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Carlo Romussi: Milano ne' suoi Monumenti

Parte del testo dell'opera di Romussi relativa alla conversione di Agostino

Parte del testo dell'opera di Romussi relativa alla conversione di Agostino

 

 

 

SANT'AMBROGIO - I TEMPI - L' UOMO - LA BASILICA MEMORIE RACCOLTE DA CARLO ROMUSSI

CON 20 FOTOTIPIE E 118 ZINCOTIPIE INTERCALATE NEL TESTO

ARTURO DEMARCHI - EDITORE

MILANO 1897

IN DEPOSITO PRESSO LE LIBRERIE FRATELLI BOCCA MILANO - TORINO - FIRENZE - ROMA

 

 

 

Cap. IX - La conversione di Agostino

Pag. 53

 

Un trionfo dell'eloquenza di Ambrogio fu la conversione di Agostino. Era stato questi mandato a Milano da Simmaco nell'anno 384 per insegnare eloquenza. Nato da madre cristiana a Tagaste in Africa, non era stato battezzato, e nello studio delle religioni si era innamorato delle dottrine manichee, secondo le quali il mondo è la costante lotta dei due principii del bene e del male, lotta che durerà secoli e secoli, fino a quando la luce ridurrà all'impotenza la potestà delle tenebre. Le tristi passioni, che seducono l'uomo, sono figliuole del principio del male irresistibile: quindi questa dottrina scusava le debolezze della carne come fossero inesorabili, nel tempo che secondava anche ideali più puri (1).

Agostino aveva trent'anni: da dieci era innamorato di una donna che lo aveva fatto padre di Adeodato e colla quale era venuto a Milano. La fama di Ambrogio lo attrasse; e, come scrive egli stesso nelle sue Confessioni, prima di invidiare la di lui virtù, cominciò a invidiarne la grandezza. Dal canto suo il vescovo, conoscitore profondo degli uomini, voleva conquistare Agostino, il cui sovrano ingegno ammirava. E cominciò allora un a serie di sermoni, fatti per tutto il popolo, ma che si indirizzavano specialmente al giovane manicheo, del quale combatteva la dottrina. A poco a poco entrarono nell'animo di Agostino convinzioni diverse dalle prime; la donna fedele e amante che viveva solo per lui e per il loro figliuolo, accortasi ch'era cagione di turbamento allo spirito in guerra, compi il sacrifizio maggiore del cuore, e se ne tornò in Africa, dove nascose in un monastero il dolore del morto affetto del suo Agostino. Intanto Ambrogio diceva dalla cattedra al neofita: «Oh, la pace, una gran pace sia nell'animo tuo! Ultimo fine della sapienza è che siamo tranquilli di spirito.» E finalmente un giorno Agostino scrisse al vescovo che voleva essere istruito nel cristianesimo e battezzato. Si ritirò per sette mesi a Cassago di Brianza (2) colla madre Monica, col figlio Adeodato e qualche amico; studiò i profeti e i libri che Ambrogio gli suggeriva e finalmente ricevette nella Pasqua il battesimo insieme al figlio e all'amico suo Alipio. Vogliono alcuni che la cerimonia sia si compiuta nella chiesuola vicina a sant'Ambrogio, detta appunto di sant'Agostino; ma basta riflettere che la città aveva un sol battistero, a san Giovanni alle Fonti, per essere persuasi dell'assurdità di questa credenza. Il Lattuada opina, senza alcun fondamento, che piuttosto la chiesuola sia stata innalzata in ricordo della conversione di Agostino (3), il quale sotto un fico dell'orto che cola verdeggiava, mentre nel suo cuore fremeva la tempesta dei dubbi, credette udire la voce dolcissima di una giovinetta che lo eccitava ad abbracciare il cristianesimo. Questo episodio è uno dei più commoventi del volume cosi umano delle Confessioni. Nell'atrio si vede tuttora un affresco a chiaroscuro che rappresenta il battesimo di Agostino, di Adeodato e di Alipio.

E' una composizione farraginosa di figure vestite tutte alla moda sforzesca; l'influenza di Leonardo è attestata dal fregio con medaglioni e dalla data che vi si legge del 1492. La conversione è ricordata da un'altra località milanese, lontana dalla basilica ambrosiana: dalla chiesa dell'Incoronata a porta Garibaldi. Ivi non erano al tempo d'Ambrogio che selve folte di alberi, fra cui in una casetta (secondo il parere dei più) vivevano alcuni cristiani con Simpliciano, ritirati a guisa di monaci. Narra Agostino che, appena battezzato, fu vestito d'una cocolla nera, cinto d'una coreggia di cuoio ed inviato in quel luogo solitario. La regola nella quale vivevano quei monaci, che dovrebbersi chiamare ambrosiani, fu modificata da Agostino e detta poi degli Agostiniani (4).

 

 

Note

(1) I manichei erano chiamati anche i figli della vedova, perché il fondatore di questa setta, Narsete, era uno schiavo persiano che una ricca vedova liberò. Fu dapprima prete cristiano; ma nessuna religione soddisfacendo a tutte le domande della sua mente, istituì la nuova, che si estese rapidamente, assunse forma di società segreta e si rinnovò nelle sette degli Albigesi e dei Catari.

(2) Questo ritiro, sul quale scrisse un opuscolo il dottor Luigi Biraghi, era poco lontano a quello dove Marcellina viveva colle sue compagne.

(3) Questa chiesuola nel secolo XII era ben più importante, a giudicare dal titolo di parrocchiale che le vien dato in una pergamena del 1103. Volevasi un tempo (e quest'opinione fu riferita anche dal Petrarca nelle lettere che scrisse da Milano) che uscendo dalla vasca battesimale Agostino avesse improvvisato con Ambrogio il Te Deum; ma, come scrive il Catena, una prudente critica troppo si oppone a questa opinione. Il Te Deum secondo l'ab. Martigny (Dict, des antiq. chrétiennes) fu composto nel 527 da Nicezio vescovo di Treviri.

(4) Fin d'allora si rimproveravano ai frati molti vizii; san Gerolamo li tacciava di ghiottoneria e di lubricità nelle lettere che scriveva ad Eustachio ed al monaco Rustico; ma però lodava le severe virtù dei migliori fra essi e proclamava i meriti della vita solitaria. La chiesa d'Africa deplorava l'ozio e la pigrizia dei monaci, e sant'Agostino biasima la devota pigrizia e sopratutto «gli ipocriti che, sotto l'abito del monaco, percorrevano le provincie portando intorno pretese reliquie, amuleti, preservativi ed esigendo che l'elemosina nutrisse la loro povertà lucrosa e ricompensasse la loro falsa vita.»