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rinaldo beretta: Il Rus Cassiciacum di sant'Agostino

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don Rinaldo Beretta (1875-1976)

 

IL « RUS CASSICIACUM » DI S. AGOSTINO

don Rinaldo Beretta

 

 

Nell'autunno del 386 S. Agostino si ritirò a Cassiciaco nella villa dell'amico Verecondo, un milanese professore di grammatica ma ancora pagano, trascorrendovi i mesi che precedettero il suo Battesimo. Da Cassiciaco ritornò a Milano in tempo opportuno per iscriversi fra i battezzandi di quella prossima Pasqua. Le Ceneri del 387 furono il 10 marzo, e la Pasqua il 25 aprile (1).

Come fosse quella villa, che in quella circostanza accolse S. Agostino con sua madre Monica, suo fratello Navigio, il suo giovane figlio Adeodato, i suoi cugini Rustico e Lastidiano, il suo amico Alipio, ed i suoi discepoli Licenzio e Trigezio, non sappiamo né da S. Agostino né da altre fonti. Tuttavia, se non di una dimora sontuosa e da gran ricco, doveva essere per lo meno una casa padronale di campagna discretamente ampia e non priva di quelle comodità richieste da una persona di esigenze civili, com'era il professionista Verecondo: tanto vero che alquanto lontano sorgeva un edificio per i bagni. Davanti alla casa, che con gli annessi fondi era di proprietà di Verecondo, si stendeva un prato con un vecchio e fronzuto albero. Pretendere che quella villa non fosse altro che una «casupola campagnola» ... «piccola ... modesta e piena di sorci», per il fatto che S. Agostino, Licenzio e Trigezio dormivano nella stessa camera, e che Licenzio sentisse una notte dei sorci rosicchiare il legno, è, a mio avviso, esagerazione (2).

Il perché dormissero in tre nella stessa camera non sappiamo. Si può ben ritenere che, essendo S. Agostino malandato in salute, i due discepoli prediletti stessero a lui vicino per assisterlo e tenergli compagnia. La presenza di sorci in campagna, e specialmente in case non sempre abitate, non deve far meraviglia: ce n'erano ai tempi di S. Agostino, e ce ne sono ancora adesso. Ma dov'era situato il «rus Cassiciacum? ». Due sono i luoghi che presentemente si disputano l'onore di avere ospitato S. Agostino: Cassago e Casciago. Il primo si trova in Brianza, il secondo nel Varesotto. Nondimeno dai più si propende per Cassago (3).

Orbene, è oggi possibile un'identificazione precisa, indiscutibile del luogo con prove tolte dalla linguistica e dalla corografia, dall'archeologia, dalla tradizione, e dai pochi e non sempre precisi accenni che direttamente o indirettamente ci fornisce del luogo lo stesso santo nei suoi scritti?

Pongo la questione in questi termini, perché siamo di fronte a due tesi opposte: per il Rota è scientificamente vero, matematicamente sicuro che il Cassiciaco di S. Agostino sia l'odierno Casciago; per Filippo Meda invece è assiomaticamente vero e sicuro il contrario, che cioè sia Cassago (4). Allo stato attuale delle indagini non mi sembra ancora possibile un'identificazione chiara, precisa, e tale da togliere qualsiasi ulteriore controversia in merito. Si può soltanto discutere, a mio giudizio, di una maggiore o minore probabilità. Cassiciaco sarebbe il termine usato dai più antichi e migliori codici, mentre Cassiàco sarebbe la lezione meno sicura. Si dovrebbe pertanto con P. Knöll ritenere Cassiciaco come il vero nome originario del luogo (5).

Perciò Salvioni, un distinto cultore di linguistica, giunse alla conclusione che, secondo le regole normali, del dialetto lombardo, da Cassiciàco non poteva derivare né Cassago né Casciago. « Nell'ambiente dialettale lombardo, Cassiciaco poteva solo dare o Caçêság(-çi) o Caçezag. Toscanamente, questa forma avrebbe sonato Cassicciago -co, a non tener conto, s'intende, di Cassizzago o Cassisciago, che sarebbero le forme lombarde rintonacate alla toscana » (6). Le ragioni del Salvioni, con le quali si lusingava di avere spazzato via Cassago e Casciago, non furono naturalmente ritenute convincenti dai sostenitori delle tesi contrarie.

Ecco infatti:

 

a) Le argomentazioni in favore di Cassago.

Il Morin, un dotto benedettino studioso delle opere di S. Agostino, rispondendo a Salvioni, mentre per quello che riguarda Casciago lo ritenne a suo giudizio basato su ragione, vorrebbe invece, pur ammessa come autentica e originale nel IV secolo la forma Cassiciaco, che più tardi, dall'epoca carolingia in poi, si avesse in effetto l'abbreviazione di Cassiaco. E tale sincope egli trova pienamente naturale, non solo perché se vi era un nome destinato a perdere fatalmente qualcuna delle sue sillabe era proprio Cassiciaco con questo suo ssci così strano nel mezzo, ma altresì perché lo stesso Salvioni ammette che nei dialetti del Piemonte e dell'Emilia non mancano esempi di simili accorciamenti, e che anzi qualche caso si trova pure in Lombardia (7).

Similmente l'Olivieri, al contrario del Salvioni, pensa « che nella forma Cassici- poté verificarsi, in un certo momento, la sincope dell'i protonica: così che l'esito di Cass'ci- finì con l'essere pari a quello di Cassi », donde il Cassiàco dell'epoca carolingia. E soggiunge, d'altra parte, che Casciago non può riflettere un Cassiciaco per inesorabili ragioni fonetiche: Casciago non può risultare che da un antico Castelliaco (8).

Filippo Meda in modo più esplicito dichiara che Cassago deve assolutamente corrispondere al Cassiciaco di S. Agostino. Egli ritiene in sostanza quanto già asserì il Biraghi che cioè «da Cassiciaco viene ovvio e naturale l'abbreviato nome Cassiàco e Cassàco colla omissione non solo di un i ma anche di due, di tre, di più lettere, come da Inticiaco venne Inzago, da Badagio Baggio, da Ledesmo Lesmo, da Mediosente Misinto, da Cistellago Cislago » (9). Sostiene il Meda che «c'è un processo identico, incontrastabile in un altro nome di paese lombardo ricordato dal Biraghi e dal Morin; quello di Anticiàco (poi Inticiàco) divenuto indubbiamente l'attuale Inzago. Si avverte infatti l'identità del processo fonetico: Inticiàco ha trasformato le due sillabe centrali tici in una z che sta a rappresentare il raddolcimento del t forte seguito dal dittongo ia, cioè Inzago non è che la formulazione definitiva di un Intiàco (e non monta se nelle carte sopravvissute non vi si trovi), derivato dall'Inticiàco; così in Cassiciàco le sue sillabe centrali sici si sono ridotte ad un s producendo il moderno Cassàgo attraverso un Cassiàco che, se anche non fosse documentato, si dovrebbe ammettere per necessità fonetica.

Ond'è che, a voler essere empirici basterebbe dire che Cassàgo è l'antico Cassiciàco per la ragione stessa per la quale, incontestabilmente, Inzago è l'antico Inticiaco» (10). A mio avviso si potrebbe tuttavia osservare al Meda, che questo sia avvenuto per Inzago, come per altri nomi locali milanesi, nessuno lo contesta; è evidente perché documentato. Infatti si conosce con certezza, attraverso pergamene e le carte medioevali raccolte nell'Archivio di Stato in Milano, che l'attuale Inzago si chiamava negli anni premillenari Anticiaco, poi successivamente Inticiaco, e quindi Intiago e Inziago per finire in Inzago. Ma che questo identico processo di trasformazione sia indiscutibilmente avvenuto per Cassago resta ancora da provarsi per la ragione che di Cassago manca il termine primo a quo, cioè di Cassiciaco, poiché la forma più antica premillenaria che si conosca è Cassiaco e non Cassiciaco. Non intendo con questo misconoscere la linguistica, per quanto ancora difficile e oscura, e che per il Meda è fondamentale nella controversia; ma è pure evidente che nell'applicazione pratica al nostro caso regna l'incertezza: per uno studioso una o più vocali e consonanti, una o più sillabe mediane sono dolci e quindi soggette a elisione; per un'altro invece sono forti e dovevano rimanere, e via dicendo, così che qualcuno come il Gabotto è giunto persino ad asserire che tanto Cassago quanto Casciago hanno una medesima origine, facendoli derivare da uno stesso nome personale romano Cassius (11).

 

b) Le argomentazioni in favore di Casciago:

Contro il Biraghi, Salvioni, Morin, Meda, ecc. insorse il Rota, il quale dopo aver respinte le loro asserzioni come erronee, mise fuori quattro leggi da lui elaborate per escludere Cassago, e per affermare che il Cassiciaco di S. Agostino corrisponde precisamente a Casciago, perché quì si tratta di una questione corografica, e che quindi spetta alla corografia il compito di risolvere la controversia (12). Egli dichiara che la vera ragione per la quale da Cassiciaco non poteva derivare Cassiaco, si è che quest'ultimo è nome romano incorrotto, e quindi di origine e di significato diverso. « In Lombardia - sempre a dir del Rota - i nomi locali romani passano attraverso le burrasche delle invasioni, tra il dominio dei Longobardi, tra il regno dei Franchi, degli imperatori di Germania e re d'Italia, ed arrivano sin dopo il mille non abbreviati nè raccorciati, ma incorrotti nella loro integrità» (Ia legge); ed è soltanto «nei secoli XII, XIII, ed in seguito che i nomi locali cominciano a subire variazioni, contorsioni, aferesi, metatesi, apentesi, apocopi, sincopi ..., e le sincopi, così in corografia come in medicina, colpiscono le parti più deboli: le vocali e le consonanti mediane afone » (IIa legge) (13).

 E poichè prima del mille non si conosce la forma Cassiciaco per Cassago, ma bensì dall'845 in poi quella di Cassiàco-go, Caxago, Cassago, il Rota ne dedusse come impossibile l'equazione Cassiciàco = Cassago. Quindi, secondo lui, Cassiàco avrebbe per base un gentilizio Cassius, e invece Cassiciàco un Cassicius (14). Perciò egli afferma «come certo, come scientificamente vero, come matematicamente sicuro che l'antico villaggio romano di Cassiciaco è l'odierno Casciago sopra Varese», poiché, sempre a suo dire, «questi due nomi sono identici, precisi, perfetti, e l'unica differenza che fra essi corre si è che il nome moderno si presenta mancante di un si mediano afono». Nega quindi che nell'alto medioevo Casciago si chiamasse Castiàco sia perché egli non ne ha trovato esempio, sia perché Salvioni e gli altri si richiamarono in modo generico a carte medioevali senza citarne gli atti (15). Quale valore hanno queste affermazioni del Rota? Vediamolo. Qualunque sia il valore che, in linea di massima, possono avere le due leggi su esposte del Rota (e diciamolo subito che molti nomi romani di luogo non aspettarono fino al secolo XII, XIII a subire variazioni), ci dobbiamo innanzi tutto domandare, in base a queste stesse leggi, qual'è la forma più antica che si conosca di Casciago.

Orbene non solo ci manca la voce Cassiciàco per Casciago, ma vi conosciamo invece quella di Castiàco. Infatti in una pergamena, senza data, di S. Maria del Monte (pergamene che datano dal 922 in avanti), ma che si deve porre nel secolo X-959, abbiamo precisamente, e per la prima volta, Castiàco ad indicare l'odierno Casciago. Il Rota negò ch'essa possa appartenere al secolo X, ponendola dopo il primo quarto del secolo XI (16). Ritengo invece che essa, benché senza data, sia di quel secolo perchè scritta nella minuscola carolina libraria del tempo, e perchè vi si nomina l'arciprete Leone. Quando il Rota afferma che «Forcius qui et Leo» dell'atto 922 è una persona diversa dal Leo della nostra carta, dimentica che il «qui et» sta appunto per indicare il nome con il quale si indica una persona, cioè il soprannome. Così pure quando dice che nel documento in questione, se si fosse trattato della stessa persona, si sarebbe dovuta menzionarla come in quello del 922 «Forcius qui et Leo» o anche semplicemente «Forcius», non ha posto mente alla natura dei due diversi atti. Quello del 922 è un atto notarile dove l'arciprete non poteva figurare col solo soprannome senza pericolo della validità dell'atto stesso; quello del secolo X-959 è un elenco dei beni della Chiesa di S. Maria del Monte, scritto da un ecclesiastico addetto alla chiesa, cioè dallo stesso arciprete (la scrittura minuscola carolina non era ancora usata per gli atti notarili), al quale per far capire che parlava di sé non era necessario ricordare accanto al suo soprannome il suo vero nome. Non era documento destinato ad avere valore giuridico.

D'altra parte spostare la data con ragionevolezza occorrerebbe provare che ci fu un altro arciprete di nome Leone. Ad ogni modo, pur prescindendo da questa pergamena (17), si deve osservare che per tutto il secolo XI ricorre sempre negli atti di S. Maria del Monte, quando si nomina l'odierno luogo di Casciago, la forma Castiàco-go, e Castiàsca aggettivo sostantivo (18). Sembra quindi evidente, anche per questo, che la forma di Casciago doveva essere per lo meno nel secolo X, Castiàco-go, ed è la più antica che si conosca. Nel secolo XII troviamo con questa, altresì usata in quegli atti la voce Casciago (raramente Cascliago, Casclago, Cascago, Casgago ecc. probabilmente da attribuirsi ad imperizia degli scrittori), col cambiamento del t in c, e che finirà poi coll'imporsi alle altre tutte. Casgiàgo e Casciàgo sono pertanto un derivato da Castià-go e non viceversa, come volle sostenere il Rota, il quale ha erroneamente affermato «che la voce originaria, genuina, la più antica e perfetta è Casciaco-go e che Castiago non può essere che un'alterazione posteriore, perché i primi documenti danno Caslago, Cascliago, Casgiago, Casciaco» (19). Ora, se i nomi locali romani, secondo Rota, arrivarono a noi incorrotti e perfetti sin dopo il mille, ed incominciarono solo a corrompersi nei secoli XII, XIII, ed in seguito, ne viene di conseguenza che non solo Cassiaco-go per Cassago, ma anche Castiàco-go dovrebbe essere il vero nome originario, incorrotto e perfetto di Casciago.

Se poi per eccezione si dovessero supporre delle elisioni nel nome Cassiciaco nei secoli anteriori al mille in favore di Casciago, queste potrebbero pure essere invocate, con non minore ragione, anche da coloro che si sono dichiarati per Cassago. Le due regole elaborate dal Rota coll'intento di escludere Cassago dal corrispondere al Cassiciàco di S. Agostino, verrebbero perciò stesso ad escludere pure Casciago; regole che hanno fallito allo scopo per il quale furono messe in campo (20). Soggiunge inoltre il Rota che «i nomi locali dell'alto milanese e del Varesotto che escono col suffisso di ciago, ciaco lo conservano attraverso i secoli; mentre gli stessi nomi con le medesime desinenze del basso Milanese, del lodigiano, del bergamasco, lo tramutano in sago-zago» (IIIa legge).

Posto quindi il Cassiciaco di S. Agostino nell'alto milanese, il Rota ne deduce che anche per questo Cassago non può derivare da Cassiciaco, avendo perduto il suffisso ciago-ciaco, mentre invece lo ha conservato Casciago (21). A questo riguardo si può osservare che, per lo meno nella Brianza la quale fa parte dell'alto milanese, i nomi locali col suffisso ciaco - ciago, alcuni lo hanno ritenuto, come Bulciago, Colciago, Cucciago, mentre altri lo hanno trasformato in zago come Barzago, Verzago, Dolzago, e in sago come Imbersago. Se Cassiciaco, egli aggiunge, fosse stata la forma originaria di Cassago avremmo avuto la voce Cas-zago. E perché, se egli vuole ammettere questa combinazione fonetica, non Cassago dal momento che il ciaco di Imbersago (Amberciacum) si è cambiato in sago? Del resto ogni regola o legge può avere le sue eccezioni, e tanto più in materia di derivazione di nomi locali, perché non è escluso che il popolo nel ridurre i nomi possa fare un po' a modo suo, seguendo di preferenza usi locali, anziché leggi o norme fisse. Nemmeno persuasiva è la quarta legge, e cioè che «i nomi che perdono le vocali e le consonanti mediante afone vengono dal popolo pronunciate in modo tale che nella pronuncia si sente il punto ove avvenne l'elisione» (22). Si ha invece che il popolo - ordinariamente - nella sua pronuncia rifugge da nessi mal pronunciabili, per cui mai sulla sua bocca si sente il punto dove avvenne una o più elisioni. E' lo studioso che adeguando la pronuncia del nome odierno all'antico ne rimarca il punto dove avvennero le elisioni. Così ad esempio Marelliano-Mariano; Anticiaco-Inzago; Ledesmo-Lesmo; Cistellago-Cislago; Badagio-Baggio; ecc. Nulla pertanto di scientificamente certo si può ricavare dalle leggi del Rota in merito alla nostra controversia. Perciò Cassago può conservare la tradizionale probabilità di corrispondere al Cassiciaco di S. Agostino.  Se dall'argomentazione linguistica corografica si passa a domandare luce all'archeologia, si rimane parimenti all'oscuro. Non mancano, è vero, ricordi romani in Casciago e Cassago, per cui si può affermare ch'erano luoghi abitati al tempo dei Romani, ma nulla finora si è rinvenuto da cui presumere che vi abbia abitato S. Agostino o che vi fosse la villa di Verecondo (23).

Si dice che a Cassago, nel sottosuolo di un giardino di fronte all'ex-casa Padulli, a valle del palazzo Visconti Modrone, si siano trovati, ad un metro di profondità, delle condutture in mattone, che il vecchio conte Padulli ritenne di costruzione antichissima, e, con la premessa che in Cassago abbia dimorato S. Agostino, ne argomentò che in quel giardino doveva sorgere l'edificio dei bagni di Verecondo. Ma dato pure per ammesso che quelle condutture fossero antichissime, benché nessun competente ch'io sappia le abbia studiate così da saperci dire a quale epoca realmente risalissero, se romane o medioevali, non ne segue per questo che si possa affermare che colà con certezza sorgessero i bagni della villa di Verecondo, col dire che l'acqua che l'acqua condotta ai bagni «ligneolibus canalibus», come scrisse S. Agostino, sia stata poi più tardi trasportata con condutture in muratura (24).

Inoltre il Morin, visitando i sotterranei del palazzo Visconti Modrone rimase colpito dalla grossezza di quelle muraglie, e, nell'idea che in quel luogo sorgesse probabilmente la villa di Verecondo, le sospettò di origine romana, pur aspettando in merito il responso di visitatori competenti. Non si può negare che il palazzo, situato nella parte più alta del paese sull'altura che dolcemente culmina a Cremella, possa avere occupata l'area della villa di Verecondo: tra l'altro vi è ancora davanti alla villa, nonostante gli adattamenti cui andò soggetto il luogo ridotto a vasto giardino, un prato che declina nella piana sottostante. Ma la possibilità non è certezza. Fossero pure quei sotterranei ruderi di una villa romana, non per questo sarebbe provato che quella in verità fosse la villa di Verecondo, pur rimanendo un indizio, sia pur tenue, in favore di Cassago. La questione sarebbe risolta soltanto se si potesse trovare qualche cosa che si riferisca a Verecondo o a S. Agostino. Il desiderio del dotto benedettino venne tenuto in considerazione dalla benemerita Società Archeologica di Como.

Nell'agosto del 1930 una commissione, presieduta dal prof. E. Ghislanzoni sopraintendente alle antichità della Lombardia e del Veneto e della quale faceva parte l'ing. Antonio Giussani di Como, avrebbe dovuto visitare quei sotterranei. Per difficoltà insorte il sopralluogo non poté essere effettuato, e ciò fu un male, perché, a parte tutto, era già molto, a puro scopo archeologico, il poter provare che quelle grosse mura fossero o contenessero ruderi di un edificio romano. Manca inoltre qualsiasi antica ed ininterrotta tradizione relativa al soggiorno di S. Agostino tanto a Casciago quanto a Cassago. Codice manoscritto pergamenaceo H 47 inf. F 100 proveniente da Avignone. Fu acquisito nel 1606 dalla Biblioteca Ambrosiana: contiene il Commento al Genesi e le Confessioni di S. Agostino. Risale al secolo XV Casciago inizia le sue pretese d'aver ospitato S. Agostino dopo la nota lettera di Alessandro Manzoni del 1843 al Poujoulat, l'autore della Histoire de St. Augustin. Ed è detto tutto. Il Rota, per sostenere a qualunque costo la sua tesi, vuole invece che antichissima ed ininterrotta sia la tradizione della dimora di S. Agostino a Casciago per le seguenti ragioni: Liutprando, re dei Longobardi, fondava in Pavia il monastero di S. Pietro in Ciel d'Oro, che affidava ai monaci Agostiniani; e verso il 725 dalla Sardegna vi trasportava il corpo del santo. A decoro del tempio e per il mantenimento dei monaci donava dei beni posti su quel di Pavia, Piacenza, Lodi, Tortona e una quantità di possessi nell'arcivescovado di Milano e precisamente nel Varesotto. Orbene, dal fatto di avere Liutprando donati beni nel Varesotto (nei quali però non è compreso Casciago), afferma che «bisogna convenire che nei circoli di Corte, negli ambienti della Curia, che fra i dotti di Pavia fosse radicata la tradizione della dimora fatta da S. Agostino sui monti di Varese, perché questa è l'unica ammissibile e plausibile». Ma se, come pretende il Rota, si suppone radicata questa tradizione fin d'allora nei circoli della Corte, negli ambienti della Curia e fra i dotti di Pavia, perché mai nessun cenno ne abbiamo negli scrittori e nelle carte dei monaci stessi di S. Pietro in Ciel d'Oro? Evidentemente perché non esisteva tradizione qualsiasi della dimora di S. Agostino a Casciago. In realtà, come è ben noto, i re longobardi usavano donare a monasteri, a seconda del bisogno e dell'opportunità, dei beni indifferentemente situati nelle diverse regioni del loro regno. L'altra ragione si è che verso la metà del secolo XV sul sacro monte di Varese sorse un monastero di Agostiniane.

Alcune buone giovani si misero insieme per condurre vita monastica. Scelsero la regola di S. Agostino, e ne ottennero l'approvazione da Sisto IV il 10 novembre 1474. Perché quelle ragazze scelsero quella regola e non altra? Il Rota vuol trovare un addentellato con monache che vivevano presso S. Maria del Monte verso il mille e nel secolo seguente, monache che, dal fatto susseguente sopradetto, vorrebbe esse pure Agostiniane, perchè a suo dire, qui si viveva in un ambiente squisitamente agostiniano (25). E' una deduzione di nessuna attendibilità, perchè da una parte nulla sappiamo della regola sotto la quale vissero quelle antichissime monache (in quel tempo la regola che ordinariamente si seguiva era quella benedettina), e dall'altra parte tra queste e la fondazione del monastero delle Agostiniane nel secolo XV è ben difficile supporre una relazione qualsiasi, poiché si tratta di una fondazione nuova a sé stante col distacco di più secoli. Monasteri di Agostiniane sul finire del secolo XV ce n'erano anche altrove, e sorgevano a seconda dell'opportunità. Ad ogni modo se il monastero fu eretto lassù, e si scelse, ad esclusione d'ogni altra la regola di S. Agostino, proprio per la tradizione che questo santo avrebbe dimorato a Casciago, ce ne sarebbe pure rimasta traccia nelle carte e memorie di S. Maria del Monte e del monastero.

E se proprio per questa tradizione, supposta e non concessa, perché allora non scelsero il luogo stesso di Casciago per erigervi il monastero? La supposizione del Rota, basata su le esposte ragioni, di dichiarare antichissima ed ininterrotta la tradizione della dimora di S. Agostino a Casciago manca di serio fondamento. Altrettanto per Cassago tutto è muto prima del secolo XVII, sia perché non vi fanno parola nè le non poche carte riguardanti la parrocchia, né gli atti di visita pastorale ed i relativi decreti del padre Leonetto Clavono (1567), di S. Carlo (1571 e 1583), e di Federico Borromeo (1608, 1611, 1624) (26), e sia perché tra le feste che, per voto o consuetudine, vi si celebravano, quella di S. Agostino non vi ricorre (27). Nemmeno risulta che vi fosse un oratorio, una cappella, un altare, una reliquia, una statua, un quadro o una pittura qualsiasi che ricordasse comunque S. Agostino. Presentemente nella chiesa, rifabbricata come si è detto nel 1759-60 vi è una cappella dedicata a S. Agostino con la statua del santo. Ma di questa cappella e statua nella vecchia chiesa demolita non vi è cenno alcuno nella particolareggiata visita fatta dal card. Pozzobonelli nel 1757, ossia un anno prima della sua demolizione. Dev'essere quindi posteriore e in correlazione al fatto che nel 1797 il marchese Gio. Vincenzo Modrone istituì un legato per l'annua celebrazione della festa di S. Agostino (28). Tanto la tradizione popolare quanto quella dotta, benché più antica di quella di Casciago, sono di origine relativamente recente: la popolare è emanata, a mio giudizio, dagli scrittori. Ed in vero: benché il Calchi sulla fine del secolo XV scrivesse che S. Agostino si ritirasse in «suburbano Cassiaco» (29), probabilmente desumendolo da qualche copia manoscritta milanese delle Confessioni del secolo XI o XII (30), nondimeno è col brianzolo Giuseppe Ripamonti che espressamente si pone il ritiro del santo fra i colli briantei, e cioè a Cassiciaco in pieve di Missaglia, donde al dire del Ripamonti, ne venne al luogo tanta rinomanza (31). Prima di lui non conosco scrittore che accenni a tale celebrità.

Le asserzioni dello storico brianzolo passarono in altri scrittori, presero voga, e non molto tempo dopo quei di Cassago si accorsero di avere un tempo il loro paese ospitato S. Agostino. Si scriverà che gli abitanti del luogo per grazia di Dio e per i meriti «sanctorum Patronorum huius ecclesiae Iacobi, Brigidae et Augustini» furono liberati dalla peste (32), e galoppando sulle ali della fantasia si arriverà poi a identificare le stanze occupate dal santo nel palazzo oggi Visconti-Modrone; a trovare la pietra su la quale avrebbe celebrata la S. Messa dopo che fu ordinato prete; a chiamare fontana di S. Agostino una fontana alimentata dall'acqua sorgente presso il sopradetto palazzo e a dedicare a S. Agostino una via del paese. S. Agostino ebbe nella diocesi milanese poche chiese a lui dedicate, come per lo meno si desume dal Liber Notitiae Sanctorum Mediolani della fine del secolo XIII, ma se la tradizione a Cassago fosse stata veramente antichissima e costante, mi sembra poco verosimile, dopo che S. Agostino divenne santo e dottore della Chiesa di gran fama, che nemmeno una chiesetta od un altare ivi sorgesse in suo onore. Se una chiesetta, supposta eretta, fosse andata distrutta attraverso le vicende dei secoli, ce ne sarebbe pure in qualche modo rimasta memoria. E' noto, per esempio, agli indagatori di memorie locali, che l'esistenza di chiese scomparse è rimasta spesse volte legata al nome di qualche cascinale o appezzamento di terra (campo, prato, ecc.).

E poiché i piccoli luoghi, ancor più delle città dove gli avvenimenti si incalzano e tendono a sopraffarsi, tengono a dare risalto alle poche glorie locali e specialmente in fatto di religione, anche per questo gli abitanti di Cassago non potevano sì a lungo dimenticarsi di S. Agostino. Il Liber Notitiae sopra citato ci ricorda invece come esistessero a Cassago due chiese rispettivamente dedicate a S. Brigida e a S. Maria; e a casciago una chiesa dedicata a S. Eusebio e un'altra a S. Giovanni Evangelista. Nessun cenno di un culto a S. Agostino nei due villaggi (33). Il Morin ammette egli pure la mancanza di una tradizione locale veramente antica per Cassago, ma spiega il fatto col dire: I) che nel 386-7 S. Agostino era un uomo qualsiasi di passaggio, un rétore forastiero senza celebrità che non doveva interessare i contadini del luogo; II) che d'altronde il luogo stesso lungo i secoli dev'essere passato attraverso varie vicende e delle quali non ci è rimasta traccia alcuna; III) che, ad esempio, senza la testimonianza di scrittori estranei non ci sarebbe stato conservato il ricordo del soggiorno a Treviri di un Atanasio, d'un Gerolamo, d'un Ambrogio, di un S. Martino stesso. Comunque sia di queste ragioni del Morin, sta il fatto che nessun scrittore antico accenna ad una dimora di Sant'Agostino non solo a Casciago ma nemmeno a Cassago. Da ultimo rimane a dire delle notizie che S. Agostino ci ha lasciate riguardanti la località dov'egli soggiornava. Sono pochi, fugaci, e non sempre precisi accenni sparsi qua e là nei suoi scritti.

Il nome stesso di Cassiciaco non ci è ricordato che una sola volta (34). Il santo ci lascia intendere che doveva essere un luogo situato in altura, ameno, verdeggiante e fertile; che lì vicino si stendeva un prato nel quale discendeva a filosofare quando il tempo lo permetteva (35); che vi erano i bagni alimentati dall'acqua trasportata con canali di legno (36); e che vicine stavano pure le abitazioni dei rustici dipendenti dalla villa (37). Non la minima allusione, osserva giustamente il Morin, ad un fiume o ad un torrente in senso odierno, ad un'altura un po' considerevole, ad un panorama, oppure a notevoli accidentalità del suolo. Il Biraghi, il Meda, il Morin, ed altri ritengono, e non senza ragione, che il luogo di Cassago possa corrispondere molto bene a quel tanto che S. Agostino ci ha detto circa la località dove passò il tempo della dimora che precedette il suo Battesimo. Di contrario parere è il Rota: egli propende non solo per Casciago, ma forzando le espressioni del santo, vorrebbe escludere Cassago.

In realtà, chiunque, alieno da preconcetti, compie un sopraluogo nei due paesi, tenendo presenti quegli accenni, deve convenire che, se in linea di massima non si può escludere né l'uno né l'altro, meglio corrispondono al luogo di Cassago. Del resto quei pochi e generici accenni si adattano a molte altre località dell'alto milanese. Si deve tener calcolo che il santo non si è preoccupato di darci una descrizione sia pur breve, ma precisa e particolareggiata del luogo e dei dintorni. Mi pare quindi che non si possa precisare, se non con grande cautela, quello che è indeterminato e oscuro, per non fare deduzioni arbitrarie, così da adattare cose e fatti alle nostre idee, invece che oggettivamente le nostre idee alle cose e ai fatti. Perciò non è nel vero il Rota quando, per negare a Cassago di poter corrispondere al luogo di Cassiciaco, ci parla di stazione climatica, di sanatorio naturale, di conifere, di un torrente d'acqua viva, di un panorama di impareggiabile bellezza, ecc.: e tutto questo per affermare che a Cassago non vi si trovano nessuna di quelle condizioni speciali che consigliano il soggiorno agli ammalati di petto (Rota, op. cit., pag. 65). Orbene di tutte queste particolarità locali il santo nulla dice, né si possono con certezza ricavare.

Ad ogni modo Cassago, benché goda di una minore altezza sul livello del mare e di una minore bellezza panoramica in confronto di Casciago è nondimeno situato in amena posizione nel centro della Brianza, circondato da alti colli e in vista di alte montagne, con aria pura e salubre, senza quei nebbioni che d'inverno infestano la pianura, discretamente ventilato d'estate, con boschi, prati ed acque correnti. S. Agostino che aveva bisogno di rimettersi da una salute un po' scossa, poteva perciò trovarsi benissimo, tanto più che l'inverno trascorso a Cassiciaco fu in quell'anno abbastanza mite, e probabilmente non dev'essere nemmeno caduta la neve giacché non vi accenna. Quando la stagione è piuttosto mite nelle colline si ha la pioggia, mentre nei luoghi più alti nevica. Un elemento sul quale insiste il Rota per negare che Cassago possa corrispondere al Cassiciaco di S. Agostino si è la mancanza d'acqua corrente in luogo, e tira in campo, nientemeno che una prova, la cascina detta dei Campi Asciutti, la quale sorge molto al di sotto di Cassago. Prima di discutere dell'acqua della quale parla S. Agostino dobbiamo innanzitutto vedere se realmente il territorio di Cassago è privo di acque correnti. Orbene il territorio, oltre che dal torrente Gambaione, che scende dal territorio di Cremella, è percorso da un altro grosso ruscello che scaturisce poco sotto il cimitero di Cassago; alimenta una fontana, e quindi, scorrendo nei prati sottostanti, passa sotto la frazione di Rosello, e ingrossato da altri rigagnoli va a sboccare nel Lambro.

Quest'acqua è chiamata nelle carte medioevali «flumen de roxello» 38. Non mancano altre piccole sorgenti che danno acqua alla così detta fontana di S. Agostino presso la villa Visconti di Modrone e ad un lavatoio pubblico. Queste sorgenti dovevano anticamente con tutta probabilità dare un maggior getto d'acqua perenne, quando si osservi che Cassago e la sopradetta villa non occupano un colle a sé stante, ma si appoggiano all'altura che s'innalza sino a Cremella da una parte, e dall'altra sino al Bagiolago: altura oggi ridotta a coltivo e in parte chiusa nel vasto giardino della villa, ma che nell'alto medioevo era, più che a campi, coperta di boschi e selve. E' noto che l'abbondanza dei boschi dà maggior vigore alle sorgenti e un regime più costante alle acque. Ciò premesso, vediamo cosa in realtà scrive S. Agostino. Ricorda il santo in termini vaghi, un'acqua che chiama promiscuamente aqua, unda, meatus, flumen, canalis. E ci informa che l'acqua per gli usi di casa e per i bagni veniva trasportata mediante canali di legno (ligneolis canalibus). I fautori di Cassago pensarono che l'acqua fosse presa dal torrente Gambaione, che attraversa il territorio di Cassago; quelli di Casciago dal torrente Tinella che scende dal Campo dei Fiori e passa per Casciago. Ma S. Agostino non dice né da dove provenisse né come fosse incanalata. Fa pure menzione di un'acqua fluente dietro i bagni, e che, scorrendo in basso fra i sassi, produceva un suono ora distinto ora depresso, da lui avvertito, mentre una notte vegliava. Di questo fatto gli diede spiegazione Licenzio, dicendogli che ciò proveniva dalle foglie che vi cadevano, le quali di tanto in tanto facendo argine, ne impedivano il deflusso regolare (39). Ora, che acqua poteva essere quella che scorreva dietro i bagni (pone balneas) e che strepitava scendendo tra le pietre, dando talora un suono or più debole or più chiaro per le foglie che vi cadevano?

Non era certamente quella che scorreva nei canali di legno nei quali mancavano i sassi per cui non poteva fare strepito alcuno, e nemmeno trattenere le foglie che eventualmente vi cadevano avendo le pareti levigate. Poteva perciò, a mio avviso, senza ricorrere a un fiume o ad un torrente, essere l'acqua, che, dopo aver servito agli usi di casa e dei bagni, poiché uno scarico doveva pure averlo, andava a scaricarsi nella pianura sottostante scorrendo in un alveo o canale sassoso con alberi lungo le sponde. Non deve trarci in inganno il termine flumen (praecipitante se flumini) usato da S. Agostino, pensando necessariamente ad un fiume o torrente vero e proprio nel significato odierno, perché è noto che dai latini e dai medioevali era adoperato per indicare una qualsiasi corrente d'acqua fosse anche piccola. D'altra parte se fosse stato un grosso corso d'acqua, le foglie che man mano vi cadevano non avrebbero avuto la forza di rallentare ad intermittenza il corso, ma sarebbero state man mano travolte. Pertanto il suono or distinto or nò che produceva scorrendo in basso fra i sassi, è più ragionevolmente spiegabile con una piccola corrente che abbia alquanta pendenza: nel silenzio profondo della notte ogni rumore è facilmente percettibile, rumore che di giorno può passare inosservato con altrettanta facilità. Comunque sia, se oggettivamente ci domandiamo donde originasse e dove e come fosse presa quell'acqua che veniva trasportata con canali di legno per gli usi domestici e dei bagni; se da un fiume, o da un torrente, o da sorgenti; se da un luogo relativamente vicino o lontano (la frase unus eius itinere è indeterminata), nulla sappiamo. E similmente nulla sappiamo dell'acqua che scorreva dietro i bagni silicibus irruens; se fiume, o torrente, o ruscello, o acqua che usciva dai bagni; il santo nulla dice. Si possono fare delle congetture più o meno probabili, ma niente di più. Questo è però certo, che il territorio di Cassago non mancava allora di acque sufficienti per renderci ragione di quanto ci ha lasciato scritto S. Agostino, nonostante le asserzioni in contrario del Rota. Da ultimo che la località di Cassiciaco non debba cercarsi nella Liguria intesa nel significato odierno, come si è immaginato nel supplemento all'Holder, interpretando erroneamente le parole di S. Agostino «cum essemus in agro Liguriae» è evidente. Il Morin dall'espressione usata dal santo «in urbem ierant» 40, riferendosi ad Alipio ed a Navigio quando vi si recavano per affari, vorrebbe che la villa di Verecondo non fosse troppo distante da Milano, e quindi probabilmente a Cassago. La frase di S. Agostino è generica e indeterminata, tuttavia se si pensa che, quando nel marzo del 387 se ne ritornò a Milano per il Battesimo, Alipio volle fare il tragitto a piedi nudi in segno di devozione, benché la terra fosse ancora gelata, si può supporre il luogo di Cassiciaco non molto lontano da Milano 41.

Tragitto più ragionevolmente ammissibile da Cassago (33 Km.) che non da Casciago per la doppia distanza (65 Km.). Da quanto sono venuto esponendo, mi pare, in definitiva, che la controversia intorno a Cassiciaco non potrà essere definitivamente risolta fino a tanto che ulteriori indagini linguistiche e corografiche ci provino in modo veramente sicuro quale sia il villaggio che vi corrisponda, oppure nuovi documenti o scavi rivelino qualche cosa che ci attesti che in quel dato luogo sorgeva la villa di Verecondo. Ad ogni modo, chi oggettivamente e serenamente studia la questione non potrà a meno di convenire che, oggi come oggi, non si possono fare che delle supposizioni più o meno probabili, e che Cassago, conserva tuttora, se non la certezza, serii indizi di corrispondere al Cassiciaco agostiniano.

 

 

Note 

 

(1) PAPINI, Sant'Agostino, Vallecchi, Firenze, 1929, c. 20 e seg.

(2) ROTA, La villeggiatura di S. Agostino a Cassiciaco, Varese, Tipog. dell'Addolorata, 1928, p. 59, 77. Il volumetto ebbe una appendice polemica sul Luce di Varese, ma, nonostante tutto, non può non impressionare coloro che della controversia hanno una conoscenza diretta e non superficiale. Filippo Meda lo definisce un lavoro scritto «con grande lusso di raffronti e di esempi interpretati secondo certe sue leggi corografiche, oltreché con grande passione». E più avanti soggiunge che il Rota «non solo pretende di aver risoluta contro la tradizione la controversia sul terreno linguistico e corografico, ma più e meglio sul terreno topografico; non si può negare all'autore una certa abitudine nel volgere a profitto della sua tesi alcuni testi o meglio frammenti di testi costituiti dalle, per verità non abbondanti, allusioni che passim Sant'Agostino fa del suo soggiorno a Cassiciaco: sarebbe troppo lungo riferire le interpretazioni e le applicazioni del Rota: il meno che se ne possa pensare è quello che ne scrisse un altro studioso intervenuto nella questione, il sacerdote milanese Rinaldo Beretta». F. MEDA, La controversia sul «rus Cassiciacum», in Miscellanea Agostiniana, vol. II, Estratto, pag. 55, 59, Roma, 1931.

(3) Si attennero, più o meno decisamente, per Cassago, il Biraghi, il De Vit, il D'Arbois de Jubainville, il Bertrand, il Meda, il Morin, il Papini, l'Olivieri, ecc. Argomentarono invece per Casciago il Manzoni, il Cossa, il Flecchia, il Rota. Si noti che Alessandro Manzoni il quale fu il primo a mettere innanzi l'ipotesi di Casciago, dopo aver letto lo scritto del Biraghi (S. Agostino a Cassago di Brianza sul milanese in ritiro per sette mesi, Milano, 1854), si ricredette.

(4) Così mi scriveva il Meda in data 8-5-1930: «Io non mi sono preoccupato né mi preoccupo delle leggi corografiche scoperte dal Sig. Rota: esse non valgono nulla - qualunque sia la loro attendibilità - di fronte all'evidenza della derivazione glottologica ... », «per me la identificazione non della villa di Verecondo con la Villa Visconti di Modrone, ma del rus Cassiciacum col territorio di Cassago, o quanto meno dei due nomi a ttraverso il documentato cassiacum intermedio, ha il valore di un assioma».

(5) Pio Knöll ci diede due edizioni critiche delle Confessioni di S. Agostino: la maggiore Sancti Aurelii Augustini Confessionum libri tredecim. recensuit et commentario instruxit P. K., Vienna, 1896, vol. XXXIII, ser. I parte I del Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum editum consilio et impensis Academiae Litterarum Vindebonensis; la minore Sancti Aurelii Augustini Confessionum Libri tredecim. Ex recognitione P. K. Lipsia, Teubner, 1898.

(6) SALVIONI, Della villa dove avrebbe soggiornato S. Aurelio Agostino in Lombardia. Reale Accademia dei Lincei, seduta del 19 febbraio 1899. Estratto dei Rendiconti, Roma, 1899, pag. 3-11.

(7) G. MORIN, Où en est la question de Cassiciacum ?, cfr. La Scuola Cattolica, Milano, 15 gennaio 1927, pag. 52 e seg.

(8) D. OLIVIERI, Dizionario di toponomastica lombarda, Milano 1931 e 1936, e le Aggiunte al Dizionario di toponomastica lombarda, serie prima, Milano, 1932, alla voce Cassago e Casciago.

(9) F. MEDA, op. cit., pag. 52; BIRAGHI, op. cit., parag. 4.

(10) F. MEDA, op. cit. pag. 55. Del medesimo autore si veda inoltre: Il rus Cassiciacum di S. Agostino nell'Osservatore Cattolico del 9 marzo 1903; Ancora Il Cassiciacum di S. Agostino in La Scuola Cattolica del marzo 1927; Dov'era la villa di Verecondo nel Pro Familia del 18 maggio 1930.

(11) P. GABOTTO, Storia dell'Italia Occidentale nel Medioevo, vol. I, pag. 6, Pinerolo, 1911. Scrive che i nomi locali in -ago -acum sono di origine celtica ma che tuttavia alcuni, benché di finale celtica, derivano da gentilizi romani, come, tra gli altri, Cassago e Casciago da Cassius. Il Gabotto però non ci dà la ragione di questa identica derivazione.

(12) ROTA, op. cit., pag. 37 e seg.

(13) ROTA, op. cit., pag. 39 e seg.; 42 e seg.

(14) ROTA, op. cit. pag. 45. Più avanti a pag. 53 scrive che «la dialettologia nostra non ha assolutamente modificato, né alterato affatto la pronuncia latina di questo nome di Cassiciàco; e come i romani scrivevano e leggevano Cassiciàco, così noi oggi scriviamo e leggiamo Cassiciàco, sorvolando per brevità sul si mediano afono; Cas...ciaco, Cass...ciago, Casciag. Quindi la nostra ortografia rende benissimo il suono, la pronuncia del nome». E aggiunge (pag. 54): «ma anche supposto, e non concesso, che Casciago niente abbia a che vedere con Cassiciàco, nessuno mai potrà citare un altro nome o romano o medioevale, o moderno, o italiano, o dialettale che abbia tanta parentela, tanto intimo nesso, una forma tipica ed identica di radicale e di consonante simile a quella che corre tra Cassiciaco e Casciago». Qui lo scrittore, come ognun vede, scioglie la questione a orecchio, alla brava come si suol dire. Ammette come provato quello che si dovrebbe provare, ossia che la forma premillenaria di Casciago sia Cassiciàco. In realtà per ora, non si può affermare che questo, e cioè che da Castiàgo, Castiàco ne venne l'attuale Casciago (Casciag) col solo cambiamento del t in c di più facile pronuncia, benché dal suono duro (Cas-ciag).

(15) ROTA, op. cit., pag. 90. «Io non so - scrive il Rota - chi per primo ha messo in giro la leggenda che Casciago anticamente si chiamasse Castiàco: né per ora ho mai trovato uno studioso che mi recasse il documento antico ove si legga veramente Castiàco, perché tanto il Salvioni, quanto il Biraghi affermano ma non provano; e ciò non è punto scientifico. So invece che i primi documenti danno Casliago, Caslago, Casgiaco, Casciago, come anno 1148 in territorio de Casliago; Ambrosium Zavatarium de Casciago (Manaresi, Atti del Com. di Milano, pag. 27); anno 1180: Orriverius de Casciago de Capitemale (Salvioni, Regia Accad. dei Lincei, anno 1899, pag. 65)». Se il Rota avesse consultate le pergamene di S. Maria del Monte sopra Varese, o, come dicevasi anticamente di S. Maria di Velate, pergamene conservate nell'Archivio di Stato in Milano, - ciò che ha poi fatto in un secondo tempo messo sull'avviso dallo scrivente e ne usò per ricavarsene appunti storici della città di Varese - non avrebbe certamente scritto così.

(16) ROTA, in Luce di Varese del 25 settembre 1928.

(17) Il fatto di non essere stata inclusa fra quelle del Codex Diplomaticus Langobardiae, vol. XII dell'Hist. Patr. Monum., non deve recare sorpresa. Quella raccolta pur tanto pregevole, non va esente talora da scorrezioni di lettura, e di errori nell'assegnamento delle date. Così per esempio, mentre la nostra pergamena non venne pubblicata perché la si volle attribuire al secolo XI, un'altra invece, pure senza data, venne edita assegnandola al 970-974, mentre è databile in modo sicuro all'agosto 1017, perché sotto la forma del breve fissa il contenuto delle obbligazioni che l'arciprete di S. Maria del Monte ed i vicini di Velate dovranno assumere rispettivamente a salvaguardia dei diritti del monte Velasco, e che formeranno l'oggetto di due carte separate. Di queste due carte ci pervenne quella spettante all'arciprete, l'altra rimasta ai vicini di Velate, andò perduta. Cfr. BOGNETTI, Sulle origini dei Comuni rurali del medioevo, Pavia, 1927, pag. XIX; MANARESI, Regestum S. Mariae de Monte Velate, pag. 15.

(18) Castiago in un atto del marzo 1048; Kastiaco gennaio 1065; Castiasca 22 maggio 1069, agosto 1075; febbraio 1076, maggio 1076; Castiasco novembre 1094; ecc. cfr. A. S. M., Pergamene S. Maria del Monte; MANARESI, op. cit.

(19) ROTA, op. cit., pag. 91.

(20) Il Rota in articoli successivamente pubblicati nel Luce di Varese cercò di ribattere le ragioni degli avversari contrarie alle sue tesi, ma senza convincere. L'Olivieri infatti, nell'Archivio Storico Lombardo, fasc. 3-4 luglio-dicembre 1939, p. 271, scrive che «Cascàgo deve risalire anziché al Cassiciaco di S. Agostino, ad una forma quale Castil o Castelliacum. Lo confermano, se pur ve n'era bisogno, le nuove attestazioni della forma Castiaco, Castiasca, Castiaca, riferite da carte dei secoli X-XI da C. M. Rota (Storia di Varese). Il Rota si ostina tuttavia a sostenere ancora la identità di Cascàgo e Cassiciàco, e pare sia riuscito a far accettare ufficialmente questa erronea identificazione dalle autorità ecclesiastiche».

(21) ROTA, op. cit., pag. 49 e seg.

(22) ROTA, op. cit., pag. 51. I nomi di luogo terminanti in -acum -ate -ianum si pronunciano dal popolo con l'accento, più o meno marcato sull'a finale. Così: Bulciago (Bulciàg), Cassago (Cassàg), Casciago (Casciàg), ecc.; Agliate (Aià), Carate (Carà), ecc.; Giussano (Giussàn), Mariano (Mariàn), ecc.

(23) Rassegna storica del Seprio, 1946, pag. 42; Mommsen C. I. L., V N. 5662; REDAELLI, Notizie istoriche della Brianza, Milano 1825, pag. 158. La chiesa antica di Cassago aveva alcune pitture del maestro Paolo da Soma eseguite nel 1542. Piccola e cadente fu demolita nel 1758-59 onde il materiale servisse alla costruzione della nuova (l'attuale che in questi ultimi anni fu essa pure ampliata), e nel demolirla fu trovata una lapide di serizzo di forma semicircolare, lunga circa tra braccia con iscrizione romana. Negli atti di visita del padre Leonetto Clavono (1567) vi si die che la chiesa non aveva campanile, ma solamente una piccola campana collocata sopra una casa attigua detta la torre. Qui probabilmente doveva sorgere il medioevale castello di Cassago; ed infatti in una pergamena del 25 febbraio 1268 si ha memoria di un atto rogato «in castro de Caxago», cfr. A. S. M., Pergamene di S. Giacomo di Pontida.

(24) MEDA, op. cit., pag. 57. Donde il Meda abbia ricavata questa notizia non lo dice: probabilmente i ritrovamenti devono essere posteriori allo scritto del Biraghi e a quello del parroco Gioletta (Memoria interessante pel villaggio di Cassago e per la Brianza, Cassago 1877), poiché non vi si fa alcun cenno. Nell'archivio parrocchiale di Cassago vi è invece una lettera, in data 21 giugno 1855, del parroco Don Ambrogio Clerici a Mons. Biraghi, in cui tra l'altro annunciava la scoperta di un canale che dal palazzo Visconti Modrone metteva alla fontana di S. Agostino. Questa lettera è pure citata dal Meda nell'opuscolo Il Rus Cassiciacum di Sant'Agostino, Milano 1903.

(25) ROTA, L'antichissima tradizione della dimora di S. Agostino a Casciago, in Luce di Varese del 24 giugno 1930.

(26) Arch. Curia Arciv. le, Visite pastorali, Pieve di Missaglia, vol. 2, 4, 10, 18, 22, 29, 30.

(27) Arch. Curia Arciv. le, Visite pastorali, Pieve di Missaglia, vol. 48. Elenco del 9 giugno 1571.

(28) Il Meda accenna ad una statua del Santo che si soleva esporre in occasione di contagi, secondo è scritto, dice lui, nel registro parrocchiale che appare incominciato nel 1661. MEDA, op. cit., pag. 50. In quel registro non mi fu dato di trovare accenno ad una qualsiasi statua del santo.

(29) TRISTANI CALCHI, Mediolanensis Historiae Patriae, lib. XX, pag. 38, edizione del 1627.

(30) Codici con la voce Cassiaco invece di Cassiciaco ne abbiamo uno del secolo IX, due del secolo X, ed altri posteriori. Cfr. SALVIONI, op. cit., pag. 4 e segg. Il Biraghi ritenne di poter dare importanza a questi codici, e specialmente ai milanesi, coll'asserire che essendo stati redatti nella regione dove Agostino abitò, essi danno affidamento che i loro scribi abbiano saputo «e il nome vero e la pronuncia retta e la giusta scrittura, né avrebbero registrata una terra milanese con nome falsato». Cfr. BIRAGHI, op. cit., c. III, p. 24-29. Salvioni osserva che «veramente se quei copisti mai hanno pensato a Cassago, l'illazione meno illegittima che da tale circostanza si potrebbe trarre, parmi questa: che si siano industriati a giustificare il loro preconcetto introducendo Cassiaco nelle loro copie». Ad ogni modo, a meno che si tratti di un errore materiale del primo copista passato poi in altri, si può osservare che se preconcetto ci fu, questo lo abbiamo per Cassago, e non già per Casciago a cui bene o male nessuno pensava in quei lontanissimi tempi.

(31) «Cassiciacum Brianteos in colles abiit, inde postea suo tempore ad lustrale Sacramentum rediturus ingenti regioni illius gloria quod hodieque decus iactant» e «Cassiciacum occasio digrediendi est ad montani fere tractus radices in Massaliae regione collis inclitus armorum et litterarum gloria». Quivi il grammatico Verecondo possedeva «non in amoenum agrum, et urbanam in eo villam habebat», cfr. RIPAMONTI, Hist. Eccl. Mediol., decas prima, Milano 1617, p. 229 e 234. Il card. Federico, anni dopo, farà propria egli pure questa credenza «id porro Casissiacum quem locum inclyti Doctoris verba celebrant, nos credidimus esse Cassagum, coniecturamque nostram, et natura loci, et ratio nominis, et veterum aedificiorum reliquiae, plurimaque vestigia antiquitatis adiuverunt». Cfr. BORROMEO, De christianae mentis jucunditate, Mediolani 1632, pag. 87.

(32) Annotazione nel secondo volume dei registri della parrocchia. Lo scritto non reca né data né firma. Tuttavia, dato il volume nel quale fu inserito, e considerata la calligrafia, è probabilmente del parroco Don Filippo Balsamo, curato di Cassago dal 1631 al 1661. Comunque è da escludersi che si tratti della peste di S. Carlo (1576) come suppose il Biraghi.

(33) Op. cit., col. 118 e 173; col. 57 e 257. La chiesa di S. Giovanni in Monza e il monastero di S. Giacomo in Pontida possedettero beni in Cassago e dintorni, ma dalle loro carte, raccolte nell'Archivio di Stato di Milano, nessun cenno di una chiesa o cappella dedicata a S. Agostino. Il Biraghi scrisse che S. Giacomo apostolo sarebbe stato il primo titolare a cui poi si aggiunse quello di S. Brigida, ma senza darci alcun documento probativo. Sembra invece doversi ritenere il contrario, in base al Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, e cioè che S. Brigida sia stata il primo titolare a cui vi ci aggiunse poi S. Giacomo per influenza dei monaci del monastero di S. Giacomo di Pontida. Ad ogni modo, gli Atti di Visita Pastorale da S. Carlo in poi ci danno per titolari S. Giacomo e S. Brigida per la parrocchiale di Cassago. Essa non possedette mai beni immobili. Così affermò il primo parroco Antonio Brambilla. La parrocchia di Cassago era una semplice cura mercenaria, e la comunità gli passava ex-devotione, ma senza istrumento obbligatorio, una data somma per la prestazione della cura d'anime; situazione precaria che venne poi canonicamente sistemata. La chiesa di S. Maria, già scomparsa ai tempi di S. Carlo, possedeva invece ab antico degli immobili, come si ha dalle coerenze dei fondi in Sizanò di proprietà della chiesa di Monza. Cfr. A. S. M., Pergamene del fondo di Religione, S. Giovanni di Monza, atto del 29 luglio 1206. Nel 1397 vi era rettore un prete Giovanni de Tabiago: dominus presbiter Johannes de tabiago beneficialis ecclesie sancti Johannis de biolzago et rector ecclesie sancte Marie loci de Cassago, come da un atto del 28 febbraio 1397 in A. S. M., Fondo di Religione, Cremella, Monastero di S. Pietro, cart. quinta.

(34) MIGNE, P. L., Vol. 32, Confes. lib. IX, c. III, col 765. Questo passo che ci richiama un verso del salmo 67, secondo il Salterio africano usato dal santo, venne dal Tillemont e da altri in seguito interpretato nel senso generico che Cassiciaco fosse un luogo in altura, ameno e fertile. Il Biraghi nelle espressioni «monte incaseato, monte tuo, monte uberi» vorrebbe adombrata dal santo la Chiesa Cattolica ricca di latte celeste ed elevata in alto al cospetto di tutti. Cfr. BIRAGHI, op. cit., c. III, 27.

(35) MIGNE, op. e vol. cit., Contra Academicos, lib. II, c. VI, 931; lib. III, c.I, 933; De Beata Vita, c. IV, 970; De Ordine, lib. II, c.I, 993. Il Rota distingue un prato grande da un prato piccolo (ROTA, op. cit., pag. 71); io ritengo che S. Agostino voglia sempre indicare il medesimo prato, come sono sempre gli stessi bagni quando scrive balneae e balneolae.

(36) MIGNE, op. e vol. cit., Contra Academicos, lib. III, c. I, 933; c. IV, 938; De Beata Vita, c. I, 962; c. IV, 970; De Ordine, lib. I, c. III, 981; c. IV, 983, c. V, 984; c. VIII, 989, lib. II, c. VI, 1003; c. XI, 1011.

(37) MIGNE, op. e vol. cit., Contra Accad., lib. I, c. V, 914; lib. II, c. V, 924; De Ordine, lib. I, c. VII, 989. La forma predominante di economia agraria fra di noi al tempo di S. Agostino era sempre il lavoro servile, benché meno rigido di quello dei primi secoli dell'impero. Accanto agli schiavi si era venuta formando una classe fra la schiavitù e la piena libertà. Erano per legge inamovibili e per il nexus colonarius i figli ereditavano la condizione del padre. Quando il fondo al quale erano applicati passava ad un altro proprietario, cambiavano padrone con esso. Non potevano essere venduti, ma era loro proibito di fuggire dalla proprietà: il colono fuggitivo poteva essere condannato alla schiavitù. Quale fosse la condizione dei rustici di Cassiciaco, coi quali amava talora intrattenersi S. Agostino, se schiavi o coloni, il santo non lo dice, e nemmeno fa parola se fra di essi o nei dintorni fosse allora penetrato il cristianesimo. Probabilmente ancora ignota era la fede nei paraggi, perchè in caso affermativo, S. Agostino, il quale in largo senso stava preparandosi al battesimo, si trovava in una condizione d'animo da doverne probabilmente farne qualche cenno. La casa padronale di Verecondo, con le poche casupole d'abitazione dei coltivatori del fondo, costituivano allora quel nucleo intorno al quale, lungo i secoli si sviluppò l'attuale villaggio di Cassago.

(38) Bibl. Ambros., Pergamena N. 4487. Pergamena senza data, ma dalla scrittura del secolo XIII, e proveniente dalle carte del monastero di Pontida, che allora possedeva fondi in Cassago. E' un «Breve recordationis de terra sancti Iacobi de pontida in Cassiciago et quam terram fuit de heredibus iohanis de rotenate (Renate) et quam fuit aquisita a nigro de quarto», e fra l'altro, fra le coerenze dei diversi appezzamenti di terreno, vi è ricordato un «riale de campo longo» e un «flumen de roxello».

(39) MIGNE, op. cit., 32, De Ordine, lib. I.

(40) MIGNE, vol. cit., De ordine, lib. I, c. III; MORIN, op. cit., pag. 56.

(41) MIGNE, vol. cit., Confess. lib. IX, c. VII. Il Meda ha scritto che ho avuto torto di non considerare due capitali rilievi, e cioè quello della soverchia distanza di Casciago da Milano, e l'altro del panorama dei cinque laghi che Agostino non avrebbe mancato di avvertire. MEDA, La controversia sul «rus Cassiciacum» in Miscellanea Agostiniana, vol. II, pag. 59, Roma 1931. Riguardo al primo rilievo non ho difficoltà a ricredermi. Per il secondo invece devo osservare che anche dall'alto di Cassago si gode di un vasto panorama di poco inferiore a quello di Casciago, benché senza i cinque laghi. S. Agostino, rimessosi in salute, coi suoi compagni non avrà certamente condotto una vita da recluso, almeno penso io, nella villa di Verecondo. Qualche breve passeggiata l'avrà pure fatta nelle belle giornate. Anche nel tardo autunno la Brianza largisce il suo sorriso velato talvolta di una lieve tinta di malinconia. Ora, se dal paese di Cassago, in cinque minuti, si sale a piedi verso la costa del cimitero, l'occhio spazia in largo orizzonte; e più ancora se si ascende alquanto più in alto. L'occhio abbraccia una vastissima distesa di territorio disseminata da mille paeselli e intersecata da verdeggianti piani e vaghe colline, e scorre dalle vette del Resegone e della Valassina ai colli ridenti del Pian d'Erba, del Comasco e del Varesotto, mentre sul lontano orizzonte, fra le ultime ondulazioni del terreno, che sfumano man mano in forme incerte e vaporose, s'innalza la gigantesca e biancheggiante catena delle Alpi. Panorama quanto mai suggestivo nell'ora del tramonto, e del tutto diverso da quelli africani ai quali era abituato il santo. E allora, poiché Agostino non sarà stato certamente un ottuso davanti alla bellezza della natura, si dovrà per questo escludere anche Cassago? Il santo, a quanto sembra, non ha ritenuto interessante al suo scopo, quando scriveva, lasciarci una descrizione particolareggiata del luogo e dintorni, ciò che avrebbe a noi invece di molto facilitata la identificazione del rus Cassiciacum.