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Davide Pace: ASPETTI DELLA ROMANITA' DI CASSAGO

Vaso frammentario in argilla di età romana proveniente dalla località Pieguzza di Cassago

Vaso frammentario in argilla di età romana (Pieguzza)

 

 

 

ASPETTI DELLA ROMANITA' DI CASSAGO

di Davide Pace

 

 

 

Aurelius Augustinus

Benché persista tenace la problematica incertezza che impedisce di conferire nitido l'agostiniano "Cassiciaco" al brianteo Cassago, la mistica e storica "presenza" di Aurelio Agostino è ormai tale che invano tenterebbe sottràrvisi chiunque introduca la propria investigazione in alcunché della rivelata e vieppiù rivelàntesi romanità dell'inquieto Cassago.

Né io - che diligo la severità dell'esercizio scienziale ma prediligo l'audacia della trasfigurazione mistica - gradirei sfuggire alla salutare avventura di reincontrarmi con la fulgente magnificenza dello spirito e della voce di Aurelio Agostino, le cui "Confessioni" esaltarono uno dei più agitati momenti della mia vagabondante giovinezza.

E proprio all'ineffabile imperio di Agostino io cedo felice nell'indurmi a offrire l'esiguo contributo "culturale" di alcune riflessioni e di talune prospezioni che la palpitante romanità di Cassago suggerisce alla mia tarda perscrutazione dell'antichità della "Brianza".

Quand'anche un giorno fosse possibile dimostrare - inconfutabilmente - che l'agostiniano "rus Cassiciacum" fu un luogo diverso da quello che corrisponde al brianteo Cassago (vigorosamente attestato nella più vetusta documentazione medioevale quale "Cassiaco"), l'inquieta "immanenza" - mistica e culturale - dell'indocile Agostino nel meritevole Cassago non si estinguerebbe, poi che la venerante dedizione della comunità cassaghese ha ormai avvinto alla propria perpetuità historica l'errabondo "spirito" del redento Aurelius santificàtosi Augustinus, alla cui "universalità" - misticamente "teologica" e agapicamente "filosofica" e poeticamente "letteraria" - non disdice l'armonica molteplicità delle "sedi" comunque "agostiniane".

Giova dunque considerare tuttora insoluta - tanto più degna di essere criticamente agitata e alimentata quanto più ardua e più suggestiva pare complicarsi - la multisecolare "questione" di quel "Cassiciaco" che nei "più antichi" e " più affidanti " codici delle agostiniane "Confessiones" problematicamente designa l'incantesimale rus del magnanimo Verecundus: l'uno e l'altro evocati con "paradisiaca" esaltazione - misticamente metamorfica e poeticamente trasfigurativa - dall'invocante gratitudine di Aurelio consacràto Agostino.

Sarebbe ormai opportuno che una monumentale sìlloge critica documentasse sistematicamente integrale - dalle più remote alle più recenti manifestazioni - l'inconcluso processo dell'innegligibile quaestio, la cui "veste" precipuamente "toponomastica" avvince una varia complessità di problemi squisitamente "culturali", dominata - comunque - dall'irradiante universalitas dello spirito di Agostino.

Un utile compendio - perspicacemente sereno - del problema e della questione del "rus Cassiciacum" è stato intessuto dalla tenace dedizione agostiniana del cassaghese Luigi Beretta: degno egli dell'auspicio che l'acuta diligenza del suo "S. Agostino e Cassiciaco" strenuamente perseveri nel progressivo sviluppo dell'inclito assunto.

A me non altro giova che conferire più accentuato rilievo a taluni degli aspetti che nella fluida varietà del processo esegetico hanno sofferto - mi pare - di relativa trascuranza o di obnubilante cautela o di pedissequa umiliazione.

Se altro tuttavìa può essere lecito all'audacia indagativa che mi è consueto diligere (o in cui mi è prediletto avventurarmi quando l'arduità mi sembri estrema), io m'induco felice a ostendere - ovvero a confessare - alcuna delle riflessioni o escogitazioni più avventatamente peregrine in cui (piacevolmente indugiando) mi è accaduto d'incorrere.

Il "conflitto" etimologico ludente da "evi" fra l'ambìto toponimo "Cassiciaco" e i contendenti toponimi "Casciago" e "Cassago" pare lontano dal potersi estinguere.

Vieppiù il perseguìto "Cassiciaco" sembra sfuggire - ìlare - al tormentoso elaborìo dell'uno e dell'altro aspirante.

E quasi sarcastico il giocoso "Cassiciaco" può giungere a sfuggire sé stesso, quando alcuno supponga che proprio l'evocante Agostino delle "confessioni" - a distanza più che decennale dall'incantevole soggiorno nella villa di Verecondo - non rammemorasse nitido l'aggettivale nome del delizioso rus e alterasse con il dubitabile "Cassiciaco" un probabile "Cassiaco".

E' comunque necessario preliminarmente rilevare che la questione persisterà fluida finché l'archeologia - o altra fonte documentaria - non abbia conseguìto inoppugnabile la prova ("concreta") di un verecondiano rus Cassiciacum: ovvero l'inequivocabile conferma che l'«autorità» dei codici offerenti la voce "Cassiciaco" è autenticamente veridica, capace dunque di dissolvere ogni altra differente "lezione" con cui negli altri codici è qualificato il rus di Verecundus.

Giova ormai che si pròvochino a più organico gioco di fecondo preludio esegetico i problematici "aspetti" della vexata quaestio, non respingendo - io - i novelli che la "fantasìa" susciti e imponga suggestivamente più ardui: è della "fantasìa" - mistica e poetica per eccellenza - l'audacia di opporre o proporre all'austerità della "logica" le più profonde sorgenti cui attinge divinamente libero l'«illogico»

Agostino - dunque - autenticamente scrisse "Cassiciaco" ? o scrisse altro, forse proprio "Cassiaco" ?

Tale permane - precipuo e imprescindibile tuttora - l'aspetto "radicale" della complicata e complicabile quaestio.

Nella complessità del "gioco" criticamente ipotetico è da escludere che il "rus Cassiciacum" di Verecundus - difficilmente identificabile con Casciago - neppure s'identifichi con Cassago ?

O forse il "rus Cassiciacum" - se veramente tale - fu comunque una "parte" o un "aspetto" del praedium Cassiacum che regolarmente ci è suggerito dal toponimo "Cassago" ?

E' glottologicamente "degna" di corroborante alimento l'opinione che suggerisce o afferma la fonetica possibilità che il toponimo "Cassago" discenda dal toponimo "Cassiciaco" ?

Tale opinione - cautamente o fervidamente manifestata da cultori del problema di "Cassiciaco" - è implicita in quanti con acritica certezza identificano il brianteo Cassago con l'agostiniano "rus Cassiciacum".

Quando fosse indiscutibilmente acclarato - comprovato - che il rus di Verecundus coincida con l'attuale Cassago e quando considerassimo indiscutibile che il vigente toponimo fosse stato "Cassiaco" nell'antichità come "Cassiaco" è documentato nel medioevo: potremmo riconoscere probabilità sodisfacente alla vaga e fievole congettura che proprio il rievocante Agostino delle "confessioni" - ardente ancora d'indefettibile gratitudine - fosse incorso nel mnemonico lapsus di tramutare in "Cassiciaco" l'autentica voce "Cassiaco" ?

E sviluppando all'estremo la sistematica processione degli "aspetti" captabili e dei "quesiti" concepibili, sìa lecito che io ardisca - e Agostino conceda magnanimo - la riflessione più vulnerabilmente audace.

Se la villa di Verecondo fu proprio in "Cassiaco": e se Agostino eumnemonico autenticamente scrisse "Cassiciaco": quale l'agostiniana "ragione" o "causa" per cui "Cassiaco" fu alterato in "Cassiciaco" dall'adorante Agostino della stupenda "confessione" misticamente poetica ?

Che un antico toponimo "Cassiciaco" esiga un generativo antroponimo "Cassicius" è indubbio:

e relativamente certo è che un vigente toponimo "Cassago" - così come i numerosi toponimi "Cassano" - suggerisca un generante antroponimo "Cassius".

La questione di "Cassiciaco" - dunque - non pare suscettibile di risolutivo ausilio esegetico, costretta tuttora - e angustiata - nel vètere contrasto fra l'arridente antroponimo "Cassicius" (della gens Cassicia) e il pervicace antroponimo "Cassius" (della gens Cassia).

Non tanto giova il tentativo di risalire comunque dal vigente toponimo "Cassago" all'agostiniana voce "Cassiciaco" (tentativo che tuttora può considerarsi relativamente vano), quanto necèssita che glottologicamente sia dimostrata la "teorica" possibilità che un'antica voce toponimica "Cassiciaco" sia evolutivamente tramutabile in un conclusivo toponimo "Cassago".

Alto sarebbe il merito del glottologo che sapesse dimostrare la possibilità di un evolutivo processo fonetico adducente da un'antica voce "Cassiciaco" a un'attuale voce "Cassago".

Tale possibilità - "etimologica" e "fonetica" e comunque "glottologica" - non è ancora stata dimostrata.

Né siamo assolutamente certi che Agostino avesse scritto l'inclito "Cassiciaco" invece che l'umile "Cassiaco".

 

E' significativa - sufficientemente sintomatica della complessità e della difficoltà del problema - l'abile cautela con cui Carla Marcato tratta la voce "Cassago" nel "Dizionario di Toponomastica (storia e significato dei nomi geografici italiani)", alla cui composizione - recentissima - ha presieduto l'insigne competenza di Giovan Battista Pellegrini.

L'autrice richiama in succinto l'articolata opinione del consueto Dante Olivieri, secondo il quale - com'ella desumendo dice - il toponimo "può derivare da un precedente Cassiciacum" (formato - precisa la glottologa - "dal personale latino Cassicius" "con il suffisso -acus che indica appartenenza"): così che "Cassago" "può essere identificato con «Cassiciacum» menzionato da S. Agostino".

Ma sùbito aggiunge nitida (implicitamente accentuando il più acuto degli aspetti problematici): "Tale equivalenza non è avvalorata da chi non ritiene formalmente possibile ricondurre il nome a Cassicius e lo fa invece risalire a Cassius, anch'esso antroponimo latino, con il suffisso -acus".

E' tuttavìa opportuno rilevare che la trattazione dell'Olivieri è più complessa di quanto appare dal riassunto della Marcato.

Egli - proclive a reputare che una tramutazione fonetica da "Cassiciaco" a "Cassago" fosse stata possibile - non aveva trascurato di accennare (senza specificarli) ai suggerimenti analogici pronunciati da Germain Morin: né aveva taciuto l'analogica suasività che gli pareva potersi cogliere - attingendo egli al propizio Silvio Pieri - nella documentata evoluzione di un toponimo toscano.

 

Concorde l'Olivieri con il filologo Carlo Salvioni nel respingere la famigerata promozione del varesino Casciago a essere identificato con l'onorificante "Cassiciaco", diverge tuttavìa l'Olivieri dall'eminente predecessore nel giudizio che concerne il toponimo "Cassago", anch'esso investito da sfavorevole disamina del Salvioni, opinante la fonetica improbabilità che la voce "Cassago" discenda dal glorificante "Cassiciaco".

Riferito (non proprio felicemente, mi pare) il pensiero del Salvioni e accennando fugace a Germain Morin, l'Olivieri cautamente asserisce che "sembra ammissibile, anche in Lombardia, l'evoluzione da Cassiciacum a Cassàgo": e conclude che "tale evoluzione può dirsi in tutto analoga a quella del Verciano di Capànnori (v. Pieri, Topon. Arno) da Versicianum".

Io penso che l'alta importanza dell'argomento avrebbe meritato - dal magister della toponomastica lombarda - una meno rapida e più limpida e meno esitante trattazione.

Più si era diffuso l'Olivieri - e più incisivamente - nel dimostrare che la varesina voce "Casciago" non può considerarsi una derivazione della voce "Cassiciacum".

Che la citata evoluzione da "Versicianum" a "Verciano" sia relativamente comparabile con quella ipotetica da "Cassiciacum" a "Cassago" appare ovvio: ma l'Olivieri non coltivò a fruttifero sviluppo nel difficile humus lombardo l'analogico germe offertògli dal lussureggiante humus toscano.

Piace a me rilevare che l'antroponimo "Cassicius" - generante il toponimo "Cassiciaco" - e l'antroponimo "Versicius" - generante il toponimo "Versiciano" - hanno in comune quel suffisso "-icius" che tanto è suggestivo e tanto forse ancora è suscettibile di strenua esegesi, più profonda e più acuta di quella - diligentissima - di cui ha finora goduto.

Non indugiò il celere Dante Olivieri con Germain Morin, il quale - per alimentare l'auspicanda e blandita "possibilità" di un evolutivo "raccourcissement" dell'antica voce toponimica "Cassiciaco" nell'altomedioevale "Cassiaco" e quindi nella conclusiva voce "Cassago" - aveva infarcito l'arduità della quaestio con improvvisati "exemples", tali che non mi sembra eccessivo - né irriverente - siano considerati più ingombranti che proficui.

Ma proprio alla specifica competenza del solerte cultore delle questioni toponomastiche lombarde (l'appunto sia lecito) sarebbe stato congruente chiarire che il confuso intervento - nel "gioco" esegetico - delle toponimiche coppie "Cislago-Cistellago" e "Inzago-Anticiaco ou Inticiaco" e "Sizzano-Septiciaco" difficilmente potrebbe recare autentico ausilio alla nitida soluzione di un problema già tanto intricato.

Dopo tanto travaglio inquisitivo e disquisitivo (più che millenario ma tormentosamente irrisolto) della questione di "Cassiciaco", importa dunque còglierne - dedurne - gli "aspetti" più essenziali e più vividi, che giovi ormai perseguire con più organica coordinazione critica, liberàndoli - via via - dalle accumulàtesi "scorie", che sterilmente complicatrici confondono la più genuina essenza del problema: essenza indubbiamente glottologica e archeologica (e auspicabilmente - per taluno - anche mistica e poetica).

 

Elucubrare audacissimo nella "psiche" di Aurelio Agostino mi è aureliana e agostiniana dilezione.

Ch'egli seraficamente ne sorrida - egli rètore santo - io amo illùdermi.

Il toponimo di carattere prediale nacque come aggettivo da un antroponimo gentilizio: dal nomen di chi possedeva il praedium o fundus o rus.

La tramutazione del nome gentilizio in aggettivo prediale avveniva mediante il suffisso "-anus" (tipicamente romano) o mediante il suffisso "-acus" (galloromano).

Così da "Cassius" si originarono "Cassianus" e "Cassiacus" (aggettivi da nomi gentilizii) e indi toponimicamente (in ablativo) "Cassiano" e "Cassiaco".

Così da "Cassicius" si originò "Cassiciacus", donde "Cassiciaco".

"Cassius" e "Cassicius" hanno in comune la base "cass-". La differenza formale - dunque - è nei due suffissi: "-ius" e "-icius".

Il suffisso "-icius" - degno di sistematica indagazione morfologica lessicale semantica - assunse anche implicito il valore di diminutivo: e virtualmente - mi pare - di vezzeggiante diminutivo.

Penso -sottilmente riflettendo - che il toponimo prediale non fosse per gli antichi (per gli antichi più finemente colti) tanto importante nella sua facie concretamente definitiva quanto è per noi: per noi pòsteri tanto lontani, "anatomicamente" investigatori, più attenti - spesso - all'accidente formale che alla "sostanza" più significante.

Non escluderei che più che il toponimo influisse nella "psiche" del romano l'antroponimo generante il toponimo: "Cassiaco" è la terra - il rus - di "Cassius".

Agostino - poeta e mistico (congenialmente incline alla "trasfigurazione" anche "transustanziante") - poté su le irresistibili ali creative del sentimento fantastico (egli facile ai vezzeggianti diminutivi) tramutare l'antroponimo "Cassius" nel dolce "Cassicius" ?

Fu psichico "gioco" gaudiosamente incontenibile - nella paradisiaca trasfigurazione del mons incaseatus - la mistica e poetica metamòrfosi del rustico "Cassiaco" nel patetico "Cassiciaco" ?

Che la mia elucubrazione - che amo non dissolvere - sia tanto sottilmente "psicologica" da potersi reputare più "fantastica" che "scientifica" io sono cosciente: cosciente in perfetta letizia.

Non altro fosse che un "gioco", la sagittale avventura nel "mistero" e nella "luce" della "psiche" di Agostino mi è gaudio: precipitare dall'eccelso del mons incaseatus nell'abissale profondità dello psichico mistero - là dove arde impaziente di "cielo" la luce più profonda - è poetico e mistico evento.

 

E' criticamente opportuno non trascurare in assoluto la questione - relativamente ormai "secondaria" ma tuttora imprescindibile - del varesino toponimo "Casciago", che all'onore della «identificazione» con "Cassiciaco" precipuamente assurse per un piccolo capolavoro epistolare - in lingua francese - dell'incauto Alessandro Manzoni, laudativamente generoso.

Né decisivamente importa che l'encomiastica elezione di Casciago fosse stata più tardi abbandonata dal Manzoni medesimo: suggestionato egli con inconsueta facilità - egli storico severo - dagli argomenti altrui, sia nella fase laudatoria che in quella resipiscente.

Non da dilezione o predilezione alcuna era stato attratto il filologo Alessandro Manzoni a esaltare Casciago invece che Cassago, l'uno e l'altro non altrimenti noti a lui che per la sollecitata dottrina di altri e per la non verificata testimonianza di altri: eppure la manzoniana descrizione dei luoghi - e più di Casciago - era stata magistrale, degna del poeta prosatore.

Non mi è arduo opinare che il convertito Alessandro "inseguisse" - misticamente e poeticamente attratto - il convertito Agostino: là dove a taluni appariva certo si potesse riconoscere il verecondiano "rus Cassiciacum" (l'umile praenuntius del paradisiaco "mons incaseatus"), eletto - al tormentato e tormentoso Aurelius rhetor - dall'onniperspiciente Provvidenza perché là egli maturasse la conversione al Dio dell'Amore.

Incline alla "trasfigurazione" mistica e poetica (è dei mistici più autentici e dei poeti più genuini), il pio vate Alessandro - come "contemplasse" dall'eccelso della "civitas Dei" - colse dilesse contemplò "degna" di Aurelio Agostino la "paradisiaca" trascolorazione del monte che incantevolmente maiestatico arde roseo nella trasfigurante aurora, misticamente "magnetico" e poeticamente "olimpico".

Ma proprio per la medesima "ragione" - poetica e mistica - giova pensare che l'evocante "attore" delle "confessioni" (santificato "rhetor" irresistibilmente "rhetor") non avrebbe taciuto l'inconsummabile stupore "serafico" per la rosea "trasfigurazione" - agostinianamente paradisiaca - del monte immane: se il provvidenziale "Cassiciaco" del generoso Verecundus fosse stato là dove il varesino Casciago concede stupendo l'aurorale "miracolo" del Rosa.

Non mi pare incongruente che il toponimo "Casciago" insista pertinace nella questione di "Cassiciaco".

Quando si elegga come veridica la lezione "Cassiciaco", la vigente voce "Casciago" - che fu "Casgiago" e che nel dialetto è "Cas'ciagh" - può foneticamente opinarsi e suggestivamente apparire la più idonea per evocare un'antica voce "Cassiciaco".

Ma il problema del toponimo "Casciago" è più complesso: tale da provocare - facile - un'obiezione "dissacrante", che infatti non è mancata e che a taluni sembra decisiva.

Nella documentazione medioevale la voce "Casgiago" si rivela - relativamente tarda - nella seconda metà del secolo XII (mirabile un documento del maggio 1180, in cui "Casgiago" è nitidamente attestato per undici volte): prima - dal 959 - la località è designata (con variazioni di carattere secondario) dalla voce "Castiaco", essenzialmente "diversa" dall'ulteriore "Casgiago" e dall'attuale "Cas'ciagh" proponibili per l'identificazione con l'antico "Cassiciaco".

Tuttavìa la voce "Casgiago" è strutturalmente tale che attribuirle un'improvvisa origine medioevale mi parrebbe arbitrario: sterilmente arbitrario.

Insorge dunque - alla riflessione critica - un problema che giova non eludere.

Perché fu tanto tarda la preziosa epifanìa documentaria della voce "Casgiago" ?

Perché per tanti degli anni antecedenti (dal 959 al 1170) la documentazione toponimica gioca "estranea" - "eterogenea" - ostendendo il nitido "Castiaco" (anno 959) che varia fedele in "Castiago" (1048), indi compiacèndosi di evocare arcaicità ligustica con "Castiasca" e "Castiasco", prima del risorgente ma eclissàntesi "Castiago" dell'anno 1170 ?

O forse la relativa "eterogeneità" etimologica della voce "Castiaco" e delle assimili è solo apparente, non proprio tale che l'intrinseca "equivocabilità" esegetica non possa chiarirsi, dimostràndosi regolarmente riconducibile alla lusingante voce toponimica "Cassiciaco" ?

Ossìa - mi è innegligibile insistere - potrebbe un'antica voce "Cassiciaco" èssersi contratta e alterata (con autentico processo genetico) nella voce "Castiaco" e questa indi (con autentico processo genetico) èssersi tramutata nel sorprendente "Casgiago", che è più assimilabile a "Cassiciaco" e meno dissonante dagli attuali "Cas'ciagh" e "Casciago" ??

Che il problema inflìttoci dall'indubbia interposizione di una voce "Castiaco" fra l'ambìta voce "Cassiciaco" e la tarda voce "Casgiago" sia stato finora più eluso che perscrutato mi pare innegabile.

E' teoricamente possibile contemplare limpida in facie romana la gènesi di un toponimo "Castiaco": da un cognomen "Castus" (evocante a noi "Verecundus" !) è deducibile un gentilizio "Castius", donde con il suffisso "-acus" - aggettivante prediale in ambiente gallico - s'ingènera "Castiacus" e toponimicamente "Castiaco".

Se così fosse stato (e può essere che così fosse stato), il toponimo "Castiaco" sarebbe pervenuto all'alto medioevo nella forma medesima con cui si era ingenerato nell'antichità.

Arduo dunque - se non anche ostinatamente arbitrario - sarebbe asserire l'evolutivo pronunciarsi medioevale di un'antica voce "Castiaco" da un'antica voce "Cassiciaco".

Eppure il venerando "mistero" della voce "Cassiciaco" insiste in Casciago: glottologicamente insiste in Casciago più di quanto glottologicamente possa insistere in Cassago.

La complessità del problema toponimico di "Casciago" attende dunque di essere più congruamente perseguìta.

E ancora giova che in tale complessità lo specillo critico s'immerga più audace.

Perché la pregnante voce medioevale "Casgiago" - grave ormai di foniche alterazioni e di esegetiche insidie ma rilucente tuttavìa di riconoscibile antichità e di preziosa suggestività - è documentariamente preceduta dalla non omogenea voce "Castiaco" e non esordisce che nell'ultima fase del secolo XII ?

Essendo estremamente arduo proporre l'eventualità di una progressiva tramutazione fonetica ovvero glottologica da un originale "Cassiciaco" a un ulteriore "Castiaco" e indi a un maturo "Casgiago": e tuttavìa considerando infecondo e arbitrario escludere un'antica facie originale - essenzialmente non dissimile - della tarda voce "Casgiago": non altro mi pare sia opportuno congetturare (cautamente) che un plurisecolare "letargo" documentario della voce medesima, per secoli oscurata dall'insorgere o dal risorgere - comunque preponderante - di un'antica voce "Castiaco".

La coesistenza di più toponimi anche nell'àmbito di un territorio non cospicuo è caratteristica dell'antichità sia preromana che romana: il prevalere - temporaneo o definitivo - dell'uno o dell'altro toponimo fu avvinto a vicissitudini di cui è raro a noi essere cògniti.

La complessa zona del Casciago attuale - dominata dal castrum del monte sacro - non fu povera di distinti vici e castella e comunque di articolazioni demiche toponomasticamente vitali.

La questione dell'asserita e discussa identificabilità di Casciago con l'inclito "Cassiciaco" è tuttora inconclusa.

L'eccellenza letteraria filologica storiografica di taluni fra i più fervidi assertori dell'agostiniana dignità di Casciago - dall'incomparabile Alessandro Manzoni all'aureo Dante Isella - non incide risolutiva (né potrebbe) nella più problematica essenza della questione.

La stessa lezione "Cassiciaco" - ormai predominante - non è in assoluto libera da critica vulnerabilità.

E lo stesso Cassago - che lauto di riemergente romanità tanto dilige contendere a Casciago l'onore di "Cassiciaco" - potrebbe deludersi e deludere quando si rivelasse certa nel suo territorio l'attestazione del rus di Verecundus.

Cassago fu costantemente documentato "Cassiaco" dall'alto medioevo (anno 854): la voce toponimica "Cassiaco" - di nitido stampo antico - èvoca la gens Cassia non proprio la gens Cassicia.

Il fervente spirito dell'indòmito Luigi Biraghi potrebbe - non incongruamente - riagitare a noi la lezione "Cassiaco", in cui egli nobilmente profuse la strenua diligenza indagativa.

Occorre ormai coordinare in sistematica sìlloge - criticamente serena - l'intricata e intricàntesi complessità dei documenti e delle opinioni e degli asserti e delle congetture.

Sìa fausto - anche all'istorica scienza - che Aurelio Agostino avvinca Casciago e Cassago in feconda "unità" perscrutativa e compositiva.

Ignoro se Casciago invochi promuova favorisca l'avvento di una pertinace perscrutazione archeologica del proprio territorio: qualunque fosse stata la presenza romana (che io considero indubitabile), necèssita reperirne le probabili vestigia e recuperarne le superstiti reliquie.

E' deplorevolmente sintomatico che Marco Pippione storiografo di Casciago - "ricordando come la presenza di una gens Cassicia sia ampiamente documentata nell'area varesina" - si accontenti celerrimo di una succinta citazione bibliografica e non diliga offrire integralmente aprica una provvida documentazione del preziosissimo accenno.

E proprio sarebbe opportuno che Cassago e Casciago - autonomamente l'uno dall'altro (eppure l'uno e l'altro in felice "simbiosi" agostiniana) - attuassero e divulgassero un inventario sistematico dei toponimi locali.

Attingere dalla molteplice varietà delle fonti possibili - e più dai documenti archiviali - toponimi persistenti e toponimi estinti è inestimabile contributo culturale: virtualmente storiografico e talvolta virtualmente archeologico.

Può accadere che problematici aspetti della romanità - tali le viae la limitatio le villae - ricevano alimento da toponimi desueti o trascurati ma degni di reviviscenza: mirabile nella regione briantea - e più nelle zone centuriate - la persistenza o comunque la reperibilità della voce "arca", pertinace testimone della limitatio.

 

E' laudabile che il subalpino Casciago ami alimentare - con armonica serenità "istorica" e "mistica" - l'agostiniana "stìgmata" infèrtagli dall'inspirato Alessandro venerante Agostino.

Arrida rosea in Amore l'aurorale maiestas dell'aureo tempio montano.

Nell'ineffabile fecondità del comune humus agostiniano del rus di Verecundus fèrvano umili agricolae Casciago "Cassiciaco" e Cassago "Cassiciaco".

Stupendo è che "Cassiciaco" con mistiche ali trascorra inquieto e ìlare fra Cassago e Casciago e fra Casciago e Cassago.

Stupendo è che l'historia luda misticamente gèmina dall'uno all'altro luogo: l'uno e l'altro - nella mistica "verità" - essendo "Cassiciaco": gemellati l'uno e l'altro nel divino prodigio umano dell'Historia.

 

confessio

Quando - incautamente - accolsi "cauto" l'invito a occuparmi della "romanità" di Cassago io ero immerso in altra elaborazione della "romanità" briantea, tale da investire aspetti fra i più ardui (quale la limitatio anche centuriale, ovvero la pertica di Mediolanum e la pertica di Comum e l'irridente fantasma pliniano di "Licinii Forum").

Indi (era il marzo 1993) la mia "salute" - senile - fu gravemente vulnerata.

Risollevàtomi, ripresi - lusingàndomi Aurelio Agostino - l'elaborazione cassaghese, che andò via via complicàndosi e intricàndosi.

Aurelius Augustinus - nelle suggestive specie della quaestio di "Cassiciaco" - dominò agapicamente imperioso (e tuttora dòmina) lo sviluppo dell'innegligibile assunto.

Se la questione di "Cassiciaco" non implicasse Aurelio Agostino e non fosse scaturita dalla "più autorevole" delle controverse "lezioni" del testo agostiniano, io non sarei "precipitato" - invero gaudiosamente - in uno dei ludi che più mi sono congeniali e che divertono la mia senilità ovvero l'estrema delle mie infanzie: il gioco delle due "verità" che sembrano antitetiche ma che stupendo e fecondo è armonicamente conciliare: l'austera "verità" scientifica e l'ìlare "verità" mistica.

Poiché in abito scienziale diligo la sistematicità, mi ero proposta la diretta conoscenza di tutta la "letteratura" concernente il problema del rus di Verecundus.

Molto invero mi è stato possibile (anche per l'ausilio elargìtomi da Luigi Beretta): mi spiace tuttavìa che finora io non abbia potuto esaminare il testo di Pio Knöll, assertore della lezione "Cassiciaco".

Avevo dunque incominciato il riesame critico di opinioni asserti congetture, convinto che giovi ormai coordinare in essenziale sìlloge critica il molto - moltissimo - che si è profuso.

Ma poi ho ceduto all'urgenza di non deludere chi aveva confidato in un mio contributo "cassaghese": o forse più - proiettàtomi da Cassago a Casciago - mi è parso dilettevolmente doveroso non ritardare io talune osservazioni e talune obiezioni che non mi pare avessero già goduto l'energica e nitida espressione di cui mi sembrano degne.

E' ormai opportuno chièdersi se la copiosissima quaestio di "Cassiciaco" - quale finora si è costruita e quale ora si ostende - sia "concretamente" solubile.

Non risolta è da considerarsi - tuttora - la questione glottologica: sia per Casciago che per Cassago.

Nessuno dei due toponimi è limpidamente riducibile all'ambitissima voce "Cassiciaco".

"Casciago" - che anche a me pare il più suasivo - ha l'ostacolo non eludibile del silenzio altomedioevale dell'assimile voce "Casgiago", per secoli preceduta dall'eterogenea voce "Castiaco".

Né la riducibilità (tuttora ipotetica) di "Casciago" a "Cassiciaco" costituirebbe in assoluto l'identificazione con il rus di Verecundus.

"Cassago" - quale ci è documentato dall'alto medioevo ("Cassiaco") con essenziale fedeltà - non conduce a "Cassiciaco".

Quando l'archeologia - o altro fattore risolutivo - accertasse che il rus di Verecundus era proprio situato nel territorio di Cassago, avremmo relativamente conseguìto un eccellente indizio - se non l'inconfutabile prova - che l'obumbrata lezione "Cassiaco" (già illustrata e alimentata - magistralmente - dall'insigne Luigi Biraghi) è da opinarsi come la più attendibile.

O proprio accadde (così come mi è piaciuto elucubrare) che Aurelio Agostino con mistica e poetica esaltazione trasfigurasse nel dolce "Cassicius" l'autentico "Cassius" ingenerante il toponimo del dilettissimo rus ?

O forse proprio un'originaria voce "Cassiciaco" poté alterarsi e ridursi - per fonetici accidenti - nell'equivocabile voce "Cassiaco" ?

Tale - provvisoriamente - io diligo "concludere" (armonizzando libero la severa esigenza "critica" con l'ìlare licenza "fantastica") l'avventura mia nella "questione di Cassiciaco": il cui processo è forse ancora lontano dall'esaurirsi, né forse attingerà quella sodisfacente soluzione che all'impazienza di taluni già sembra virtualmente acquisita e comunque attingibile.

 

Ho conservato alla mia trattazione "cassaghese" il titolo che avevo preannunciato (prudentemente più generico che specifico): "Aspetti della romanità di Cassago".

Che fra gli "aspetti" della fertile "romanità" del brianteo Cassago io considerassi e consideri preminente l'aspetto "agostiniano", è nitida e vivace testimonianza - con il pàrvulo ma loquace capitolo contemplante (riagitante) Aurelius Augustinus rhetor - l'ampio e ardimentoso capitolo dedicato alla "questione di «Cassiciaco»".

Per altri degli "aspetti" relativamente più notevoli avevo intrapreso distinti capitoli: ma fu necessario - e opportuno - che temporaneamente io desistessi.

La "romanità" di Cassago - efflorente vivida da un'arcaicità le cui remote scaturigini attingono al "paleolitico" prealpino e le cui fasi preromane mi è suasivo qualificare "liguoceltiche" - ostende via via tale consistenza da potersi e doversi coltivare anche autonomamente dal consacrante fulgore agostiniano.

Che il vagante "Cassiciaco" si ripresentasse - ìlare - a "cassiciacamente" chiudere questa "confessio" io non avevo presupposto.

Ma non potrei non gradire - proprio io - l'allettante imperio della parvula res aenigmatica di cui tanto pare si compiaccia il paradisiaco Aurelius Augustinus.

Già - temporaneamente - avevo "concluso" l'elaborazione mia (ineluttabilmente inconclusiva) del problema di "Cassiciaco", quando mi divenne possibile una parziale ma sufficiente consultazione di quell'opera di Pierfranco Volontè ("Varese antica nelle sue epigrafi pagane e cristiane") alla quale si avvince sicuro Marco Pippione rilevando "come la presenza di una gens Cassicia sia ampiamente documentata nell'area varesina".

Ma il diligente Pierfranco Volontè - che non ignorò la questione di "Cassiciaco" - non altra documentazione poté ostendere che quella - plurima - della Cassia gens.

Non - dunque - la Cassicia gens è fra quelle documentate nell' «area varesina».

Che una correlazione "genetica" (invero suggestiva) fra il gentilizio "Cassicius" e il gentilizio "Cassius" sia comunque da ipotizzare ho io stesso vivacemente suggerito e anche audacemente agitato: ma non giova sottintendere come ovvio ciò che ancora non è dimostrato, né lice - dunque - in sede storiografica sostituire (indifferentemente) "Cassicius" a "Cassius" o "Cassius" a "Cassicius".

I documenti epigrafici testimoniano nella regione varesina la presenza della gens Cassia: non della gens Cassicia.

Ma insidiosissimo - più di quanto generalmente si opina - è il "gioco" toponomastico e onomastico implicabile nella questione di "Cassiciaco": tanto è insidioso che pare irridere a qualsisìa tentativo di chiarificazione non effimera.

Un autentico groviglio di toponomastiche insidie può essere percepito nella copiosissima sistematicità documentaria della monumentale opera "Alt-celtischer Sprachschatz" di Alfred Holder.

La documentazione toponimica illustrante o corredante le voci "Cassiacus" e "Cassiciacus" è tanto fitta (e tanto irta) che una disàmina criticamente acuta potrebbe tuttora immèrgervisi mirabilmente feconda (il mio asserto - audace - valga quale auspicio).

E' indubbio che per le agostiniane "Confessiones" Alfred Holder prediligesse la lezione "Cassiaco": e immediato e sicuro - per l'eccellente indagatore - fu il richiamo a "Cassago bei Brianza".

Poi - evolvèndosi più ardua la questione - non fu possibile all'universale prestigio di "Alt-celtischer Sprachschatz" trascurare l'incipiente autorità della lezione "Cassiciaco".

Ma si compiaccia Casciago: ìlare amico - io - di Aurelius Augustinus: e mistico venerator - io - dell'aurorale Rosa (ero sul colle sacro di Gavirate - il 2 marzo dell'anno 1943 - quando l'aurora permeò epifanica il maiestatico tempio montano e l'incombente cielo e la palpitante terra, io - vulnerato - adorando l'Amore): colgo io - nell'intricata selva holderiana di cui lussureggia la voce "Cassiciacus" - il vivido calice floreale di un "*Cassiciacus oder *Castiacus", ostendèntesi a noi dal gallico ager di Chacé.

Il sorprendente "*Cassiciacus oder *Castiacus" - per la francese località di Chacé - ammonisce noi alla più attenta cautela nel fluttuante assunto storiografico dell'insoluta questione di "Cassiciaco" (felice io - vagabondo - che l'occuparmi di Casciago riaccenda libera la mia dilezione misticamente aurorale per il Rosa stupendo).

(La "verità" mistica - ludente incoercibile nella "verità" istorica - è gioco divinamente umano e umanamente divino agl'ìlari che non sanno proclamarsi "atei" o "agnostici": a loro il "fenomeno" è "miracolo").

 

Concèdi ora, o pazientissimo Agostino còmplice, che io chiuda con diligente criterio "scientifico" la piccola "confessio" che favoristi.

Adescato da Giandomenico Serra (nell'aureo "Contributo toponomastico alla teoria della continuità nel medioevo delle comunità rurali romane e preromane dell'Italia Superiore") e indi da Gian Piero Bognetti (nell'aureo "Sulle origini dei comuni rurali nel Medioevo"), dilettevolmente attingo da un documento dell'8 settembre 1197 la voce casciaghese "Cassgiago" ("et illud viganum loci de Cassgiago et illud viganum de loco Vellate").

Prezioso invero quel "Cassgiago": prezioso anche perché mirabilmente comparabile con il cassaghese "incassciago" (ossìa "in Cassciago") che attinto a un documento (non datato) del monastero di Pontida parve risolutivo a Pasquale Cattaneo per identificare nel dilettissimo "Cassago" l'agostiniano "Cassiciaco".

"Cassiciaco" e "Cassiciaco" dunque ?

Osta - o sembra ostare - al "Cassiciaco" cassaghese l'insistente "Cassiaco".

Osta - o sembra ostare - al "Cassiciaco" casciaghese il "Castiaco" antecedente al "Casgiago".

L'enigmatico problema dell'aprico rus di Verecundus persiste ambiguo: bino.

E trino potrebbe ludere se opinassimo possibile (fu opinato) che il verecondiano rus (fosse "Cassiciacum" o fosse "Cassiacum") sorrida la cassicìaca o cassìaca quies in altra località - non in Casciago e non in Cassago - dell'ager mediolanensis.

Del fluido enigma - gèmino o trigèmino - si cruci lo storico: al mistico è gaudio.

 

 

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(Davide Pace ringrazia il brioschese Antonio Viganò per il generoso ausilio)

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