli divenne filosofo ; divenuto Agostino cattolico, anche Romaniano vi si incamminò docilmente.

Era una di quelle teste frivole che mai vanno in fondo alle cose e per le quali le idee non sono che passatempi. Gli è certo, però, che ascoltava Agostino con piacere e si lasciava influenzare da lui.

Tanto era l'attrattiva che già esercitava sugli uditori quest'oratore di vent'anni!

 

"Non è possibile perisca il figlio di tante lagrime!"

Mentre Agostino conduceva una vita pagana presso Romaniano, Monica pregava incessantemente Dio che lo strappasse da quegli errori. Cominciava a pentirsi d'averlo allontanato e, con la sua cristiana chiaroveggenza, giudicava che quella casa non era certamente adatta per far ritornare all'ovile il figliol prodigo.

Era meglio richiamarlo : presso di lei correrebbe minori pericoli. Un sogno la decise nel suo proposito.

Le pareva - racconta Agostino - di stare in piedi sopra un regolo di legno, ed ecco venirle innanzi un giovane radioso, giulivo e sorridente, mentr'essa era ricolma di tristezza. Costui, chiestole perchè tanto si macerasse ogni dì e struggesse in pianto, non per saperne il motivo, ma per consolarla, essa rispose che piangeva la mia perdizione. Allora egli le comandò di darsi pace e che guardasse e vedesse com'io fossi dov'essa era. Essa guardò e mi vide ritto sullo stesso regolo accanto a lei. Nel trasporto della sua gioia per tale celeste promessa, si recò subito dal figlio e gli raccontò il sogno, ma nascondendogli il proprio contento.

L'ascoltò seriamente Agostino, perché ben sapeva la madre incapace di mentire, ma, accecato ancora dai suoi errori, volle sofisticare sul significato del sogno dicendole :

- Giacché, secondo il tuo sogno, dobbiamo essere ambedue sullo stesso regolo, ciò significa che tu diverrai manichea.

No - rispose Monica: - no, egli non ha detto ch'io sarò dove tu sei, ma che tu sarai dove sono io!

Agostino confessa che questo squisito buon senso gli fece impressione. Tuttavia, non si convertì : ancora nove anni restò nel suo errore. E Monica, piena di speranza che Dio le avrebbe convertito il figlio, gli permise di tornare ad abitare con lei. Madre e figlio evitavano ormai di discutere su cose della Fede : essa, nella sua umiltà, temeva di non poterlo convincere, nè voleva, d'altra parte, inutilmente ferirlo; egli che, nonostante le passioni e la pertinacia nell'eresia, l'amava teneramente, non voleva darle ragione di lacrime.

Non si perdette però di coraggio Monica, e mentre raddoppiava le sue preghiere a Dio, le si presentò un'occasione per esser rassicurata. Era giunto in quei giorni a Tagaste un venerando vescovo di sua conoscenza. Si recò, quindi, da lui e, raccontatigli i traviamenti del figliolo e conoscendolo per molto esperto nelle Sacre Scritture, lo supplicò a parlare con Agostino per convincerlo, de' suoi errori. Il buon vescovo, che ben conosceva la reputazione del retore e come oratore e come dialettico, non giudicò opportuno disputare con lui. Profondo conoscitore, più dei cuori che dei libri, le rispose, scuotendo il capo, che non era ancora giunto il tempo, perché suo figlio, nuova recluta del manicheismo, aveva ancora l'indocilità e la presunzione dei neofiti. La confortò, però, col pensiero che non era possibile che uno spirito così sottile e penetrante potesse a lungo perseverare in errori così grossolani.

- Lasciatelo stare - soggiunse - ma pregate molto : vostro figlio conoscerà da per sè la vacuità, di quella dottrina.

E siccome Monica continuava a struggersi in lacrime e l'importunava che vedesse e parlasse al figlio, il sant'uomo, commosso dal suo pianto, le rispose:

Andate, andate. Lasciatelo continuare a vivere così. È impossibile perisca un figlio di tante lacrime! Filius istarum lacrymarum! È Agostino che ci riferisce queste sublimi parole!

Le lacrime di sua madre furono ritenute dal convertito figliolo un primo battesimo di rigenerazione. Dopo averlo generato secondo la carne, Monica, con il suo pianto ed i suoi gemiti al Cielo, lo generò alla vita della Grazia. Racconsolata dalla promessa del buon vescovo, la santa, madre, intensificando le preci, attese fiduciosa l'ora di Dio.

 

* * *

 

Agostino aveva un tenerissimo cuore e nutriva per gli amici un affetto fraterno. Mentr'era a Tagaste perdette un carissimo amico. Egli ce ne parla vagamente e solo ci dice che erano coetanei, avevano frequentato le stesse scuole, erano stati insieme un anno a Cartagine e ch'egli l'aveva trascinato al manicheismo. Aggiunge che nutrivano un intenso scambievole affetto. Il giovane cadde gravemente malato e, ridotto agli estremi, gli venne amministrato il Battesimo, secondo il costume. Contro ogni aspettativa guarì.

Cercai - scrive Agostino - sperando che ne riderebbe con me, di porre in burla il Battesimo che aveva ricevuto fuori di sentimento. Egli però mi riguardò inorridito, come un nemico e, con una libertà di linguaggio, sorprendente e subitanea, mi dichiarò che, se volevo restare suo amico, dovevo cessare con lui un simile linguaggio. Stupefatto e sconcertato da tale risposta, mi contenni nel cuore i sentimenti che l'agitavano, ripromettendomi d'aspettare la sua guarigione per riprendere con lui la discussione sospesa. Si rifletta in quale abisso d'umana insensibilità aveva gettato quello spirito eletto l'errore settario : l'amico carissimo si era appena riavuto da una mortale malattia ed egli si rammarica di non poter proseguire una disputa con lui come si trattasse d'un esperimento di dialettica.

Però se la sua testa - e lo confessa egli stesso- era ben guasta, il cuore restava intatto! L'amico, ricaduto, poco dopo, malato, morì lasciando ad Agostino, assente, un esempio che non poteva mancare di colpirlo : ne rimase abbattuto. Il risoluto procedere e la morte del giovane fecero tale impressione sull'animo d'Agostino che di nuovo si sentì nascere in cuore sentimenti di conversione ; era però talmente posseduto da quel senso pagano che di continuo assorbiva co' suoi studi, che non ne trasse alcun frutto. Il dolore per la perdita dell'amicò si esasperò fino allo smarrimento, quasi sino alla disperazione.

La sua buona madre cercò ogni modo, insieme agli amici di lui, di confortarlo, ma invano, perché privo di quella Fede cristiana che lenisce il dolore e ci dà la speranza della nuova vita. Pure in una natura così focosa come la sua, l'amore come il dolore si esauriscono presto. In lui la passione ed i sentimenti bruciavano come le idee.

Sopraggiunta la calma, tutto gli parve scolorito. Tagaste gli divenne insopportabile. Col suo temperamento impulsivo, la sua mobilità d'umore, concepì subito un progetto : ritornare a Cartagine ed aprirvi una scuola di rettorica. Forse la sua donna ve lo richiamava, forse stava per divenir padre. Non pose tempo in mezzo ; era sempre pronto a partire, e partì.

Forse non avvertì neppure la madre. Dovette però avvisare Romaniano, che sulle prime s'irritò, desiderando trattenerlo a Tagaste. Ma Agostino tanto seppe dire, che lo convinse : il suo avvenire, la sua ambizione, la necessità di non seppellirsi in un'oscura cittadina, erano ragioni bastevoli per giustificare la sua decisione.

E Romaniano non solo cedette, ma, come sempre, fece ancora una volta le spese di questa nuova decisione.

 

Apre scuola a Cartagine.

Agostino, giunto a Cartagine, aprì una scuola di eloquenza e vi ottenne un brillante successo. Erano attorno a lui Licenzio, figlio di Romaniano, Eulogio, Nebridio, Onorato ed Alipio di

Tagaste, che doveva succedere nel suo cuore all'amico perduto. All'insegnamento della rettorica univa un insegnamento morale. Una delle sue lezioni, in cui aveva biasimato vivamente gli insegnamenti del circo, determinò Alipio a rinunciarvi. Tuttavia Agostino frequentava sempre i Manichei. Una volta caduto nella setta, portò in essa l'ardore, la sincerità e la passione di cui era capace, che metteva in tutte le ricerche della verità e che formò insieme il suo onore e !a sua salvezza in mezzo agli errori da lui seguiti. Divenne, perciò, uno strenuo difensore del manicheismo, lo propagò tra i cristiani che aveva intorno a sé, tra i quali trionfava non solo con lor danno, ma con vera rovina sua, perché quei trionfi gli gonfiavano sempre più il cuore, trascinandolo, a ciò che torna assai pericoloso agli eretici : l'ostinazione e la pertinacia. Due cose, - egli dice - che maggiormente accalappiano l'incauta gioventù, mi consumarono negli, strani andirivieni di quel labirinto : la familiarità, che, parendomi essi buoni, strinsi ad. un tratto con loro, e le continue vittorie nelle dispute coi cristiani di limitato ingegno, che pure, come potevano, cercavano di difendere la loro Fede. E ciò spesso avvenendo, la cresta del mio giovane ingegno si drizzava e, con la sua avventatezza, mi spingevo, ignorantemente nel gran malanno della cocciutagine.

In breve, però, m'accorsi d'essermi abbattuto in uomini ebbri di superbia, carnali, ciarlieri, che avevano nella lingua, i lacci del diavolo ed un certo vischio manipolato con le sillabe del Nome tuo, o Dio mio, e di Cristo Signore, e del Santo Spirito Paraclito, consolatore nostro. Avevano sempre questi nomi in bocca, ma soltanto il suono, perché il cuore era vuoto del vero. E sì che gridavano sempre: « Verità! Verità!», e non finivano di decantarla a me; in essi, però, non ve n'era neppur l'ombra. Eppure, ciò che più meraviglia, gli è che così poco convinto com'era, convertiva al manicheismo molti suoi amici, compagni di scuola e discepoli: Alipio, uno dei suoi più cari ; Nebridio, figliolo d'un gran proprietario dei dintorni di Cartagine ; Licenzio e suo fratello, tutti vittime della sua parola, che si sforzerà più tardi di ritrarre dai loro errori.

Così potente era l'influenza che esercitava sui circostanti, così profonda soprattutto la pubblica credulità! Quel IV secolo già non era più un secolo di grande Fede cristiana ; al contrario, il paganesimo agonizzante si distingueva con una recrudescenza di bassa credulità e di superstizione credulità e superstizione ; credulità e superstizione da cui non andarono immuni i più grandi personaggi dell'epoca, dediti quasi tutti alle occulte pratiche della magia, e che toccano il loro apogeo nell'aperta restaurazione del paganesimo da parte dell'imperatore Giuliano l'Apostata.

La stessa anima bella di Agostino, ancora prova della Grazia, subì il contagio generale, non solo, ma, nonostante l'eccelsa sua superiorità intellettuale, prestò fede anche alla magia ed all'astrologia. Così Dio punisce l'orgoglio umano e permette che i più superbi geni cadano nelle superstizioni più puerili quando si allontano da Lui e non piegano l'altera fronte alla sua incerata sapienza.

E non sdegnò Agostino di ricorrere a pratiche clandestine per assicurarsi il successo in qualche sua impresa. Infatti, alla vigilia d'un concorso poetico, ricorse ad un mago per averne il responso. Gli fu proposto, per ottenere il premio, di far sacrificare un certo numero d'animali. Ripugnò il suo spirito retto quel cruento sacrificio e dichiarò che, si fosse anche trattato d'una corono d'oro immortale, proibiva di far perire neppure una mosca. L'astrologia al contrario, con la sua scientifica apparenza, lo seduceva. I seguaci di essa si chiamavano «matematici», ciò che dava l'aspetto di solidità delle scienze esatte alla loro dottrina. Se ne consultò con un medico di Cartagine, Vindiciano, uomo di grande buon senso e profondo sapere, che fu poi anche proconsole. Questi cercò invano di dissuaderlo dal prestar fede a queste profezie, puro effetto del caso ; invano s'unì a lui nello sconsigliare anche all'amico Nebridio : con ingegnose giustificazioni Agostino se ne schermiva, persistendo nelle su tendenze.

Pure le attrattive dell'astrologia non potevano nascondergli le immediate necessità della vita : la sua famigliola lo richiamava alla realtà. Quindi, per mettersi sempre in evidenza e per guadagnare, Agostino tentò un concorso per una poesia drammatica. Fu dichiarato vincitore e lo stesso Vindiciano, già proconsole, incoronò la «sua testa malata», come ironicamente confessa poi lo stesso Agostino. Questo futuro Padre della Chiesa che scrive pel teatro - e qual teatro! - è una delle minori stranezze della sua vita così agitata e, a primo aspetto, tanto contradditoria negli avvenimenti suoi.

Compose poi un trattato d'estetica : Sul bello ed il convenevole, che dedicò al siriaco Erio, «oratore della città di Roma», uno dei professori dell'insegnamento ufficiale mantenuti dal Municipio locale e dall'imperiale tesoro. Quanto desiderò Agostino anche per sé una simile nomina! Nella sua mente inquieta quasi invidiava la dottrina del rètore romano, egli il cui nome sarà poi celebre, per la sua sapienza, nei secoli!

Mirabili e misteriose vie della Provvidenza che, pur sembrando trastullarsi co' figli suoi, per mezzo di un'ascosa potente volontà, si serve dei loro difetti, degli istinti loro anche mutevoli per condurli là dov'Ella ha decretato che vadano!

Questa prima opera d'Agostino non è giunta fino a noi. Egli stesso ne parla così vagamente che non possiamo formarcene un qualsiasi giudizio. Una cosa soltanto ci consola : che il primo lavoro di quel Genio sia stato dedicato all'esaltazione del Bello.

 

* * *

 

Nuove disillusioni e più amari disgusti modificarono a poco a poco le disposizioni dell'animo suo ed i suoi progetti per l'avvenire. Dopo lunghi anni di sforzi, constatava che, purtroppo, non era avanzato di molto. La scuola rendeva ben poco. Non v'era da illudersi con vani pretesti : era evidente l'insuccesso del rètore Agostino.

Quale la causa? Gli mancavano, forse, le attitudini di professore? Non ne aveva, forse, l'indispensabile autorità? A lui convenivano scolaresche piccole ma scelte, non numerose e turbolenti. Invece le scuole di rettorica a Cartagine erano molto difficili a governarsi, essendo gli allievi più indisciplinati che altrove. Il frequente intervento dei Demolitori metteva tutto a soqquadro ed egli, che mai, da studente aveva partecipato a quei disordini, li doveva subire da professore. Ben è vero che quella era sorte comune a tanti altri professori, tuttavia una maggiore autorità non gli avrebbe nociuto agli occhi di quella indisciplinata gioventù. E poi non era un intrigante da farsi con violenza valere. Forse anche come rètore non possedeva quelle qualità che piacevano allora al pubblico pagano che attribuiva grande importanza al fisico dell'oratore. Ora Agostino, secondo un antica tradizione, era piccolo, debole e di malferma salute: aveva la voce poco forte e spesso rauca. Tutto ciò non lo poneva in buona luce dinanzi ad un uditorio abituato all'enfasi esteriore della romana eloquenza. Le sue frasi non avevano quella ricercatezza che piaceva tanto ai letterati e ai mondani.

Questo scrittore d'inesauribile fecondità non era uno stilista. Su questo riguardo è inferiore a Tertulliano e ad Origine, quantunque li sorpassasse di molto per la sincerità e la profondità del sentimento, il lirismo, il colorito, le metafore e la soavità dell'accento. Perciò i suoi scritti e le sue recite non erano molto gustate.

Tuttavia i buoni giudici l'apprezzavano al suo giusto valore. Il proconsole Vindiciano gli testimoniava un affetto veramente paterno.

Inoltre Agostino aveva ottime relazioni, che mantenne per tutta la Vita. La sua urbanità e l'eleganza delle sue maniere, gli aprivano le dimore più restìe. E appunto perché era stimato in alto, sentiva tanto più penosamente di non godere nel gran pubblico il posto che si meritava.

E il suo carattere s'inasprì. In tali disposizioni d'animo non riguardava più le cose con la stessa fiducia di prima, nè con la stessa serenità, e lo ripresero le antiche irrequietezze di spirito, l'antica nostalgia di nuovi viaggi.

 

Delusione sul manicheismo.

 

Le sue idee ne risentirono per prime e cominciò a dubitare seriamente sulla dottrina manichea. Principiò col sospettare sull'austerità, un po' teatrale, dei manichei, di cui menavano tanto vanto.

Avvenne che un giorno, in una delle piazze più frequentate di Cartagine, scorse tre Eletti nitrire al passaggio di alcune donne ed abbandonarsi a gesti talmente osceni, da superare l'impudenza della gente più grossolana. Ne rimase profondamente scandalizzato, quantunque anche egli, dal canto suo, non fosse punto virtuoso. Il peggio, però, per il suo spirito eminentemente pratico ed osservatore, era che la fisica manichea, rimpinzata di favole più o meno simboliche, gli apparve ad un tratto rovinosa. Aveva allora letto libri d'astronomia e constatò che la cosmologia dei Manichei, che si proclamavano razionalisti, trovavasi in contraddizione con la scienza.

Dal momento che il manicheismo contraddiceva alla ragiona confermata dall'esperienza, veniva infirmato sin dalla base. Agostino comunicò i suoi dubbi non solo agli amici, ma altresì ai sacerdoti della setta : questi, però, si trassero d'impiccio con scappatoie e con le più mirabolanti promesse.

Capitò frattanto a Cartagine un vescovo manicheo, certo Fausto : i correligionari lo spacciavano per uomo di scienza profonda. Nella Speranza ch'egli, certamente, risolverebbe ogni obiezione e rassoderebbe nella fede i giovani «uditori», Agostino ed i suoi amici lo attesero come un vero messia.

Quanto grande, però, fu la loro delusione! Il preteso dottore era un ignorante, che non aveva, alcuna nozione nè di scienze, nè di filosofia, e la cui tanto vantata erudizione riducevasi a poche nozioni grammaticali. Buon parlatore, poteva al più discorrere di letteratura, non d'altro.

Tale disillusione, aggiunta ai disgusti della carriera, determinarono in Agostino una crisi d'anima e di coscienza. Dunque, quella Verità, verso la quale sospirava da sì lungo tempo e che gli avevano tanto promessa, non era che un'esca?

Doveva rassegnarsi a non conoscerla? Non esisteva? A che lavorare, dunque, se la Verità gli sfuggiva? Forse lo consolerebbero le ricchezze e gli onori : ma n'era ben lontano! Sentiva bene che percorreva un insidioso cammino nel quale si sprofondava a Cartagine, come s'era sprofondato a Tagaste. Eppure, ad ogni costo, bisognava riuscire. Agostino trovatasi in uno di quei momenti di fiacchezza d'animo in cui non si spera altra via di salvezza che da un'estrema decisione. In patria e tra i suoi amici in niun altro modo potrebbe riuscire a celebrità.

I suoi nulla di nuovo potrebbero imparargli, né potevano aiutarlo nell'unica ricerca che gli stava a cuore. Lo stesso legame con la sua donna gli pesava, dopo nove anni d'intimità. Il figliolo trovatasi in un'età che, ad un giovane padre, riesce piuttosto sgradita che piacevole. Non gli reggeva l'animo di romperla affatto con la sua donna, ma sentiva un prepotente bisogno di cambiar aia, di recarsi dove potrebbe, ripreso coraggio, ritentare l'impresa. Come la divina Provvidenza, che lo aveva scelto per farne il più insigne banditore della dottrina di Cristo, strenuo difensore della sua Chiesa minacciata da mille mali, come scherzava con quel sensibilissimo cuore, come lo rendeva inquieto nella ricerca della Verità, unica e somma, come, facendo toccar con mano al suo figlio diletto l'inanità delle sue ricerche di pace all'infuori di Dio e facendolo imbattere in continue disillusioni, lo conduceva, con amore ineffabile, man mano, tra le sue braccia, convertito e credente.

 

Parte per Roma.

Gli venne allora l'idea di tentare la fortuna a Roma.

Quello era un campo ubertoso per farsi un nome. Vi troverebbe senza dubbio, migliori giudici che a Cartagine e certo riuscirebbe ad entrare nell'insegnamento ufficiale, dove godrebbe di un assegno fisso, e il presente sarebbe almeno assicurato. Probabilmente pensava a sfruttare, all'occasione, l'autorità di Erio, che colà trovavasi, quando gli dedicava da Cartagine, il suo primo lavoro. Del resto anche i suoi amici l'incoraggiavano a cercare a Roma un luogo degno di lui. Specialmente Alipio che vi terminava i suoi studi di diritto e che rimpiangeva la loro separazione, lo chiamava con insistenza ripromettendogli il successo.

Ben preso si decise. Eppure il cuore gli sanguinava : stava per abbandonare la madre, i parenti, gli amici, e poi la sua donna ed il figliolo, fino almeno a che il suo nuovo stato gli permettesse di farli venie presso di lui. Egli ci assicura che il principale motivo che lo decise a questa partenza fu che gli studenti di Roma eran ritenuti meno indisciplinati e turbolenti di quelli di Cartagine.

Era certo anche questa una buona ragione per un professore che non ama fare il tiranno co' suoi discepoli ; però ve ne furono anche altre che l'indussero a partire. L'imperatore Teodosio aveva di recente pubblicato un editto, con le pene più severe, contro i manichei. Non solo li condannava a morte, ma aveva istituito un tribunale inquisitorio con l'incarico di scovare e di perseguitare quegli eretici. Agostino si sentiva poco sicuro a Cartagine dov'era ben noto per i suoi eccessi di proselitismo. A Roma, invece dov'era sconosciuto, sarebbe meglio nascosto. Provvide ai mezzi d'esistenza di suo figlio e della sua donna, la quale, senza molta opposizione si rassegnò a quell'assenza, ch'egli le assicurava momentanea, ripromettendole, come di poi fece, di richiamarla, a sé.

La cosa non fu, però, facile con la madre. Il solo pensiero di Roma, la novella Babilonia, la spaventava.

A quali pericoli spirituali non andava incontro il suo Agostino? Avrebbe voluto custodirselo presso di sé per ricondurlo più facilmente alla Fede, ed anche perché l'amore verso di lui era stato il principale affetto umano del cuor suo. E non l'abbandonò più, e abbracciandolo lo scongiurava, in un profluvio di lacrime, di non abbandonarla.

Per mettere in esecuzione il suo progetto, Agostino dovette ricorrere all'inganno. Le nascose l'ora della partenza, ma l'istinto materno sventò l'astuzia del figlio, che sorprese mentre stava per imbarcarsi.

Allora Agostino l'assicurò che andava soltanto ad accompagnare un amico e che, del resto, il battello, non sarebbe partito prima dell'alba : poteva accertarsene osservando che nessun preparativo facevasi per la partenza. Ed era vero ; soltanto, però, ogni cosa era pronta e solo aspettavasi il levarsi della brezza notturna per metter le vele. A breve distanza dalla spiaggia sorgeva una cappella o memoria dedicata a san Cipriano, il glorioso martire patrono di Cartagine. Come la maggior parte dei santuari africani di quei tempi e del marabutti d'oggi, doveva essere circondata o preceduta da una corte o da un porticato, dove si poteva riposare. Agostino, assicurandola che il battello non partirebbe che all'alba, le consigliò d'andarvi a passare la notte, visto che pel gran caldo e per l'umidità - s'era in agosto - stanca per la fatica del viaggio che aveva dovuto fare per sorprendere il figlio partente, essa stava per venir meno.

A mala voglia la povera madre acconsentì : il materno istinto le agitava il cuore quasi presagio d'una sciagura. Mirò suo figlio, quasi volesse leggergli nell'animo, e s'avvio. E s'avviò, e giunse alla cappelletta a notte già alta : altri poveri viaggiatori s'erano rifugiai, in quella serata soffocante, sotto il piccolo portico, cercando un po' di refrigerio presso la casa di Dio. E là, rincantucciata in un angolo, prega pel figlio suo, offrendo a Dio il «sangue del suo cuore» e supplicando si conservarlo al suo amore.

Pregò a lungo ; alla fine, stanca di emozioni, s'addormentò. Avrebbe mai pensato, l'umile custode di quella cappellata che aveva dato ricovero alla madre d'uno dei più grandi Dottori della Chiesa, alla progenitrice di un'innumerevole casta d'anime sante, ad un'umile donna che, dormente sulla soglia del tempio, portava nel cuore tutta la tenerezza, delle madri future?

 

* * *

 

Quella notte stessa - narra Agostino - m'imbarcai nascostamente, ed essa rimase a pregare e a piangere. Che cosa ti chiedeva, o mio Dio, con tante lacrime? certo di non permettere il mio viaggio. Ma tu, nel profondo de' tuoi disegni, esaudendo ciò ch'era il fondo de' suoi desideri, non hai tenuto conto, di quello che domandava in quel giorno, per fare in me ciò ch'essa chiedeva ogni giorno. Il vento si levò, gonfiò le nostre vele e ci fece perdere di vista la riva. E su quella riva, la mattina, folle di dolore, mia madre ti faceva udire i suoi lamenti ed i suoi pianti, che Tu non udivi, permettendo che le passioni mi trascinassero, per arrestare poi, a tuo piacimento, la mia rovina.

Mentr'ella, dunque, dormiva, Agostino, furtivamente, montò sul battello. Il profondo silenzio della notte stellata gli opprimeva l'animo d'un profondo sgomento. Cartagine riluceva lontano con la miriade delle sue case.

Lo spettacolo era superbo. Il cuore d'Agostino, però, era muto ad ogni gentil sentimento e, pieno di rimorsi e di foschi presagi ed ancona piagato dalla crudele menzogna commessa allora, già si figurava la disperazione della madre al suo doloroso risveglio. Gli amici si sforzavano invano di ricrearlo, esortandolo al coraggio e alla speranza.

L'amico Marciano, abbracciandolo, gli ripeté il verso di Terenzio : «Questo giorno, che ti porta una nuova vita, richiede da tè un uomo nuovo». Agostino sorrise tristemente.

Andava incontro all'ignoto ; pure era fiducioso e, scomparso il primo momento di timore, sentì rinascersi in cuore la forza e la speranza. Partiva ancora avvinto dall'eresia : Dio avrebbe disposto che ritornasse alla sua Africa apostolo e conquistatore d'anime.

 

* * *

 

Nell'agosto del 383 giunse a Roma ed andò ad abitare da un confratello manicheo, «uditore» della setta come lui, nella strada che ancor oggi chiamasi Via della Greca, nella regione del Velabro e presso la chiesa di santa Maria in Cosmedin; quartiere povero, frequentato di preferenza da immigrati greci, siriaci, armeni, egiziani. Era sulla cattedra di Pietro il papa san Damaso. Appena giunto cadde malato. La malaria, infestava, in quel tempo, la città e Agostino fu colto da una forte febbre che pose in serio pericolo la sua vita. L'amico manicheo l'assistette con caritatevole affetto.

Monica, ignara del male, pregava sempre pel figlio suo e Dio l'esaudì, restituendogli in breve la sanità. Eppure egli si rendeva sempre più indegno della divina misericordia, perché, quantunque nella malattia che ebbe bambino si fosse affrettato a domandare il Battesimo, ora, fatto adulto e di nuovo gravemente malato, neppur vi pensò. Appena, convalescente dovette porsi in giro per reclutare allievi.

Questo suo tirocinio, unito all'aspetto della città in quella stagione, gli resero Roma poco gradita. Forse rimaneva in fondo al suo cuore un po' dell'antica rivalità cartaginese. La maestosità degli antichi monumenti pagani ancora intatti e la profusione d'oro dovunque, disgustava il delicato animo suo, specialmente riflettendo che tutte quelle ricchezze erano frutto di popoli vinti, come il suo.

Inoltre il suo stato di straniero, e africano, non lo poneva in buona luce: il suo orgoglio, abituato ai facili trionfi ed alle adulazioni di Cartagine, n'ebbe a soffrire e ne fu profondamente sdegnato.

 

* * *

 

Il nuovo professore era, finalmente, riuscito a riunire un certo numero d'allievi, che adunava in casa. Era, in tal modo, in condizione di vivere a Roma, quantunque non potesse ancora permettersi di far venire da Cartagine ]a sua donna ed il suo figliolo. Utilissimo gli si rese, in quel tempo, l'aiuto del suo ospite e di altri affiliati alla setta. Ridotti, dopo l'editto di Teodosio ; a nascondere le loro credenze, i manichei, numerosi, formavano una chiesa occulta ed avevano relazioni in tutte le classi della società romana.

Forse Agostino fu creduto uno scacciato dalla persecuzione africana ; e i confratelli si fecero un dovere di compensare in qualche modo un perseguitato per la buona causa. Chi l'aiutò maggiormente a farsi conoscere e reclutare allievi fu l'amico manicheo Alipio, «il fratello del cuore» il quale, come s'è detto, era da tempo venuto a studiare diritto in quella capitale. Alipio aveva fatto a Roma una splendida carriera : era diventato assessore generale del Tesoro. Poteva quindi aiutare Agostino e lo fece con generosità. Il suo carattere onesto e pratico serviva di correttivo a quello bollente del compagno.

Le occupazioni d'entrambi, però, non permettevano loro di star molto insieme, e anche i gusti d'Agostino erano molto differenti dalle caste abitudini di Alipio. Per quanto assorbiti nelle rispettive funzioni, i due africani non cessavano di dedicarsi a discussioni d'ordine spirituale. Quale non fu la meraviglia dell'amico nel sentire che Agostino era molto disgustato della dottrina manichea! Gli confidò le disillusioni sofferte per la condotta dei confratelli in Africa, le inutili dispute con Fausto e il risultato dei suoi studi sull'astronomia e le aritmetiche che gli aveva dimostrato tutta la falsità dei sistemi manichei. Inoltre i due amici non potevano non rilevare come, sotto un apparente austerità, nascondevasi la più profonda corruzione.

Gli eletti, coloro cioè che formavano la casta privilegiata della setta, mentre ostentavano la più rigida severità, abbandonavansi in segreto ad orgie oscene ed a crapule innominabili. Il famoso Fausto, di Cartagine, conduceva una vita sibaritica : un altro vescovo, che già, appena visto, aveva suscitato il disgusto d'Agostino, era accusato nientemeno d'aver sottratto la cassaforte della comunità. Tuttavia, nonostante queste disillusioni, non abbandonava la setta. Ai suoi costumi ancora corrotti era una grande comodità la distinzione manichea dei due principi del bene e del male e dell'irresponsabilità nelle nostre azioni. Agostino, che continuava a peccare, continuava altresì a trovarsi molto bene in quella morale elastica ed accomodante. Non era poi di quei caratteri che la rompono bruscamente con ciò che ritengono errore. Sapeva per esperienza quanto è facile ingannarsi e lo diceva, poi, sempre, con carità a coloro che desiderava convincere.

Non gli conveniva, inoltre, romperla con i manichei per ragioni pratiche e sentimentali. L'avevano assistito efficacemente al suo arrivo a Roma, l'avevano istradato, aiutato in ogni modo. Riteneva, infine, ben utile l'opera loro fra breve, come vedremo. Agostino non era, come Alipio, uno spirito pratico, ma, non ostante l'impetuosità e la foga, del suo carattere, aveva tatto e una certa arrendevolezza che gli permetteva di togliersi d'impaccio, senza attriti, nelle circostanze più imbarazzanti. Per un'istintiva prudenza persistette quindi nella, sua indecisione.

A poco a poco, egli che, una volta, s'era dedicato con ardore alla ricerca della Verità, cadde nello scetticismo. Persuaso che la Chiesa non la possedesse e che neppure la dottrina di Manete fosse la vera, finì per dubitare di tutto, cercando di persuadere se stesso che la ricerca del Vero è una chimera. S'ascrisse allora alla Scuola degli Accademici, i quali facevano professione di non credere niente.

Ma, nonostante che si sforzasse di convincersi della sua nuova dottrina, nonostante i passatempi e le distrazioni che gli offriva la popolosa città, nonostante l'applicazione allo studio e gli onori che la sua erudizione procuravagli, non riusciva a calmare le aspirazioni segrete del suo cuore, che sentivasi sempre più vuoto ed afflitto. . . Alle angustie di tale stato d'animo infelice si aggiunsero altri dispiaceri.

Dedicatosi alla scuola s'accorse come, nonostante le lodi che gli erano prodigate, pochi discepoli aveva radunato attorno alla sua cattedra. Da questi, inoltre, poco studiosi, era trattato in modo che non si aspettava e che feriva profondamente il suo amor proprio. M'accorsi pure - scrive - che in Roma v'erano certe usante sconosciute a Cartagine. La scolaresca è meno scapestrata, ma ha la pessima abitudine di frodare il maestro del suo salario : anzi si fa addirittura propaganda a questo scopo. Agostino, quindi, fu ben presto vittima di quelli scrocconi : perdeva tempo e danaro.

S'accorse che anche a Roma, come a Cartagine, non riusciva a vivere con la sua professione. Che fare? Tornarsene in patria?

Non sapeva a qual partito appigliarsi quando gli si offerse una fortunata combinazione. Il municipio di Milano bandì un pubblico concorso ad una cattedra di rettorica. Da lungo tempo s'augurava d'entrare nell'insegnamento pubblico. Oltre i vantaggi che offriva un onorario fisso pagato dallo Stato, non avrebbe più avuto l'incresciosa necessita di reclutare gli scolari, ne correrebbe più il pericolo della loro malafede ed impertinenza. La pubblica nomina gli conferiva maggior autorità, stima e fortuna. Aggiungasi, inoltre, che Milano era allora una nuova capitale dell'Impero Romano.

Si fece quindi subito iscrivere tra i candidati. Però, siccome il solo merito non bastava per riuscire, bisognava cercare appoggi. I suoi amici manichei se ne incaricarono, raccomandandolo caldamente al prefetto della città, Simmaco, che probabilmente presiedeva al concorso. Simmaco, pagano, che era stato proconsole a Cartagine, proteggeva gli africani ; inoltre i manichei gli avevano rappresentato il candidato non solo come un giovane di raro valore, ma ostile al cattolicismo. Il prefetto, che era allora, entrato in aperta lotta col cattolicismo, accolse con favore la raccomandazione e propose ad Agostino un argomento da svolgere in pubblico : essendo questi splendidamente riuscito, venne nominato titolare della cattedra.

In tal modo, un insieme di provvidenziali circostanze, indipendenti affatto dalla sua volontà, portavano Agostino a Milano ed anche molto più lungi, dove non voleva andare, ma dove le preghiere di Monica lo chiamavano incessantemente : «Là dove sarò io, sarai tu pure». Abbandonando Roma neppur lo sospettava. Era lieto perché finalmente aveva raggiunto la materiale indipendenza ed era diventato un importante funzionario pubblico.

E n'ebbe ben presto una lusinghiera conferma : attraversò l'Italia a spese del municipio di Milano e con equipaggi imperiali.

 

La cattedra di Milano -- Agostino ed Ambrogio.

Giunse a Milano nel 384 e v'insegnò per due anni rettorica. Si ammirava la sua eloquenza e si ricorreva a lui nelle solenni occasioni e quando si doveva pronunciare il panegirico dell'Imperatore o di qualche gran personaggio.

In quei giorni era già per tutto il mondo divulgata la fama della probità, del sapere e dell'eloquenza del vescovo Ambrogio. Apparteneva ad un'illustre famiglia, suo padre era stato prefetto del Pretorio nelle Gallie ed egli stesso, col titolo di consolare, aveva governato l'Emilia e la Liguria. Non volle mancare Agostino di compiere prima di tutto il suo dovere d'urbanità e gli andò a far visita.

Giunto a Milano - così scrive - andai a vedere il vescovo Ambrogio, conosciuto come una delle più grandi anime del mondo e fervoroso tuo servitore, o mio Dio. Ero cieco e la tua mano mi conduceva a lui perché mi aprisse gli occhi e mi conducesse a te. Quel personaggio venerando m'accolse come un padre, ed ebbe la bontà di dirmi, con una bontà degna d'un vescovo, che il mio arrivo a Milano lo colmava di gioia. Recavasi, dunque, ogni domenica, ad ascoltare la spiegazione della Sacra Scrittura, che il vescovo faceva con semplice dignità, evitando le dispute, e con certe ingegnose allegorie esplicative dei passi più oscuri dei Libri Santi.

L'aspettavo volentieri, - scrive Agostino - non però con l'intenzione di convincermi, ma soltanto per assicurarmi se la sua eloquenza corrispondesse alla sua reputazione. Stavo per ore intere ad ascoltarlo, ma non badavo che alla forma, disprezzando la sostanza... Pure, siccome le cose non si possono separare dalle parole, non potevo impedire che le une entrassero con le altre nell'animo mio. E quando mettevo tutta la mia attenzione per ben rilevare l'eloquenza de' suoi discorsi, ero, al tempo stesso, costretto a riconoscerne la forza e la verità: però ciò avvenne a poco a poco e per gradi.

 

* * *

 

Intanto Monica, nel 385, non potendo più sopportare la lontananza del figlio, decise di raggiungerlo. Arrivata a Roma, dopo un periglioso viaggio per mare, non lo trovò più : si diresse allora a Milano ed ebbe la gioia di riabbracciare il diletto Agostino. Ritenendo di farle cosa gradita, disse che ormai non era più manicheo. La madre, però, punto stupita dall'annuncio, perché sempre aveva, ritenuto impossibile la sua persistenza in quell'errore, gli rispose che, prima di morire, desiderava ardentemente di vederlo entrare nella Chiesa cattolica.

Tentennò il capo il figliolo, perché, disperando ormai di trovare la Verità, era deciso di non preoccuparsi di questioni dottrinali. Monica pensò allora di presentarsi ad Ambrogio. Si recò infatti dal santo vescovo e lo supplicò ad insistere presso il suo Agostino per ravvederlo.

Commosso la ricevette Ambrogio e rassicurò che, con la grazia di Dio, sperava riuscire nell'intento.

 

* * *

 

Frattanto Agostino, nonostante i suoi successi letterari, sentivasi sempre più assetato della Verità. Ebbe allora il pensiero di cercarla nella filosofia di Platone. Un professore di retorica celebre a Roma, Vittorino, aveva allora terminato di tradurre in latino le opere di quel Grande, ed Agostino le lesse avidamente, sentendosi a poco a poco dissipare gli errori con cui il manicheismo aveva ottenebrato la sua intelligenza.

Platone m'ha fatto conoscere Dio - scrisse Agostino; - Gesù Cristo me ne ha mostrato la strada. La sapienza divina era penetrata nell'anima d'Agostino : sant'Ambrogio la fecondò.

Quel che più colpì il nostro Santo fu il modo con cui il vescovo di Milano spiegava al popolo i passi delle Scritture.

 

Sulla via della conversione.

Alle parole d'Ambrogio sentiva Agostino sollevarsi alquanto l'animo. Egli ogni d' più si stupiva di conoscere coma la Chiesa Cattolica, in cui nell'infanzia aveva imparato a conoscere il nome di Gesù, nulla aveva di ridicolo nella sua Fede.

Quei passi delle Sacre Scritture che prima gli era sembrato avessero dell'assurdo, gli parevano adesso spiegabili in senso ragionevole ed anche bello e sublime. Alcuni dommi de' quali aveva riso o che lo avevano indignato, non erano da esse insegnati.

Dall'ascoltare spesso sant'Ambrogio fu spinto ad esaminare il modo con cui i cattolici cercano la Verità e ne rimase stupito. Conobbe che i cattolici professano bensì la sottomissione dell'intelligenza alla Fede, ma non pretendono che si creda con sottomissione ciò che la limitata ragione umana, evidentemente, non può arrivare a comprendere. Conoscono essi che molte cose sono assolutamente incomprensibili allo spirito umano, e quindi s'inchinano con rispetto, confessando i limiti della ragione e dell'intelligenza nei miseri della Fede. Un tal procedere gli parve più umile, modesto e sincero che non quello degli eretici.

E gli parve non solo il migliore, ma, sebbene non si sentisse ancora inclinato a seguirlo, pur ne scorgea la verità e l'armonia.

Cominciavo - scrive - ad osservare, com'io credevo, cose che non avevo mai viste, o avvenute gran tempo prima di me; per esempio tanti fatti che avevo letto nella storia, tante città dov'io non ero mai andato, tante azioni che mi furono raccontate da' miei amici, da medici, da molti altri, cose che bisogna ammettere sotto pena di rompere tutte le relazioni della vita. Io son figlio di Patrizio e di Monica; fermamente lo credo:, eppure che ne posso io sapere, se non ho fede nella testimonianza altrui?

Se quindi, nessuna, vita è possibile, sia dei sensi, dell'intelletto del cuore, della società, senza la Fede, cioè senza l'abbandono in una parola creduta a fiducia, ripugnerà se si dice lo stesso quando si parla di cose di religione? Se ogni bambino che nasce, impara dai genitori, dai maestri, dalla patria, dal suo secolo, perché mai non imparerebbe dal suo Dio?

Supposto - scrive Agostino - che Dio abbia parlato all'uomo come realmente parlò, prima per bocca dei Profeti e poi per mezzo del suo Figliolo Gesù Cristo; qual carattere, dovrà avere la sua Paola? Un carattere, certamente, affatto distinto da quello che ha la parola umana. L'uomo è piccolo e limitato, dal tempio e dallo spazio : tal'è la sua parola. Invece Dio è infinito ed eterno, abbraccia tutti i tempi, tutti i luoghi e tutte le anime : tale dovrà essere la sua parola.

Restò quindi persuaso che non son degni di riprensione coloro che credono ai misteri e ai Libri Sacri, la cui Fede aveva Dio, in quasi tutte le nazioni, con tanta autorità stabilito, ma bensì quelli che ricusavano di credervi. La ferma credenza che aveva sempre avuto nell'esistenza di un solo Dio che si prende cura delle umane cose, unita al sentimento della propria debolezza nel trovare per mezzo della ragione la verità, aveva cominciato a fargli comprendere che il medesimo Iddio non avrebbe mai dato a quei sacri Libri, per tutto il mondo, tanta autorità, se non avesse voluto nei medesimi rispettata la sua dottrina, e che, sotto la loro scorta, andassimo in cerca di Lui.

Si rallegrò quando intese che i fedeli non prendevano nel senso materiale quello che è scritto nella Genesi, esser cioè, l'uomo stato creato e plasmato dalle mani di Dio, e si compiaceva di sentire Ambrogio inculcare spesso ne' suoi sermoni e raccomandare al suo popolo come una regola di somma importanza, la massima di san Paolo sulla lettura della Bibbia : La lettera uccide, ma lo spirito dà la vita. E con questo criterio cominciò a leggere il Vecchio Testamento ed i Profeti con disposizione d'animo diversa da quella usata nel passato, quando s'immaginava che quei santi uomini avessero attribuito alla divina Sostanza i lineamenti dell'uman corpo e tutte le umane passioni.

Quale fu la sua meraviglia a quella lettura, ritrovandovi nulla di somigliante alle cose conosciute fin allora da lui, che pur tanti libri avea letto ; una parola antica come il mondo, universale come lo spazio, una come la verità immutabile ed indistruttibile, sebbene spesso assalita, d'una fecondità meravigliosa, d'una morale beltà che innamora, degna insomma di quell'eterno intelletto che l'ha rivelata: Iddio. Quello che finiva per farmi meravigliare - diceva Agostino - e mi rendeva quella parola al tutto venerabile e degna di fede, si fu ch'ella per alcuni è semplice per esser proporzionata alla mia modesta intelligenza, e per altri serba, sotto la lettera i più sublimi segreti. Accessibile a tutti per la chiarezza dell'espressione e l'umiltà dello stile, esercita ed appaga l'intelletto di quelli che hanno ingegno più fecondo e più penetrante la vista. E se nel vasto suo seno tutti gli uomini accoglie ed unisce con l'umile semplicità del suo linguaggio, non per questo lascia di sollevare alla più alta luce i più potenti intelletti.

Agostino intanto vedeva la Chiesa cattolica, nel suo mirabile disegno abbracciare tutti i tempi, tutti i luoghi e tutte le anime, a differenza delle sette, che furono e sono sempre locali e ristrette come la mente umana che le ha concepite, tutte poi incapaci di estendersi a tutti i tempi, a tutti i luoghi ed a tutti gli uomini.

 

* * *

 

Chi avrebbe mai detto che mentre tali verità deliziavano la mente d'Agostino, non bastassero a convenire il suo cuore a Dio? Non bastavano perché era ne' disegni del Cielo che egli prima di ritrovare la pace, si distaccasse da ogni legame carnale terreno. Monica ed Alipio lo convinsero che non era dignitoso per una persona della sua qualità convivere in concubinaggio : piuttosto pensasse ad ammogliarsi.

La madre ebbe senza dubbio una parte preponderante nella soluzione di questa difficoltà. Trovò anzitutto pel suo Agostino una giovane di buona famiglia e con dote sufficiente per non essergli a carico; poi fece comprendere all'altra la necessità del distacco.

Qual dramma domestico si svolse allora tra Agostino la sua donna e Monica? Egli ha taciuto in proposito, per ben comprensibile pudore ; solo nelle sue Confessioni accenna con questa frase rovente a quel doloroso distacco : Quando si strappò da' miei fianchi, sotto pretesto che impediva il mio matrimonio, quella con la quale avevo convissuto intimamente per sì lunghi anni, il mio cuore si spezzò perché strappato all'altro al quale era strettamente congiunto.

La madre d'Adeodato, con una nobiltà d'animo che stupì Monica ed Agostino, si rassegnò al sacrificio ; lasciò il frutto del suo amore al padre e con lo strazio nel cuore si ritirò in Africa, al suo paese, ove, come testimonianza della sua fedeltà, si chiuse in un chiostro e vi terminò santamente la vita. Si doveva però aspettare un paio d'anni perché la nuova sposa, troppo giovane, s'unisse ad Agostino. Dio, però, che serbava tutto per sé il suo Servo, permise quell'abbandono e questa dilazione per rompere ogni legame.

Agostino, dedito ormai alla causa della Chiesa, mai s'unirà in nozze terrene : sarà il Pastore di Cristo, che, in modo mirabile, dopo tanta colpa, predicherà ad uno stuolo infinito d'anime la castità.

 

Agostino e Simpliciano.

Spronato dalla coscienza, incalzato dalla madre, risolvette di andar a consultare un pio sacerdote, Simpliciano, padre spirituale di sant'Ambrogio, cui successe nel vescovado di Milano. Già da tempo il santo tenor di vita di lui l'aveva colpito.

Il buon vecchio l'accolse con dolce sorriso, ascoltò la narrazione dei suoi lunghi traviamenti e poi dei suoi tentativi per rientrare nel sentiero, della Verità. Quando poi venne a sapere che aveva letto alcuni libri di Platone nella traduzione di Vittorino, si congratulò con lui, perché, lasciati i libri, che corrompono il cuore, studiava le opere di Platone, che sollevano il cuore e la mente. Simpliciano s'avvide ben presto che se Agostino non si convertiva ancona dopo tante peripezie, era solo per debolezza, perché mancava di coraggio, e trovò una buona via per insinuarglielo.

Agostino lodava Vittorino come un grand'uomo perché seppe interpretare e maestrevolmente tradurre i sentimenti del grande filosofo greco. E Simpliciano, che a Roma aveva conosciuto e trattato famigliarmente con Vittorino, il quale poi erasi convertito e morto da buon cristiano, prese quest'occasione per parlargli di lui e quasi insegnargli con ciò la via del coraggio.

Agostino, ancorché pieno di desiderio di imitare Vittorino, ancora non si decise a convertirsi alla Verità.

 

* * *

 

La crisi decisiva, però, s'approssimava, Agostino viveva in Milano con la madre, il figlio ed un certo numero d'amici, fra cui Licenzio, figli di Romanzano, Nebridio ed Alipio, che non avevano voluto separarsi da lui. Un giorno venne a fargli visita un certo Pontiniano, nativo anch'egli d'Africa, che, quantunque cristiano, era pure uomo di mondo e di Corte.

Entrato e vedute dinnanzi a lui, su d'una tavola, le Epistole si San Paolo, si felicitò con Agostino di vedere com'egli si compiacesse in quella lettura. Prolungandosi il colloquio si mise a parlare d'Antonio, il solitario della Tebaide, conosciuto e venerato da tutti i cristiani, meravigliandosi che il suo nome non fosse giunto fino ad essi.

Continuando il suo discorso, egli c'intrattenne su quella moltitudine di monasteri, su quelle esistenze imbalsamate dal vostro profumo, Dio mio, su quella mirabile fecondità dei deserti che noi ignoriamo. Egli narrò inoltre come due signori della Corte, essendo per caso entrati in una capanna abitata da un umile servo di Dio ed avendo trovato la Vita di Sant'Antonio, abate, l'avevano letta, erano stati subitamente illuminati dalla Grazia, e si erano convertiti, abbandonando titoli e dignità per camminare sulle orme del santo anacoreta, seguendolo nell'eremo. Ed erano due fidanzati!

Mentre Pontiniano parlava, o Signore, tu m'obbligavi a rivolgermi verso di me, impedendomi di nascondermi dietro me stesso per non vedermi, e mi riconducevi in faccia a me, così che io vedessi fino a qual punto io ero infame, deforme, spaventevole, macchiato, coperto di piaghe. Mi vedevo, mi sentivo inorridire e non sapevo fuggire; e quando cercavo di stornare il mio sguardo da me, egli proseguiva il suo racconto, e tu rimettevi la mia immagine dinnanzi a ai miei occhi, affinchè conoscessi e detestassi la mia iniquità. Oh! La conoscevo bene, ma cercavo di dissimularmela, di distoglierne gli sguardi e di dimenticarla ...

 

Conversione.

Partito Ponticiano, Agostino, turbato e commosso gridò ad un tratto volgendosi allo stupito Alipio :

Dove siamo? Che abbiamo mai udito? Gli ignoranti si levano e rapiscono il Cielo! E noi, senza cuore, con tutta la nostra scienza, ci trasciniamo nella carne e nel sangue! E se ne andarono a sede in un giardinetto attiguo alla casa. Alipio, silenzioso, rispettando il turbamento dell'amico suo, Agostino battendosi il petto, con l'anima travagliata da una lotta violenta, in preda ad un'angoscia, crudele.

Non potendo più padroneggiare la sua commozione, s'allontanò d'alcuni passi e inginocchiato a piè d'un albero, pianse amaramente. Ad un tratto udì come una voce infantile, che pareva venire da una casa vicina, e che ripeteva cantando: Tolle et lege! Tolle et lege : « Prendi e leggi! Prendi e leggi!» Si domandò sul principio se non fosse un ritornello d'un gioco infantile ; non ne ricordava però alcuno di tal genere.

Si ricordò allora che sant'Antonio, da un versetto del Vangelo udito entrando in una chiesa, aveva deciso la sua vocazione di consacrarsi a Dio, e scorse anch'egli in quelle infantili parole un avvertimento del Cielo. S'alzò, tornò dove aveva lasciato Alipio, gli narrò il fatto : entrarono poi in casa e presero le Epistole di san Paolo ; apertele a caso, Agostino lesse queste parole: Non vivete nelle crapule, nelle ubriachezze, non nelle sozzure ed impudicizie, non nelle discordie ed invidie, ma rivestitevi del Signor Gesù Cristo, e non cercate di contentare la vostra carne secondo i desideri della vostra sensualità.

Non volli legare più oltre; non ve n'era bisogno, giacché avevo appena terminato il versetto quando si sparse nell'anima mia una luce di verità, e tutte le tenebre ed esitazioni furono disperse. Poi, avendo segnato il passo, chiusi il libro e la calma del mio viso mi rivelò ad Alipio, che anch'egli mi fece conoscere quel che passava in lui e m'era ignoto. Volle vedere quello che avevo letto. Glielo mostrai, ed egli andò più lungi di me. Io non sapevo quel che seguisse: v'era scritto « Accogliete colui che è ancora debole nella Fede ».

Alipio s'applicò quelle parole e me ne fece parte, e si trovo così fortificato da quell'avvertimento, che, con una risoluzione salutare e ben conforme ai suoi costumi, che da molto tempo valevano ben più de' miei, senza turbarsi nè esitare, si uni a me. Subito andammo a trovare mia madre e le raccontammo l'accaduto. Essa, piena di gioia e trionfante, ti benediva, o Signore, Te, la cui potenza fa più di quello che crediamo e di quello che non comprendiamo.

Poiché vedeva che tu le avevi accordato per me oltre quello che non cessava di chiedere con gemiti e con lacrime. Infatti tu mi avevi così ben ricondotto a Te, che non avevo più alcun pensiero d'ammogliarmi, nè alcun'altra speranza nel secolo, fermo e saldo su questo regolo della Fede, su cui, tanti anni prima, Tu le avevi rivelato ch'io sarei stato con lei.

 

Il ritiro di Cassago.

Venti giorni appena lo separavano dalle vacanze : pazientò quindi fin allora. La sua decisione era ormai presa : non voleva più risalire la «cattedra di menzogna».

Del resto l'umidità del clima aveva scosso la sua salute e questa era una buona ragione per domandare un congedo. Libero da ogni preoccupazione mondana, l'anima sua aspirava alla pace della vita solitaria. Eppure il problema finanziario si presentava ad Agostino in tutta la sua importanza. Aveva a suo carico la madre, il figlio, il fratello ed i cugini. Romaniano, che trovavasi allora a Milano, venne, come sempre in soccorso. Il ritiro d'Agostino in un domicilio di quiete, era un disegno che anche lui vagheggiava. Perciò l'aiutò nel porlo in atto.

Un collega, il grammatico Verecondo, offrì una sua villa nei dintorni di Milano, chiamata Cassago, sui primi contrafforti della Brianza. Colà si ritirò Agostino, per prepararsi degnamente al Battesimo, con sua madre, il fratello Navigio, il figlio Adeodato, i suoi cugini, Alipio e Licenzio.

Vi trascorsero sette mesi. Si viveva vita comune, ritirata ed austera, sotto la savia direzione di Monica; si trattavano viarie questioni, o passeggiando per la campagna, o, se il tempo era cattivo, nella sala da bagno. Uno stenografo raccoglieva le opinioni di ciascuno. Agostino voleva che anche la madre prendesse parte alle discussioni, ammirato dalla rettitudine dell'animo suo.

E Monica gli rispondeva, con affettuosa bonarietà, che egli non aveva mai detto tante menzogne. Una volta, trattando della divina Provvidenza, nel momento di ringraziare Dio, la cui bontà veglia sui suoi figli, si ferma e, dirigendosi alla madre, così le dice :

Affinché queste preghiere e questi voti sieno espressi con maggior fervore, noi te ne incarichiamo, o madre mia. E credo fermamente che tu che hai ottenuto per me la grazia di desiderare ardentemente la Verità, otterrai anche, con le tue preghiere, la grazia di possederla pienamente.

E si discuteva di poesia, di rettorica, di grammatica, di cose profane ; però da tutto si prendeva motivo per ridursi al riconoscimento d''un Sommo Bene Increato, d'una Sapienza indefettibile ed eterna. La filosofia e la letteratura non avevano, certo, come prima, l'esclusivo dominio di Agostino, ma egli teneva a dimostrare ai suoi compagni da convertire o da confermare nella Fede, che la religione non esige da essi nè il sacrificio della ragione, nè la proscrizione dell'eloquenza e della pagana poesia.

E da questi trattenimenti, ch'egli dirige, cerca sempre di trarre conseguenze utili ed edificanti, fornite dal soggetto stesso o da qualche incidente occorso durante la discussione. Infatti un giorno in cui Trigezio, avendo espresso un'opinione errata, domandava, per vanità, che non fosse riportata dallo stenografo, e Licenzio, per gelosia, insisteva, perché fosse scritta, Agostino li ricondusse all'umiltà e carità cristiana ammonendoli :

È così che voi agite? È questa l'elevazione verso Dio a cui vi credevo giunti? Questo l'amore del vero di cui io gioivo? Oh! se voi poteste vedere, anche con gli occhi deboli quanto i miei, l'orrore e la pazzia del male che questa vostra domanda rivela, con quale sollecitudine non la cancellereste con rivi di lacrime!... Non mi affliggete più così, se è vero che mi dovete un po' d'affetto, se sapete quanto io vi ami, quanto sono preoccupato della cura di formare i vostri costumi! ... Non prendete piacere a chiamarmi vostro maestro: non vi domando che questa sola ricompensa: siate uomini dabbene! Qual profondo cambiamento la Grazia ha prodotto nell'anima bella d'Agostino!

 

Battesimo d'Agostino.

Era consuetudine della Chiesa che i battezzandi a Pasqua dessero il loro nome il mercoledì delle Ceneri e poi frequentassero per quaranta giorni le istruzioni fatte per loro.

Agostino con i suoi, da Cassago passo a Milano. Egli, quantunque dotto, ascoltava quelle istruzioni rivolte ai catecumeni con tale attenzione, umiltà e modestia che capiva. Anche molti anni dopo ricordava quelle istruzioni udite con insaziabile avidità.

Erano, del resto, ben degne di tutta la sua attenzione essendo, fatte da sant'Ambrogio, il quale volle sempre esercitare da se stesso quell'ufficio d'istruire nel tempo della Quaresima quelli che avevano dato i loro nomi per ricevere nella prossima Pasqua i sacrosanti Misteri. E tanto più restavano utili e care ad Agostino in quanto Ambrogio in quell'anno trattava un punto utilissimo per lui, cioè la vita dei Patriarchi. In tal modo, spiegando l'Antico Testamento, confutava, senza neppur nominarli, tutti gli errori principali de' Manichei, dei quali Agostino era già stato imbevuto.

Giunse finalmente il giorno della rigenerazione d'Agostino e de' suoi compagni. Secondo l'usanza si amministrava il Battesimo nella notte precedente la solennità di Pasqua, dopo l'ufficio della sera e prima della Messa dell'aurora.

I catecumeni, che vi si preparavano, vegliavano per tutta la notte.

 

* * *

 

Nella piccola chiesa di San Giovanni Battista allora battistero di Milano, si reca, all'ora convenuta, Agostino insieme alla madre. Lo segue il figliolo quindicenne Adeodato, Alipio, compunto e penitente, Trigezio ed altri che si disposero con Agostino intorno il fonte battesimale. Ambrogio entra in chiesa e, recitate le preci di rito, comincia la cerimonia.

Agostino, ad un cenno del vescovo, secondo il costume dall'ora, s'immerge tre volte nel fonte e tre volte ne esce, dicendo la prima volta : «Io credo in Dio» ; la seconda : «Io credo in Gesù Cristo» ; la terza : «Io credo nello Spirito Santo». La stessa cerimonia si ripete per Adeodato, Alipio e gli altri catecumeni presenti.

Dopo ciò Ambrogio sale all'Altare, stende le braccia e prega ; poi sul capo d'Agostino e degli altri, versa l'acqua santa dicendo:

" Io ti battezzo nel Nome del Padre, e del Figliolo, e dello Spirito Santo"; quindi si cinge d'una tovaglia, si prostra dinnanzi ai neofiti, lava loro i piedi e li riveste d'una veste bianca, simbolo dell'innocenza acquistata.

Il nuovo cristiano allora prende una candela accesa e si avanza all'altare per ricevere, per la prima volta, l'Ostia Santa, l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Narra la tradizione che alla fine della cerimonia Ambrogio ed Agostino, pieni di santo entusiasmo, prorompessero in un inno di ringraziamento al Signore, che la Chiesa, attraverso i secoli, ha gelosamente conservato, il Te Deum Laudamus, facendone l'espressione della gratitudine dei credenti per i benefici di Dio.

 

Partenza da Milano - Morte di Monica.

Divenuto cristiano, Agostino più non penso che a tornare in Africa per vivervi in ritiro e consacrare a Dio il resto della sua vita. Partecipò questo suo divisamento alla madre ed agli amici, che aderirono con entusiasmo. Sistemata e preparata ogni cosa, partirono alla volta di Ostia, porto naturale di Roma, nella speranza di trovare colà un battello che li trasportasse in Africa.

Quale differenza fra la furtiva venuta d'Agostino in Italia tre anni prima, l'ansiosa ricerca di Monica che insegue il figlio fuggiasco, e questo ritorno pieno della pace di Dio! Durante il viaggio Agostino trattenevasi co' suoi in santi discorsi, scrivendo nei ritagli di tempo opere degne di lui. Narra una pia tradizione che passeggiando a Civitavecchia in riva al mare e ragionando dentro di sé come spiegare il mistero della Santissima Trinità, vedesse Agostino un vago fanciullo che, scavato un foro nella sabbia, s'ingegnava con una conchiglia di riversarvi l'acqua del mare. Sorrise il Santo alla fatica di quel bimbo e gli domandò se pretendesse di riporre là dentro tutta l'acqua marina. Il fanciullo, allora, gli si volge, lo guarda in volto e serio gli risponde :

E' più facile che tutta l'acqua del mare entri in questo piccolo buco, che comprendere il mistero della Santissima Trinità. Ciò detto, scomparve.

Comprese Agostino la lezione celeste e si umiliò di fronte a Dio. Ne fu ricompensato con la divina infusione di soprannaturale sapienza che gli permise dì parlare e di scrivere de' più alti misteri in modo mirabile per un'umana creatura.

 

* * *

 

Giunti ad Ostia, non trovarono alcun battello pronto ; dovettero aspettare parecchi giorni. Madre e figlio trascorsero quel tempo in dolci e spirituali colloqui dei quali Agostino ci riferisce il più commovente, forse l'ultimo.

Avvicinandosi il giorno in cui Monica doveva partirsi da questa vita, avvenne, per segreta disposizione del Signore, che io ed essa fossimo soli, appoggiati ad una finestra, sul giardino interno dell'albergo d'Ostia, dove, appartati dal rumore, dopo tanto viaggio ci si ricreava prima di rimetterci in mare. Soli ci trattenevamo dunque insieme molto dolcemente, pensando qual esser debba la vita eterna dei santi e la felicità del paradiso, che nè occhio vide, nè udì orecchio, nè cuor d'uomo ha mai immaginato.

Ma l'anima agognava abbeverarsi alle sublimi sorgenti della tua fonte, fonte di vita eterna, che è in Te, mio Dio, affinchè in essa irrigati e fortificati, potessimo in qualche modo attendere ad una cosa così elevata. E ben presto vedemmo che la più viva gioia de' sensi, nel maggior sfoggio di beltà e Splendore corporeo, non solamente non era degna d'entrare in paragone con la felicità d'una tal vita, ma non meritava nemmeno d'esser nominata. Trasportati pertanto da un nuovo slancio d'amore verso quell'immutabile felicità, attraversammo, una dopo l'altra, tutte le cose corporee, nonché quel medesimo cielo splendido dai raggi del sole cadente e della luna e delle stelle che cominciavano a risplendere sul nostro capo. E salendo ancora più alto nei nostri pensieri, nelle nostre parole, nell'estasi che ci cagionavano le tue opere, arrivammo finalmente a quella regione ov'è la vera vita, abbondante, inesauribile, eterna. E là, appena essa ci apparve, sentimmo verso di Te, Dio mio, un tale slancio d'amore, sì ardente e possente, che quasi toccammo quelle delizie con un colpo del cuore.

Frattanto, sia per le fatiche del viaggio che per i patimenti sofferti, Monica ammalò e presto si ridusse in fin di vita.

- Figlio mio, ora nessuna cosa mi trattiene più sulla terra. Non so che ci farei ancora, nè perchè tuttora ci sia, chè son paghe tutte le mie speranze. Una cosa sola mi faceva desiderar di vivere ancora un poco : veder te cristiano e cattolico prima di morire. Dio fece di più perchè vedo che hai disprezzato ogni felicita terrena, per servir Lui. Dunque, che cosa faccio ancora io quaggiù?

Aggravatosi il male e sentendo prossima la sua fine, rivolta al figlio, al nipote, ai presenti li ringrazia e li prega :

- Seppellite pure il mio corpo dove volete : a me poco importa. Ciò che vi domando è soltanto che vi ricordiate di me all'altare di Dio dovunque vi troviate.

Assistita dal suo diletto Agostino, spirò nel bacio di Dio il 12 novembre 387, in età di anni 56.

 

* * *

 

Spirata la santa sua madre, Agostino ed i suoi, piangenti, le resero gli ultimi pietosi uffici. Specialmente il giovanetto Adeodato non sapeva consolarsi ed occorsero tutte le sante riflessioni del padre e degli amici per calmarlo. I cristiani della contrada accorsero a venerare la salma che venne sepolta, dopo le funebri preci di rito, presso la chieda d'Ostia, dove poi sorse una cappella in suo onore.

Il santo corpo venne poi trasportato a Roma e riposa in una splendida cappella nella chiesa dedicata al glorioso suo figlio. Per tutta la vita Agostino pianse la sua madre diletta ; mai la dimenticò, offrì per la sua anima bella, soddisfacendone l'ultimo desiderio, l'Ostia divina ed in tutti i suoi scritti ne ricorda e ne raccomanda la santa memoria.

 

Ritorno in Africa - Il Monachismo.

I torbidi suscitati dalle rivalità tra gli imperatori d'Oriente e d'Occidente gli impedirono il viaggio per mare, sospeso dal novembre fino all'aprile venturo. Attese perciò a Roma con i suoi amici il momento propizio per partire, dedicandosi ad opere di bene e conducendo una vita simile a quella, di Cassago. A Roma proseguì i suoi scritti già cominciati a Milano.

Calmate alla fine le cose poterono sciogliere finalmente le vele per la patria, dove giunsero nell'estate del 388. Dimorò qualche tempo a Cartagine e poi si ritirò co' suoi a Tagaste.

Non serbando che il necessario, vendette il resto e lo distribuì ai poveri, cominciando a vivere una vita di studio, di penitenze e di preghiere. Invaghito della vita monastica, vestì e fece vestire ai suoi compagni una tonaca nera stretta ai fianchi da una cintura di cuoio tosò, i capelli a corona, secondo l'uso dei monaci egiziani, ed inaugurò co' suoi quella vita comune che da molto tempo aveva vagheggiato.

Numerosi altri, allettati dal luminoso esempio delle sue virtù s'unirono; ad Agostino, che, dopo pochi anni, con una Regola sapientissima, base futura a tutti gli Ordini religiosi, fondò il suo inclito Ordine Agostiniano, il quale, attraverso i secoli, divenne un'inesauribile miniera di santità e di scienza. Nel ritiro e nella meditazione il suo ingegno, se possibile, sembrò ancor più svilupparsi.

Si die' con apostolico ardore a combattere gli errori fin allora da lui e dei suoi professati, specialmente il manicheismo : e fu mirabile il vedere lo zelo che impiegava nel confutare con mirabile successo, quelle stesse credenze delle quali gia s'era fatto ardente assertore.

 

Sacerdote e Vescovo.

Agostino, per umiltà, non osava aspirare al sacerdozio di cui ritenevasi indegno e per il quale sembrava designato per il suo sapere e per la sua virtù. Evitava quindi con cura i luoghi in cui doveva nominarsi un vescovo, non ignorando il rumore che, suo malgrado, si faceva intorno al suo nome. Un giorno, sul principio del 391, recatosi ad Ippona per guadagnare alla vita religiosa un'anima, mentre, divoto assisteva alla Messa, il vescovo Valerio dal pergamo espose il bisogno di avere qualche giovane prete. A quelle parole del Pastore tutti gli sguardi si rivolsero ad Agostino, la cui fama era già estesa per tutta l'Africa e, presolo per forza, lo condussero a' piedi del Vescovo che, ritenutolo un inviato da Dio, l'ordinò sacerdote : aveva trentasette anni.

Dovette, perciò, lasciar Tagaste per fissarsi ad Ippona, ora Bona, in Algeria, a circa 100 chilometri ad occidente di Cartagine. Valerio ogni cura affidò ad Agostino, all'infuori, naturalmente delle funzioni episcopali : il governo della sua Chiesa ed il pascolo del suo gregge. Desideroso Agostino di non abbandonare la vita comune di Tagaste cercò ad Ippona un luogo dove, pur adempiendo con zelo le funzioni del suo sacerdotale ministero, potesse co' suoi soddisfare ai comuni loro voti.

Il vescovo non solo acconsentì, ma gli diede, a tale scopo un orto alle mura della, città, dove il Santo, adunati i vecchi compagni e molti altri desiderosi di perfezione, fondò il primo nucleo dell'Ordine Eremitano Agostiniano. Divenuto sacerdote, si dedicò, con ogni studio, alla riforma dei costumi ed a difendere l'integrità della dottrina cattolica.

Nel Concilio generale d'Africa, tenuto in Ippona, nella basilica della Pace nel 393, Valerio propose Agostino come suo ausiliare e successore, ed i vescovi congregati, che avevano ammirato nel giovane sacerdote l'ardore nel difendere la Fede volentieri accondiscesero. S'oppose umilmente Agostino e fece del tutto per stornare da lui il fardello episcopale ; al volere unanime dei congregati dovette cedere.

Fu perciò consacrato vescovo nel dicembre del 395, quarantaduesimo anno dell'età sua. Morto, l'anno seguente, Valerio, gli successe sulla sede di Ippona.

Nella sua nuova missione rifulse tutta la carità del Pastore. Indefessamente lavorò per estirpare le eresie, per riformare i costumi ; stabilì chiese, fece rifiorire il clero ; diede un immenso sviluppo alla vita monastica.

Tutto il mondo cristiano guardava con ammirazione, profonda l'opera d'Agostino nella difesa della Chiesa e del Pontificato.

 

I Vandali - Morte d'Agostino.

L'invasione dei Vandali trovò Agostino vecchio ormai di 76 anni. Pur affranto dalle fatiche sostenute nella strenua difesa della causa di Dio, lavorava tuttavia indefessamente al compimento delle sue opere. I barbari ariani frattanto, vinte le ultime resistenze, scorrazzavano per tutta l'Africa settentrionale. Dell'immenso numero di chiese che fiorivano un giorno, solo tre ancora resistano all'urto degli eretici: Cartagine, Ippona e Cirta.

Specialmente sulla sede d'Agostino si concentro l'ira degli invasori. Nella città s'erano rifugiati molti vescovi, preti e monaci quasi che Dio avesse voluto adunare presso il grand'uomo tutta la Chiesa africana, affinché da lui imparasse come si debbano sostenere le grandi sventure e come debbano finire con eroica rassegnazione le nazioni cattoliche. Agli uomini di Dio, s'aggiunse, sconfitto, dopo molte vittorie, il conte Bonifazio, allora governatore di quella provincia d'Africa. Oltre alla brama di saccheggio, essendo Ippona città fiorentissima, i Vandali furono tratti dalla vendetta ad assalire anche Ippona. Munitissima qual era, non riuscendo a prenderla d'assalto, l'assediarono, sulla fine del maggio del 430, per terra e per mare.

Frattanto Agostino, affranto dalla malattia e consumato dalla tristezza nel vedere i mali della sua patria, cercava di essere a tutti di consolazione e conforto. Invano i suoi figli gli consigliarono di uscire dalla città e rifrugarsi col salvacondotto degli assedianti, in un luogo sicuro e tranquillo. Agostino rifiutò : rispose che un prete od un vescovo può pensare alla sua sicurezza quando il pericolo non minaccia che lui ed il suo popolo non è in pencolo ; ma che, allorché gli stessi mali minacciano il prete ed i fedeli, il pastore ha il dovere di vegliare sino alla fine sul suo gregge e commetterebbe un delitto abbandonandolo. Una grande missione gl'incombe: rialzare il coraggio del popolo, consolare gli afflitti, soccorrere coloro la cui Fede fosse in pericolo, dare a tutti il soccorso del suo ministero. E, nonostante l'età e gli acciacchi, ne dava egli stesso l'esempio, lavorando senza tregua all'opera di Dio, sotto la minaccia dei barbari, compiendo i suoi doveri di cittadino e di Pastore, dimenticando se stesso per non pensare che alle miserie del suo popolo.

Dio non permise che il suo servo fedele vedesse lo scempio della resa. Ippona, finch'egli visse e anche dopo per parecchio tempo, resistette all'assedio. Nel terzo mese di quell'anno 430 Agostino fu colto da febbre, che lo perseguitò per circa sei mesi. Con angelica rassegnazione sopportò il suo male, dando a tutti l'esempio di un invitta pazienza e rassegnazione.

Morì il 28 agosto 430, con mirabile pietà, in età di 76 anni de' quali ben 40 trascorsi nelle fatiche dell'apostolato. Quell'anima grande ritrovava finalmente la sua pace, entrava in possesso della Verità da lui sì lungamente cercata, sì felicemente trovata, sì ardentemente amata. Lo slancio dell'inquieto suo cuore, sitibondo di luce e di quiete, ormai era appagato.

Più bella preghiera, nel compimento de' suoi voti non gli potea correr sul labbro :

- Ci hai fatti per Te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in Te!

Ed egli riposava in eterno nella Pace di Cristo!

 

* * *

 

Il venerato corpo, onoratamente sepolto, fu centro della pietà di tutti i popoli. Dio illustrò il nome d'Agostino col portento de suoi miracoli. La Chiesa, madre di Santi, l'onora coma uno dei suoi più grandi Dottori. Minacciata dai barbari la sacra tomba, vennero le sante reliquie trasportate nel 484 in Sardegna.

Caduta l'isola in possesso dei Saraceni, anche il prezioso tesoro cadde in lor mani. Liutprando, re dei Longobardi, lo riscattò, nel 710, a peso d'oro e lo depose nella chiesa di San Pietro, nella capitale del suo regno, Pavia.

Fra i tesori, di cui è ricca l'Italia nostra, uno dei più cari e preziosi è il possesso della salma del Grande Africano del glorioso vescovo d'Ippona, del sommo Dottore della Chiesa del quale nel 1930 ricorre il decimoquinto centenario: Agostino di Tagaste.

 

 

LE OPERE D'AGOSTINO

 

Come semplice notizia bibliografica ad utilità dei lettori e per dare una pallida idea della prodigiosa attività e della somma erudizione di quel Grande, vengono qui sotto accennate alcune sue opere.

La città di Dio, capolavoro di sant'Agostino in 22 libri, composto tra il 410 e il 425, è la città dei figli di Lui in contrapposizione alla città del mondo, cioè le nostre passioni, i nostri bassi istinti, causa di tutti i mali. E' una specie di storia universale, dalla creazione del mondo alla venuta del Messia. Lo scopo è di dimostrare, con profonda analisi, la mirabile opera della Provvidenza nel corso degli eventi umani e l'azione benefica del Cristianesimo sui costumi dei popoli. E' l'enciclopedia del V secolo, e di tutte le epoche poichè risponde a tutti i bisogni dello spirito.

Le Confessioni, umile e genuina narrazione della sua vita. Sono 13 libri e furono composti a Tagaste, dopo la sua conversione.

Le Ritrattazioni, in 2 libri, nelle quali rettifica, con nuova esperienza, alcuni punti della sua dottrina.

Contro gli accademici, in 3 libri, la setta cui aveva aderito a Roma e che professava l'ateismo. 5

Della vita felice, in 1 libro, mirabile sintesi di ciò che gode l'anima in pace con Dio e col prossimo.

Dell'Ordine, in 2 libri, profondo trattato, in cui dal perfetto ordinamento del creato deduce la necessità di ordinare al bene tutta la vita.

I soliloqui, in 2 libri, contengono l'esame sincero e minuzioso della propria coscienza e la sua pace nel completo abbandono nella bontà e misericordia di Dio.

Dell'immortalità dell'anima, in 1 libro, in cui essa, oltre che dalla dottrina dei sommi pagani, vien dimostrata dalla necessità del premio o del castigo alle azioni nostre e dalla stessa dignità dell'uomo, costituito re del creato, arbitro del bene e del male.

Della musica in 6 libri, forse scritti nel ritiro di Cassago: dimostra come la musica sia il sollievo dell'anima ed ingentilisca i costumi come emanazione dell'eterna beatitudine.

Del libero arbitrio, in 3 libri, ne' quali dal desiderio di libertà insito nell'umana natura, e dall'intimo sentimento che ci fa discernere e valutare le buone o le cattive azioni, deduce la necessità della scelta tra il bene o il male riguardo ad un premio o ad un castigo futuro.

Della Genesi, contro i Maniche, in 2 libri, in cui combatte vittoriosamente la loro dottrina e condanna lo scempio da essi fatto delle Sacre Scritture.

Dei costumi della Chiesa Cattolica e dei Manichei, in 2 libri, nei quali, disgelando l'ipocrisia di quella setta, che sotto il manto del pudore e dell'onestà, nascondeva i più luridi vizi, rivendica alla chiesa di Dio la purezza dei costumi e la santità dei riti.

Della vera religione, in 1 libro, in cui espone il travaglio dell'anima sua nella ricerca di essa e la pace ritrovata in seno al cattolicesimo.

Le lettere, mirabile raccolta in cui l'amicizia, il fraterno affetto, l'amoroso ed autorevole consiglio regnano sovrani.

Della Dottrina Cristiana, in 4 libri, nei quali riconosce che, dopo lunghe ricerche e lunghi studi, ha dovuto convincersi che solo nella religione cristiana trovasi la pura e santa dottrina necessaria all'umana salvezza.

I sermoni, nei quali l'anima apostolica e la profonda dottrina del Santo ci si rivela in tutta la sua ampiezza ed in tutto il suo amore per le anime.

 

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Finito di stampare il 15 ottobre 1928

 

BIBLIOGRAFIA:

S. AGOSTINO: CONFESSIONI, PUSTET, ROMA.

BARBERIS : VITA, DESCLÉE, ROMA.

HATZFELD: VITA, FERRARI, ROMA.

BERTRAND: SAINT AUGUSTIN, FAYARD, PARIGI.

S. AGOSTINO: MEDITAZIONI E SOLOLOQUI, GHIRLANDA, MILANO.

 

NULLA OSTA PER LA STAMPA.

 

MILANO, 17 SETTEMBRE 1928

+ G. ROSSI, VIC. GEN.

SAC. C. FIGINI, CENSORE.