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Filippo Meda: LA CONTROVERSIA SUL " RUS CASSICIACUM "

Processione per le vie di Cassago (1948)

Processione per le vie di Cassago

 

 

 

LA CONTROVERSIA SUL " RUS CASSICIACUM "

di Filippo Meda

 

Estratto dalla Miscellanea Agostiniana, vol. II, 1931

 

 

 

Suole accadere spesso dei grandi uomini, che quando espongono una opinione sbagliata, essi trovino subito chi per deferenza li segue e li copia; onde riescono a creare talvolta delle questioni oziose, che non si sarebbero mai fatte, e che posseggono così il loro vero, per non dire unico, fondamento nel prestigio di una firma: e tali questioni così create, bisogna poi faticare a discuterle per riuscire naturalmente alla opinione comune, precedente a quella dell'uomo grande: la quale però resiste, permane, e continua ad esercitare una certa suggestione ed a richiedere dissertazioni, anche quando il suo autore si sia ricreduto. Questo è capitato di Alessandro Manzoni a proposito del luogo in cui sant'Agostino si preparò, in certo qual modo, al battesimo.

Fino al 1845 nessuno aveva mai dubitato che il rus cassiciàcum - in cui il Santo pone la villa del grammatico Verecondo che lo ospitò quand'egli nell'autunno del 386 e fino alla Quaresima del 387 si ritrasse colla madre Monica, col fratello Navigio, col figlio Adeodato, con i cugini Lastidiano e Rustico, con l'amico Alipio e i discepoli Trigezio e Licenzio, lontano dai rumori del mondo, secondo egli stesso narra nel libro nono delle Confessioni - fosse Cassago, di Brianza, come pure per la prima volta si trova indicato nella Mediolanensis historia di Tristano Calchi, che è del 1490 [1].

Le tradizioni locali, benchè tarde [2], erano abbastanza copiose, e d'altra parte nessun villaggio concorrente si era mai presentato sul campo della critica [3] a Cassago, nel giardino del palazzo attualmente Visconti di Modrone (che si presume eretto sul luogo della villa di Verecondo) c'è una fontana che si chiama ab immemorabili fontana di sant'Agostino: nella chiesa parrocchiale esiste una cappella dedicata a sant'Agostino con una statua che si soleva esporre in occasione di contagi, secondo è scritto nel registro parrocchiale che appare incominciato nel 1661 [4] nel 1797 il marchese Gian Vincenzo Modrone istituiva dei legati per l'annuale celebrazione della festa di sant'Agostino: e tutto ciò senza tener conto delle vie dedicate a sant'Agostino e a Verecondo che sono probabilmente di data molto recente [5].

Forse nessuno aveva mai cercato di rendersi conto dei fondamenti della tradizione, appunto perchè non mai contrastata: senonchè quando il Poujoulat compose la sua Histoire de saint Augustin, trovandosi imbarazzato ad identificare la posizione della villa di Verecondo, ebbe l'idea di scriverne ad Alessandro Manzoni: e questi colla data di Milano 11 luglio 1843 gli indirizzò una lunga lettera, in cui pur cominciando col riconoscere che la sola tradizione esistente poneva il rus cassiciàcum a Cassago, veniva a concludere che invece devesi ricorrere a Casciago in su quel di Varese, sulla via anzi da Varese a Gavirate, a 65 Km. da Milano, cioè a distanza doppia che non Cassago di Brianza.

E le ragioni?

Il Manzoni le riassumeva nella pretesa impossibilità glottologica di una corruzione di Cassiciàcum in Cassago, nella forte probabilità per una corruzione in Casciago attestatagli da un certo signor Cozza, addetto allora alla biblioteca di Brera, nonchè nella rispondenza topografica: Casciago, diceva il Manzoni, è luogo ameno e montuoso, come Agostino lascia intendere che fosse quello del suo ritiro; Cassago invece è su una collina poco elevata e gode, sempre secondo il Manzoni, di una vista mediocre: di più, Agostino dice che a Cassiciàcum c'era un corso d'acqua derivato da un fiume, la quale acqua era condotta ligneolibus canalibus dopo un certo corso, itinere, e formava un bagno ut homines lavarent, e che poi strepebat silicibus irruens: questo si legge nel primo libro del De ordine, che espone precisamente le dispute fatte coi discepoli durante il soggiorno nella villa di Verecondo: e il Manzoni, in un poscritto, avvertiva il Poujoulat che a Casciago c'è un torrente - e dove tra i colli non ce ne sono? - mentre a Cassago « acqua corrente mi si assicura non v'è in nessuna stagione »: per ultimo a Casciago c'è una piccola valle erbosa la quale calza benissimo alle espressioni usate dal Santo nella descrizione delle sue filosofiche passeggiate, pratum descendere, in pratuli propinqua descendere: il Manzoni non diceva però se a Cassago, oltrechè non esserci acqua, non ci fosse per avventura neppure un prato!.

Su queste tenuissime basi il Poujoulat spodestò Cassago e accettò Casciago, e dopo di lui i due Cantù, Ignazio e Cesare, sembrarono dar pregio alla nuova opinione, per l'autorità del nome che l'aveva accreditata: altri ritennero per lo meno dubbiosa la identificazione di Cassago, e lo stesso eru­ditissimo mons. Magani, ancora nel 1887, scriveva che su questo Cassiciàco « s'avrebbe non dirò a rinnovare, ma ad instituire il processo per vedere ove veramente stesse di casa » [6]. Il Poujoulat, per mettersi al coperto, inserì la lettera del Manzoni nella sua opera che pubblicò a Losanna nel 1846, e di lì la ipotesi manzoniana ebbe corso nelle vite successive, e tra l'altro nella prima e nella seconda edizione di quella del Barberis [7].

Chi si assunse il compito di confutare il Manzoni (senza nominarlo) fu mons. Luigi Biraghi: que­sto studioso (a cui non si può negare un valore d'erudizione notevole, malgrado le contestazioni, spesso eccessive, che furono mosse contro il suo metodo nelle ricerche paleografiche e archeologiche) pubblicava sette anni dopo nei fascicoli VIII, X, XI e XII del periodico l'Amico cattolico di Milano, uno scritto: Sant'Agostino a Cassago in Brianza in ritiro di sette mesi (poi stampato anche a parte), nel quale [8] cominciò col sostenere che, se la lezione accettata dai padri Maurini (e quindi nelle posteriori edizioni) dà rure cassiciàco, i codici a suo parere più attendibili dànno rure cassiàco, mentre in qualcuno si leggono delle corruzioni come cassiatico, cassitiaco, e cassiciato; e che cassiàco deve essere la lezione originaria per l'evidente assonanza ed affinità etimologica che nel passo in questione sant'Agostino ha cercato contrapponendo il rus cassiàcum al mons incaseatus con cui nel salterio africano è indicata la chiesa; dice infatti Agostino in quel passo: « Rendi a Verecondo, o Signore, in compenso del rus cassiàcum in cui io trovai pace, l'amenità del tuo paradiso, dacchè tu gli hai sulla terra perdonati i peccati in monte incaseato, monte tuo, monte uberi ».

Questa argomentazione però non poteva persuadere, perchè non spiegava come si fosse fatta strada fino ai padri Maurini, così esperti e diligenti, una lezione cassiciàco da una originaria cassiàco, e magari casiàco: mentre poi l'affinità fonica e retorica coll'incaseato - se è vero che ha riscontro in qualche confusione di amanuensi che arrivarono ad uno scambio completo copiando rure caseato e monte cassiàco - per quanto conforme all'uso letterario del tempo, è campata in aria e non si presenta attendibile. Lo stesso mons. Biraghi si era data ragione che sarebbe stato soverchio, tanto più che non era necessario fondarsi per identificare Cassago con Cassiciàcum sulle sue particolari vedute circa l'autorità dei testi diplomatici, e al § 48 della sua monografia scriveva: « Da ultimo, per un soprappiù, noterò che quando pure nel testo originale delle Confessioni fosse stato scritto cassiciaco, tuttavia non sarebbe meno assicurata la gloria di Cassago, perché anche da cassiciaco viene ovvio e naturale l'abbreviato nome Cassiàco e Cassàco colla omissione non solo di un i ma anche di due, di tre, di più lettere, come da Inticiaco venne Inzago, da Badagio Baggio, da Ledesmo Lesmo, da Mediosente Misinto, da Cistellago Cislago. Laonde questa sola ragione per sé non farebbe una grave difficoltà; e la cosa correrebbe come da prima ».

Questa argomentazione conclusiva valeva ben più di tutte le pagine spese dal Biraghi nel difendere la priorità della lezione cassiàco, difesa che, tra l'altro, lasciava senza risposta, come già rilevai, la facile domanda: come mai un originario cassiàco si ritrovi in un successivo cassiciàco, mentre è perfettamente spiegabile il rovescio. La questione linguistica rimase così posta in favore di Cassàgo, e con esclusione di Casciàgo, finchè il prof. Giovanni Flechia, nella sua opera Di alcune forme dei nomi locali dell'Italia superiore, si fece a scrivere che Cassiciàcum, nome che si deduce da un gentilizio Cassicius attestato da parecchie iscrizioni romane, vale oggi foneticamente Casciàgo. Ma l'errore del prof. Flechia fu di avere raccolto il nome di Casciago sulle carte e non dalla viva voce del popolo: così egli l'ha inteso Ca-sciàgo, mentre è Cas-ciàgo [9]: il che vuol dire che il gruppo sc riproduce due suoni originarii forti distinti, e che non può quindi essere il prodotto di elisioni foniche: per produrre Cas-ciàgo da Cassiciàcum - anziché, come è evidente, da un Castiàgum - è d'uopo sostituire al processo linguistico normale che addita la sparizione progressiva del gruppo dolce ci un processo disgiuntivo, per cui avrebbe dovuto scomparire il gruppo forte si.

Senonchè, in una nota inserta nei Resoconti dell'Accademia dei Lincei nel 1899 e intitolata Della villa dove avrebbe soggiornato sant'Aurelio Agostino in Lombardia, il compianto prof. Carlo Salvioni, certamente autorevole, ma questa volta, come in qualche altro caso, smarritosi dietro tracce fallaci e deduzioni teoriche, finiva scrivendo che le conclusioni delle sue ricerche «potranno per av­ventura lusingarsi d'aver spazzato via e Cassago e Casciago». Ma recentemente tali conclusioni - che del resto non avevano persuaso nessuno, ma soltanto indotte sempre più in dubbio le persone tenute per la loro posizione scientifica a far grande conto della sentenza d'un così accreditato linguista - sono state con sobrietà, ma con efficacia, confutate dal padre Germano Morin in una sua nota Où en est la question de Cassiciàcum, pubblicata nella Scuola cattolica di Milano (fascicolo del 15 gennaio 1927): tant'è che meritano di essere riferite per intero le sue parole.

Ricordata la tesi negativa del Salvioni tanto per Casciàgo che per Cassàgo, il Morin scriveva: « Cela est bien catégorique, et, pour ce qui est de Casciago, parfaitement fondé en raison, comme il me semble. Mais je n'en saurais dire autant de l'argumentation mise en oeuvre pour évincer Cassago, et qui se réduit à ce syllogisme. La forme authentique du nom de la ville de Verecundus, celle que donnent presque tous les manuscrits, les meilleurs et les plus anciens, est Cassiciaco, non Cassiaco, comme le prétendait Biraghi: or Cassiaco aurait pu donner lieu au nom italien Cassago, mais Cassiciaco a dû normalement aboutir au vocable Cassisciago, et aucune trace d'un tel nom parmi les localitès actuelles de la Lombardie. Donc ... Il est aisé d'apercevoir le défaut de la cuirasse. Salvioni soutient avec toute raison que la forme authentique, originale, est Cassiciaco: or, ajoute-t-il, d'un tel point de départ il est impossible d'aboutir à l'italien Cassago. Mais qu'entend-il par point de départ? Ou plûtot, posons la question autrement: est-il donc vraiment nécessaire que le nom vulgaire actuel remonte à la forme latine primitive et authenti­que? N'est-il pas possible, plus probable même, qu'il provienne d'une forme déjà altérée, raccourcie, de ce vocable primitif? L'auteur allègue que la Lombardie offre moins d'exemples de raccourcissements de ce genre que le Piémont et l'Emilie: mais toutefois elle en offre, il en convient. Et il a beau montrer qu'en certains endroits, contre toute vraisemblance, la forme intégrale des noms s'est conservée jusque dans le bas moyen âge; il est obligé d'accorder qu'à côté de cette forme antique et savante il en existait une autre - et qui sait depuis quand? - une forme vulgaire, et raccourcie, laquelle a fini par prévaloir: ainsi Cislago Cistellago, Inzago Anticiaco ou Inticiaco, Sizzano Septiciaco, etc. Or, s'il était un nom destiné fatalement à perdre quelqu'une de ses syllabes, c'était bien Cassiciàco, avec ce ssici si étrange au milieu. De fait, l'exposé même de l'état des manuscrits, tel que le donne Salvioni, montre bien que l'abréviation toute naturelle Cassiàco, s'était produite au plus tard, dès l'époque carolingienne, pui­squ'on la trouve attestée du IX au XI siècle. Et c'est justement vers ce temps là, j'imagine, plutôt qu'aux siècles IV et suivants, c'est d'après cette forme latine abrégèe, plutôt que d'après l'appellation classi­que, qu'a pu et dû se former le nom vulgaire et moderne de l'endroit. Admettons que Salvioni ait raison, en soutenant que Cassago ne peut avoir point de départ immédiat Cassiciàco; il n'en est pas de même, il le reconnait lui-même, pour Cassiaco: dato Cassiàco come punto di partenza, ben poteva giustificarsi (quel termine Cassàgo) almeno quant'è delle norme fonetiche. Il faudrait donc prouver que le terme Cassago n'a pas pris naissance à une date où Cassiciàco avait déjà été réduit, communément du moins, aux quatres syllabes Cassiàco. Ce ne sera pas si facile! ».

Posteriormente a questa nota così chiara del Morin, uno studioso di corografia, il signor Carlo Massimo Rota di Mornago (zona varesina), per amor del natio loco, ha pubblicato un volumetto [10] in cui con grande lusso di raffronti e di esempi interpretati secondo certe sue leggi corografiche, oltrechè con grande passione, non solo pretende di negare che da Cassiciàco possa essere mai derivato un Cassiàco e quindi un Cassàgo, ma, quel che più conta, sostiene essere evidente come il sole di mezzogiorno che il Cassiciàco non può che avere perduto la sillaba ch'egli dice muta, si, dando luogo a un Casciàgo. Perchè poi la sillaba si debba dirsi muta, non si comprende bene: ma, a parte la concordemente ammessa naturale forma originaria di Cas-ciàgo in un medioevale Castiàgo, rimane sempre che, se la esistenza di un medioevale Cassiàco non giova ad escludere quella originaria di un Cassiciàco, vale invece a segnare la evoluzione o corruzione, quasi diremmo logica, del suono, e poi della grafia. C'è un processo identico, incontrastabile in un altro nome di paese lombardo ricordato dal Biraghi e dal Morin; quello di Anticiàco (poi Inticiàco) divenuto indubbiamente l'attuale Inzago; si avverta infatti l'identità del processo fonetico: Inticiàco ha trasformato le due sillabe centrali tici in una z che sta a rappresentare il raddolcimento del t forte seguito dal dittongo ia, cioè Inzago non è che la formulazione definitiva di un Intiàco (e non monta se nelle carte sopravvissute non vi si trovi), derivato dall'Inticiàco; così in Cassiciàco le sue sillabe centrali sici si sono ridotte ad un s producendo il moderno Cassàgo attraverso un Cassiàco che, se anche non fosse documentato, si dovrebbe ammettere per necessità fonetica.

Ond'è che, a voler essere empirici basterebbe dire che Cassàgo è l'antico Cassiciàco per la ragione stessa per la quale, incontestabilmente, Inzago è l'antico Inticiaco. Ma l'identificazione di Cassago coll'originario Cassiciàco si appoggia anche ad elementi topografici: meglio direi che gli elementi topografici soccorrono a controllare il dato linguistico e corografico; è questa una parte della controversia che ha un valore relativo, ma che pur giova conoscere. Senza contare che la distanza di Cassago da Milano - mezza, come vedemmo, di quella di Casciago - risponde bene a parecchi accenni che si trovano nel De ordine, nel Contra Academicos e nelle Retractationes, di gite di Alipio e di Navigio dalla città alla villa, e che quanto ad altezza ed a panorama Cassago è in condizioni di avere benissimo potuto meritare le compiacenze di Agostino. Il Biraghi ha ricordato come, nonchè un torrente, presso il villaggio scorra un fiume abbastanza conosciuto, il Gambaione, che nasce dai colli di Sirtori, tocca Cremella, passa a circa trecento-cinquanta metri da Cassago e va a gettarsi nella Bevera, e con essa nel Lambro: or dunque quale improbabilità che con canali di legno - naturalmente non conservatisi - se ne derivasse l'acqua per i bagni di cui parla sant'Agostino? [11]

Del prato non è il caso di discorrere: il Biraghi (come chiunque altro fosse andato sul luogo) si è facilmente persuaso che se la villa di Verecondo sorgeva, ed è probabilissimo, sull'area dell'attuale palazzo Visconti di Modrone, c'era modo di scendere ad un amenissimo prato per tutte le conferenze peripatetiche desiderabili [[12].  L'effetto della pubblicazione del Biraghi fu quale doveva aspettarsi: il Manzoni si ricredette: c'è infatti nell'archivio parrocchiale di Cassago una lettera del 21 giugno 1855 del parroco don Ambrogio Clerici a mons. Biraghi, in cui dopo avere annunciata la scoperta di un nuovo canale che dal palazzo Visconti mette alla fontana di sant'Agostino, il degno sacerdote scriveva: «Le partecipo in pari tempo e con mia consolazione che nell'anno scorso in casa del signor parroco di Renate, nel dì della sua principale festa, ricevetti le scuse dell'esimio ed illustre scrittore D. Alessandro Manzoni, per mezzo di suo figlio D. Enrico, per aver esso accreditato lo scritto del coadiutore Morganti Carlo col quale dichiarava ignorantemente falsa l'idea che tenne sempre questa popolazione che S. Agostino si è disposto in Cassago per ricevere poi il battesimo, ma che ora si dichiara, il sullodato scrittore, di essere pienamente convinto che Cassago e non altrove fu il luogo dove Agostino fece penitenza e si dispose al santo battesimo». [13]

Comunque, prima o dopo del Manzoni, s'era ricreduto il Poujoulat, del quale esiste nell'archivio parrocchiale di Cassago una lunga lettera, del 6 maggio 1857, a mons. Biraghi, in cui egli dichiara che in seguito alla lettura della confutazione, si è pienamente persuaso che Cassago non può essere conte­stato. Successivamente altri dati si sono aggiunti. Così circa trent'anni fa, nel sottosuolo di un giardino che sorge di contro alla casa Padulli, a valle del palazzo Visconti di Modrone a Cassago, si sono trovati a un metro di profondità delle condutture in mattone, ritenute di costruzione antichissima: il vecchio conte Padulli, che era uomo dottissimo, ne aveva argomentato essere il giardino nient'altro che il bagno di Verecondo, al quale l'acqua derivava canalibus ligneolis, sostituiti più tardi, come è naturale, dai condotti in muratura di cui sono venuti in luce le tracce: e l'essere la casa Padulli un po' distante dal palazzo Visconti di Modrone non farebbe che corroborare la deduzione, perchè nel De ordine si legge appunto che i bagni di Verecondo erano un aedificium, quindi non all'interno della villa, e che dalla villa ad essi c'era della strada: narra infatti Agostino che una mattina, appena levati, ire coeperamus in balneas, come a luogo opportuno alle dispute nei giorni in cui non potevasi passeggiare per i campi, e che dinanzi alla porta dei bagni si fermarono ad osservare due galli azzuffantisi; e che poi perreximus quo propositum erat: insomma una certa distanza.

L'ultimo argomento del Biraghi: « Cassiàco era su di ameni colli, non lontanissimi da una città grande, ricca e popolosa, nella quale già da un secolo venivano risiedendo gli imperatori e gli alti magistrati dell'impero: ora, che cercare altro perché dovessero quei colli e quei dintorni essere frequentati dai colti e ricchi latini? Le lapidi trovate in queste parti, le are, gli epitaffi ne sono una prova incontrastabile ». E si potrebbe aggiungere che a poca distanza da Cassago ci sono delle terre che conservano ancora oggi un nome non equivoco: Romanò, Villa Romanò (Romanorum).

Il padre Morin, nella sopraricordata nota, mostra per sua parte di attribuire notevole importanza, nella controversia, a una tale circostanza: anzi egli aggiunge: « C'est là, je crois, que devraient se porter désormais les recherches. Il y a, sous la ville actuelle, sous le tertre verdoyant qui la supporte un ensemble imposant de constructions qui ont produit sur mon esprit une impression très vive. Ces constructions sont aujourd'hui sous terre, fermées de toutes parts à la lumière: mais il n'en a pas toujours été ainsi, comme il résulte des nombreuses fenêtres percées de différents côtés dans les épaisses murailles; tout cela a dû s'éléver au-dessus du sol, avant que celui-ci eût été exhaussé, de façon à former la colline fortice qui porte la ville. Jamais je n'aurais soupçonné l'existance de cette autre villa souterraine, ni ne m'y serais aventuré, sans l'assistence du curé de l'endroit et d'un serviteur du Duc: il y a là tout un monde souterain avec diffè­rents étages, des escaliers, des fontaines, etc. Il nous a fallu, je m'en souviens, un assez long temps pour examiner, sommairement, tous les coins et recoins; une petite partie seulement est employée en guise de cave, pour conserver les provisions. Ma conviction est qu'il serait de la plus grand importance pour la solution du problème, qu'un archéologue autorisé entreprît une étude en règle de ces substructions, à l'effet de savoir s'il y a dans cela quelque portion ancienne qui puisse remonter à la fin de l'èpoque romaine ».

Il pensiero del dotto Benedettino è senza dubbio da tenersi in considerazione, anche se si possa opporre, che dato pure che quelle sottostrutture siano romane, non è detto però che non possano avere appartenuto ad una villa che non sia stata quella del grammatico Verecondo.  Tuttavia i, diremo così, fautori di Casciàgo varesino non hanno mai trascurata alcuna occasione di riprendere il loro tema; per lo più essi lo facevano riproducendo gli argomenti della lettera manzoniana, e cercavano di negare autorità al Biraghi, mettendo in valore a proprio profitto la fama di archeologo fantasioso e di critico poco attendibile che esageratamente, e per altri suoi lavori, gli è stata creata intorno [14].

Lo sforzo maggiore dei Varesini è rappresentato dalla monografia di Carlo Massimo Rota più sopra ricordata, la quale ha anzi avuto una appendice polemica; tale monografia non solo pretende di aver risoluta, contro la tradizione, la controversia sul terreno linguistico e corografico, ma più e meglio sul terreno topografico: non si può negare all'autore una certa abilità nel volgere a profitto della sua tesi alcuni testi, o meglio frammenti di testi costituiti dalle, per verità non abbondanti, allusioni che passim sant'Agostino fa al suo soggiorno di Cassiciàco: sarebbe troppo lungo riferire le interpretazioni e le applicazioni del Rota: il meno che se ne possa pensare è quello che ne scrisse un altro studioso intervenuto nella discussione, il sacerdote milanese Rinaldo Beretta: « Il Morin, il Biraghi ed altri ritengono che il luogo di Cassago corrisponde esattamente a tutto quello che sant'Agostino ci ha detto circa la località dove passò il tempo che precedette il suo battesimo. Di contrario parere è il Rota: egli propende non solo per Casciago, ma, forzando qua e là le espressioni del Santo, vorrebbe escludere senz'altro Cassago. In realtà chiunque, alieno da preconcetti, compie un sopraluogo nei due paesi, tenendo presenti quegli accenni, deve convenire che non si può escludere nè l'uno nè l'altro. Quegli accenni del resto si adattano a molte altre località dell'alto milanese, dove non ci fu mai penuria di amene prospettive, boschi, prati, ed acque correnti » [15].

Per me dunque non esito a concludere che - malgrado le continue dubbiezze che per soverchio zelo critico si vanno alimentando, e malgrado anche l'opinione recente, accennata dal Morin, e dal Beretta esagerata in termini apodittici là dove chiudendo la sua memoria, ha concretato così il suo pensiero: «la questione non potrà essere risolta fino a tanto che nuovi documenti o scavi ci rivelino qualche cosa che ci attesti in modo sicuro che in quel dato luogo sorgeva veramente la villa di Verecondo; finchè non si arrivi a questo, è vano illudersi di poter riuscire ad una conclusione: si potranno fare delle supposizioni più o meno probabili, ma nulla più » - malgrado, dico, questo elegante scetticismo, il possesso tradizionale di Cassàgo può reputarsi legittimo, anche se nell'ultimo secolo frequentemente turbato.

 

 

Note  

(1) «Per quod tempus in suburbano Cassiaco frequenter secedens, tres libros Academicos et unum Gramaticum absolvit»: e l'unico paese della Lombardia che allora chiamavisi Cassiàco è fuor di contestazione essere l'odierno Cassago in pieve di Missaglia. 

(2) Il padre Morin in una sua nota che ci accadrà di rammentare e di citare più innanzi, fa questa osservazione: «Pas de trace non plus d'une tradition locale vraiment ancienne, relative au séjour de saint Augustin. Mais qu'était Augustin en 386-387? Un passant quelconque, un rhéteur étranger; sans célébrité encore, et qui ne devait pas intéresser particulièrement les paysans de l'endroit. Et cet endroit lui-même, par combien de vicissitudes a-t-il dû passer, dont la série n'a laissé aucun souvenir dans l'histoire? Sans le témoignage précis des écrivains du dehors, qui nous aurait conservé le souvenir à Trèves, du séjour d'un Athanase, d'un Jérôme, d'un Ambroise, d'un saint Martin même? Trèves est pourtant, comme importance, autre chose que Cassago!». 

(3) Non è certo da tenere in conto qualsiasi l'opinione quasi isolata, non so bene da chi e su qual fondamento emessa, che indicò come luogo della villa di Verecondo il villaggio di Brianza, frazione del comune di Nava. Neppure quella che mise innanzi un Cassago (Cattiàcum) sulla rive meridionale del lago di Varese fu mai presa in considerazione. E quanto all'errore commesso nel supplemento all'Alt Keltischer Sprachschatz di Alfredo Holder, col porre la villa di Verecondo nella moderna Liguria, esso fu dovuto all'ignorare che da Costantino in poi col nome di Liguria designavasi tutta la regione a nord del Po: onde quando nel De quantitate animae (31, 62), Agostino, riferendosi alle sue vacanze del 386-387, scriveva: «Cum nuper in agro essemus Liguriae», non alludeva che al territorio di Milano, che della Liguria era allora il centro. Il Cassiago che si legge a p. 195 del Sant'Agostino del Papini non è che una inesatta trascrizione del nome di Cassago. 

(4) Non nel 1560 come diceva, copiando il Biraghi, il Barberis nella nota aggiunta alla seconda edizione della sua Vita di S. Agostino, e neppure in principio del registro, come pure in quella nota è asserito, ma a mezzo del registro medesimo. 

(5) L'arciprete D. Francesco Bombognini, nella sua nota e pregevole opera L'Antiquario della diocesi milanese (1828), non esitò a registrare la tradizione comune, e di Cassago dice senz'altro che è l'antico Cassiciàcum. Il Cassiciàcum fu ristabilito anche dal principio del secolo nella Guida del clero edita dalla Curia arcivescovile milanese, mentre prima in questo indicatore si era accolto Cassiàcum. E' vero che questa guida in fatto di corografia e di toponomastica non fa testo, e si dice anzi sia zeppa di errori, tanto che il card. Ratti, nel breve tempo del suo arcivescovado a Milano, pensò di provvedere ad una edizione migliore, e diede incarico ad uno studioso di rivedere tutti i nomi latini delle parrocchie: ma questo evidentemente non conclude nulla nella questione speciale dell'originario nome di Cassago. 

(6) P. FRANCESCO MAGANI, La data e il luogo del battesimo di S. Agostino, Pavia, 1887. 

(7) Il Barberis però, con una aggiunta alla seconda edizione, tenne conto dell'errore, e riportò largamente le argomentazioni a favore di Cassago, dichiarandosi anzi egli pure convinto che di Cassago e non di Casciago debba trattarsi. 

(8) Milano, Tipografia arcivescovile Boniardi e Pogliani di G. Besozzi, 1854. 

(9) La pronuncia locale del nome è così accentuata, che l'Uberti nella sua Guida generale ai laghi subalpini s'è indotto ad adottare l'ortografia seguita da molti, Casgiago.

(10) CARLO MASSIMO ROTA, La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciàco, Varese, Tip. arciv. dell'Addolorata, 1928. Sono novanta pagine in una prefazione e quattro capitoli.

(11) Il Biraghi anzi, dice di credere che Gambaione già Ganbalionum, sia una corruzione di Canalis balneorum, nata dal fatto che il popolo avesse preso a denominare il fiume dall'uso a cui a Cassago le sue acque servi­vano: ma è meglio accontentarsi di ammirare l'ingegno, anzi la fantasia, tanto più che rimarrebbe sempre a spiegare come mai il nome speciale che sarebbe stato preposto al fiume da quei di Cassago, gli sia rimasto a preferenza di quello datogli per avventura negli altri punti del suo corso.

(12) Il Bertrand, che nel suo Sant'Agostino aveva scritto: «Purtroppo Cassiciaco è scomparso, e anche il sito dell'antica villa milanese è incerto», successivamente in un articolo della Revue des deux mondes (15 settembre 1913) raccolto poi insieme ad altri studii nel volume Autour de saint Augustin, rende conto del convincimento formatosi in proposito con un suo viaggio sui luoghi: dapprima aveva creduto di identificare il rus Cassiciacum nel borgo di Cernusco Merate (il che è veramente strano); poi si recò a Casciago e si persuase che è troppo distante da Milano, e che Agostino non avrebbe mancato di segnalare la vista dei cinque laghi che vi si gode; infine venne a Cassago, e constatò che la località risponde pienamente alle indicazioni agostiniane. Circa tre secoli prima, il cardinale Federico Borromeo registrando tra i loci amoenissimi, in cui le bellezze naturali contribuiscono a giocondare lo spirito anche il Cassiciàcum di cui parla Agostino nel capo 3 del IX libro delle Confessioni, così commentava: «Id porro Cassiciacum, quem locum inclyti Doctoris verba celebrant, nos credidimus esse Cassagum, conjecturamque nostram, et natura loci, et ratio nominis, et veterum aedificiorum reliquia, plurimaque vestigia antiquitatis adiuverunt» (De christianae mentis jucunditate, Mediolani, 1632, p. 87).

(13) Risulterebbe da questa lettera che il Manzoni avrebbe spacciata per sua una opinione altrui. Il Carlo Morganti fu per molti anni coadiutore a Cassago, indi parroco di Annone, e poi per dieci anni parroco di Cassago, il che non manca di produrre qualche meraviglia. Ma la smentita del Manzoni non si seppe: il che spiega come Gaetano Negri, in una nota al saggio I ricordi di Marc'Aurelio e le Confessioni di S. Agostino (nel volume Meditazioni vagabonde, p. 208), scrivesse nel 1897 (cioè più di trent'anni dopo) mostrando di ignorare completamente la controversia, e sulla semplice base della lettera manzoniana al Poujoulat e del credito at­tribuitole dal Flechia, con una veramente straordinaria disinvoltura collocasse Agostino meditante in cospetto al Monte Rosa e delle Alpi nevose, ma solo per procurarsi il gusto di ripetere una sua particolare teoria circa l'assenza del sentimento della natura negli antichi.

(14) Nell'articolo di un giornale di Varese, pubblicato nel giugno del 1897, mi è accaduto però di leggere questo argomento nuovissimo: che poichè in su quel di Varese trovansi copiose memorie della presenza di sant'Ambrogio, è probabile ch'egli vi abbia mandato il discepolo e l'amico. Nessuno però l'ha più raccolto; e si capisce.

(15) Sac. RINALDO BERETTA, Dov'era Cassiciàco che ospitò S. Agostino?, Carate Brianza, Tipografia Moscatelli, 1928. Ma il Beretta ha torto di non considerare i due capitali rilievi, della soverchia distanza di Casciago da Milano, e del panorama dei cinque laghi che Agostino non avrebbe dimenticato di avvertire.