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Othmar Perler: cassicIacum

Agostino a Cassiciaco: bozzetto del Maestro Silvano Crippa

Agostino a Cassiciaco: bozzetto di Silvano Crippa

 

Othmar Perler

CASSICIACUM

 

tratto da Les Voyages de Saint Augustin, Parigi 1969, 178-196

 

 

L'antico nome di Cassiciacum, il luogo dove Agostino passò l'inverno 386-387 nella villa del grammatico milanese Verecondo, sopravvive in quello di Cassago in Brianza, paese che si trova a circa 35 km a nord-est di Milano, o in quello di Casciago, località situata vicino a Varese a 55 km circa a nord-ovest del capoluogo lombardo? In questi termini si pone il problema animosamente discusso da quando M. Poujuolat e il celebre scrittore Alessandro Manzoni hanno proposto Casciago contro una tradizione attestata almeno dal XV secolo (1). Benché alla fine Manzoni e Poujoulat avessero aderito all'opinione tradizionale vigorosamente difesa da Luigi Biraghi (2), la controversia continuò, gli uni a favore di Casciago (3), gli altri di Cassago (4), i terzi infine rinunciatari a pronunciarsi in quanto gli argomenti a sostegno del primo o del secondo paese sembravano a loro insufficienti (5). Da ultimo il filologo di lingua latina Dante Olivieri affermò che «alcuni ostacoli insormontabili impediscono di ammettere che Cassiciacum possa essere all'origine di un dialettale Casciago» (6). Poiché recentemente sono state compiute alcune scoperte (ne parleremo più avanti), è giunto il momento di indagare nuovamente i testi agostiniani che non sembra siano stati completamente sfruttati. I primi che noi considereremo fra poco sono tratti dalle Confessioni (7): essi presentano la figura di Verecondo e la sua proprietà di Cassiciacum.

 

Il paesaggio di Cassiciacum

Verecondo è un amico intimo del cenacolo africano creatosi attorno ad Agostino. E' cittadino di Milano e grammatico di professione. Egli cerca l'aiuto di Nebridio che, per benevolenza, accetta l'incarico (8). Il grammatico in quel periodo è ancora pagano, ma sua moglie è cristiana. Pertanto desidera seguire il maestro di retorica nella sua conversione, ma nello stesso modo, cioè fino al celibato, cosa che il legame coniugale non gli permette: egli ne è tormentato. Verecondo mette a disposizione dei suoi amici una proprietà situata in campagna. Poco più tardi, probabilmente durante l'inverno 387-388, quando Agostino si trovava già a Roma, egli muore dopo aver ricevuto il battesimo.

L'autore delle Confessioni esprime la sua riconoscenza con queste parole: «Signore, tu lo ricompenserai nel giorno della resurrezione dei giusti ... Fedele alle tue promesse, tu renderai a Verecondo, in compenso della sua campagna di Cassiciacum (pro rure illo eius Cassiciaco), dove noi ci riposammo in te dalle preoccupazioni del secolo, il fascino del tuo paradiso eternamente verdeggiante - poiché tu gli hai rimesso i peccati sulla terra - sulla montagna ricca di formaggio (in monte incaseato), la tua montagna, la montagna dell'abbondanza » ( 9). Le varianti di questo testo sono: in resurrectione o in retributione, reddes o reddis, Cassiciaco o Cassitiaco o Cassiaco o Cassiato, sempiterne virentis o sempiternae virtutis. Fra tutte queste lezioni, una sola ha importanza per noi, quella di Cassiciaco che interessa pure i filologi di lingua latina. L'epoca, il valore e il numero dei manoscritti, così come il principio della lectio difficilior e dell'evoluzione linguistica (abbreviazione, omissione delle sillabe non accentate) depongono a favore della lettura «Cassiciaco», dunque dal nominativo «rus Cassiciacum». Quanto alla traduzione del testo, quello della fine dell'ultimo periodo è discutibile: bisogna intendere il versetto del salmo 67 come un'apposizione di «paradisi tui» o di «super terram» ? I Mauristi hanno scelto la prima soluzione, Knöll nel Corpus di Vienna la seconda (10).

Nel primo caso si tratta di una descrizione del paradiso terrestre, nel secondo è presentata la Chiesa nella quale il neofita ha ricevuto la remissione dei peccati e ogni grazia nel battesimo. Le immagini della Chiesa- Paradiso e della Chiesa-Montagna non sono rare nell'Antichità (11) e la scelta dell'interpretazione non tocca l'essenziale della nostra indagine. Siccome Agostino riveste volentieri le sue idee con dei testi biblici aggiunti alla fine di un pensiero o di una frase (12), l'interpretazione dei Mauristi non è fuor luogo: benché sia un po' dura, bisogna preferirla e separare con una virgola o un trattino, il versetto del salmo 67 dall'inciso che lo precede. Così ripristinato e tradotto, questo brano delle Confessioni contiene una descrizione del «rus Cassiciacum». Questo è un luogo che ricorda il paradiso per il suo fascino, il suo verde, la sua fertilità, i suoi alberi e i suoi boschetti ombrosi, la sua calma, i piaceri che procura al maestro affaticato. Per capire meglio questo paragone non c'è che leggere la descrizione del paradiso terrestre nel De Genesi contra Manichaeos: il paradiso simboleggia la felicità, poiché «è in mezzo agli alberi e ai boschetti che di solito gli uomini godono di un delizioso riposo» (13). A Cassiciacum col bel tempo le discussioni del maestro e dei suoi discepoli si svolgevano in un prato, sotto un albero (14).

Riferendo un episodio di questo periodo, il De quantitate animae dice che Licenzio e Trigezio «erano accovacciati a terra all'ombra» (15). In questa campagna crescevano numerosi alberi in ragione della fertilità del suolo (16). Le loro foglie, strappate dal vento dell'autunno, ostruivano i canali d'acqua corrente (17). Questi alberi non portavano frutti commestibili, ma erano utili per la loro ombra, il loro legno e le loro foglie (18). Colpito da questa esuberante vegetazione dovuta non solo al fertile terreno, ma pure alle piogge abbondanti dell'inverno, Agostino, provenendo dall'altopiano della Numidia, paragona gli inverni piovosi d'Italia alle «siccità di cui soffre costantemente la nostra povera Getulia» (19). Per descrivere il paradiso celeste di cui Cassiciaco è un'immagine, Agostino usa il versetto del salmo 67: «in monte incaseato, monte tuo, monte uberi». Il paragone è palesemente indicato sia dall'inversione del testo biblico, sia dal pronome possessivo che vi è apposto.

La struttura originale e completa di questo versetto si legge nell'Enarratio in Psalmum 67: «montem Dei, montem incaseatum, montem uberem» (20). Agostino ha dunque invertito l'ordine, cosa che non può essere effetto del caso, tanto più che questo curioso versetto è citato raramente (21). La ragione di questa inversione è probabilmente l'assonanza con il nome di Cassiciacum: Cassiciaco-incaseato. L'assonanza era una figura retorica e si sa quanto le Confessioni, soprattutto il libro VIII, brulichino di procedimenti tratti dall'arte oratoria (22). Cosa significa dunque mons incaseatus? Secondo l'Enarratio in Psalmum 67, si tratta del Cristo che nutre i piccoli (=neofiti) di grazia come di latte (23). Nelle Confessioni mons incaseatus esprime pertanto la pienezza della grazia e della gioia in paradiso e anche, per la sua relazione con il rus Cassiciacum, la ricchezza in formaggio e latte prodotti in montagna (o in collina). Commentando il «butyrum et mel comedet» di Isaia (24) san Gerolamo parafrasa così: «Questo ragazzo che si è ingrassato di burro e di miele e nutrito fra le montagne ricche di formaggio (inter caseatos nutritus montes) cresce velocemente» (25).  Cassiciacum sembra dunque che sia stato ubicato sia in montagna (o collina), sia in mezzo a montagne, dove ci si dedicava all'allevamento delle mucche, dei montoni o delle capre e alla produzione del formaggio. La letteratura e l'arte bucolica hanno forse giocato un ruolo nella scelta del salmo 67, poiché esse influenzavano da lungo tempo gli autori e gli artisti cristiani che descrivevano e rappresentavano il paradiso: si pensi ad esempio al tema del Buon Pastore (26). Si può andare più lontano e dedurre dall'espressione mons incaseatus l'aspetto della montagna di Cassiciacum ? I Romani erano ghiotti di una varietà di formaggio a forma di cono e di piramide, da cui il suo appellativo di «meta», nome che indicava di solito il termine conico dello stadio (27).

Pertanto è meglio rinunciare a trarre una conclusione che sembra fin troppo sottile e ricercata. Rievocando il soggiorno a Cassiciacum, Licenzio parla dei bei giorni soleggiati trascorsi nel mezzo dell'Italia fra alte montagne: «Italiae medio montesque per altos» (28). L'espressione Italiae medio non si interpreta necessariamente con il centro geografico della penisola, ma si può spiegare in rapporto alle coste, e si applica così alla regione milanese. Ciononostante questo testo poetico non deve essere interpretato troppo letteralmente. Peraltro il ricordo delle alte montagne fornisce una importante indicazione: poiché si tratta del soggiorno a Cassiciacum, queste alte montagne non possono essere che le Alpi, che dunque erano vicine. I Dialoghi filosofici completano queste informazioni con minuti dettagli, qualche volta divertenti e pittoreschi. Certi autori ne hanno contestato la storicità e li attribuiscono ad un genere letterario; ma gli argomenti prodotti a sostegno di questa ipotesi non appaiono decisivi (29).

 

La villa rustica

La proprietà rurale (1) di Verecondo si trova nella campagna (2) della Liguria (3), a una certa distanza dalla città, cioè da Milano (4). Essa ha probabilmente connesse diverse abitazioni e campi coltivati dai coloni (5). Agostino e i suoi dirigono i lavori ai quali d'altronde partecipano, una occupazione che li obbliga a interrompere e ad abbreviare talvolta le loro letture e i loro dibattiti filosofici (6). Il loro lavori manuali non sono tuttavia specificati. La villa (7) o casa (8) è costruita almeno dalle seguenti parti, distinte le une dalle altre:

 

Sala da pranzo 

Questo locale non è indicato col suo nome, ma ci si reca in questa stanza per pranzare (prandium) e per cenare (cena). Il primo di questi pasti è citato frequentemente (9), mentre il secondo lo è più raramente (10). Monica vi occupa il ruolo di madre di famiglia: ella sollecita i convitati a porsi a tavola (11). Tuttavia non è lei che necessariamente prepara i pasti, poiché un giorno ella partecipa ad una discussione alla cui fine un servitore di casa arriva correndo per annunciare che è l'ora del pranzo: questo dunque è già pronto (12).

 

I bagni (balneae)

I bagni non mancavano nelle ville che si rispettassero. Talvolta erano dotati di un ipocausto per scaldare sia l'acqua che il locale. Essi servivano pure da luogo di riunione sostituendo così il moderno salone. Come il triclinium e altre sale, potevano anche essere ornati da mosaici. Se a Cassiciacum essi sono nominati più spesso, significa che il maestro e i suoi discepoli vi si riunivano abitualmente col tempo piovoso, uggioso, freddo (13). Sembra si possa concludere che questo locale «adattato alla temperatura del giorno» era caldo (ci si ricordi del temperamento freddoloso di Agostino e della sua malattia), raccolto, calmo (14). Un'atmosfera di calda intimità vi regnava: «Il luogo si prestava alle discussioni, quando il cielo coperto non ci permetteva di starcene sul prato, e ci era familiare » (15). Questo locale non era attiguo al triclinium (ed alla cucina) ed al dormitorio, poiché il maestro e i suoi discepoli dovevano passarci dall'uno e dall'altro (16). Dai testi dei Dialoghi non risulta pertanto che si trattasse di un edificio a parte, tanto più che generalmente le terme erano incorporate nelle ville. E' possibile che i bagni di Cassiciacum si affacciassero sul cortile, tuttavia non lontano dalle camere da letto, poiché durante l'insonnia Agostino udiva il rumore dell'acqua «che scorreva dietro i bagni» (17).

Il piano dei balnea era dunque il medesimo di quello del triclinium e del dormitorio contrariamente a quello del prato di cui tratteremo più avanti, poiché è solo in rapporto a quello che Agostino usa il termine discendere (descendere) (18). I bagni di Cassiciacum avevano due porte, una laterale e l'altra non propriamente al centro, tanto che l'asimmetria disturbava la vista (19). Davanti ad una delle due porte Agostino assistette un mattino ad un combattimento di galli (20): questa porta conduceva dunque probabilmente ad una corte interna, poiché le villae rusticae erano generalmente circondate da un muro di cinta che proteggeva i diversi edifici destinati ad abitazione o al lavoro. La luce penetrava nel locale da tre finestre, una al centro e due di lato, a intervalli regolari, in ordine simmetrico incanto degli occhi (21). Malgrado le loro modeste dimensioni, questi bagni (balneolae) richiamavano il ricordo della bellezza dei gimnasi o delle scuole dei filosofi (22). Ci si riuniva anche alla conclusione d'una discussione sul prato: era il salone della famiglia (23). Al cadere della notte vi ci si portava una lucerna, senza dubbio ad olio, per poter leggere e scrivere (24). Delle condutture in legno portavano sia l'acqua potabile sia l'acqua per i bagni (25). L'acqua defluiva infine dietro i bagni su dei sassi, in vicinanza del dormitorio al punto che il rumore impedì una notte ad Agostino di dormire (26). La quantità d'acqua che scorreva non doveva essere molto grande, poiché le foglie d'autunno cadendo in abbondanza bastavano ad ostruire a momenti gli stretti canali e provocare così uno scolo intermittente e un rumore irregolare (27). Udendo ciò Agostino pensò all'inizio ad un acquazzone, ma si rese subito conto che non lo era (28).

 

Il cubiculum 

La prima parte del De ordine (29) riferisce un dialogo che ebbe luogo una notte nella camera da letto di Agostino. Si trattava di una camera abbastanza ampia capace di ospitare i letti del maestro, di Licenzio, di Trigezio e probabilmente di altri discepoli ancora, come Alipio e Navigio, in quel momento assenti (30). Le finestre (al plurale) avevano un vetro piuttosto opaco, poiché verso la fine di quella notte Agostino non distinse bene la natura della luce che le colpiva, se era la luce del giorno cioè o quella della luna (31). Di fatto il giorno apparve più tardi. Il dialogo nel frattempo era continuato e Licenzio, fino ad allora innamorato della poesia, aveva finito per entusiasmarsi alla filosofia con immensa gioia del maestro che, dopo un'ultima parola del discepolo, aggiunge la nota: «Durante questo tempo, poco dopo, apparve il giorno» (32). Era dunque la luna ad aver illuminato prima le finestre e il dormitorio. In questo racconto Agostino indica il bagliore della luna con il termine fulgor che significa non una debole luce, ma lo splendore d'un astro luminoso, cioè la luce radiosa del sole o della luna quando è piena o prossima alla sua pienezza. Secondo il De ordine alla fine di questa notte la luna doveva essere ben visibile e luminosa, ciò che indica che si era nella fase di luna piena o poco prima o poco dopo. Se dal dormitorio Agostino non ha potuto distinguere l'origine della luce che illuminava la camera, è perché i Romani usavano per le loro finestre un vetro piuttosto opaco e translucido, che non permetteva di distinguere bene gli oggetti attraverso di esso. Noi sappiamo che il dibattito riportato in queste pagine del De ordine si svolse dopo quelli del De beata vita, il primo dei quali avvenne il 13 novembre, ciò che ci colloca verso il 20 novembre, così come vedremo più avanti. Orbene il 20 novembre 386 la luna è calata nella regione di Milano verso le 6 del mattino e il giorno precedente l'aveva fatto circa un'ora e mezza più presto (33). In questo periodo era praticamente piena, poiché lo fu il 21 novembre (34). I suoi raggi dolci e luminosi debbono allora essere caduti sulle finestre che si affacciavano ad ovest o a sud-ovest. Per insignificante che possa sembrare, questo particolare permette non solo di verificare o almeno corroborare la storicità dei racconti del De ordine, ma pure di determinare l'orientamento della facciata dove si trovavano le finestre del dormitorio della villa.

 

Le latrine

Licenzio vi canta il versetto del salmo 79: «Deus virtutum converte nos et ostende faciem tuam et salvi erimus». Monica ne fu meravigliata, trovando quel posto inadatto a quel canto (35). Questo luogo doveva essere oscuro e sudicio. Deduciamo ciò da una osservazione di Agostino che non trovò fuori luogo il canto del suo discepolo: «Perché, disse, da dove chiediamo a Dio di toglierci per volgerci a lui e mostrarci il suo viso, se non dalla lordura e dalle immondezze corporali e anche dalle tenebre di cui l'errore ci avvolge?» (36). Tutti questi particolari per quanto preziosi e pittoreschi, sono malgrado tutto insufficienti a rappresentarci una villa rustica romana: non sono menzionate né stalle, né scuderie, né granai, né animali domestici ad eccezione dei galli, né il tipo di lavori, salvo forse la produzione di latte. Il complesso di Cassiciacum doveva essere modesto: il fatto che il dormitorio era comune e che si doveva portare una lampada per illuminare i bagni è significativo. I lavori materiali non vi erano scelti per piacere; erano imposti dalle esigenze (37): immerso nell'oscurità del dormitorio, il maestro spiega che questa condizione «è in Italia quasi una necessità anche per i ricchi» (38). Per queste ville i Romani davano la loro preferenza a luoghi soleggiati, ai terreni accidentati ai confini di una altura o al declivio d'una collina.

Essi non potevano fare a meno d'acqua corrente, sia per gli animali che per gli uomini. Dai testi analizzati sopra, la villa di Cassiciacum doveva essere costruita su una montagna o su una collina, non lontano dalle Alpi. Sotto si stendevano prati dove il maestro scendeva con i suoi discepoli a passeggiare e discutere di problemi filosofici. Il luogo preferito era sotto un albero (39). Una nota alla fine di una discussione mattutina potrebbe indicare che la distanza tra villa e questo luogo era molto grande, poiché «un giovane servitore (puer) ... corse verso di noi per avvertire che era l'ora di pranzo» (40). Se gli africani fossero stati a portata di voce, il domestico avrebbe potuto chiamarli gridando, senza bisogno di venire a loro. Tutte queste indicazioni non sono sufficienti ovviamente per permettere di localizzare Cassiciacum, poiché si potrebbero individuare numerose località fra Milano e le Alpi che corrispondono a questa descrizione. Ma queste informazioni godranno di tutta la loro importanza quando si localizzeranno i resti di ville romane e i luoghi che per il loro nome o per la loro tradizione possono pretendere la gloria di aver ospitato per qualche mese il celebre maestro africano. Bisogna anche cercare di determinare la distanza che c'era tra questa località e Milano.

 

La distanza tra Cassiciacum e Milano

L'inizio del Contra Academicos ci informa che Alipio deve abbandonare il gruppo per recarsi in città, cioè evidentemente, a Milano (1). L'amico di Agostino non partecipa dunque alle discussioni dei due giorni seguenti (2). Comunque è di ritorno per la ripresa del dibattito dopo una interruzione di «circa sette giorni dopo la precedente discussione» (3). Il Contra Academicos passa sotto silenzio le conversazioni trascritte nel De beata vita e nel primo libro del De Ordine, altrimenti esisterebbe una contraddizione fra i differenti testi. In effetti Alipio è assente all'epoca di queste discussioni che ebbero luogo il 13 novembre e i giorni seguenti (4) ed è di nuovo presente al momento delle conversazioni riportate dagli ultimi libri del Contra Academicos e il secondo libro del De Ordine. Ricordiamo anche fin d'ora il viaggio di Navigio, fratello di Agostino. Il primo libro del De Ordine dice che Alipio e Navigio erano andati in città (5). Siccome Navigio partecipò ancora alle discussioni del De beata vita (6), egli dovette partire dopo Alipio. Tutti e due sono di nuovo citati assieme come interlocutori all'inizio del De ordine (7), ma di fatto essi non sono di ritorno che al tempo dei dibattiti riferiti dal secondo libro di questo Dialogo (8). Grazie alle Retractationes (9), noi sappiamo che le conversazioni del De beata vita e del primo libro del De Ordine sono da intercalare fra quelli del Contra Academicos. Noi siamo quindi in grado di confrontare le due interruzioni menzionate dal Contra Academicos - sospensione di sette giorni circa (10) - e dal De Ordine - pausa di qualche giorno (11) - e possiamo stabilire la cronologia seguente dei dibattiti di Cassiciacum:

10 novembre 386, pomeriggio: C. Acad. 1, 2, 4-5,

10 - 11 novembre, pomeriggio : C. Acad. 1, 4, 11-5, 15

12 novembre, mattino : C. Acad. 1, 6, 16-9, 25

13 novembre, pomeriggio (12) : De beata vita 1, 6-2, 16

14 novembre, pomeriggio : De beata vita 3, 17-22

15 novembre, pomeriggio: De beata vita 4, 23-36

dal 16 al 19 novembre: giorni senza dibattiti filosofici (13)

20 novembre, la notte e il mattino : De ord. 1, 3, 6-8, 26

21 novembre, mattino : De ord. 1, 9, 27-11, 33

22 novembre, mattino e pomeriggio: C. Acad. 2, 4, 10-10, 24

23 novembre, pomeriggio : C. Acad. 2, 11, 25-13, 30

24 novembre, mattino e pomeriggio.

25 novembre o più tardi 14, mattino e pomeriggio : De ord. 2, 1, 1-20, 54 

 

Che cosa si conclude da questa ricostruzione cronologica? Un'assenza di Alipio durante 12 giorni circa non dà alcun risultato immediato per la nostra ricerca. Ne va lo stesso del viaggio di Navigio: se il fratello di Agostino è partito il 16 novembre, ciò comporterebbe allora un'assenza da 5 a 6 giorni. La questione cambia se fosse possibile stabilire che Navigio non partì che il 18 o 19, poiché un viaggio di andata e ritorno da 2 a 4 giorni supporrebbe una distanza poco considerevole fra Cassiciacum e Milano, se noi teniamo conto dei mezzi di trasporto dell'epoca, degli affari da trattare in città e dello stato di salute del viaggiatore, che aveva il fegato ammalato (15). Per questo viaggio Navigio ebbe a sua disposizione probabilmente un asino o un mulo - a meno che non andasse a piedi - poiché quelli erano i mezzi normali di trasporto, piuttosto del cavallo o del carro. In ogni caso è praticamente da escludere che egli abbia utilizzato il cursus publicus: non solo bisognerebbe innanzitutto dimostrare l'esistenza di un tale servizio fra la campagna di Cassiciacum e Milano, ma pure la posta imperiale non era disposizione dei semplici privati senza un permesso speciale. I viaggi di Alipio e Navigio sono ricordati occasionalmente dai Dialoghi filosofici: possiamo dedurre verosimilmente altri viaggi durante il soggiorno del gruppo africano nelle campagne di Verecondo. Questo va e vieni sembra poco conciliabile con una grande distanza tra questa villa rustica e la città. Avvertiamo comunque che questa conclusione è piuttosto vaga. Si ottiene un risultato più sicuro se si esamina il momento in cui Alipio lasciò i suoi amici.

Questa partenza ebbe luogo in occasione del primo dibattito contro gli Accademici, dunque un pomeriggio. Alipio assistette solo alla prima parte della discussione (16) che in seguito continuò ancora per un certo periodo. Dopodiché gli interlocutori passeggiarono un poco prima di riprendere la loro conversazione fino al calare della notte e di recarsi ai bagni (17). Contrariamente a quello che succede durante i dibattiti degli altri giorni, in questa circostanza non è fatta menzione né dell'inizio della giornata, né del pranzo: d'altronde la conver-sazione sarebbe stata troppo corta per riempire una giornata intera. La discussione dunque non è incominciata che dopo il prandium. Di solito questo pasto era servito verso mezzogiorno (18), sebbene sant'Agostino suggerisca che in Africa i suoi uditori lo prendevano verso le 11 (19). Dall'insieme di queste indicazioni emerge che la distanza fra Cassiciacum e Milano non superava quella che un viaggiatore al massimo poteva percorrere in 4 o 5 ore.

Non dimentichiamo che Alipio fece questo viaggio nel mese di novembre, quando il sole tramonta verso le 17 e l'oscurità e spesso la nebbia rendono i viaggi disagevoli, perfino pericolosi durante la notte. Per sostenere che il percorso era più lungo, non è proponibile l'ipotesi di una sosta durante la notte, poiché nulla lo suggerisce: al contrario, se il percorso fosse stato più lungo, Alipio non avrebbe dovuto che partire più presto, al mattino, essendo il suo viaggio deciso da tempo (20). Un episodio riportato nelle Confessioni accredita questa conclusione. Parlando del ritorno a Milano al termine del soggiorno a Cassiciacum, Agostino loda l'umiltà e la mortificazione del suo amico Alipio «che giunse a camminare a piedi nudi sul suolo ghiacciato dell'Italia, impresa d'insolita audacia» (21). E' naturale concludere da ciò che Alipio percorse così tutto il tragitto, cosa che Agostino, a motivo della sua abituale debolezza non poté permettersi, benché viaggiasse anche lui, sembra, a piedi (22). Orbene una tale marcia, a piedi nudi (Alipio) o da parte di gente debole (Agostino, Navigio), in inverno, sembra inconciliabile con una grande distanza. Una trentina di Km sembrerebbero oggi un chiaro limite. Non doveva essere altrimenti nel IV secolo poiché in quell'epoca anche con una bestia da soma o un carro, un viaggiatore ordinario, non frettoloso, non superava affatto i 35 Km al giorno (23). Se Alipio ha potuto andare da Cassiciacum a Milano a piedi o a dorso d'asino o anche a cavallo in una breve mezza giornata di novembre è perché la distanza percorsa non rappresentava in ogni caso più di 30 o 40 Km, anche se si tiene conto della resistenza del futuro vescovo di Tagaste che fu un grande viaggiatore per tutta la sua vita. E' chiaro d'altronde che non si può escludere un valore più piccolo.

 

Cassiciacum: Cassago o Casciago?

Alla luce di questi dati si può tentare di risolvere il dilemma: l'antico Cassiciacum sopravvive in Cassago o in Casciago? Per la loro posizione, la loro vegetazione, il loro clima, questi due paesi possono richiamare il «paradiso» e il «mons incaseatus» che Cassiciacum ricordava all'autore delle Confessioni. Cassago è posto nel centro stesso della Brianza, sul versante sud-ovest di una piccola altura che si addolcisce quasi subito in un altopiano ricoperto da magnifici alberi secolari per concludersi poi verso est e sud-est in due colli, l'uno di Cremella, l'altro di Baciolago. Quest'ultimo, visto da ovest a da sud, può ricordare con il suo aspetto conico la meta, l'antico limite del circo e il tipo di formaggio tanto apprezzato dai romani. Innumerevoli colline, vallate, prati verdeggianti e fertili, frondosi boschetti si estendono in lontananza. A nord, fra Como e Lecco si levano le Prealpi e in fondo si intravede il colle dello Spluga, già utilizzato dai mercanti e dai soldati romani. A ovest durante le belle giornate l'occhio ammira il bianco massiccio del Monte Rosa attorniato da altri ghiacciai del Vallese. Campi di grano e di mais nelle vallate e nelle pianure - e un tempo le vigne sui fianchi delle colline, oggi abbandonate - grassi pascoli sulle colline donano ancora ai nostri giorni un'impressione di abbondanza, di pace e di quiete, benché la moderna industrializzazione abbia già molto modificato l'aspetto ammirevole del paesaggio. Il lato occidentale dell'altopiano che occupava poco tempo fa la villa del duca Visconti di Modrone, o il declivio sul quale sorgono la chiesa e la linea superiore delle case, o ancora un terreno più a sud avrebbe potuto servire da area alla villa rustica romana, la cui facciata principale guardava verso ovest o sud-ovest. Diversi terreni situati dall'alto verso il basso della collina, sia a nord dell'altopiano, che a ovest e sud-ovest, potrebbero essere identificati con il prato così spesso ricordato nei Dialoghi filosofici. Il solo passo del De ordine a riguardo dell'acqua molto abbondante portata alla villa di Verecondo con canali di legno può creare qualche imbarazzo. Biraghi aveva pensato al Gambajone, piccolo ruscello che scorre a nord di Cassago; ma il letto di questo corso d'acqua sembra troppo basso.

Il signor Pasquale Cattaneo di Cassago, che conosce molto bene la storia e la configurazione del suo paese, pensa ad una sorgente sul versante nord-ovest di Cremella, o a nord-est del vecchio parco del duca Visconti di Modrone. Il corso d'acqua si adatterebbe certo di più, a condizione di scegliere come area della villa romana - o almeno dei suoi bagni - non l'altopiano ma il versante ovest o sud-ovest (1). Ai nostri giorni questa fonte è quasi asciutta d'estate: noi l'abbiamo personalmente verificato alla fine di luglio 1966. Ma si può supporre che la portata era maggiore nell'Antichità a causa delle foreste più estese di quel periodo. E di fatto il De ordine attesta l'esistenza di foreste a Cassiciacum. Casciago vicino a Varese può, anch'esso, invocare a suo favore un luogo e una vegetazione simile, e pure un clima ancora più favorevole. C. M. Rota s'è sforzato di metterli in luce (2). Nella sua parte superiore questo incantevole paese è analogamente addossato a una collina, una specie di sperone del Campo dei Fiori, il quale a nord, si eleva con la sua cima conica fino ad una altezza di 1226 m. Un piccolo torrente discende dai declivi di questa montagna verso Casciago che poi attraversa precipitandosi, essendo qui il dislivello da 460 a 370 m ogni mezzo chilometro (3). Il corso d'acqua, inesauribile e abbondante, è stato utilizzato ai nostri giorni dall'industria (filatura della seta) e dai grandi proprietari delle ville «Castelbarco» e «Valerio» (4). Da questo punto di vista Casciago ha la meglio su Cassago, ma Rota esagera l'abbondanza dell'acqua del De ordine, il «torrente», come dice.

In effetti, secondo Agostino a Cassiciacum l'acqua, condotta dapprima da un canale, scorreva poi su sassi dietro i bagni; questo canale di legno, poteva essere ostruito da foglie ed era il rumore delle sue acque, non quello di un torrente, che il maestro sentiva durante le sue insonnie. A Casciago alcune grandi e belle ville, circondate da giardini ed alberi, e case più modeste rivolgono le loro larghe facciate al sole di mezzogiorno piuttosto che a quello del tramonto. Rota 5 suppone che la domus di Verecondo dovrebbe essere cercata nelle vicinanze del monumentale palazzo del principe Castelbarco, mentre la spianata dove sorge la parte inferiore del villaggio attuale corrisponderebbe al prato di Cassiciacum. I milanesi di oggi scelgono volentieri questa regione per la loro villeggiatura 6. Il clima, più dolce in inverno che quello della Brianza, vi è temperato, il panorama affascinante.

A 4 km luccicano i piccoli laghi di Varese, di Biandronno, di Comabbio e di Monate; più lontano si scorge una parte del lago Maggiore, a ovest appare la catena nevosa delle Alpi con al centro il massiccio del monte Rosa molto più imponente che a Cassago, perché più vicino. Questa vicinanza delle Alpi rievoca meglio i «montesque per altos» del poema di Licenzio a differenza di Cassago con le Prealpi più distanti ed i lontani ghiacciai visibili solo col bel tempo. Per restare obiettivi bisogna aggiungere pure che poeti del calibro di Licenzio si divertivano nelle esagerazioni. Viste anche da lontano, le Alpi avevano di che impressionare un giovane nord-africano di Tagaste, come il figlio di Romaniano. Il panorama di Casciago ha suscitato dunque a buon diritto dubbi a Dom Morin: se Casciago è l'omologo moderno dell'antico Cassiciacum, come spiegare che S. Agostino non ha fatto mai il minimo accenno ai cinque laghi il cui spettacolo è evidente? Si tratta qui senz'altro d'un argomento negativo, ma lo si è voluto minimizzare con una ragione troppo semplice: Agostino è diventato sempre più un contemplativo, un introspettivo che non si lascia attrarre e assorbire dalla bellezza esteriore. Questa affermazione esige una riserva ed un comple-mento: all'epoca di Cassiciacum il maestro era un uomo sensibile alle attrattive della natura e dell'arte. I Dialoghi filosofici lo provano in particolar modo con le descrizioni della traversata del mare (7), del combattimento di galli (8), dell'architettura dei bagni (9), d'un pavimento di mosaico (10). Il figlio di Monica osserva e annota il bello e cattivo tempo, il sole splendente e la nebbia d'autunno; la lucentezza della luna che attraversa i vetri scuri delle finestre del dormitorio. Il cenno al corso irregolare delle acque una notte dietro i bagni, rivela non comuni doti di riflessione e d'osservazione filosofica. Agostino si dimostra pure fine osservatore al momento dell'esame - con vivisezione - di un millepiedi (11). Di conseguenza avrebbe dimenticato l'incantevole spettacolo dei cinque laghi? Se malgrado tutto si rifiuta di accettare questa argomentazione per quel che riguarda Agostino, come giustificare il silenzio di un poeta come Licenzio che canta le giornate radiose di Cassiciacum, le alte montagne, i candidi ghiacciai, i muggiti della bora in inverno (12), la tempesta degli zefiri in primavera, in un poema ampolloso che usa tutti i toni della poesia antica? (13).

Ma l'obiezione più grave contro l'identificazione di Cassiciacum con Casciago sta nella distanza che separa la regione di Varese dalla città di Milano. Con una certezza ed una precisione che non sono certo assolute, ma quantomeno sufficienti, il nostro studio è giunto a determinare che fra Cassiciacum e Milano non c'erano che 30 o 40 Km al massimo, forse meno. E' come dire che Casciago di Varese, a circa 55 Km dalla metropoli lombarda, non ha alcuna possibilità di occupare l'area dell'antico Cassiciacum, dove si trovava la villa di Verecondo: Alipio come avrebbe potuto percorrere un tale tragitto in un breve pomeriggio di novembre? Per contro, una tale obiezione irrefutabile non si potrebbe sollevare contro Cassago di Brianza. La soluzione definitiva del problema della localizzazione di Cassiciacum verrà pertanto da altre fonti: il patrologo deve chiedere aiuto al filologo ed all'archeologo. Il verdetto negativo che Dante Olivieri ha pronunciato a riguardo di Casciago è noto: il nome di questo luogo deriva dal latino Castilliacus (cfr. il francese Chatilly), non da Cassiciacum, afferma questo dotto, in un giudizio che a suo parere può essere considerato certo (14). Questo autore crede al contrario che si può ammettere in Lombardia la trasformazione del nome Cassiciacum in quello di Cassago, evoluzione analoga a quella che da Versiciacum conduce a Verciano (15): agli specialisti il pronunciarsi su questo delicato problema! Quanto ai dati archeologici, Dom Morin ha espresso l'opinione che i sotterranei della villa del duca Visconti di Modrone a Cassago potrebbero contenere i resti della villa di Verecondo: ha anche espresso il desiderio che un archeologo competente li esamini 16. Per quanto ne sappiamo questo non è stato mai fatto. Ora la proprietà del Duca è stata venduta recentemente e l'abitazione è stata demolita senza che fossero intrapresi scavi metodici. Un primo esame delle rovine non è stato favorevole all'ipotesi del celebre benedettino. Ma a sud-ovest della villa, verso il basso, sono stati recuperati dal signor Pasquale Cattaneo (17) due frammenti d'un grande e spesso mattone romano. Questo mattone potrebbe provenire da un ipocausto. In questo luogo e nelle vicinanze si è constatato la presenza di altre antiche costruzioni. A 15 minuti da Cassago, sull'altura di Cremella, sono stati recentemente portati alla luce parecchi resti romani e un altare intatto in granito dedicato a Giove (18). A queste vestigia della presenza dei Romani in questa regione s'aggiunge in più l'iscrizione pubblicata nel Corpus Inscriptionum Latinarum (19). Tutto ciò dovrebbe incoraggiare gli archeologi. Che la nostra analisi dei testi agostiniani possa essere loro utile! Essi non dimentichino inoltre che il nome di Verecondo (20) era abbastanza frequente: ciò esprime quante difficoltà si ergano a fronte di una soluzione incontestabile del nostro problema (21). La rete delle strade romane secondarie è troppo poco conosciuta per poter tracciare il cammino percorso da Agostino e i suoi amici fra Milano e Cassago, supponendo che quest'ultimo paese occupi veramente l'area dell'antico Cassiciacum. La grande strada che collegava Milano e Como passava a est di Monza e attraversava il Lambro sopra Agliate. A partire da Monza un'altra via si dirigeva verso est per raggiungere Bergamo (23). E' dunque unicamente grazie ad una via secondaria che il viaggiatore da Cassago poteva raggiungere una di queste grandi strade strategiche. Per questo fatto stesso l'esistenza e l'uso del cursus publicus sono qui praticamente esclusi.

 

 

Note

 

Il paesaggio di Cassiciacum   

(1) M. POUJOULAT, Histoire de saint Augustin 2, 2e ed., Parigi 1852, 349-353; lettera di Manzoni a Poujoulat. La prima edizione dell'opera risale al 1846.

(2) Sant'Agostino a Cassago in Brianza in ritiro di sette mesi, Milano 1854. Si troverà la storia della controversia in C. M. ROTA, La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciaco, Varese 1928; e in F. MEDA, La controversia sul «Rus Cassiciacum», in MA 2, 49- 59. Si veda pure M. PELLEGRINO, Le «Confessioni» di Sant'Agostino, studio introduttivo (Cultura t. XV), Roma 1956, 122, n. 2. 

(3) G. FLECHIA, Di alcune forme dei nomi locali dell'Italia superiore, Dissertazione linguistica, Torino 1871, 25-27. C. ROTA, o. c. (1928). 

(4) G. MORIN (1928), F. MEDA (1931). 

(5) C. SALVIONI (1899), R. BERETTA (1928). Pur ammettendo gli indizi a favore di Cassago, Beretta mantiene il suo scetticismo nella seconda edizione della sua opera Appunti storici su alcuni monasteri e località della Brianza, Monza 1966, 205-229: Il «rus Cassiciacum» di S. Agostino. Conclude comunque la nota 37 di pagina 225 con l'affermazione che la casa di Verecondo e le abitazioni dei coloni del possedimento costituivano il nucleo attorno al quale si formò nel corso dei secoli l'attuale paese di Cassago. Una tradizione relativa al soggiorno di Agostino non sarebbe tuttavia testimoniata prima del XVII secolo, pag. 220. 

(6) Dizionario di toponomastica lombarda, 2a ed., Ceschina-Milano 1961; vedere anche ibid., 154-155 (Cassago Brianza). 

(7) Conf. 8, 6, 13 CSEL 33, 180; 9, 3, 5 - 4, 7 CSEL 33, 199-202. 

(8) Conf. 8, 6, 13 CSEL 33, 180. 

(9) Conf. 9, 3, 5 CSEL 33, 220: « Fidelis promissor reddis Verecundo pro rure illo eius Cassiciaco, ubi ab aestu seculi requievimus in te, amoenitatem sempiterne virentis paradisi tui quoniam dimisisti ei peccata super terram in monte incaseato, in monte tuo, monte uberi ».

(10) CSEL 33, 220 (senza virgola).

(11) Agostino usa tali immagini anche questi passi: Epist. 187, 2, 6 CSEL 57, 86; De Gen. ad litt. 12, 34 CSEL 28, 430-431; En. Ps. 2, 5 CC 38,5.

(12) Cfr. Conf. 2, 3, 6 CSEL 33, 33; 5, 1, 1 CSEL 33, 89; 6, 1, 1 CSEL 33, 113-114; 8, 2, 4 CSEL 33, 173; 8, 10, 22 CSEL 33, 188- 189; 9, 13, 34 CSEL 33, 224; etc.

(13) De Gen. c. Manich. 2, 9, 12 PL 34, 202; cfr. anche De Gen. ad litt. 12, 34 CSEL 28, 430.

(14) C. Acad. 2, 11, 25 CSEL 63, 41.

(15) De quant. anim. 21, 62 PL 32, 129.

(16) De ord. 1, 4, 11 CSEL 63, 129.

(17) De ord. 1, 3, 7 CSEL 63, 125; 1, 5, 13 CSEL 63, 130.

(18) De ord. 1, 5, 12, CSEL 63, 129.

(19) De ord. 2, 5, 15 CSEL 63, 157. Il paese dei Getuli si estendeva dalle coste dell'oceano Atlantico alla Cirenaica, a sud dei territori occupati dai Mauri, Numidi e «Afri», vedere Ch. TISSOT, Géographie comparée de la province romaine d'Afrique I, Parigi 1884, 447. Questa regione produceva grano, cfr. En. Ps. 149, 3 CC 40, 2180. Secondo Serm. 46, 39 CC 41, 568, la Numidia era allo stesso tempo ricca di campi di grano e povera in boschi e uliveti.

(20) En. Ps. 67, 23 CC 39, 885. E' noto che il testo ebraico parla della montagna di Basan. Dopo i Settanta la Volgata traduce: «mons Dei, mons pinguis (Basan), mons coagulatus, mons pinguis».

(21) Le Confessioni e L'Enarratio in Psalmum 67 a parte, non conosciamo che un solo passo (En. Ps. 118 XVII, 8 CC 40, 1722) dove questo versetto è citato parzialmente, citazione che naturalmente è tratta dal versetto 70 del salmo 118: «coagulatum est ut lac cor eorum».

(22) Vedere P. COURCELLE, Recherches sur les Confessions de saint Augustin, Parigi 1950.

(23) «Ipse est mons incaseatus, propter parvulos gratia tamquam lacte nutriendos» En. Ps. 67, 22 CC 39, 885. «Mons incaseatus, mons uber: et intellegitur gratia plenus» En. Ps. 118 XVII, 8 CC 40, 1722.

(24) Is. 7, 15.

(25) GEROLAMO, Epist. 66, 10 CSEL 54, 660-661, trad. J. Labourt, Parigi 1953, 177.

(26) Agostino stesso cita Virgilio a Cassiciacum: C. Acad. 3, 4, 9 CSEL 63, 51, citando Bucol. 3, 105-106.

(27) Vedere CH. DAREMBERG-E. SAGLIO, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines I, 933 (E. Cougny); PW 10, 1493 (Kroll).

(28) Epist. 26, 4 CSEL 34 I, 86 et Carm. Licent. 55 CSEL 34 I, 91. Si può paragonare questa espressione di Licentius con un più preciso testo di S. Gerolamo a proposito di Vercelli: «Vercellae Ligurum civitas haud procul a radicibus Alpium sita» GEROLAMO, Epist. 1, 3 CSEL 54, 2. L'espressione di Gerolamo sarebbe stata certamente più esatta nel caso di Cassago rispetto ai termini vaghi e ampollosi di Licenzio.

(29) Non è questo il luogo per discutere a fondo il problema della storicità dei Dialoghi. Questa è stata respinta, o almeno messa in dubbio da R. HIRZEL, Der Dialog 2, Leipzig 1895; A. GUDEMANN, Sind die Dialogue Augustins historisch? Silvae Monacenses, Monaco 1924; A. DYROFF, Ueber Form und Begriffsgehalt der augustinischen Schrift De Ordine, studio apparso in M. GRABMANN-J. MAUSBACH, Aurelius Augustinus, Colonia 1930, 15-62. La stragrande maggioranza degli autori si oppose a questa tesi, vedere E. B. POSTMA, Augustinus De beata vita, Parigi-Amsterdam 1946, 30-42, che riassume gli argomenti a favore della storicità del De beata vita, argomenti validi anche, almeno parzialmente, per gli altri Dialoghi. Positiva è pure la conclusione di B. L. MEULENBROECK, The historical Character of Augustin's Cassiciacum-Dialogues, in Mnemosyne 3 s. 13 (1947), 203-229. Questo autore invoca le leggi della metrica e del ritmo. Ma a favore di tutti questi argomenti sta la testimonianza esplicita dello stesso Agostino nelle Confessioni e nelle Retractationes: Conf. 9, 4-7 CSEL 33, 201; Retr. 1, 1-3 BA 12, 274-284. Anche noi vi aggiungeremo qualche interessante dettaglio, come la coincidenza esatta fra la fase della luna nel novembre 386 e il De ord. 1, 7, 20 CSEL 63, 124. Senza dubbio lo scrivano che ha trascritto le discussioni sulle tavolette e Agostino che le ha successivamente elaborate letterariamente hanno lasciato tracce del loro lavoro. Questa è anche la conclusione di MEULENBROECK, o. c., 229. Tutto ciò non impedisce tuttavia di utilizzare questi Dialoghi come fonte storica della vita a Cassiciacum. Fra gli autori più recenti G. DE PLINVAL, La technique du dialogue chez saint Augustin et saint Jérôme, in Actes du premier Congrès de la Fédération internationale des Associations d'études classiques (agosto-settembre 1950, 308-311) ammette che almeno il C. Academicos e il De Ordine sono dei dialoghi autentici. JOHN J. O'MEARA si mostra più scettico nell'articolo titolato The Historicity of the Early Dialogues of Saint Augustine, apparso in Vigiliae christianae 5 (1951), 150-178. Secondo questo autore sono difficilmente conciliabili con la storicità: 1° la somiglianza con il genere del dialogo classico; 2° il frequente abbandono del metodo dialettico del dialogo; 3° l'inverosimiglianza di certi episodi, specialmente quello della discussione notturna (De ord. 1, 5-22). Orbene noi pensiamo di avere fornito come di seguito, un nuovo argomento difficile da rifiutare, della storicità di questo stesso episodio. O'MEARA d'altronde non mette in dubbio l'esistenza di veri dialoghi a Cassiciacum. La difficoltà esiste per lui come per noi nella determinazione degli elementi storici e fittizi. Si è pronunciato per la storicità dei Dialoghi A. MANDOUZE nel suo bello e voluminoso testo Saint Augustin, L'aventure de la raison et de la grâce, Parigi 1968, 124-13, soprattutto 126 n. 5 e 130 n.3.

 

La villa rustica 

(1) Rus: C. Acad. 3, 15, 34 CSEL 63, 72; Conf. 9, 3, 5 CSEL 33, 200; 9, 6, 14 CSEL 33, 207. 

(2) Ager: C. Acad. 2, 4, 10 CSEL 63, 30; Retr. 1, 5, BA 12, 294. 

(3) De quant. anim 31, 62 PL 32, 1070. 

(4) Retr. 1, 5 BA 12, 294; Conf. 9, 6, 14 CSEL 33, 207. 

(5) Villa e ager: C. Acad. 3, 15, 33 CSEL 63, 72; De ord. 2, 4, 12 CSEL 63, 144. 

(6) C. Acad. 1, 5, 15 CSEL 63, 15; 2, 4, 10 CSEL 63, 30; 2, 11, 25 CSEL 63, 41; 3, 2, 2 CSEL 63, 46. 

(7) De ord. 1, 2, 5 CSEL 63, 124. 

(8) Domus: C. Acad. 2, 4, 10 CSEL 63, 30; 2, 5, 13 CSEL 63, 33; 2, 10, 24 CSEL 63, 41; 2, 13, 30 CSEL 63, 45. 

(9) C. Acad. 1, 9, 25 CSEL 63, 23; 2, 5, 13 CSEL 63, 33; 3, 3, 6 CSEL 63, 50; 3, 4, 7 CSEL 63, 50; De beata vita 1, 6 CSEL 63, 93; 3, 17 CSEL 63, 10. De ord. 2, 6 18 CSEL 63, 159.

(10) De ord. 1, 8, 22 e 26 CSEL 63, 135 e 138.

(11) C. Acad. 2, 5, 13 CSEL 63, 33.

(12) De ord. 2, 6, 18 CSEL 63, 159; cfr. anche C. Acad. 3, 3, 6 CSEL 63, 50.

(13) C. Acad. 3, 1, 1 CSEL 63, 45; De beata vita 1, 6 CSEL 63, 93; 3, 17 CSEL 63, 102; 4, 23 CSEL 63, 106. De ord. 1, 8, 25 CSEL 63, 137; 2, 6, 19 CSEL 63, 159.

(14) De beata vita 1, 6 CSEL 63, 93.

(15) De ord. 1, 8, 25 CSEL 63, 137.

(16) De ord. 1, 8, 25 CSEL 63, 137; 2, 6, 18 CSEL 63, 159.

(17) De ord. 1, 3, 6 CSEL 63, 125.

(18) C. Acad. 3, 1, 1 CSEL 63, 45; De beata vita 4, 23 CSEL 63, 106; De ord. 2, 1, 1 CSEL 63, 145.

(19) De ord. 2, 11, 34 CSEL 63, 171.

(20) De ord. 1, 8, 25 CSEL 63 137-138.

(21) De ord. 2, 11, 34 CSEL 63, 171.

(22) C. Acad. 4, 3, 9 CSEL 63, 52.

(23) C. Acad. 1, 4, 10 CSEL 63, 12.

(24) C. Acad. 3, 20, 44 CSEL 63, 80; Epist. 3, 1 CSEL 34 1, 5, scritta in quest'epoca.

(25) De ord. 1, 4, 11 CSEL 63, 128.

(26) De ord. 1, 3, 6 CSEL 63, 125.

(27) De ord. 1, 3, 6-7 CSEL 63, 125-126.

(28) Il termine flumen utilizzato nel De ord. 1, 5, 13 CSEL 63, 130, per indicare questo corso d'acqua ha significato essenzialmente di acqua corrente e non di fiume o torrente: certamente questo corso è assai ridotto poiché qualcuno può fermarlo attraversandolo o lavandovi un panno. De ord. 1, 3, 7 CSEL 63, 125. C. M. ROTA, La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciaco, Varese 1928, 66-70, ci sembra abbia esagerato parlando di un «torrente di acqua viva».

(29) De ord. 1, 3, 6-8 21 CSEL 63, 124-125.

(30) De ord. 1, 3, 6-7 CSEL 63, 125; 1, 7, 20 CSEL 63, 134.

(31) «Sed quod videbitur, per diem respondebo, qui mihi iam videtur redire, nisi lunae est ille qui fenestris fulgor induitur» De ord. 1, 7, 20 CSEL 63, 134. Inducitur in luogo di induitur è stato accettato dai Mauristi seguendo il codice Monacensis n. 14330 del secolo XI.

(32) «Interea post paululum dies sese aperuit» De ord. 1, 8, 22 CSEL 63, 135.

(33) Dobbiamo questa indicazione all'interessamento del professore M. Schürer, dell'Istituto Astronomico dell'Università di Berna.

(34) Vedere H. LIETZMANN-D.K. ALAND, Zeitrechnung der römischen Keiserzeit etc., 3a ed., Berlino 1956, 122-126.

(35) De ord. 1, 8, 22 CSEL 63, 135.

(36) De ord. 1, 8, 23 CSEL 63, 136.

(37) Cfr. C. Acad. 2, 4, 10 CSEL 63, 30.

(38) De ord. 1, 3, 6 CSEL 63, 125.

(39) C. Acad. 2, 11, 25 CSEL 63, 41; 3, 1, 1 CSEL 63, 45; De beata vita 4, 23 CSEL 63, 106; De ord. 2, 1, 1 CSEL 63, 145.

(40) De ord. 2, 6, 18 CSEL 63, 125. 

 

La distanza tra Cassiciacum e Milano 

(1) C. Acad. 1, 2, 5 e 3, 8 CSEL 63, 6 e 9. 

(2) C. Acad. 1, 4, 11-5, 15 CSEL 63, 12-15; 1, 6 16-9 CSEL 63, 16-23. 

(3) C. Acad. 2, 4, 10 CSEL 63, 20.  

(4) Il primo dibattito ricordato dal De beata vita ebbe luogo il 13 novembre, compleanno di Agostino, cfr. De beata vita 1, 6 CSEL 63, 93. Vi parteciparono, oltre al maestro, sua madre Monica, suo fratello Navigio, suo figlio Adeodato, i suoi discepoli Trigezio e Licenzio, i suoi cugini Lastidiano e Rustico. Le due altre discussioni riportate da questo Dialogo ebbero luogo l'indomani e il giorno dopo, 14 e 15 novembre. Alipio non vi è ancora menzionato. E' assente anche ai tre dibattiti riportati dal primo libro del De ordine, dibattiti che occuparono una notte e i due giorni seguenti. 

(5) De ord. 1, 3, 7 CSEL 63, 125. 

(6) De beata vita 1, 6 CSEL 63, 93. 

(7) De ord. 1, 2, 5 CSEL 63, 124. 

(8) De ord. 2, 1, 1 CSEL 63, 145. In realtà qui viene nominato solo Alipio: Navigio ebbe un ruolo poco appariscente. 

(9) Retr. 1, 2-3 BA 12, 282-284.

(10) «Septem fere diebus a disputando fuimus otiosi» C. Acad. 2, 4, 10 CSEL 63, 30.

(11) «Interpositis deinde pauculis diebus ...» De ord. 2, 1, 1 CSEL 63, 145.

(12) Pomeriggio del compleanno di Agostino: «Idibus novembribus mihi natalis dies erat. Post tam tenue prandium ...» De beata vita 1, 6 CSEL 63, 93.

(13) Questi giorni sono da intercalare per arrivare al numero di «circa sette giorni durante i quali abbiamo interrotto il dibattito» C. Acad. 2, 4, 10 CSEL 63, 30. Questa interruzione è forse suggerita dalla conclusione del De beata vita: «Così poiché la prudenza stessa ci invita a interrompere il nostro festino per qualche giorno, io rendo grazie con tutte le mie forze al grande e vero Dio» De beata vita 4, 36 CSEL 63, 115. Se noi intercaliamo qui meno di quattro giorni, la fase lunare di cui noi abbiamo parlato più sopra non gioca più alcun ruolo. A rigore ci si potrebbe accontentare di porre una interruzione di tre giorni: ma siccome il 19 novembre 386 la luna è calata verso le 4 e mezza, preferiamo rinunciare a questa ipotesi, poiché i testi agostiniani suggeriscono un tempo più breve fra l'apparizione dei raggi lunari e l'alba. La frapposizione di questi 4 giorni di riposa comporta una sospensione di nove giorni per il dibattito contro gli Accademici, ma questo non eccede il periodo della vaga espressione di circa sette giorni, septem fere diebus. Gli autori che si sono occupati fino ad oggi di questa cronologia esprimono un ordine leggermente diverso, poiché non hanno tenuto conto della fase lunare. L. S. LE NAIN DE TILLEMONT, Mémoires pour servir à l'histoire ecclésiastique des six premiers siècles 13, 2a ed., Parigi 1710. 959-961, e quelli che lo seguono intercalano un giorno fra C. Acad. 1 e De beata vita seguiti immediatamente da De ord. 1, poi due o tre giorni fra De ord. 1 e C. Acad. 2. Ma niente ci obbliga, mentre la fase lunare impone un nuovo ordine. D'altra parte si intuisce che i sei giorni consecutivi di discussioni del C. Acad. 1 e De beata vita sono stati seguiti da qualche giorno di riposo; nel caso contrario noi avremmo otto giorni consecutivi di dibattito, e questo è eccessivo. Secondo J. H. VAN HAERINGEN, De Augustini ante baptismum rusticantis operibus, Groningen 1917, tutte le conversazioni riportate dai tre libri del Contra Academicos avrebbero preceduto quelli che menzionano il De beata vita e il De Ordine. Questa ipotesi è stata abbandonata giustamente dai due autori seguenti: CH. BOYER, Christianisme et néo-platonisme dans la formation de saint Augustin, Parigi 1920, 9 s., n. 4; E. B. J. POSTMA, Augustinus De beata vita, Parigi-Amsterdam 1946, 19-30.

(14) Fra De ord. 1 e 2 ci furono alcuni giorni di interruzione: «interpositis deinde pauculis diebus» De ord. 2, 1, 1 CSEL 63, 145. Di solito questa espressione si capisce meglio quando non significa altro che una interruzione di tre giorni, il 22, 23 e 24 novembre. Pertanto la terminologia poco precisa di Agostino impone una riserva. La stessa espressione si ritrova all'inizio del Contra Academicos per indicare il tempo trascorso fra l'inizio del soggiorno a Cassiciacum e il primo dibattito contro gli Accademici: «Pauculis igitur diebus transactis posteaquam in agro vivere coepimus ...» C. Acad. 1, 1, 4 CSEL 63, 6. Orbene questo intervallo è di due mesi probabilmente. E' dunque possibile che la discussione riportata nel secondo libro del De ordine fosse posteriore al 25 novembre: in effetti, perché comprimere tutti i dibattiti di Cassiciacum nelle due settimane comprese fra il 10 e il 25 novembre, quando Agostino soggiornò in campagna cinque o sei mesi?

(15) De beata vita 1, 2, 5 CSEL 63, 100.

(16) C. Acad. 1, 2, 5 CSEL 63, 6; 1, 3, 8 CSEL 63, 9.

(17) C. Acad. 1, 4, 10 CSEL 63, 12.

(18) PW 22, 1688 (A. Hug.).

(19) Serm. 345, 5 PL 39, 1521. Un mattino durante una omelia, Agostino annuncia che tratterà un lungo soggetto, poiché è presto e l'ora del prandium è lontana, cfr. Serm. 128, 4, 6 PL 38, 716. Se nella Epist. 54, 7, 9 CSEL 34, II, 168, Agostino indica l'ora nona per il prandium del Giovedì Santo, sembra sicuro che si trattasse di una eccezione propria di quel giorno.

(20) C. Acad. 1, 3, 8 CSEL 63, 9.

(21) Conf. 9, 6, 14 CSEL 33, 207.

(22) Bisogna supporre lo stesso per altri membri del gruppo? In analogia a quello che si pratica ancora in certe regioni dell'Italia, una bestia da soma o anche una vettura fu forse usata per Monica o, a turno, per quelli che erano affaticati, così come per i bagagli.

(23) Il cursus publicus giungeva a raddoppiare questa distanza. Un cavaliere esercitato, con a disposizione un buon cavallo, poteva superarlo. Ma questi mezzi sono praticamente esclusi nel nostro caso.

 

Cassiciacum: Cassago o Casciago? 

(1) P. Cattaneo mostra una mappa sul dorso della prima pagina del suo opuscolo In Cassciago, Da «Rus Cassiciacum» a Cassago Brianza. Questo lavoro è stato pubblicato nel 1966 dal «Centro Culturale Cassiciacum». Beretta, o. c., 226, propone ancora altre possibilità. 

(2) C. M. ROTA, La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciaco, Varese 1928, 57 s. 

(3) Ibid., 68 s. 

(4) Dobbiamo questa segnalazione alla gentilezza di M. Pierio Daverio e del Curato Sandro Ravasi. 

(5) C. M. ROTA, La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciaco, Varese 1928, 92. 

(6) Ibid., 59 s. 

(7) De beata vita 1, 1-5 CSEL 63, 89-93. 

(8) De ord. 1, 8, 25 CSEL 63, 137-138. 

(9) De ord. 2, 11, 34 CSEL 63, 171.

(10) De ord. 1, 1, 2 CSEL 63, 122.

(11) De quant. animae 31, 62 PL 32, 1070.

(12) Cassago è più esposto al vento del nord che non Casciago.

(13) Carmen Licent. CSEL 42, I, 89-95; vedere M. ZELZNER, De carmine Licentii ad Augustinum, Arnsberg 1915.

(14) Dizionario di toponomastica lombarda, 2a ed. Ceschina-Milano 1961, 151.

(15) O. c., 154-155. Nel suo opuscolo In Cassciago, Da «Rus Cassiciacum» a Cassago Brianza, il signor Pasquale Cattaneo espone (p. 4 e 8) le forme medioevali seguenti per il nome di Cassago: in Cassciago: ms. 4487 della Biblioteca Ambrosiana di Milano, XII o XIII secolo; de Cassiaco: ms. del monastero di sant'Ambrogio, dell'anno 854, nel R. Archivio Diplomatico di san Fedele; de loco Cassiago: ms. dell'anno 1117, proveniente dal monastero di Pontida, attualmente nei medesimi archivi.

(16) G. MORIN, Où en est la question de Cassiciacum?, in Scuola Cattolica 55 (1927), 54 s.

(17) Dobbiamo alla gentilezza del signor Pasquale Cattaneo la possibilità di aver potuto esaminare questi frammenti in occasione di una visita a Cassago nell'estate 1966.

(18) Si è posto questo altare davanti alla chiesa di Cremella. il monumento non sembra sia stato sinora fatto oggetto di una pubblicazione. Vedere O. PERLER, Recherches sur les Dialogues et le site de Cassiciacum, in Augustinus, Strenae Augustinianae P. V. Capànaga, Madrid 1968, 352.

(19) CIL 5, 2, 5662. Tutta la Brianza d'altra parte è ricca di iscrizioni: CIL 5, 2, 5641-5715 e 8916-8917. Al contrario il CIL non dà nessuna iscrizione per Casciago di Varese. Vedere anche R. BERETTA, o. c., 217 s.

(20) Cfr. per Milano CIL 5, 2, 5991 e 6073.

(21) Questo capitolo era già stato scritto allorché il signor Pasquale Cattaneo mi comunicò, il 26 febbraio 1967, la scoperta di una vasca e di un edificio romano situati a 500 m dal vecchio palazzo Visconti nella direzione di Milano, sulla via Romana di cui Cattaneo dice di aver identificato due tronconi. Gli scavi non sono ancora terminati, ma numerosi frammenti di ceramica apparterrebbero al IV secolo della nostra era.

(22) Vedere la carta geografica annessa all'articolo del signor P. GIUSEPPE SIRONI, Osservazioni ed ipotesi sull'origine dell'antica pieve di Sibrium e lo svilupparsi dell'organizzazione plebana nel milanese e nel comasco (Estratto dall'Archivio storico lombardo, Anno XCI-Serie IX-Vol. IV, 1964-65, 324-325, apparso nel 1966). L'autore mi ha gentilmente pervenire un esemplare nel quale ha corretto il tracciato della strada Monza-Bergamo.