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Luigi Biraghi: Sant'Agostino a Cassago Brianza

Ara con l'iscrizione di Novelliano Pandaro nella chiesa di san Salvatore a Barzanò

Ara con l'iscrizione di Novelliano Pandaro

 

 

SANT'AGOSTINO A CASSAGO DI BRIANZA SUL MILANESE IN RITIRO DI SETTE MESI

Ricerche del sacerdote Luigi Biraghi

 

Estratto dal giornale l'Amico cattolico, Tomo XI (1854)

pubblicato nelle edizioni di Aprile e Maggio

pp. 361-377; 385-397; 409-418; 491 (si tratta di una postilla)

 

A Milano, Biblioteca del Centro nazionale di studi manzoniani esiste una copia dell'edizione del volume "Biraghi, Luigi Sant'Agostino a Cassago di Brianza sul Milanese in ritiro di sette mesi: ricerche del sacerdote Luigi Biraghi Milano" pubblicato nel 1854 dalla Tipografia arcivescovile ditta Boniardi-Pogliani di E. Besozzi, (42 pp. con carte di tav. di cui 1 ripiegata) sulla cui copertina compare la dedica autografa: "All'Illustr. D. Aless. Manzoni Biraghi offre"

 

Nell'Archivio delle Marcelline, vol. 27, esiste l'estratto con lo stesso titolo: Milano, Boniardi-Pogliani, 1854, pp. 44+2 tav. f. t., con fogli bianchi intercalati con note ed aggiunte del Biraghi, in vista forse di una nuova edizione.

 

 

 

 

1. Correva l'anno trecento ottantasei e reggevano Teodosio con Valentiniano III l'Impero de' Romani, sant'Ambrogio la Chiesa Milanese, quando un forastiero, anima straordinaria, date le spalle al mondo, esciva di Milano e ritiravasi alla campagna per apparecchiarsi al santo Battesimo e ad una delle più grandi missioni a cui, senza saperlo, Dio lo chiamava. Questi è Aurelio Agostino, dippoi sì celebre Vescovo, e Dottore, e Santo, quell'ingegno rarissimo, quel grande filosofo, quell'eccellentissimo de' teologi per la cui bocca si direbbe che parlò e parli tuttora la Santa Chiesa Cattolica. Nato nel 354 a Tagaste in Africa, insegnò le lettere in Cartagine, e dippoi sino all'anno 383 in Roma. E benché sino da fanciullo venisse messo tra i catecumeni ed ammaestrato nella vita cristiana, tuttavia guasto dalle passioni, accecato dalla superbia, travolto nelle superstizioni de' Manichei, già da dieci anni aveva perduto la fede e abbandonato i cattolici. Ma grande misericordia lo attendeva a Milano. Eletto nel 384 da Simmaco prefetto di Roma a pubblico professore di rettorica in questa nostra città, dove già da un secolo risiedeva la corte imperiale, tra bei discorsi di sant'Ambrogio e di san Simpliciano, e le conferenze col milanese Manlio Teodoro console, e con altri pii e dotti amici, sopra tutto per le preghiere di santa Monica sua madre, in sul finire dell'anno 386 fece quella solennissima conversione da lui narrata un quindici anni dopo, colla patetica sublimità delle sue Confessioni, e celebrata dalla santa Chiesa con apposita festa nel giorno dopo quella di santa Monica, 5 maggio.

 

 

2. Fatta la grande risoluzione non pensò più che ad abbandonare ogni cosa di questo mondo e ad appartarsi in qualche ritiro in apparecchio al santo Battesimo ed a quella vita nuova che avea fermo in cuore di condurre per tutto il resto de' suoi giorni. Venne subito una offerta. Verecondo, ricco cittadino milanese e grammatico, ossia professore di belle lettere, uno de' più intimi amici di Agostino, gli offerì la propria villa sui colli milanesi: ivi il novello convertito insieme con santa Monica ed alcuni congiunti, discepoli ed amici, ridottosi, vi stette per parecchi mesi tutto occupato della salute propria e de' suoi, esercitandosi nella penitenza, nella orazione, in filosofiche e sante conferenze, in comporre edificanti scritture.

 

3. Ma quale è il luogo benedetto di Ritiro così santo? Per quanto tempo Agostino vi trasse sua dimora? Con quale compagnia divideva egli le ore, le occupazioni, gli affetti del suo cuore? Quale vita vi menò? Quai libri vi scrisse e diede alla luce? Ecco cose ben rilevanti, massime pei milanesi, le quali messe in giusta luce ci faranno conoscere questo importante punto di storia ecclesiastica non ancora del tutto illustrato, renderanno quel luogo milanese riverito e sacro; ad ogni modo pagheranno un debito che noi abbiamo verso un nostro ospite così illustre, e verso quelli che da noi giustamente pretendono le notizie della nostra patria. Il signor Poujoulat nel 1845 pubblicò a Parigi la Storia di sant'Agostino, sua vita, sue opere, il suo secolo e influenza del genio di lui, opera di merito grandissimo e di molto sentimento, ma quanto al luogo del Ritiro sul Milanese e del Battesimo, rivoltosi a Milano, non trovò chi ne avesse fatto studio apposito, come risulta da Lettera 11 luglio 1843 dell'illustre nostro Alessandro Manzoni.

 

CAPO I

Tempo del Ritiro di sant'Agostino nella Villa di Verecondo

 

4. Datomi tutto al servizio di Dio, dice nel lib. IX, c. 2 delle Confessioni, «pareva bene che io subito rinunciassi alla cattedra di rettorica, onde per l'innanzi i giovani non studiosi della vostra legge, o Signore, né della vostra carità, bensì de' raggiri menzogneri e dei dibattimenti de' tribunali, et bella forensia, non venissero più da me a mercare armi al loro furore. Ma esaminata la cosa davanti a voi, mi parve meglio evitare ogni strepito e sottrarmene quietamente. Per buona ventura non restavano che pochissimi giorni alle vacanze autunnali ad ferias vindemiales: però deliberai di avermi pazienza per que' giorni, onde ritirarmi in modo legale ut solemniter abscederem ... (Cioè ex proescritto juris et recepto forensi more. Forcellini dietro Ulpiano). Mancavano da venti giorni: però sembrava una giattanza non attendere il tempo sì vicino delle ferie, e prima di quello dipartirmi da una professione pubblica e collocata innanzi agli occhi di tutti, quasi avessi voluto prevenire il vicino giorno de' vendemmiali diem vindemialium, per voglia di farmi dire alla gente e apparire uomo grande. Aggiungasi che per la soverchia fatica della scuola in quella medesima estate il mio polmone aveva incominciato a infiacchirsi, e con difficoltà traeva il respiro, e con dolori di petto mostravasi piagato, e dava voce fioca e interrotta: cosa che da prima mi aveva turbato, ed ora mi riesciva di scusa opportuna e cara a sottrarmi alla cattedra senza espormi alle altrui censure ... Ed ecco (c. 3) quei giorni passarono pur una volta; ché molti e lunghi a me sembravano per l'amore di quella libertà e quiete amore libertatis otiosae in cui poter cantare con tutto l'affetto: A Voi, o Signore, disse il cuor mio, cercai vedere il vostro volto; il vostro volto ognora ricercherò. E (c. 4) pieno di gioja, benedicendo a voi, o Signore, mi portai alla villa con insieme tutti i miei: profectus in villam cum meis omnibus».

 

5. Vuolsi ora indagare il giorno in cui, cessata legalmente la scuola, Agostino potè recarsi alla campagna. A ciò viene opportuna una legge dell'imperatore Teodosio fatta appena qualche anno innanzi, registrata nel codice di Giustiniano, al Libro III, Titolo XII De Feriis, N. II, la quale, benché paja riguardare a' tribunali e alle occupazioni del foro, tuttavia è tale e sì analoga alle espressioni di Agostino che io non dubito di non cogliere nel segno, recandola pure alle scuole.

Imp. Theodosius A. Viceno Ut in die Dominico causae vel lites quiescant ... A decimo autem Calendarum Septembris (23 di agosto) usque in Idus Octobris (15 di ottobre), VINDEMIALIS FERIA concedatur ...

La qual legge, alcuni anni dopo, cioè nel 389, venne confermata come appare dal medesimo luogo del Codice sotto al n. VII.

Imppp. Valentinianus, Theodosius et Archadius AAA. Albino Præfecto Urbis

Omnes dies jubemus esse juridicos. Illos tantum manere Feriarum dies fas erit quos ... ad requiem laboris indulgentior annus accepit ... Et dies solis, quos Dominicos rite dixere majores, parem necesse est habere reverentiam ... Datum II Idus Augusti Romæ, Timasio et Promoto Consulibus: 12 agosto, anno 389.

Il tempo di queste leggi, le frasi, le ragioni loro da una parte, dall'altra la qualità della professione che era di nomina e impiego pubblico e di materia quasi forense o preparatoria al foro, colla circostanza della malattia del polmone cominciata nei caldi dell'estate, fanno credere che non dopo il giorno 23 agosto abbia avuto principio quella vacanza autunnale. Adunque ai 23 di agosto il ravveduto Agostino esciva ai campi a godervi la desiderata quiete. E come tardare più oltre mentre il tempo tanto sospirato era pur giunto? Seguiamolo noi pure, e notiamone i passi e le prime vicende.    

 

6. Per tutto il settembre pare che la debolezza della salute e il bisogno di quiete non gli abbiano lasciato pigliare forti occupazioni, e sopratutto il fervore di quei primi giorni in cui non saziavasi di conversare da solo a solo con Dio, come appare da quanto espone (Confess. lib. IX, c. 4) meditando ivi il salmo Cum invocarem te, exaudisti me. Quale però fosse il tenore del suo vivere in quella villa, le penitenze, le orazioni, lo zelo, l'umiltà, la perfezione, verrà esposto nel seguito.

 

7. Alle idi di ottobre, ossia ai quindici, avevano fine le ferie vendemmiali, laonde «peractis vindemialibus diedi avviso ai Milanesi, scrive egli (Ibid. c. 5) che si provvedessero altro Professore conciossicché io avessi deliberato di occuparmi solo di cose cristiane, e che per difficoltà del respiro e per dolore del petto, a cui la vacanza non aveva potuto recare rimedio» (De Ordine, lib. I, c. 2, n. 5) era male atto a quella professione. "Indi per lettera feci sapere al vescovo Ambrogio, uomo santo, i passati miei errori e la presente mia deliberazione, e lo interpellai quale tra i sacri libri io avessi di preferenza a leggere onde il meglio dispormi e prepararmi a ricevere la grazia grande del Battesimo. Ambrogio mi prescrisse Isaia profeta, credo per ciò che sia più che gli altri chiaro nel predire del Vangelo e della chiamata delle genti. Ma io non intendendo la prima lettura che ne feci, e riputandolo tutto sì oscuro, differii a leggerlo allora che fossi più addestrato nella divina Scrittura."

 

8. A questo tempo, dopo mezzo ottobre, cominciano quelle sì native e dotte e pie Conferenze tenute co' suoi o in casa nella sala dei bagni, o in un prato vicino, o al passeggio, le quali raccolte da apposito notajo, ossia scrivano, formarono la materia de' primi libri dati da sant'Agostino alla pubblica luce. Primieri fra di essi furono i tre Contra Academicos, filosofi che asserivano nulla esservi di certo, a nulla dovere l'uomo dare assenso. Le conferenze riportate in questi libri ebbero principio «alquanti giorni dopo che prese a vivere in campagna» (Acad. lib. I, c. 1.) e poco prima delle conferenze seguenti, anzi furono ridotte in libri parte in tra mezzo di queste e parte dappoi [1].

Ai tredici di novembre si festeggiò il giorno natalizio e l'anno trentesimo terzo di Agostino: idibus Novembris mihi natalis dies erat: e dopo il pranzo cominciarono le conferenze che formano il libro De Beata Vita. A questo tennero dietro i due libri De Ordine riportando i colloqui sulla Provvidenza di Dio tenuti in sul finire di novembre, certamente a inverno incominciato, hyeme, come vi si nota al lib. II, c. 1. Da ultimo seguirono i due libri de' suoi mirabili Soliloquii con sè e con Dio [2], i quali si hanno da assegnare al gennajo e al febbrajo del seguente anno 387, dicendoci Agostino di avere scritti quelli pure in questa villa, ma diu lungo tempo dopo gli ultimi sopra rammemorati, e di avere anche messo tra il primo ed il secondo molto spazio di interruzione: satis intermissum opus (lib. II, c. 1). Tra questi lavori si devono annoverare alcune lettere a Ermogeniano, a Zenobio, a Nebridio, e ad altri. Tutti questi scritti sono parto del suo Ritiro sul colle di Verecondo: e per felice ventura si conservano tuttora: di essi parleremo a suo luogo.

 

9. Intanto si avvicinava il tempo del santo Battesimo che secondo la disciplina di quei secoli conferivasi per l'ordinario nella vigilia o notte di Pasqua, onde con Gesù Cristo risorgere dalla morte del peccato alla vita della grazia. E tempo innanzi bisognava trovarsi in città, e dare il proprio nome da inscriversi fra i competenti. Perciò ubi tempus advenit quo me nomen dare oporteret, scrive Agostino nel lib. IX delle Confessioni, relicto rure, Mediolanum remeavimus, venuto il tempo di dover dare il nome, abbandonata la villa facemmo tutti ritorno a Milano. Questo tempo, secondo l'antico Sacramentario Romano, quale trovasi in un codice del secolo VI, che rappresenta la disciplina del secolo IV e V (Vedi Cardin. Tommasi, Opere, nella Prefazione di questo Sacramentario) era la terza domenica di Quaresima o direm meglio l'antecedente sabato secondo; perché alla terza domenica di Quaresima leggesi in fronte: tertia dominica: quae pro scrutinis Electorum celebratur: e nel Canone di questa Messa, fatta memoria de' padrini e delle madrine che devono levare dal sacro fonte i battezzandi; qui ipsos infantes (i battezzandi fossero stati anche di età matura si dicevano infanti in riguardo alla nascita battesimale) suscepturi sunt, segue la recita de' bene avventurati scelti ed ammessi a ricevere il santo Battesimo: et recitantur NOMINA EORUM: et postquam recensita fuerunt, etc. Ciò quanto alla Chiesa Romana ed universale. Quanto poi alla Chiesa Milanese noi sappiamo da Beroldo (Ordo et ceremoniae Ecclesiae Mediolanensis. De Scrutinio Primo) che visse tra il secolo XI e XII che nel sopraddetto sabato secondo di Quaresima facevasi il primo scrutinio de' battezzandi, benché i nomi degli eletti si inscrivessero più tardi, cioè nel sabato quinto, in sabbato de Lazaro.

 

10. Ora in quell'anno 387 la Pasqua si celebrò nel giorno 25 Aprile, siccome aveva stabilito sant'Ambrogio stesso interpellato in proposito da parecchi vescovi suffraganei [3]: e però la domenica terza di Quaresima era caduta nel 28 marzo. Poste le quali dottrine consegue che Agostino qualche giorno innanzi si tolse al suo ritiro e venne a Milano; voglio dire verso il lunedì 22 o martedì 23 del medesimo marzo. Ecco dunque evidente che Agostino abbia dimorato in questa villa per ben sette mesi, dal 7 23 agosto del 286 al 23 marzo del 387.

 

CAPO II

Persone che sant'Agostino ebbe nella villa di Verecondo

 

11. Per la gloria di quella villa e di que' colli circostanti è già molto il fatto che vi abbia soggiornato il grande Agostino: tuttavia v'è altra gloria che si aggiunge a questa, l'avervi con Agostino soggiornato altri per santità chiarissima, ovvero per sapere, per nobiltà e per cariche distinti. Prima si fa innanzi santa Monica vedova, madre del santo: della quale dice Agostino (Confessioni lib. IX): «Io ero nella quiete di quella villa catecumeno, novizio e rozzo ancora della vita spirituale, ma in compagnia di mia madre, femmina all'abito, maschio alla fede, vecchia alla sicurezza, madre alla carità, cristiana alla pietà ... a merito della quale (De Beata Vita, Praefat.) io reputo quanto mi trovo di essere». Questa santa donna partitasi d'Africa, attraversati i mari, era venuta a Milano sollecita della eterna salute del figlio: e qui nella villa aveva sopraintendenza al governo della famiglia, al vitto, alle convenienze, e spesso prendeva parte distinta alle disputazioni. Nel ritornare con Agostino in patria morì ad Ostia presso Roma, ed è onorata fra i santi ai 4 di maggio.

 

12. Segue Adeodato, di anni quindici, che Agostino nella adolescenza aveva avuto da illecita unione. Brillava nel giovanetto un ingegno portentoso ed una innocenza e pietà singolare, come attesta Agostino (Confess. lib. IX, c. 6) e come si pare dalle sue conferenze nella villa. Battezzato esso pure insieme col padre, appena ritornato con lui in Africa, passò di questa vita nel primo fervore della grazia battesimale. Facevano grata corona altri di famiglia, Navigio fratello di Agostino che pativa di splene o mal di milza, le cui figlie servirono a Dio nello stato religioso, Rustico e Lastidiano o Lartidiano (come porta un prezioso codice dell'Ambrosiana), cugini di Agostino, giovani che non avevano studiato in letteratura ma erano di buon senso comune. Questi tre entravano a parte delle conferenze [4].

 

13. Sant'Alipio viene da ricordare subito dopo i parenti, come colui che Agostino chiamava Alypium fratrem cordis mei ed i Pelegiani dippoi vernulam Augustini (Oper. Imperf. contra Julian. Episcop. Pelagian., lib. I, c. 7). Era egli pure dell'Africa d'illustre famiglia, dotto di giurisprudenza, addetto qual assessore al conte delle largizioni in Roma, ossia al ministro del tesoro: seguì Agostino a Milano e con lui si convertì, con lui fu rigenerato a Cristo. Ritiratosi in questa villa depose al tutto la superbia del cuore e si umiliò a Cristo il cui nome da prima non sofferiva venisse inserito nelle loro letterarie composizioni, e qui si diede alla penitenza per modo che camminava a piedi scalzi anche nel ghiacciato inverno con insolito ardimento (Confess. lib. IX). Ritornato con Agostino in Africa fu poi uno de' più illustri vescovi e de' più forti difensori della fede. La di lui festa si celebra dalla Chiesa ai 13 di agosto.

 

14. La parte principale delle conferenze tenute nella campagna di Verecondo fu dei due giovani Trigezio e Licenzio scolari, e compatrioti del Santo. Trigezio aveva militato per qualche tempo, per lochè alquanto disusato alle lettere, amava meglio la storia e le belle arti. Licenzio figlio di Romaniano aveva genio, vivacità e speciale passione alla poesia; anzi in quei primi giorni stava lavorando un poemetto sulle avventure di Piramo e Tisbe. Ma le esortazioni e gli esempi del santo Maestro l'ebbero in breve divezzato dalle giovanili vanità e passioni, e rivolto a pensieri religiosi sì che Agostino lo proponeva per modello al padre di lui Romaniano. Abbiamo di Licenzio una lettera poetica in cui è fatta bella ricordanza di questo Ritiro.

 

15. Oltre di costoro i quali per tutti i sette mesi soggiornarono in questa villa, sono da ricordare gli altri che vi furono solo per qualche tempo. Tale è il padrone del luogo, Verecondo, cittadino milanese e professore in Milano di belle lettere, amicissimo di Agostino e de' compagni di lui.

Nel giorno 13 di novembre, natalizio di Agostino, dovette esservi tra i convitati, poiché dopo il pranzo Agostino (Confess. lib. IX) ebbe a dire: «Non pigliamoci paura in questa villa che per l'uso di un vocabolo meno esatto abbiano a darci critica i Grammatici, essi che a noi hanno dato da usare le cose loro ». Verecondo aveva la moglie cristiana, ed esso pure inclinava al battesimo. Appena partito Agostino da Milano, preso da malattia ricevette il salutare lavacro e trapassò da fedele con grande consolazione dell'ospite Agostino.

 

16. Anche Romaniano deve aver fatto visita ad Agostino in questo Ritiro. Era egli de' più illustri e de' più ricchi di Tagaste, e di pari generosità aveva con ogni mezzo ajutato Agostino agli studj. Venuto a Milano per affari presso la corte, usava molto con lui al quale aveva affidato da educare Licenzio. A questo benefattore il Santo dedicò i libri Contra Academicos, ricordando nella prefazione con gratitudine cordialissima i molti beneficii da lui ricevuti quasi da secondo padre; e per contraccambio adoperò ogni industria per distorlo dal manicheismo e dalle soverchie cure del secolo, e piegarlo a pensieri salutari; e colto il destro della visita nel Ritiro, deve avergli ben toccato il cuore, poiché a nobis, dice egli (C. Academ. lib. II, c. 3) quaerens dubitansque descessisti. E bisogna credere che la grazia abbia poi vinto questo cuore, poiché S. Paolino da Nola alcuni anni appresso, lo tratta come cristiano fedele (Epist. 32) mandandogli delle eulogie.

 

17. Zenobio pure a cui sono dedicati i libri De Ordine deve aver conferito con Agostino in questa villa poiché nella Epistola II Agostino gli scrive: «Ti avviso che resta da compire la disputazione cominciata con teco». Nel I De Ordine, dice a Licenzio: Cum (Zenobius) praesens esset .... Era uomo di molto spirito e di costumi integerrimi, e, a quanto pare, chiaro nel secolo.

 

18. Aveva Agostino intima amicizia anche con Flavio Manlio Teodoro, di nazione milanese, prefetto delle Gallie, prefetto dell'Italia e dippoi nel 399 console dell'Impero, celebrato dal poeta Claudiano; e dedicandogli il libro De Beata Vita, confessa che deve pure a lui le prime credenze di cose spirituali e i primi passi a conversione [5] e ne fa grandi elogi. Sorella di lui era quella Manlia Dedalia di cui esiste ancora l'epitaffio nella Basilica Ambrosiana sotto lo scalone del monastero postogli da Teodosio stesso: ove tra le altre cose leggesi: 

Clara genus, censu pollens et mater egentum

Virgo sacrata Deo Manlia Daedalia ...

Haec, germana, tibi Theodorus frater et haeres,

Quae relegant olim secla futura, dedi.

 

19. Ma dopo Alipio il più intrinseco amico di Agostino era l'africano Nebridio, che "lasciò patria, comodi ed una tenera madre, solo per vivere meco (Confess. lib. IX) e meco cercare la sapienza, dice Agostino stesso, uomo di buoni costumi, alieno dal tumulto del secolo, nemico de' Manichei". Durante il ritiro di Agostino egli fece il sacrificio di rimanersi in città onde supplire a Verecondo mal fermo di salute. Poco dopo Agostino ricevette egli pure il Battesimo con tuta la famiglia da lui ridotta a Cristo e morì santamente. "Egli è ora in paradiso, così sfoga l'amor suo il Santo: ivi il mio Nebridio vive, il dolce amico mio e vostro adottivo. O Signore, di liberto divenuto figlio, ivi egli vive. Imperocché qual altro luogo ad anima tale? Ivi egli vive ... senza fine felice". A questo indirizzò dal Ritiro diverse lettere: ma di lui e di Manlio Teodoro non si hanno congetture che alla villa di Verecondo sieno venuti se non quella della grande amicizia.

 

CAPO III

Nome con cui sant'Agostino chiamò la villa del suo Ritiro

 

20. Conosciute le persone che furono con Agostino in quel Ritiro, resta da cercare il nome di quel luogo. Agostino lo registrò ad eterna memoria nel libro IX delle sue Confessioni al capo III. Ma, come spesso intervenne de' nomi proprii innanzi alla stampa, che solevano essere dagli scrivani in copiando i libri, mal conci ed alterati, questo pure venne guasto e tramutato; tanto più che si trattava di un luogo campestre, di una villa ai forastieri ignota. E' dunque necessità, a scoprirne il vero nome usato da' Romani e scritto da Agostino, ricorrere a codici autorevoli ed alla sana critica. Or due ne' codici occorrono lezioni principali: altri hanno Rure Cassiciaco, e furono seguiti da francesi Padri Maurini nella loro edizione delle opere Agostiniane, altri hanno Rure Cassiaco e noi coi codici italiani imprendiamo a dimostrare che la vera lezione è appunto CASSIACO.

 

21. E innanzi tutto poniamoci sotto gli occhi il passo (Libro IX delle Confessioni, cap. 3): "Verecondo, diceva Agostino, con molta cortesia ci offerì che quel tempo che avessimo a stare sul milanese, volessimo passarcela in un suo podere in re ejus. Voi, o Signore, ben lo rimeriterete nella gloria dei giusti, poiché già lo avete rimeritato colla grazia della medesima comunione. Difatti, benché noi non fossimo più presenti, ché già eravamo giunti a Roma, egli preso da malattia e in quella divenuto cristiano, da buon fedele passò da questa vita. Così voi aveste pietà non solo di lui ma anche di noi, e non potendolo contare fra il gregge vostro, fossimo da dolore intollerabile cruciati. Grazia a Voi, Dio nostro; noi siamo vostri: prove ne sono i vostri dolci inviti e le consolazioni vostre. Voi siete fedele nelle promesse: e voi deh! rendete a Verecondo, per quella di lui villa a Cassiaco ove dal tumulto del secolo ci riposammo in voi, rendete l'amenità del vostro paradiso sempre verdeggiante; come già avete a lui in questa vita perdonato i peccati chiamandolo sul monte incaseato (del cacio), monte vostro, monte grasso, cioè la Chiesa Cattolica.

Reddes Verecundo pro rure illo ejus CASSIACO, ubi ab aestu saeculi requievimus in te, amoenitatem sempiterne virentis paradisi tui: quoniam dimisisti ei peccata super terram in monte INCASEATO, monte tuo, monte uberi."

Così noi troviamo doversi leggere e, parci, con tutta ragione, poiché così portano i codici che in questo caso sono di autorità preferibile agli altri.

 

22. E in fatti trattandosi di nome proprio ad un villaggio milanese, ognuno ammetterà, quelli tra i codici antichi essere vieppiù da attendersi che sieno scritti a Milano o nelle vicinanze, meglio che quelli scritti all'estero in lontani paesi: imperoché i nostrali devono bene averne saputo e il nome vero e la pronuncia retta e la giusta scrittura, né avrebbero registrata una terra milanese con nome falsato. Ora i codici milanesi ci hanno tramandato non Cassiciaco ma Cassiaco.

 

23. Cominciamo dalla primissima stampa delle Confessioni la quale per fortunato caso venne appunto fatta in Milano nell'anno 1475. Chi ebbe cura di questa prima edizione (e a que' tempi gli editori erano fior di letteratura e di critica) avrà frugato ne' più vecchi e più riputati codici di Milano, e messili a confronto onde scegliere la lezione più accreditata. Ed egli vi stampò Cassiaco. E prima di lui nel 1464 aveva fatta a penna in pergamena una copia delle Confessioni un Religioso milanese, la quale si conserva nella Biblioteca Ambrosiana segnata F. 69; copia bella, esatta. Essa pure ha rure ejus Cassiaco. A questi codici di Milano mi è grato poter aggiungere la prima stampa delle Confessioni eseguita in Venezia nel 1484 da Pellegrino de' Pasquali: essa pure offre la lezione Cassiaco. Or questi codici del mille e quattrocento rappresentano a noi i codici più antichi e di maggior bontà di questa alta Italia, dei quali innanzi della stampa era sparso grandissimo numero pei chiostri, nelle canoniche e presso i privati.

 

24. Né così ragionando male mi appongo; perocché eccoti un codice della Ambrosiana M. 3 in pergamena, di poco posteriore all'anno 1300: esso ha chiarissimo il rure illo ejus Cassiaco: questo sino ab antico appartiene a Milano e pare sia stato scritto quì. Ma sopra ogni altro merita attenzione un antichissimo codice della medesima Ambrosiana, in pergamena, C. 80, proveniente da Arezzo, forse scritto a Bobbio, assai corretto, il quale per carattere, pel majuscoletto delle prime linee, per cotali miniature semplici delle iniziali, per mancanza di divisione in capi e dell'appellativo sancti ad Agostino e per altri cotali indizii, si può giudicare del secolo nono al decimo. Esso ti reca innanzi limpido e netto il rure illo ejus Cassiaco. Vedi nella tavola I il num. 1 (pag. 208).

 

25. Né io tralasciai di chiamare ad esame i migliori codici della Vaticana. Uno pergameno della collezione detta della Regina Cristina N. 2085 in 4° dice pro rure illo cassiaco; e questo appartiene al secolo XII. Un altro pergameno in 4° grande della collezione Vaticana N. 414 parte I, presenta pure la lezione cassiaco, e questo è da ascriversi al secolo XIII.

 

26. Che se altri codici nostrali non hanno la precisa forma cassiaco, tanto però si avvicinano a questo quanto si slontanano da cassiciaco. Tale si è la stampa delle Confessioni fatta nel 1482 benché senza data di luogo, essa ti porge rure caseato: tale il codice pergameno del secolo XV scritto a penna della Biblioteca di S. Marco in Venezia: in esso leggesi Cassiatico; tale il codice ambrosiano segnato A. 47 del secolo XIII, assai elegante, che dà rure cassiatiaco.

 

27. Ma quand'anche codici tanto autorevoli nol dicessero, lo direbbe sempre il contesto medesimo, che qui Agostino scrisse cassiaco o casiaco; tanto evidente è l'allusione a caseo o casio, come pronunciava la plebe la quale in fine formò la parola italiana cacio come da oleo olio. "O Signore, dice dunque Agostino in questo luogo, di quella maniera che Verecondo invitò me al suo monticello cassiaco, così voi in rimeritamento chiamaste lui al monte caseato ossia abbondante di latte e di cacio, monte incaseato, monte tuo, monte uberi": ché con tal frase nel salmo 67 [6] è adombrata la Santa Chiesa Cattolica ricca del latte celeste ed elevata alto al cospetto di tutti.

 

28. La quale allusione videro sì chiara alcuni amanuensi antichi, che nel trarre esemplari delle Confessioni in luogo di Cassiaco vi scrissero Caseato, come dimostra l'edizione sopra allegata del 1482: e nella seguente linea in luogo di in monte incaseato, monte tuo vi scrissero in Cassiaco monte tuo, come porta l'antico bel codice Ambrosiano A. 47 ultimo da prodotto sotto il N. 26. Imperocché da caseus viene derivato casiacus e caseatus non già casiciacus; come per esempio da apium, l'erba apio, viene l'aggettivo apiacus, e apiatus ma non apiciacus, che non renderebbe più il senso e la derivazione di apium.

 

29. Concludiamo: io ebbi sotto gli occhi le lezioni di quattordici codici: otto de' quali, e tra questi i patrii ed i più antichi, hanno Cassiaco; altri due gli si avvicinano assai: degli altri quattro uno ha Cassiaciato, ed è l'H. 47 p. inf. dell'Ambrosiana, di penna recente, recato da Avignone; un altro, Cassitiaco ed è il Vaticano urbinate N. 79; due soli hanno finalmente il puro Cassiciaco, cioè un vaticano N. 4995 ed un Ambrosiano C. 49 del secolo XV di ignota provenienza. E bisogna che anche in Francia i codici favoriscano meglio il Cassiaco, perocché il dotto e diligentissimo Tillemont nel t. XIII delle sue Mémoires per la storia ecclesiastica, benché conoscesse la lezione Cassiciaco (art. 34), pure costantemente preferì ed usò Cassiaco nelle cento volte che ebbe a nominare questo villaggio di Verecondo. In fine valga sopra ogni ragione questa, che nell'agro milanese nessuna carta o memoria corografica antica fu trovata finora offerisse il Cassiciaco: laddove molte additano il paese Cassiaco.

 

CAPO IV

Il Cassiaco ove sant'Agostino fu in Ritiro è Cassago di Brianza

 

30. Dimostrato il vero nome della villa di Verecondo non è più difficile riconoscerne il sito nell'agro milanese. Imperocché quel villaggio posto sui colli della Brianza un quattro leghe al nord di Monza, nel distretto plebano di Massaglia, ne' tempi moderni detto Cassago, esso a tempi latini antichi appellavasi appunto Cassiaco, dippoi piegando la c al raddolcimento italiano di g, si appellò Cassiago, come lacus voltossi in lago: e da ultimo divorata la i, formossi il volgare Cassago, come da Lauriacum Lurago, da Imberciacum Imbersago: e Cassago appunto conserva da secoli favorevole tradizione.

 

31. Cerchiamo adunque per le carte antiche; e il Regio Archivio Diplomatico presso S. Fedele ce lo presenta in ottime pergamene ritirate dai soppressi monasteri. La prima è una pergamena del celebre Monastero di sant'Ambrogio in Milano, scritta nell'anno 854 colla quale un Lupo da Olcio, de vico Auci sulla riva del lago circa quattro leghe sopra Lecco vende a un Gaiderissi figlio di Agemondo de Cassiaco un fondo in Lierna: contratto celebrato in Lecco Acto Leoquo, vico Aurolinigo, nel casale di Arlenigo [7], davanti ad un Giovanni de vico Coade ossia di Quàa od Acquate uno de' testimonii. Il Padre Fumagalli abbate di questo monastero pubblicando questa carta nel suo Codice de' diplomi Santambrosiani del secolo ottavo e nono vi lesse Cassiaco: e ve lo può leggere ognuno; ché quella carta si conserva tuttora e il carattere è chiaro e la parola è integra. Vedi tavola I, N. 2. Il giro de' paesi quì nominati, la distanza uguale di Olcio e di Cassago dal borgo di Lecco, la consonanza di Cassiaco con Cassago ci persuadono già che quel Guiderissi non appartenesse ad altro luogo che a Cassago. Ma la seguente pergamena reca la cosa alla evidenza.

 

32. Essa è del medesimo archivio, scritta nell'anno 1117 nel castello di Cremella vicinissimo a Cassago: è una convenzione tra un prete Giovanni del luogo di Cremella rappresentante del monastero di Pontida presso Lecco ed alcuni abitanti di Rotenate, ossia Renate, sopra beni che quel monastero possedeva a Cassago: uno de' testimoni è di Barzago. In essa Cassago ricorre ben cinque volte e sempre vi è scritto Cassiago, vedi tav. I N. 3: Petrum Sertor de loco Cassiago: pratum in territorio de loco Cassiago.

 

33. A dare ottima luce viene pure l'Archivio diplomatico che ancora bene si conserva, della Basilica di S. Giovanni in Monza. La Basilica possedeva di molti beni per la Brianza e per buona ventura ancora esiste l'antico libro in pergamena nel quale sono registrati i diversi affitti col rispettivo nome del luogo nel margine, cominciando dall'anno 1211. Eccone due pezze al caso nostro opportune.

De Casiago. Anno MCCXV. X ante Kalendas mai.

Dominus Archipresbyter investivit Liprandum de loco Cassago ....

Qui abbiamo nel medesimo tratto Casiago e Cassago.

De Cremella. Anno MCCXVII ...

Joannem Gregorii de loco Caxiago ... che vale Casiago come Ambroxius vale Ambrosius.

Da questi pochi esempi apparisce chiaro che Cassago è l'antico Cassiacum e che sino al secolo decimoterzo e fors'anche decimoquarto, fu per uso comune appellato Cassiago ossia Cassiaco. Goffredo da Bussero sul finire del secolo XIII, nella sua opera Ecclesiae et Altaria Dioecesis Mediolanensis (MSS. della Biblioteca Metropolitana) registrando al 55 le chiese in onore di santa Brigida, accenna pur quella in loco Casiago de Masalia.

 

34. Ben dunque giustamente il più autorevole de' nostri storici Tristano Calco scrivendo nel seguente secolo XV la storia di Milano, ove narra di Agostino professore, lo dice ritiratosi a Cassiaco, e ne parla come di fatto e di villaggio conosciuto a tutti; e chiama quel luogo suburbano, che vale dipendente dalla città di Milano e compreso nel distretto di lei. Augustinus in suburbano Cassiaco secedens (Nel Libro 2 Hist. Patriae, incominciata verso il 1490 di cui la Biblioteca Ambrosiana possiede l'autografo), in quella stessa maniera che quei di Roma chiamavano ville suburbane la Tiburtina, la Toscolana, l'Albana distanti un quindici o diciotto miglia dalla città. La quale testimonianza del Calco avrà in gran pregio ognuno che consideri come questo storico attinse le sue notizie non a cronicacce o mal fondate tradizioni, bensì come egli professa nella sua prefazione, a monumenti originali, a lapidi, a monete, a codici i più riputati, fra i quali accenna quelli di Ambrogio e di Agostino.

 

35. Ma, alle corte, Cassago conserva egli memoria del soggiorno di tanto uomo? La tradizione vi è dessa favorevole? Non poteva essere altrimenti. Le Confessioni di sant'Agostino fino dal quinto secolo girarono ricerche e lette ovunque con avidità, per le mani di tutti: in esse si parla di suo Ritiro nel villaggio milanese Cassiaco, villaggio noto a tutti sui colli della Brianza: or come mai quei terrieri avrebbero o non avvertita o trascurata sì bella gloria patria? Ecco pertanto appena Cassago ebbe parrochi e libri parrocchiali subito quella tradizione che tramandavasi a voce o con documenti privati, venne registrata su di libro pubblico, solenne. Apriamo in fatti il primo registro parrocchiale che di quel villaggio comparisca: esso ha principio nel secolo XVI con l'anno 1566. Ivi in apposita pagina si fa memoria di gravissima pestilenza, la quale dalle seguenti note cronologiche, cioè del 1611 e del 1619, si argomenta dover essere stata quella di S. Carlo nel 1576 piuttosto che quella di Federico Borromeo nel 1630: e si fa questa memoria per dire come Cassago sia stato esente di quel flagello per intercessione di sant'Agostino, già abitatore di quel luogo come porta la tradizione antica. Ecco il pezzo intero: 

 

GRATIA DEI MERITI SANCTORUM

PATRONORUM HUIUS ECCLESIAE

IACOBI BRIGIDAE ET AUGUSTINI  

Oppidum istud illoesum servatum est tempore soevissimae pestis, licet oppida circum circa gravissime afflicta fuerint: et hoc ad laudem ejusdem Domini Nostri Jesu Christi pariterque beatorum Patronorum Jacobi Apostoli, Brigidaeque Virginis (morta nel 521, di cui si hanno qui sino ab antico le reliquie). Et cum moris christiani sit memoriam habere beneficiorum acceptorum, illaque attribuere alicui Sancto protectori, ideo Communitas ista Casagi non immemor tantae gratiae ultra predictos, ut supra Patronos, adjungit sibi et supplicat auxilium beatissimi AUGUSTINI Pontificis Hipon. et Doctoris Sanctae Ecclesiae eximii; eoque magis cum memoriae proditum sit ipsum Sanctum patrios lares habitasse.

 

Più bella e più autorevole testimonianza non si poteva trovare. E' un parroco, è una comunità intera che nel secolo XVI dichiarano tenere da antica tradizione aver sant'Agostino abitato sotto quei comuni loro patrii tetti; il che è come dire che tale tradizione era già antica a quel tempo e avuta per antica e sincera anche dai più vecchi di quel paese e di quei dintorni.

 

36. Nè questo documento è solo. V'è ivi una lunga tavola di pietra posta a frontale della mensa nella cappella di sant'Agostino, che prima venia con religioso riserbo conservata nel battistero: ha, quasi nel mezzo, scolpite le solite iniziali del santo nome di Gesù, HIS entro uno spazio quasi rotondo un po' affondato: vedonsi qua e là vestigia di lettere, ma non ne rimane tanto da dare un senso. Da una antica annotazione registrata nel medesimo libro parrocchiale, e sotto al luogo citato, però di altra mano, si rivela che questa pietra serviva di mensa nell'altare di un vecchio oratorio di Cassago, in Oratorio vetere, e sì vecchio che per decreto del Cardinale Arcivescovo Federico Borromeo segnato nell'anno 1611 si dovette distruggere. Il parroco d'allora ed il popolo volle conservata questa pietra, perchè ut dicitur, correva fama che su di quella stessa super eam eamdem sanctus Augustinus celebraverit. Sant'Agostino può ben essere ritornato a Cassago dopo ricevuto il santo Battesimo, nei mesi che ancora si fermò sul milanese, può anche avervi ricevuto la santa comunione se in quei siti vi fosse mai stata fin d'allora una cappella, come di certo fino d'allora ve ne aveva per la campagna anche in luoghi i più riposti etiam in abditioribus locis, come attesta sant'Ambrogio [8], ma non fu ordinato sacerdote in otto giorni come sant'Ambrogio, bensì dopo tre anni ed in Africa. Tuttavia anche a traverso ad uno storico sbaglio di circostanze trapela la retta tradizione della storica verità dell'essenziale. Dopo questi due documenti non occorre che io mi dilunghi più nè sulla Stanza di sant'Agostino, ove un registro battesimale dice nato un tale nel palazzo de' Duchi Visconti, nè sulla Fontana di sant'Agostino, che così chiamasi dal popolo un ruscellino che scaturisce dai sotterranei del medesimo palazzo, e scorre giù per la china al vicino prato di mezzodì, nè su di altre cotali denominazioni, non potendo io instituire su di loro congetture ragionevoli di tempo. Meglio tornerà chiamare ad esame le circostanze locali della villa di Verecondo toccate nei libri del Santo, e vedere come convengono a Cassago. Nel resto nessun paese gli contendette il vanto di sì preziosa tradizione; e dove le tradizioni immaginarie al venire de' tempi della sana critica svanirono innanzi al lume di lei, questa al contrario si sviluppò meglio e si venne rassodando, tanto che i migliori nostri Storici e Commentatori di cose patrie, anche dopo il Cassiciaco dell'edizione Maurina, che portò qualche imbarazzo, stanno in favore di Cassago [9].

 

CAPO V

Le circostanze locali del Cassiaco di sant'Agostino convengono col Cassago di Brianza

 

37. Sant'Agostino recossi a Cassiaco non trattovi dalle belle vedute nè per vaghezza di monti o di laghi o di campagne: vi si recò perché quel luogo, e non altro, gli fu da Verecondo offerto, e venia opportuno a quiete e raccoglimento. Per vero il Santo era già sì preso da' pensieri del cielo che poco oramai curavasi di questa terra, e così intento a togliersi ad ogni amore e illusione delle cose sensibili come egli da Cassiaco scriveva al suo Nebridio rimasto a Milano, Epistola IV, che ben poco toccò ne' suoi scritti di quella villa e dei colli su cui faceva soggiorno. Una sola di queste sensibili cose commoveva la delicata anima sua, un bel sole d'inverno, il sereno del cielo. Non aspettiamoci dunque dal suo genio né descrizioni, né pitture, né fantasie: ché egli non era nè romanziere, né poeta: era un uomo cercatore della verità e della sapienza, il quale promoveva con ogni sforzo il pieno trionfo dello spirito sopra la carne e sopra ogni suo diletticamento. Che se ne' suoi scritti si trova pure alcuna traccia di quel benedetto asilo, egli è uno schizzo caduto per caso dallo stilo, o voluto da necessità del discorso.

 

38. Facciamoci dunque a raccogliere i pochi cenni che di quel sito gittò, e vedremo che essi convengono pienamente con Cassago di Brianza. In primo luogo Cassiago era in agro Liguriae, come egli attesta nel Libro de Quantite Animae scritto pochi mesi dopo questo Ritiro. Or dalla operetta contemporanea Notitia Dignitatum Imperii la quale ci porge la statistica ed i ripartimenti delle provincie e delle città dell'impero in questi tempi di Teodosio e de' suoi figli Arcadio ed Onorio, ricavasi che Milano era la capitale delle sette provincie formanti l'Italia, così chiamandosi in modo assoluto l'Italia alta; e che la Liguria, una di queste sette, comprendeva anche il milanese, e che anzi Milano era speciale metropoli di lei. Ecco il testo secondo l'antico codice Thuano: ... In provincia Liguriensj civitates viginti: civitas Mediolanum Metropolis ... civitas Bergamo ... (Presso Carol. a S. Paulo Geographia sacra, pag. 38 e pag. 30). Ma Cassago fino da più rimoti tempi appartenne all'antico pago o distretto di Massalia, e Massaglia al governo di Milano; come è facile persuadersi dietro riflessi sulla sua località e sulle carte più antiche presso Giulini, T. IX e presso altri.

 

39. Agostino stesso nota in più luoghi come Cassiaco fosse dipendente da Milano in modo che il recarsi di là alla città valesse lo stesso che recarsi a Milano. Alypius et Navigius in urbem ierant erano iti in città, cioè a Milano, dice nel Libro I, De Ordine, n.7: essendo a me fissato il viaggio alla città iter in urbem, dice Alipio nel libro contra Academ. N. 5: e chiaramente nel Libro IX delle Confessioni lo esprime: "Venuto il tempo di dare il mio nome pel Battesimo, lasciata la villa ritornammo a Milano, relicto rure Mediolanum remeavimus": e nel I Retractationum dice: "jam de agro Mediolanum reversus ...."

 

40. Né questa villa era sotto le mura, bensì a qualche notevole distanza. Imperocché cominciate le conferenze e dispute contro gli Accademici, Alipio che faceva da patrocinatore di questi, in sul bel principio disse: "duolmi che essendomi fissato il viaggio alla città, la stabilita dipartenza mi sforza a dover interrompere l'officio assunto e la disputazione; iter in urbem ... disposita profectio interrumpere me compellit, e però l'officio mio commetto a Licenzio usque ad reditum meum, imperocché ben vedo che questa disputa andrà per le lunghe"; e nei due seguenti giorni Alipio non si trova presente ai ragionamenti. Inoltre quel luogo era fra colli e monti come vien detto in seguito al N. 42. Questi indizj notano un luogo alquanto discosto da Milano. E in fatti volendo pur conferire con Nebridio, conferire con sant'Ambrogio è costretto a doverlo fare per lettere. Tuttavia non era quel luogo neppur lontanissimo: perché in pochi giorni Alipio ben due volte portossi alla città; come appare dal passo ora allegato e dal Libro I De Ordine, n. 7 e dal Libro II Soliloq. cap. 14 dove parlando di sant'Ambrogio residente in Milano dice: Cum hic ante oculos nostros sit ille in quo .... Cose tutte che a pieno si confanno a Cassago posto un sette od otto leghe sopra Milano, e di facile accesso per Alliate e Monza.

 

41. E venendo da vicino alla villa di Verecondo troviamo che era in territorio fertile e buono ubere terra (Libro I De Ord. c. 4), situata fra campagne e contadini e allegrata dai lavori rurali (I Acad. 10). Da presso alla casa si distendeva un prato ove sotto di un albero si tenevano quelle famigliari conferenze: al quale prato per recarsi bisognava discendere in pratum descendere: che pare indichi a dito il prato che ancora verdeggia nella molle valletta al mezzodì del palazzo Visconti. E di un prato a Cassago si parla pure nelle Carte antiche (Carta del 1117 sopra cit. del Monast. di Pontida - Registro di Monza citato, nel 1215), comunque poi non sia facile il determinare il sito. La casa di Verecondo era dunque su di una altura: e sorgeva così libera di luce che il primissimo chiarore dell'aurora dava per entro alle camere (I De ord. N. 20). Anzi nelle Confessioni ove prega larga mercede a Verecondo, lascia intravedere che quella villa doveva essere su di un colle fra' monti. Vedi retro al N. 27.

 

42. E chiaro lo dice Licenzio già scolaro e compagno di Agostino in quel felice Ritiro. Scrivendo egli sei anni dopo da Roma ad Agostino in Africa una lettera in poesia, nella quale ricorda con gran piacere i bei giorni passati a Cassiaco, ce lo dipinge situato tra mezzo a monti e monti alti.

 

... O mihi transactos revocet si pristina soles

Laetiferis aurora rotis, quos libera tecum

Otia tentantes, et candida jura bonorum,

Duximus Italiae medio, montesque per altos !

Non me dura gelu prohiberent frigora cano,

Nec fera tempestas ...

Quin tua sollicito premerem vestigia cursu,

Et nunc Romulidum sedes et inania tecta

Desererem et totus semel in tua corda venirem ... 

 

Non è dubbio che qui parli di Cassiaco. Il tempo passato insieme, tecum, nel mezzo Italiae (Lib. 8 Aeneid. v. 231) in cerca di quella libertas otiosa (Confess. lib. IX, c. 49) per la quale erasi Agostino recato fuori a' campi di Verecondo, le conferenze sui diritti dei buoni ossia dell'ordine della Provvidenza ivi tenute, rendono certa l'allusione di Licenzio. Or qui si parla di monti e monti alti: non sì però che significhi esser stata quella villa sopra di monti alti, ma tra mezzo a quelli: ché il PER ove sia usato coi verbi di stato e quiete vale in, inter, in medio. E appunto Cassago ha ne' suoi dintorni de' colli assai più alti che il Monte Celio di Roma o il Monte Aventino ricordato da Virgilio per una silex altissima visu montis Aventini (Lib. 8 Aeneid. v. 231); tali sono il monte Gregorio, il Baceriaco o Bagiolago, s. Salvatore, Monticello: ed ha realmente a pochi passi i monti e monti alti di Barzanò, e di Sirtori, fra i quali più volte la pia e dotta società avrà indirizzato l'usato passeggio.

 

43. La casa di Verecondo occupava la cima del colle di Cassiaco, ove ora sorge l'antichissimo palazzo dei duchi Visconti di Modrone e doveva essere assai capace come quella che era di padrone pecunioso (De ord. L. I, c. 3) e che vi raccoglieva ad un tempo da dodici a quindici persone civili e use a comodi. E perocché le ville e case da signore solevano avere annesso un luogo per Bagni e in questo sala da conversare o scuola, ed atrii o cortili e siti da ginnastica e da passeggio (Vedi Andr. Baccio Prof. di Roma De Thermis Veterum presso Grevio Antiq. Rom. T. VII, c. V, et seq.) e così anche la villa di Verecondo aveva apposito locale pei Bagni che Agostino chiama aedificium (De Ord. N. 34), il che varrebbe fabbrica grande e civile; e questo edificio è detto luogo secreto e atto a filosofiche conferenze (De Beata Vita n. 6) e doveva essere di qualche intervallo segregato dal palazzo e domo, come si argomenta nel Libro I De Ord. N. 25, dove Agostino dice: "Una mattina, appena levati, ire ceperamus in Balneas: ille enim locus nobis ad disputamdum aptus nei giorni non opportuni a recarci fuora ai campi: quand'ecco davanti alle porte dei Bagni osserviamo due galli in zuffa tra di loro accanitissima ... deinde perreximus quo propositum erat ...". C'era dunque un po' di passi tra il Palazzo e i Bagni, c'era di mezzo una corte rustica; e però occupando il palazzo la piccola altura del colle Cassago, l'edificio dei Bagni doveva essere alquanto più in basso di verso le Alpi, dove il terreno degrada lentamente quasi a pianura.

 

44. Quello che però merita particolare attenzione riguardo a questo soggiorno si è la descrizione di un Acquedotto artificiale che da vicino fiumicello conduceva l'acqua ai Bagni di Verecondo. Da esso ebbero origine i Libri De Ordine. Era una notte sul cadere di novembre, e secondo il solito i due giovani Trigezio e Licenzio dormivano nella medesima camera di sant'Agostino sotto la vigilanza di lui, "quando vigilando io, così racconta il Santo, e desti per caso di sorci i due discepoli, ecco il suono dell'acqua scorrere dietro ai Bagni chiamò la mia attenzione: ché con mia meraviglia quell'acqua ora scrosciava con maggior rumore ora con minore nel precipitare a basso pe' sassi, silicibus irruens ... praecipitante flumine. Che è ciò? Onde viene? Alcuno che vi passi? Alcuno che vi lavi masserizie o panni e che a tempo a tempo interrompa il corso delle acque? Ma è notte buja, e chi mai in queste ore? ... Oh la cosa è chiara, dice Licenzio. Le foglie, che d'autunno si levano di continuo e spesse vengono cadendo, affoltate in qualche passo entro l'angusto canale, sono a quando a quando sospinte innanzi e cedono: passata poi l'onda che spingeva nuove se ne raccolgono e vi si stipano: ovvero sarà altro simile caso di foglie gal-leggianti che egualmente valgono ora a frenare quella corrente ora a rilasciarla. Questa spiegazione per verità mi quadrò: e sollevatasi una disputa sull'avere ogni cosa la sua causa, dimmi, Licenzio, ripigliò Agostino, pàrti egli che quest'acqua venga giù scorrendo a caso, ovvero per causa ordinata? Imperocchè essa aqua ista ... ligneolis canalibus superlabitur et ducitur scorre sopra canali di legno e viene condotta sino agli usi nostri: or ciò può appartenere all'ordine. Imperocché quest'opera venne eseguita dagli uomini dietro ragione, onde facendo quest'acqua un solo viaggio uno ejus itinere, essi ad un tempo potessero e bevervi e lavarsi; ed essendo i luoghi opportuni all'opera, ne conseguiva riuscita certa. Ma non così dal cadervi delle foglie e del fermarsi e scorrere delle acque: può egli ciò essere avvenuto dietro ordine di cose e non piuttosto per fortuito caso? No, rispose Licenzio, ché esse non avrebbero potuto cadere diversamente da quello sono cadute: ognuno il comprende: perocché senza causa non può avvenire cosa alcuna. Che andrò poi io rintracciando i collocamenti degli alberi e dei rami, e il peso quanto ne impose la natura delle foglie ...? Potrà bene per avventura un molesto inquisitore tirar innanzi e domandare la causa per la quale ivi si piantassero alberi: ed io risponderò aver gli uomini seguito la bontà del terreno, secutus esse uber terrae ... e via via il resto. Ed Agostino: E non vedi, queste foglie medesime le quali vengono portate dai venti, e galleggiano sopra le onde, resistere alquanto alla corrente che si precipita, resistere aliquantum praecipitanti se flumini, ed avvisare gli uomini dell'ordine delle cose, se pure è vero questo che tu sostieni? Allora Licenzio saltando fuori dal letto per l'allegria: chi negherà, Dio grande, che Voi regolate ogni cosa con ordine? ... Et bona et mala in ordine sunt ...". Volli esporre alla lettura questo passo comecché lunghetto, onde meglio appariscano tutte le circostanze del sito. V'era dunque un'acqua che scorreva dietro i Bagni della casa, pone BALNEAS, e poi si precipitava giù nella valle, urtando contro ai sassi con istrepito: strepebat silicibus irruens: quest'acqua venia per acquedotto AQUA DUCITUR: entro canali di legno, ligneolibus CANALIBUS, praticati per luoghi opportuni, factum est pro locorum opportunitate: veniva un po' da lontano, con viaggio, itinere: per uso de' bagni, ut homines lavarent (Vedi Forcellini, Lavo, 2). Era un acquedotto alquanto stretto, angustiis canalis intretrusa: ed insieme era un'acqua perenne che venia d'estate e d'inverno, giorno e notte, derivata da un fiume precipitante se flumine, comunque questo vocabolo possa significare anche solo la corrente dell'acqua.

 

45. Or tutto questo dipinge a pennello il sito di Cassago. Il villaggio veduto da sera e da mezzodì appare su di collina, laddove da levante e da tramontana il terreno va discendendo mollemente ed è quasi in piano. Da levante ha vicino il paesello di Cremella su parte di quella collina alquanto più rilevata, come assai più rilevate, parimenti verso mattina, sono le alture di Monte Gregorio e di Barzanò e di Sirtori. Dai monti di Sirtori discende fiumicello d'acque perenni che venendo verso sera corre contro Cremella, poi declinandola, viene verso Cassago ad un ottavo di miglio, formando nel suo viaggio di una lega, una amenissima valletta lieta di coste arborate e di cascatelle e di un molino; sinché giunto nel piano si unisce alla Bevera e si scarica nel Lambro (Vedi la Tav. II).

Pare questo fiumicello

Il picciol Siloé ché puro e mondo

Offria cortese ai Franchi il suo tesoro,

 

o meglio dirò che rassomiglia

 

Li ruscelletti che de' verdi colli

Del Casentin discendon giuso in Arno

Facendo i lor canali freddi e molli.

 

Un quarto di miglio sopra Cassago era facilissimo, (massime ne' tempi antichi quando il letto del fiumicello doveva essere più alto e più sostenuto) il praticarvi un canale che ne derivasse l'acqua sino a Cassago, molto più, come fu dimostrato, che l'edificio de' Bagni doveva essere più basso del palazzo principale. L'acqua per canale arrivata ai Bagni dal lato volto alle Alpi ed ivi abbandonata precipitava nella valle o sottoposta pianura all'occidente, strepebat silicibus irruens ... praecipitante se flumine.

 

46. Ma qual è questo fiume? E' il CANBALIONUM, ora Ganbajone notissimo alle antiche carte latine. Ritorniamo a quel vecchio Registro della Basilica di Monza: qui lo troviamo.

Anno MCCXXIII, in teritorio de Cremella ... a meridie via, a monte CABALIONUM ...

Anno MCCXVII, in territorio de Cremella, ubi dicitur in prato GANBALIONO ...

Anno MCCXXVII, in territorio de Cremella ...a monte FLUMEN DE GABALIONO ...

E' un fiume di fatto e di nome, e forse col vocabolo ricorda l'uso qui prestato ai Bagni de' Romani. Perché quando tu prenda le parole di sant'Agostino CANALIS e BALNEORUM, e consideri che il volgo pronunciava Balineum, Balineorum [10] quale difficoltà avresti a giudicare CAN-BALIONUM un composto derivato da CANalis BALINEORUM, come LONgoBARDORUM di Cernusco uscì nel volgare LONBARDONE ed OLEO-DUCTUS in OR-DUGGIO e al fine in Origgio? E quale meraviglia che un fiumicello di due o tre miglia, nascosto fra le selve, tratto fuori a luce e condotto alle case dei signori, pigliasse presso il popolo nome dal servizio che prestava ai signori i quali uno ejus itinere et biberent et lavarent? [11].

 

47. Pertanto il nome, la tradizione e le circostanze locali convengono a pieno in dimostrare Cassago essere la villa di Verecondo. Né alcuno opponga somiglianza di nomi in altri villaggi nostri, perché nessun altro non ebbe mai il nome di Cassiaco o Cassiago e né di Cassiciaco: nessun altro è favorito dalla tradizione. Cazzago per esempio, villaggetto presso Besozzo era nel tempo antico detto Cogozagum; Casciago un trentatre miglia sopra Milano, quasi sul lago di Varese, era detto Castiacum, donde per cotal vezzo del nostro volgo, di cangiar talora in s'ci le lettere sti, pare, formossi Cas'ciaco, Cas'ciago (Per esempio Bisustium [di cui Castiglioni nelle Antiq. Gallor. Sedes fa cenno] fu voltato in Bisus'c o Bisus'cio: Castione pronunciasi Cas'cion: da mistio mistiata venne mes'cia, mes'ciada: da ostium coll'o chiuso formossi us'c, us'cett). Ma a nessuno mai venne in mente di avervi avuto ospite Agostino; né le sue belle ed ampie prospettive non fanno niente al caso del Santo in ritiro e penitenza; né la circostanza di un torrente e torrente asciutto non so come possa essere decisiva qui dove si tratta di Bagni. Il veder poi che Giulini nell'elenco dei paesi nostri del secolo XII, non registra Cas'ciago, mi fa sospettare o che non sia di origine molto antica, o che sia stato ben poco conosciuto.

 

48. Nel resto quand'anche la lezione de' Padri Maurini Cassiciaco si appoggiasse a parecchi codici, dico tuttavia che la lezione anche di pochi codici, anche di uno solo, nel caso che abbia in suo favore l'autorevole suffragio della sana critica, come è qui, si può preferire ai molti codici; siccome hanno fatto essi que' dottissimi editori in più luoghi e specialmente nel Libro de Beata Vita al n° 5, dove alla lezione dei moltissimi codici preferirono quella di un solo, quae optima lectio visa est non per l'antichità o altro cotale merito, ma per la ragione logica la quale stava per questa sola. Da ultimo, per un soprappiù, noterò che quando pure nel testo originale delle Confessioni fosse stato scritto Cassiciaco (cosa che non si può concedere), tuttavia non sarebbe meno assicurata la gloria di Cassago, perché anche da Cassiciaco viene ovvio e naturale l'abbreviato nome Cassiaco e Cassago colla omissione non solo di un i ma anche di due, di tre, di più lettere, come da Inticiaco venne Inzago, da Badagium Bagio, da Ledesmo Lesmo, da Mediosente (di mezzo agli spini?) Misinto, da Cistellago Cislago. Laonde questa sola ragione per sé non farebbe grave difficoltà; e la cosa correrebbe come da prima.

 

CAPO VI  Cassago e suoi dintorni frequentati dai Romani

49. Cassiaco era su di ameni colli non lontanissimi da una città grande, ricca e popolosa, nella quale già da un secolo venivano risiedendo gli imperatori e gli alti magistrati dell'impero: ora che cercare altro perché dovessero que' colli e que' dintorni essere frequentati dai colti e ricchi latini? Le lapidi trovate in queste parti, le are, gli epitaffi ne sono una prova incontrastabile. La prima, che qui reco, è di Cassago stesso. Nell'anno 1756 nel demolirsi della vecchia e cadente chiesa parrocchiale, venne in luce una antica lunga pietra di serrizzo, e in essa a bei caratteri l'elegante epigrafe seguente:

MARILLA

R. OMINI. F.

O. V. M. F.

che io leggo MARILLA Rubrii OMINIi Fortunati (uxor) Optimo Viro Monumentum Fecit. Ho detto elegante: perché di tutto gusto latino e di aurea semplicità. Tal era l'uso nè buoni tempi, che il nome del marito si metteva nel secondo caso e il titolo uxor si sottintendeva (Marini Monum. Fratr. Arval. pag. 164 e pag. 176, a), come per esempio CRISPINA AVGusta IMPeratoris COMMODI AUGusti (uxor) nelle monete. Indicato così nella seconda linea il nome del marito vengono chiarissime e ragionevoli le sigle comuni della linea terza che indicano a chi e che fece Marilla, così detta Maria per vezzeggiativo, come da Domitia, Domitilla. Un monumento così elegante indica i tempi del gusto latino avanti la fine del secolo IV.

 

50. Di pari gusto è l'ara di serrizzo dedicata agli Dei Mani che vedesi tuttora in Bulciaghetto a mezzo miglio sopra Cassago, in sul piazzuolo avanti all'oratorio di s. Stefano. Io vi riscontrai poche vestigia di lettere, ma l'Alciati ce le conservò tutte.

 

D . M

VARIA

Q . F

SEVERA

V. S. L. M.

e leggesi Diis Manibus VARIA SEVERA Filia Quinti Votum Solvit Libens Merito. Varia non appose il proprio prenome; omissione d'uso comune alle femmine nei tempi tra il finir della repubblica e il IV secolo, come insegna Morcelli nel commento alla epigrafe quinta De stilo inscription. dietro gli studii di Spanemio.

 

  51. Ma nessuna romana epigrafe di questi dintorni attesta meglio avervi qui da tempo antico avuta stanza i Romani, come l'ara di grosso granitone o ceppo che vedesi nella cappella sotterranea della antichissima e preziosa Basilica battesimale di S. Salvatore in Barzanò.

 

 V. S. L. M. IOVI AL

TO SVMM

ANO FELICI

ANVS PRI

MIVS CV

M SVIS

D. D. D.

e vuol dire che Felicianus Primius cum suis sciolse di buon grado e per dovere un voto a Giove alto ed a Summano; e che il luogo per collocarvi quest'ara era stato concesso, Datus Decreto Decurionum: solita formola per indicare il permesso ottenuto dalla pubblica autorità onde apprendere un dato sito e renderlo sacro e inviolabile. Si ponga mente a quel Summano; ché come Giove alto si reputava arbitro de' fulmini diurni, così Summano de' notturni; riputandosi che questi venissero di sotterra, de sub manibus. Or bene sant'Agostino ventisette anni dopo questo ritiro di Cassago, parlando nel suo Libro IV De Civ. Dei, c. 23, di questo dio Summano dice: "I Romani antichi, come si legge presso di loro, a non so quale Summano a cui attribuivano i fulmini notturni, prestarono culto più che a Giove al quale i fulmini diurni appartenevano. Ma dopo eretto a Giove il famoso tempio Capitolino, fu per modo rivolto a lui il culto, che ormai appena si trova uno il quale si ricordi di avere almeno letto il nome di Summano, mentre sentirlo ripetere non gli accadrebbe: ut vix inveniatur qui Summani nomen, quod audire jam non potest, se saltem legisse meminerit". Tra questi pochi imbattutisi a leggere quel nome in sassi o monumenti forse era Agostino stesso, se mai aveva dato degli occhi su quest'ara di Barzanò, e se ne sovveniva. Ad ogni modo quest'ara che porta in fronte il nome di una divinità romana delle antichissime e nel quarto secolo obliata ci è prova come i dintorni di Cassago fino da più rimoti tempi fossero da latini frequentati. Sant'Agostino poi già fino dal primo tempo del suo ritiro sentiva con indegnazione che fosse dato l'epiteto di ALTUS alle pagane divinità, ossia ai demonii: Altus Jesus, esclamò egli nel ricordare un verso di Virgilio ove era letto altus Apollo, e con quel verso accomodato augurò bene ai due discepoli dicendo: "Sic Pater ille Deus faciat, sic altus Jesus! [12] Altus Jesus: nec enim altus Apollo est", il quale nelle spelonche, sui monti, entro ai boschi messo in furore dall'incenso e dal sangue delle pecore, riempie gli insani, ma alto è quel Veridico che è la stessa Verità ... 

 

52. Un'altra ara v'è nella medesima antica basilica di Barzanò entrando a destra, di sasso grossolano a caratteri rozzi scritto dai due lati

 

Iovi  Opt. Max.

NOVELLIANUS

PANDARUS EX Voto

PRO SE ET SVIS

OMNIBUS ARAm

DEO DONVM Posuit

 

NOVELLIAN.

PANDARVS

I. O . M. Vot. S. L . M .

PRO SERENA Filia

DONVM Fecit

CVM DIS

DEABVSQ.

D. D. D.

 

Un altro Pandaro dedicò a Mercurio l'ara scoperta nel 1850 a Casate sotto l'altare della antica chiesiuola di santa Margherita, ove serviva di sostegno alla pietra della mensa. Essa è inedita.

 

MERCVRIO

M. ICIVS

PANDARUS

V. S. L. M.

 

53. Il soggiorno sì lungo de' Romani ha dato nome a parecchie terre, ovvero gli antichi nomi etruschi o celtici foggiò alla latina. Barzago era detto Bartiacum e ne parla Ariberto Arcivescovo in una carta del 1023 presso Giulini. Baciolago, bel colle, è appellato Baceriaco in una carta santambrosiana del 892, e Bazorago nel registro di Monza sotto l'anno 1223. Barzanò trovasi presso gli antichi distinto col nome, VILLA BARTIANORUM, e di questa terra ne fa menzione l'Imperatore Enrico II in un diploma dell'anno 1015. Bulciago è ricordato in una carta del mille presso Giulini: ed era Blauciacum. Oriano grossa frazione del comune di Cassago, di antica esistenza, nel registro di Monza, nell'anno 1213 è chiamato Orliano, e nel testamento di Andrea Arcivescovo di Milano dell'anno 903 è detto AVRELIANUM. Chi sa che un figlio di Verecondo in memoria di N. Aurelio Agostino, ospite divenuto in breve sì celebre, non abbia a questa villetta dipendente da Cassiaco imposto il nome di Aurelio; ché diffatti i Latini cotali appellativi deducevano non dal prenome, non dal cognome, ma dal nome, onde da M. Tullius Cicero dicevano villa Tulliana, eloquenza Tulliana [13]. Antichissimo qui è pure da riputarsi il luogo di Missaglia o Massalia, capoluogo di tutto il paese o distretto. E perocché i Celti o Galli fondarono buona parte de' nostri paesi e vi apposero i nomi dei loro [14]; e siccome tra questi i Marsigliesi greci di origine e di lingua, mercatanti operosi, si sparsero in più luoghi, specialmente nella Svizzera; pertanto si può ben credere che alcuni di loro coi Galli o coi Romani abbiano posto stanza fra noi e fondatovi colonie, pagi e vici, e fra questi Massalia. Favorisce a tale opinione il nome di Massalia, che è il preciso nome greco di Marsiglia MAΣΣAΛIA: favoriscono le molte monete di Marsiglia che si trovano fra i campi, delle quali ne possiede anche questo gabinetto del Seminario, come quella qui riportata nella tavola II, trovata presso Lomagna mezza lega da Massaglia. Essa ha, come tutte le altre, da una parte la testa ben ornata della dea Flora o di altra dea, dall'altra un leone colla leggenda MAΣΣA, che vuol dire MAΣΣAλία, ovvero MAΣΣAλίήτωυ o Mασσαλίωτωυ de' Marsigliesi [15]. Cremella è antichissima: ivi certo Pasquale verso il secolo ottavo fondò il celebre monastero. Vedi Frisi, Mem. di Monza, T. III, pag. 17. Direi una parola di Briantia, che ha dato luogo a questa elegantissima parte del Milanese, luogo antichissimo [16] e celebre: ma non ho cose certe da produrre, e troppo mi dipartirebbe dal mio argomento.

 

CAPO VII

Vita di sant'Agostino a Cassago, e cenno delle conferenze ivi tenute

 

54. Cassago adunque è il fortunato paese ove Agostino incominciò l'opera di sua santificazione e il maraviglioso suo apostolato. Ed egli il Santo non rifiniva di gustare quel dolce beato asilo, nel quale poiché si fu ridotto, adesso, diceva, rinsavisco, adesso respiro, adesso provo il gaudio del cuore: (C. Academ. Praef.) e soleva chiamare quel sito Ostium ossia porta di sua credenza (Enchirid. c. 20); Principio di sue trattazioni teologiche, initium disputationum mearum (De Beata Vita P.); Luogo dove quasi a traverso di trasparenti nubi ebbe grazia di veder Dio verissimo e santissimo: Deum verissimum et sanctissimum quasi per lucidas nubes iam jamque ostentare nunc dignatur (C. Acad. Praefat.).

 

55. E la sua vita ivi era da tanto. Levavasi col giorno e pregava lungamente, e alla preghiera mescolava spesso lagrime di compunzione e di santo amore. Al mezzodì pigliava la refezione ossia il pranzo, e a notte la cena: ma sì scarsa ne era la misura che appena bastava a quietare la fame; onde non poté dire che del suo pranzo il principiare e il finire era la stessa cosa: nostri prandii idem initium qui et finis (III Acad. N. 7). Si coricava a notte tarda; ma prima faceva fervorose orazioni; e tuttoché si fosse posto a letto, usava passare buona parte della notte in pie meditazioni; ché quella quiete e quel silenzio a lui venivano opportunissimi a levarsi sopra de' sensi e delle mondane cose. E tutto viveva intento a raccogliersi, a umiliarsi, a preparare l'anima al gran Sacramento della rigenerazione.

 

56. La giornata spendeva parte nell'ordinare i lavori di que' contadini e dar sesto alle faccende di campagna, occupazioni a lui alquanto inscrescevoli, parte nello scrivere epistole agli amici, o nel comporre libri; e molto dava opera alla istruzione sì letteraria, sì morale dei due giovani scolari. Il resto del giorno concedevalo al passeggio per que' salubri colli, insieme a quella domestica brigata, passeggio che rallegravano di dotte, gaje, svariatissime confabulazioni: deambulatum ire surreximus, nobisque inter nos multa, variaque sermocinantibus ... relaxare animum ... (II Acad. c. XI).

 

57. Vigilava attentamente sulla condotta de' due giovani e voleva che dormissero nella sua medesima camera. Gli avvezzava a vita frugale, e laboriosa, ad essere riflessivi e d'animo raccolti, ad avere sentimenti generosi, e mire elevate degne della grandezza dell'uomo. E però da ogni cosa cavava argomento di istruzione; ed ora spiegando loro Virgilio, dimostrava sotto la più splendida vesta la più grande miseria delle credenze pagane, ora commentando loro salmi o detti evangelici, esponeva la sublime bellezza delle dottrine cristiane. Ne' giovani v'è una irrequieta smania di voler sapere di tutto quello che vedono, disposizione preziosa sotto buono educatore, pericolosa abbandonata alla sconsigliatezza dell'età: Agostino la temperava da saggio. "Un dì, facendo forse ancora il caldo della cadente estate (Così narra Agostino nel libro De Quantitate animae sopra citato), i due giovani essendo sdrajati per terra in luogo ombroso (si direbbe nella valletta del Ganbajone) si imbatterono a vedere una bestiola dai molti piedi, un longo vermiciuolo noto al volgo (una scolopendra?). Per caso un d'essi aveva seco colle tavolette uno stilo; con questo divise l'animale in due: ecco i due tronchi movere in opposte parti con tanta snellezza di piedi e facilità di moto come fossero due animali. Stupefatti e vispi corrono i due giovani a me e ad Alipio che poco di longi stavamo seduti, e su di una tavoletta recati que' troncati membri ne ripetono il taglio: si moltiplicano quegli animali, si muovono come prima: li diresti tanti individui nati uno per uno. Che è ciò? domandano; che miracolo è questo? Come lo spiegate maestro Agostino? - Non sono studj da voi per ora cotesti, rispose, adesso dovete continuare negli studj letterarii: a suo tempo entrerete in queste scienze e ne sarete meglio preparati". Con tale attenzione reprimeva pure le superbie e gare a cui sì corriva è quell'età. Trigezio (I De Ord.) nella seconda conferenza De Ordine, disputando con qualche calore contro Licenzio, era scappato fuori dicendo "che Cristo, benché sia Dio, pure Dio hassi a chiamare propriamente il Padre. La quale asserzione Agostino ribattè come falsa, poiché il Figlio non impropriamente dicesi Dio. Trigezio commosso allo sbaglio e alla riprensione, chiese che quella sua asserzione venisse cancellata dallo scritto. Licenzio rise e insisté perché la vi stesse, tenendo l'uso de' fanciulli o dirò meglio di quasi tutti gli uomini, colpa e vergogna la nostra! quasi per mira di vana gloria si facessero tra noi quei ragionamenti. Con gravi parole rampognai Licenzio; e ne arrossì: ed ecco Trigezio rallegrarsi di questa umiliazione di Licenzio e ridere di lui. Allora Agostino ad ambidue: Bella condotta la vostra invero disse: ridere di quello di che dovreste piangere. Questo adunque è il vostro elevarvi a Dio di che poco innanzi io mi rallegrava? Deh quale miseria e malattia vedo io in voi ... Non mi contristate più oltre: e se capite quanto io vi amo, quanto vi stimo, quanta cura io mi prendo de' vostri costumi, se con piacere mi chiamate maestro, rendetemene mercede: siate buoni. Le lagrime mi impedirono di proseguire. Licenzio ravveduto chiedeva perdono e domandava che in premio del ravvedimento fosse dalle tavole cancellata ogni cosa. Ma no, disse Trigezio pentito esso pure: Rimanga la nostra pena, e così quella fama che ci solletica, essa col proprio flagello ci distolga dal suo amore: imperocché questo scritto non potrà stare che non si divulgi. E Licenzio acconsentì." 

 

58. All'oggetto di esercitarli nel ben parlare e nelle sode dottrine, come anche per rinfrancare sé medesimo nella retta credenza e ne' buoni proponimenti, mise in opera quelle disputazioni che vediamo registrate ne' libri ivi composti. Sino a qui era mancato ad Agostino il fondamento della sapienza, la certezza cioè delle primarie verità; ed ora che per la grazia di Dio l'aveva raggionta, pativa tuttavia ancora alquanta molestia dalle dottrine contrarie che gli accademici già da tanti anni gli avevano messo in mente, nulla cioè potesse esservi di certo, e l'uomo saggio dover a nulla dare il suo assenso. Gli accademici in origine erano seguaci di Platone che usavano passeggiare negli orti di Academo presso Atene, e come Platone e Socrate avevan messo in ridicolo la scienza vana de' sofisti che si vantavano di saper tutto, mentre poco sapevano e peggio vivevano, così la loro scuola cominciava dal dubbio per arrivare grado grado alla verità. Da questa scuola, detta accademia vecchia, derivò la nuova che metteva il dubbio per massima e sosteneva niente potere sapersi di certo: bastava però seguire il verosimile. A questa appartenne Arcesila, Carneade, Filone. Cicerone prese a disputare su di questi sofisti co' suoi libri Academicorum, ossia colle disputazioni tenute nella sua villa di Pozzuoli, detta da lui accademia, come pure con altri cotali trattati. Agostino a Cassago fece di più; non solo mirò a moderare il dubbio come Tullio, ma lo distrusse, combattè il vano ripiego di attaccarsi al probabile, elevò l'uomo alla certezza cristiana e conchiuse: Mihi autem certum est nusquam prorsus a Christi autoritate descendere. Tanto conseguì co' suoi tre libri contra Academicos, scrivendo egli stesso molti anni dappoi (De Trinit. lib. XV, c. XII) che chi leggesse questi suoi libri, non potrebbe più essere smosso dalle sofisticherie degli accademici (Enchirid. c. XX): libri che furono per Agostino il fondamento del grande edificio che poi elevò sì alto, e la prima delle vittorie che continuo venne riportando contro gli avversarii delle verità cristiane.

 

59. Bello spettacolo vedere una brigatella di amici, di giovanetti studenti, insieme con una buona madre di famiglia, con alla testa un uomo di genio ritirati in quella vita ignorata, fra quei colli tranquilli, assisa in un prato, sotto di un albero disputare spesso fra di loro delle verità più grandi, delle massime più elevate, con tale natia semplicità e grazia, con tanta maturezza e sapienza che quel loro sermonare ancora oggidì si attrae la meraviglia.

 

60. Di egual tenore sono le seguenti Conferenze formanti il Libro De Beata Vita, le quali durarono tre giorni. Ai tredici di novembre ricorreva il giorno natalizio di Agostino. Che fa egli? invita tutti i suoi amici a pranzo, però assai frugale [17] e breve: e dopo il pranzo, raccolta tutta la brigata nella sala dei Bagni, suscitò quelle belle dispute sulla vera felicità, che finirono in dimostrare, consistere dessa nella perfetta conoscenza e possessione di Dio. Ben è questo un argomento degno di anime sì pure! E per vero chi meglio vi si distingue è il giovinetto Adeodato, è la venerabile madre santa Monica. Come toccano il cuore i loro detti, le risposte loro ! - "Noi, cominciò Agostino, desideriamo noi di essere beati' - e tutti ad una voce dissero che sì. - Or parvi egli beato colui che non ha quello che vorrebbe? - Mai no. - E colui che ha quanto vuole, sarà egli beato? - Rispose la madre: Se quello che costui vuole ed ha, siano le cose buone, egli sarà beato; ma se vuole cose cattive, quand'anche le abbia tutte, misero è. - Al sentir ciò io le feci plauso e festa, e dissi: Bene, mamma mia; voi toccaste la cima della filosofia ...E di una in altra investigazione procedendo, si venne in breve a conchiudere che Beato è colui che possede Dio. Ma chi possede Dio? E ciascuno proferì suo parere; alla fine Adeodato, fanciullo minimo di tutti, disse: Colui possede Dio il quale non ha lo spirito immondo. - E la madre approvò le risposte, ma questa preferì a tutte ... Ma chi è colui che non ha lo spirito immondo? ripigliò Agostino. E Adeodato: Chi vive castamente. Agostino. e chi vive castamente? forse colui solo che s'astiene dai peccati della carne? Adeodato: Se costui si guardi da questi, ma si imbratti degli altri peccati, come può essere casto? Quegli solo è veramente casto che tutto il suo cuore tiene unito a Dio e per lui solo vive. Parole che io volli si scrivessero appuntino. E caduto il discorso sugli accademici, i quali venne dimostrato non essere né saggi, né beati, la madre domandò: Orsù, Agostino, dimmi un po' che sono questi accademici, e che si vogliono essi? Con brevità e chiarezza esposto avendole il loro sistema: Ah ho capito! disse ella; questi uomini sono caducarii (dal mal caduco che prende alla testa), e levossi per andarsene; e noi tutti allegrie ridenti, fatto fine, ci dipartimmo." Nel seguente dì, parimenti dopo il pranzo, ma alquanto più tardi, la brigata si assise nel medesimo luogo. Ed Agostino incominciò: "Tardi vi raccoglieste a questo convito; il che io penso sia avvenuto per indigestione; imperocché ben poche reliquie (non multum reliquiarum) erano rimaste per oggi, dove jeri, giorno principale e solenne, il pranzo era stato sì scarso." E qui si appiccò la seconda disputa, nella quale santa Monica, sostenne la parte principale con tanto buon senso, con sì fine distinzioni e con pensieri così alti che: "Noi, dice Agostino, dimenticati del sesso di lei, ci credevamo che qualche grande uomo sedesse in mezzo a noi; io però ben capiva da quale fontana divina quelle dottrine scaturissero." "Spuntò il terzo giorno, e dissipatesi le nubi che ci costringevano nella sala del Bagno, si aprì candidissimo il pomeriggio. Piacque adunque discendere al vicino prato, e sedutici tutti alla ventura dove tornò più a comodo", incominciò la terza disputazione, la quale Agostino, già gran teologo, conchiuse così: "In questo adunque è piena sazietà degli animi, in questo consiste la vita beata, piamente e perfettamente conoscere Colui dal quale tu vieni condotto a Verità; Colui che è la Verità da godere, Colui che ti unisce al Sommo Modo con cui la Verità sussiste; tre oggetti che agli intelligenti altro non sono che un solo Dio, una sostanza sola. Al qual passo la madre riconoscendovi parole ben note, e come risvegliata nella sua fede, piena di santa allegria, esclamò con quel verso del nostro sacerdote (Inno di sant'Ambrogio, Deus creator omnium):

Fove precantes Trinitas

e soggiunse:

Questa, non vi è dubbio, è la vita beata siccome quella che è perfetta: alla quale faccia Dio che noi per mezzo di solida fede, di alacre speranza, di ardente carità, veniamo prestamente condotti. E poiché Agostino ebbe rese grazie a Dio ed a que' convitati, Trigezio disse:

Quanto mi sarebbe caro che ogni giorno ci deste tale pascolo!

Ed Agostino: Moderazione vuolsi in ogni cosa, rispose; e così ebbe fine la terza disputazione."

 

61. Sul finire del novembre ebbero luogo le Dispute De Ordine, raccolte in tre libri. La considerazione dei tanti mali fisici e morali fece sentire il bisogno di difendere la divina Provvidenza e dimostrare come e i beni e i mali stieno coll'ordine. Queste Conferenze cominciarono nel bujo della notte, stando Licenzio e Trigezio ciascuno nel suo letto, nella camera di Agostino, e cominciarono per occasione del suono a tempo a tempo variante di quell'acqua che scorreva dietro ai Bagni. E fattosi giorno, "ci levammo, e dette le orazioni del mattino, ci portavamo a continuare la disputa nella sala dei Bagni. Quand'ecco dinanzi alla porta dei Bagni osserviamo due galli in lotta tra loro ben accanita. Giovò attendere. Era bel vedere quelle teste slanciate e intente, le creste gonfie, i colpi veementi, gli schermirsi cautissimi, ed in ogni movimento di quegli animali privi di ragione nulla che non fosse decoroso; da ultimo la condizione del gallo vincitore, un cantare superbo, un raccogliersi le membra a guisa di un pallone a sfoggio di fasto e di signoria: laddove il vinto se ne andava con la cervice spennacchiata, balordo, tentennante, rauco, e da ciò stesso riesciva fuori un non so che di conforme alle leggi della natura e del bello; imperocché erano diretti da una ragione che dal di sopra regola ogni cosa." Di qui nacquero molti pensieri e considerazioni diverse sulle cause delle cose e sull'ordine con cui tutto è regolato da Dio: il che fu il soggetto del confabulare in quel dì e nel seguente. La terza conferenza seguì alcuni giorni appresso, e vi ebbero parte anche Alipio e la madre. "Era sorto un bellissimo sole. Il cielo lucido e tale molle temperatura quanta in quei luoghi poteva darsi nell'inverno, invitavano a calare nel prato ove più spesso e nella maggiore confidenza usavamo; qui ci ponemmo a sedere come meglio ci venne trovato". E di seguito la Disputa versò sulla definizione dell'ordine, sulle azioni perverse degli uomini, sulla origine del male, e da ultimo sul metodo da tenersi nello studiare le varie scienze umane, e sulla necessità di una vita ben costumata e cristiana.  

 

62. Queste opere scritte a Cassago fanno vedere e la grande sapienza di Agostino e il frutto che andava raccogliendo dal suo Ritiro; tuttavia, com'egli confessò (Confess., lib. IX), sentivano ancora della vanità della scuola, come suole avvenire a chi abbia fatto un lungo correre, il quale al primo soffermarsi e riposare ansa ancora ed affanna. Infatti nelle sue Ritrattazioni si dà biasimo di avere attribuito non so quale senso alla Fortuna, alle Muse, e di aver lodato oltre il merito Platone, Pitagora, Cicerone ed altri pagani per le dottrine loro, massime in confronto delle dottrine cristiane. Laonde, ben lontano dal credersi saggio, egli era persuaso che la sua ignoranza era più grande di quello ch'ei vedesse; e ben lontano dal riputarsi buono, egli non vedeva in sé che miserie e piaghe. Indi gli sforzi, gli studii, gli esami di sé stesso, le fervide preghiere. Ma nel medesimo tempo, quanto si rallegrava di avere gittato da sé la soma pesante delle cure di questo secolo, di averla rotta colle sue passioni, di essersi dato a Dio, ed a seguire Gesù Cristo! "Deh con quale commovimento io, o Signore, alzava la voce a voi, in quella quiete, quando vi lessi il salmo IV, Cum invocarem te. Gli affetti mi sgorgavano per gli occhi, per la voce: bolliva, temeva, esultava. O figliuoli degli uomini, e fino a quando sarete sì duri di cuore e correrete dietro alle vanità e alle menzogne? Ed io pure aveva corso dietro alle vanità, io pure dietro alle menzogne. E sappiate che il Signore aveva già esaltato il santo Figlio suo, già mandato il Paraclito Spirito di verità, ed io non lo sapeva, e me ne andava dietro a vane fantasie. E però ora che l'udiva ne tremava, e mi rammaricava tutto. Ma qui, o Signore, dove cominciai a indegnarmi contro di me e svestirmi dell'uomo vecchio, qui voi cominciaste a sapermi dolce, e dato avete la gioja all'anima mia ... E quando ricorderò tutti i benefizii di quel luogo e di quei giorni riposati? ".

 

63. "Non io però mi sono dimenticato né tacerò l'asprezza del vostro flagello e la prontezza mirabile della vostra misericordia. Fui preso da un dolore ai denti tanto spasmodico che più non poteva parlare. Mi venne in mente di avvisare tutti i miei quanti si trovavano in quella villa che volessero per me pregare voi, Dio della salute. Scrissi questo sulla tavola incerata e la diedi loro a leggere. Ci inginocchiammo e appena facemmo l'affettuosa preghiera, quel dolore svanì. Ma deh, quale dolore! ed oh come svanì ! Raccapricciai, lo confesso, Dio mio, Signor mio; ché mai cosa tale in vita mia non aveva provato. Per questo avvenimento tanto più fui appreso dal potere di vostra volontà e tanto più mi rallegrai della fede nel nome vostro, e sospirava pel santo Battesimo."

 

64. Ma il capo d'opera di Agostino in Cassago sono i due libri de' suoi Soliloquii con sé medesimo e con Dio. Ivi si vede come a passi di gigante s'era avanzato e nella teologia più profonda e nell'acquisto della cristiana perfezione. Ove leggere cosa più sublime che l'indirizzo a Dio o lunga e fervorosa orazione con cui incominciando il libro I, parla a Dio e insieme espone gli altissimi misterii della di lui natura? Deus universitatis conditor ... Te invoco Deus veritas ... exaudi, exaudi, exaudi me. E venendo a sé, chiama tutte le disposizioni del suo cuore, le pesa, le giudica, e si umilia e si anima a nuovi progressi. Egli ossia la Ragione sua lo interroga: "Ami tu altro fuori di Dio? - Agost. potrei rispondere che no; ma meglio è che dica, nol so. Imperocché spesso mi interviene che mentre penso non avere il cuore attaccato a niente, alla prova poi m'accorgo di molti attacchi e il distacco mi perturba. Al presente tre cose sole parmi che all'evenimento mi potrebbero inquietare, il timore di perdere quelli che io amo, il timor del dolore, il timore della morte ... R. Ricchezze non desideri? Ag.: già da molto tempo non desidero che il vitto necessario e l'abito decente. R. E onori? Ag. Confesso che adesso e quasi in questi giorni cessai dal desiderarli. R. E moglie? Ag. Dipingila pure come vuoi desiderabilissima: ho stabilito per la libertà dell'anima mia, non voler moglie. R. E de' cibi ti senti ghiotto? Ag. Quelli ho fissato non mangiare, non mi solleticano punto: di cibi, di bevande, di bagni e di simili piaceri del corpo, non mi interrogare: tanto ne desidero, quanto vuolsene la sanità. - All'indomani si esaminò di nuovo: e la Ragione disse: ben tu jeri con tal quale sicurezza asserivi di essere così fisso e fermo contro ogni cupidigia inonesta che anche il piacere onesto abborrivi: eppure ... il secreto medico ti fe' conoscere e donde per di lui cura sei evaso, e quanto rimanga ancora da sanare. Ag. Taci, pregoti, deh taci; a che mi strazii e mi confondi ? Piango e non presumo, non mi prometto; tutto mi affido alla cura e bontà di Colui del quale quando vedrò la bellezza mi pronuncierò pienamente guarito. R. Cessa dal piangere e fatti cuore, ché questo tanto affliggerti nuoce al tuo corpo già infermiccio. Ag. Come cessare dal piangere mentre non vedo cessare la miseria mia ? ... ". Così andava egli investigando e dimostrando in sé medesimo quale essere debba colui che aspira a raggiungere la sapienza la quale ci vuole tutto spirituali. Indi si distende sulla immortalità dell'anima.

 

65. Di questi Soliloquii Agostino parla nella Lettera III, scritta da Cassago a Nebridio, verso il febbrajo del 387, dicendo: "A notte tarda ho ricevuto la tua lettera, ché già avea cenato: la lessi alla lucerna. Era l'ora di coricarmi, ma dormire non seppi: imperocché tuttoché giacessi a letto, me ne stetti per lungo tempo meco pensando, e così meco discorreva: Nebridio mi dice beato; ma come beato se ancora sono stolto? Or la stoltezza non è dessa una miseria, anzi la miseria stessa? Forse diede di me sì favorevole giudizio per aver letto i miei opuscoli, e mi crede anche un sapiente. Ma l'avrà fatto per dirmi cosa aggradevole. E se inoltre avesse letto i Soliloquii? Se ne sarebbe rallegrato molto di più." E tira innanzi dimostrando come egli tuttavia non era né beato, nè sapiente, mentre ancora ignorava molte cose anche di gran rilievo: poi conchiuse: "Queste cose andava dicendo tra me e me: dippoi feci orazione secondo il solito, e mi addormentai ..."

 

66. Benedetto quel sito cui per sette mesi un tanto uomo onorò! "Quanto interesse, così finisce Poujoulat il c. V della vita di sant'Agostino, quanta dolcezza sarebbe per noi l'aggirarci per questo Ritiro, ravvisare il luogo della dimora d'Agostino e de' suoi amici, la sala de' Bagni, il ruscello dal cui mormorio ebbero occasione i Libri De Ordine, e il prato dove spesso la giovane accademia si univa! ... Vi sono nell'universo de' luoghi che le lezioni e gli studii del genio rendettero celebri, il giardino dell'Academo, la collina di Tuscolo ... Cassiaco merita di entrare nel novero di questi luoghi famosi; e se le memorie della cristiana antichità non fossero state neglette sino ad oggi, i pellegrini della religione, della poesia, della storia, avrebbero cercato fino le minime vestigia di questa terra milanese ... Oh fossi io nato nel secolo d'Agostino, e per felice destino condotto ad assidermi con Alipio e Licenzio intorno al maestro, in quel prato, in que' Bagni di Cassiaco. Questi mesi da loro passati nella campagna di Verecondo si appresentano al mio pensiero come una vita menata in sulla soglia del Paradiso." Or come bene starebbe a Cassago raccomandata a duratura pietra la memoria dell'ospite Agostino e dell'ospitatore Verecondo! Essa però non deve essere dettata che dal Santo Professore; le sue medesime parole danno la seguente epigrafe [18].

 

VERECVNDO

MEDIOLANENSI ET CIVI ET GRAMMATICO

AVRELIUS AVGVSTINVS

RVRE EIVS CASSIACO FERIATVS

VBI AB AESTV SECVLI REQVIEVIT IN DEO

OB EGREGIAM ERGA SE HVMANITATEM

AMICI FAMILIARISSIMI

M. F. VALENTINIANO AVG. III ET EVTROPIO COSS.

 

 

Quanto al luogo in Milano ove sant'Agostino fu con sant'Alipio battezzato da sant'Ambrogio, venne già dimostrato in questo Giornale (novembre 1843, N. 22) essere stato il Battistero o chiesa di S. Giovanni ad Fontes presso la Metropolitana al mezzodì, e ciò dietro testi di sant'Ambrogio, di Paolino, di sant'Ennodio, di Landolfo il vecchio, e dietro carte topografiche antichissime. Vedi pure Carta topografica di Milano dell'anno 1162 e sua Spiegazione, de' Padri Cisterciensi di sant'Ambrogio N. 17, dove stabiliscono la medesima soa, e vedi pure il N. 95 dove ribattono altra mal fondata opinione.

 

 

 

APPENDICE

 

Nell'Antiquario della Diocesi di Milano del Bombognini ristampato nel 1828 con correzioni e aggiunte del Dottor Carlo Redaelli a pag. 14, sotto la Pieve di Cesano Boscone leggesi:

"CVSAGO, chiamato fino al secolo IX Casiacum"

Infatti una carta del secolo IX parla di questo paese; ed è quella del monastero Santambrosiano, edita dal Muratori Antiquit. Med. Aevi Dissert. XIII scritta nell'anno XIII del regno di Berengario, ossia nel 900. Qui sono notati i villaggi di Satriano (Sedriano), di Ventiaco (Venzago), Polliano, di Blestatio (Bestazzo), di Cusago. Ma Cusago è scritto CVSIACO, e non CASIACO; come ognuno può vedere presso Muratori, che vi lesse e stampò habitantes vico Cusiaco; e presso Giulini Memorie ecc. che pure lesse Cusiaco, e vi riconosce Cusago nella vicinanza di Cesano Boscone.

E per non vedere solo cogli occhi di altri, io stesso osservai la pergamena originale conservata nell'Archivio Diplomatico di san Fedele e vi rilevai Cusiaco coll'U evidentissimo, come ognuno può vederlo a suo agio.

Adunque l'errore dell'Antiquario di corregga; onde per avventura qualcuno non pensi essere stato sant'Agostino in ritiro per questa vicine bassure di Cusago, mentre è dimostrato avere soggiornato su colli e in ben mezzo a monti a Cassiaco o Cassago di Brianza.

 

 

 

 

Si domanda in qual luogo sant'Agostino fu da sant'Ambrogio battezzato?

In Milano, nella chiesa battesimale o Battistero di s. Giovanni ad Fontes, come già fu dimostrato in questo Giornale nel 1843, fascicolo di novembre, N. 22; fu dimostrato cioè che in quei primi tempi il Battistero era un solo, almeno per la città, e questo vicinissimo alla chiesa Metropolitana; e che al tempo di sant'Ambrogio la Metropolitana di Milano era nel luogo ove è al presente il Duomo, e al mezzodì di essa la basilica del Battistero, detta dippoi chiesa di s. Giovanni ad Fontes, perché vi erano più vasche battesimali: e ciò risultare dagli autori che qui sotto si allegano, e da Carte Topografiche antichissime presso Puricelli (Nazariana, cap. 98). Alle cose dette in quella Dissertazione aggiungo quanto i Padri Cisterciensi di sant'Ambrogio nella Spiegazione della carta topografica di Milano nell'anni 1162 scrissero sotto il N. 17. «S. GIOVANNI ALLE FONTI. Battistero antichissimo di cui fa menzione sant'Ambrogio (Epist. ad Marcellinam), e Paolino (in Vita sancti Ambrosii). Ivi, al dire di Landolfo il Vecchio (Storico del sec. XI, nel lib. I, c. 9), ricevette il battesimo sant'Agostino, cosa che a noi pure sembra probabilissima. Sul principio del secolo VI fu abbellito dal vescovo di Milano s. Lorenzo, come ne fa fede Ennodio (Epigr. 56). Col nome di chiesa si rammenta questo Battistero de Beroldo (nel secolo XII). » I medesimi Padri al N. 95, scrivono che una volgare mal fondata opinione suppone che la chiesa di sant'Agostino sia stata anticamente un Battistero nel quale abbia sant'Agostino ricevuto il Battesimo; e sebbene da questa opinione un pregio singolare venga alla medesima nostra chiesa, noi però facciamo più caso della verità. Al medesimo tempo il conte Giulini sotto l'anno 921 delle sue Memorie di Milano scriveva: «Puricelli eruditamente dimostra che il Battistero di s. Giovanni era al mezzodì della Metropolitana, e si può aggiungere, precisamente dove ora è la chiesa della Regia Ducal Corte, dedicata a s. Gottardo, la quale, quando fu fabbricata nell'anno 1336, ritenne tuttavia (nel suo coro) la figura poligona che ordinariamente si vede negli antichi Battisteri, e ritenne non meno il nome di chiesa de Fonte, con cui si chiama nella iscrizione che allora vi fu posta ... Anzi fra i poemi che si attribuiscono a sant'Ambrogio, uno se ne trova sopra il Battistero da cui si ricava che era di figura ottangolare ... Con molta ragione Landolfo il Vecchio dice che in esso fu battezzato sant'Agostino. » Questi pochi cenni, uniti a quella Dissertazione sopra allegata, bastano a far vedere che i Milanesi conservarono buona memoria dei luoghi che la conversione di sant'Agostino resero illustri.

 

 

 

 

 

Note

 

(1) - Retractationes, lib. I, c. 2 e c. 3. Altra cosa è disputare altra librum scribere. Agostino stesso ci fa sapere quando in questi libri sieno registrate le parole precise dei disputandi, e quando no: dunque egli dopo le conferenze vi travagliava intorno e le perfezionava, ed inoltre vi prepose lunghe e studiate prefazioni.

(2) - Questi veri Soliloqui di sant'Agostino non sono da confondere con quelli che girano per le mani di tutti, composti verso il secolo XIII, divoti invero e affettuosi, ma raccozzati da vari pezzi di sant'Agostino, del monaco Ugo da S. Vittore nel Concilio Lateranense IV tenutosi verso il 1198.

(3) - Sant'Ambrogio nella Epistola XXIII della Classe I dell'anno 386 diretta ai vescovi della Emilia, ossia del Bolognese ... Ut una nocte ubique sacrificium pro resurrectione Domini referatur ... Unde necesse fuit, quia etiam post Aegyptiorum supputationes et Alexandrinae Ecclesiae definitiones, episcopi quoque Romanae Ecclesiae, per litteras plerique meam adhuc expectant sententiam, quid existimem scribere de die Paschae ... Quia quartadecima luna (Martii) in die Dominica incidit, hoc est quartodecimo kalendas Maii (18 Aprilis) sequenti Dominica (25 Aprilis) instaurandam celebritatem (Paschalis) suademus ... E trattò la teoria ex professo.

(4) - Poujoulat nella vita di sant'Agostino mette qui nella villa un altro parente, Severino divenuto scismatico Donatista: ma pare abbia sbagliato, forse non badando che Tillemont nella pagina terza del tomo XIII, fà il novero de' parenti di sant'Agostino, non de' compagni nella villa di Verecondo.

(5) - ... deinde veni in has terras, hic septemtrionem, cui me crederem, didici; e segue dicendo di aver imparato che Dio è spirito dai sermoni sacerdotis nostri (S. Ambrogio) et aliquando in sermonibus tuis.

(6) - Sant'Agostino usava del Salterio africano in cui questo versetto del salmo 67 era espresso così: montem Dei, montem incaseatum, etc.

(7) - Così chiamavasi ancora la frazione di Castello sopra Lecco nella quale è il caseggiato del cessato Seminario minore arcivescovile, ed altre case.

(8) - De Officiis Ministrorum lib. 1, c. 50: cum Ministerium gererent vel etiam Sacerdotium in abditioribus locis. Vedi Datiana Historia cap. XVII, nota de Paroeciis.

(9) - Giulini, Memorie di Milano e sua campagna, T. X, Elenco delle pievi e dei paesi nel secolo XII - Frisi, Memorie di Monza, T. III, Indice Corografico. - Bonbognini, Antiquario della Diocesi di Milano - Fontana, Versione della Vita di sant'Ambrogio, di Hermant.

(10) - Papia che verso il secolo X scrisse il suo stimato Glossario latino (MSS della Basilica Monzese), dice: tra Balneum e Balineum passare questo divario che «in prosa quotidiana sermone Balineum in versu Balneum dicimus». Infatti le epigrafi romane ci danno BALINEUM presso Ald. Manut. Orthogr. e presso Grutero ecc. E sant'Agostino nel medesimo Libro IX delle Confessioni c. ult. deriva Balneum dal greco βαλαυιωυ.

(11) - Non mancano acque correnti e perenni anche in mezzo al paese di Cassago, due delle quali sono notate nelle carte stesse corografiche del signor Brenna: e sono la 1° la fontana ricordata innanzi, che scaturisce dal palazzo Visconti, forma un lavatojo presso la Chiesa, e poi discende al prato; 2° la fontana che esce di casa Perogalli, riempie le vasche di quel filatoio, poi forma il lavatojo del comune nella pubblica contrada; 3° quella che sorge di casa Padulli e corre verso Renate. Ma nessuna di queste bene raccoglie le qualità ricordate da Agostino, che è di venire da lontano, itinere, per loca, tra mezzo a filari d'alberi, per canali artificialmente preparati, e, serviti i bagni, precipitarsi con istrepito pei sassi. Un canale dedotto dal Ganbajone le aveva tutte a puntino.

(12) - Così leggono e bene alcuni MSS. nel I De Ordine c. VI, in luogo di Apollo. Il verso di Virgilio è così: Sic pater ille deum faciat sic altus Apollo ... Aeneid. X, v. 875.

(13) - Alcuno dirà: Se un figlio o un nipote di Verecondo poté avere intitolato questa villetta a tanto ospite, e perché i fedeli di Cassago non intitolarono la loro chiesa da tanto Santo? perché così tardi lo assunsero per patrono, essi che pure al primo titolare s. Giacomo Apostolo seppero già da più secoli aggiungere compatrona santa Brigida Vergine ? - La presente nota sia di risposta. Sant'Agostino morì in Africa nell'anno 430: e le sue mortali spoglie furono dai Vescovi esigliati trasferite in Sardegna al principio del secolo sesto, nell'anno 508: nel quale secolo sesto il culto del Santo, se pure non cominciò, prese a diffondersi alle principali Chiese. Ma la Chiesa Ambrosiana tenace, forse più che altra, di riservare il culto ai Martiri, e tra' Confessori a quelli soli di cui possedesse il corpo, essa il culto di sant'Agostino deve aver abbracciato più tardi, probabilmente nel secolo ottavo quando dalla Sardegna alla vicina Pavia venne ad opera di Liutprando re de' Longobardi trasferito quel sacro deposito con grande solennità nell'anno 722: di che esiste una lettera narrativa del nostro arcivescovo Oldrado o di altro scrittore del secolo nono. Intanto nell'agro Milanese erano ovunque erette chiese plebane o battesimali con molte cappelle e chiese dipendenti, sotto varii titoli di santi Apostoli o Martiri, le quali più tardi un po' per volta divennero parrocchiali, ritenendo l'antico titolo. Tra le plebane in quel secolo ottavo eravi già e molto illustre la chiesa di s. Vittore di Massaglia: poiché in una carta santambrosiana anteriore all'anno 835 trovasi che un Giovanni era archipresbyter de Ecclesia Massalia, ossia capo de' preti del luogo e del circostante pago o pieve; e che già da oltre quaranta anni aveva quella chiesa giurisdizione fino sopra la piccola terra di Conni (forse Onno) presso Limonta: Casale illo in Conni qui pertinet de Massalia; e che a Limonta vi era una cappella in onore di s. Genesio martire. Le quali terre poi dall'imperatore Lotario furono conferite al monastero di sant'Ambrogio nell'anno 835. Tra le cappelle dipendenti da Massaglia fino da quel secolo ottavo o nono si può con fiducia credere che ve ne aveva alcuna anche di Cassago, perché nelle antichissime Carte è ricordata una chiesa di Santa Maria: si può credere che fossevi pure l'antichissima chiesa di s. Giacomo Apostolo, divenuta parrocchiale e demolita nel 1756 come cadente per antichità (Istrum. 12 luglio 1756 nell'archivio Ducale Visconti). Aveva dunque sino da antichi tempi il suo titolare s. Giacomo: ed essendovi state trasferite le Reliquie di santa Brigida vergine morta a Fiesole verso il 901 (Bolland. 1 febbrajo pag 245), fu assunta come compatrona. Ecco perché a Cassago furono titolati s. Giacomo Apostolo e santa Brigida, e non sant'Agostino. Finalmente nel secolo XVI erettavi la parrocchia (di che si ignora l'anno), nella persuasione che sant'Agostino, già ospite di Cassago, avesse miracolosamente liberato quel paese dalla pestilenza fu egli dichiarato patrono del Comune di Cassago.

(14) - Forse è di origine gallica anche Cassiaco: infatti nel Grand Dictionnaire géographique et critique di La Martinière trovo varii siti di Gallia detti Casiac, Casiacum, ora Chesy, ma Cassiciacum non trovai.

(15) - Vedi Frölich, Notitia Element. Numismat. Antiquor. Vindob. 1758, pag. 65 e pag. 99; e ampiamente il greco geografo Strabone, lib. IV.

(16) - Vi si scoprono anche oggi monete antiche delle quali quel R. Parroco Acquistapace fa dono a questo Gabinetto Arcivescovile.

(17) - Pare che il piatto più scelto sia stata una pasta di mele, farina e nocciuoli, melle, farre atque nucleis.

(18) - Confess., L. VIII, c. VI. Omnium nostrum familiarissimo Verecundo Mediolanensis et civi et grammatico, lib. IX, c. III. Verecundus christianus et fidelis factus, ne cogitantes egregiam erga nos amici humanitatem ... Reddes Verecundo pro Rure illo eius Cassiaco ubi ab aestu seculi requievimus in te, c. IV. Catechumenus in villa, feriatus. - La nota cronologica è tolta dal capo VII, Nimirum annus erat cum Justina Valentiniani Regis pueri mater ... tunc .. martyrum corpora Gervasii et Protasii ... il che fu nell'anno antecendente 386: l'anno corrente adunque è il 387, segnato dei Consoli soprascritti in un epitafio della Basilica Ambrosiana come nei Fasti comuni.