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BEAti dell'Ordine Agostiniano: GIOVANNI BUFALARI

Immagine del santo in un dipinto di Hajnal

Giovanni Bufalari da Rieti

 

 

Beato GIOVANNI BUFALARI da RIETI

(1318 - 1336 ca.)

 

 

 

Un santo simpatico come pochi di quelli che ci vengono dal medioevo: sapeva ridere, essere gioviale, ameno e di una cordialità fascinosa che attirava simpatia da quanti lo avvicinavano. Per rara fortuna non lo vediamo col teschio in mano, il labbro avvizzito e l'occhio in prospettiva alla tomba. E dire che nel mondo ultraterreno ci viveva già e alla morte ci pensava senza sgomento: la attese sereno celiando con i confratelli nel semestre della malattia che giovanissimo, sui 18 anni, lo portò alla tomba.

Nativo di Amelia, un paesino dell'Umbria, sembra sia stato indirizzato agli agostiniani dalla sorella Lucia, monaca tra le agostiniane. Di essa egli fu emulo non solo nella scelta di vita nel medesimo Ordine, ma in special modo nella conquista della perfetta cristianità. Lei si santificò nel suo paesello dov'è tuttora venerata, e lui a Rieti, ove fu trasferito dopo qualche tempo dal suo ingresso in convento, per completare nel professorio la formazione religiosa. Era di un carattere ineguagliabile: affabile, premuroso verso tutti, ospiti compresi, e di una semplicità incantevole che gli valse l'appellativo il semplice. Quando capitava qualcuno in convento era lui che si dava premura di pulirne i calzari inzaccherati dal fango delle strade sterrate e si prendeva cura anche delle vesti impolverate dalla cavalcata. Per questa sua disponibilità è intuibile che ordinariamente non lo lasciassero con le mani in mano.

Ci par di vederlo accorrere ovunque fosse chiamato con quel sorriso fresco che invogliava ad ingaggiarlo in un lavoretto in più. Mai che si spazientisse e sì che di scocciamessali non gliene mancavano attorno. Con i malati dicono avesse un'amorevolezza tutta sua: ne sollevava l'animo con facezie e financo con carezze quando ovviamente la nuvolaglia era più fitta. Qualche volta l'avranno certo mandato in quel paese i suoi vecchietti sclerotici, ma egli imperturbato continuava il servizio di carità sapendo di prestarlo a Cristo sofferente nel fratello. Alimentava lo spirito con la preghiera, l'Eucarestia e una sentita devozione alla Madonna, dalla quale fu poi avvertito della prossima malattia e conseguente morte.

Ambiva il servizio dell'altare nella liturgia eucaristica e non si annoiava quando si prolungava per una seconda e una terza messa di seguito. Potendo si recava a tal fine anche in altre chiese. In fatto di mortificazione nulla dava a vedere esternamente: ne affidava il segreto alla cameretta, notte tempo principalmente, rubando anche ore al sonno. La ricompensa che si attendeva da Dio esigeva che a Lui solo presentasse le sue penitenze. Le più belle elevazioni di animo le aveva in giardino: subiva il fascino dei delle piante e degli uccelli. C'è da supporre si dedicasse al giardinaggio, col beneplacito del superiore, il quale, da illuminato qual era, non gli rimproverava per perso il tempo che vi dedicava a zappare, sarchiare, piantare, innaffiare. Fu anche un privilegiato perché non vide sfiorire la sua primavera. Un bel giorno infatti sentì venir meno le forze e dovette allettarsi.

Era l'inizio della fine: lui lo sapeva. Nel forzato riposo non perse l'abituale serenità. A fargli compagnia spesso veniva a posarsi un usignolo che si esibiva in gorgheggi e canti. I frati incuriositi, gliene chiesero il significato. E' la mia sposa che viene a chiamarmi rispose. Spirò con l'abituale sorriso sulle labbra, lieto di incontrarsi con Dio, al quale aveva consacrato la sua vita. La sua morte fece notizia e al suo sepolcro fu un accorrere di malati, che dichiararono di essere stati soccorsi da fra Giovannino. Il popolo lo venerò come santo: Gregorio XVI nel 1832 ne confermò il culto.

E' venerato nella chiesa di S. Agostino a Chieti: a lui si ricorre in particolare per il dolore di capo.

 

 

 

Di lui parla Giordano di Sassonia nel suo Liber Vitasfratrum, II 5:

Era anco un frate giovane nella città di Riete, c'haveva nome Giovanni, et era semplice, humile, sempre giocondo in viso, et piacevole con tutti: nel mangiare, nel bevere, et nelle altre cose; che s'appartengono alla commune conversatione de i frati; era buon compagno, et trattabile, ma pero irreprensibile, et si secreto di vita molto singolare. Si mostrava molto amorevole,et caritativo verso tutti i frati, ne gli s'udì mai uscir parola di bocca, o si vide alcuna sua operatione, che fosse contraria all'amor fraterno. Era officioso con tutti, et specialmente con gl'infermi, à i quali lavava i piedi, scuoteva i vestimenti, accommodandogli de i suoi, et facendo loro volontieri tutte quelle carezze, che poteva: Serviva oltra di cio à tutti i sacedoti indifferentemente alla messa molto volontieri, et con grandissima diligenza. Soleva andar solo nell'horto del convento, et quando ne usciva si vedeva spesso, c'haveva pianto; Onde dimandato una volta; perche piangesse, rispose. Io sospiro, et piango, perche vedo gl'arbori, l'herbe, gli uccelli, et la terra co i suoi frutti obedire à Dio, et gl'homini; à i quali in premio dell'obedienza è promessa la Vita eterna; contrafare à i commandamenti del lor Creatore.

A questo frate di felice memoria venne per alcuni giorni continui inanzi alla morte un rossignuolo alla finestra della cella, il qual cantava dolcemente: di che meravigliandosi i frati, et dimandando, che fosse quello, rispondeva sorridendo, et quasi scherzando, che quella era la sua sposa, che l'invitava al Paradiso; et un giorno servendo alla Messa, vide sopra l'altare una luce celeste, et l'istesso dì comincio à star male, et tolti con devotione i santi Sacramenti, rese lo spirito à quello, che l'haveva creato. Nello spatio del medesimo anno fece Dio col mezo di questo santo frate circa centocinquanta gloriosi miracoli, come ho inteso da i frati di quel convento una volta, che mi trovai personalmente alla sepoltura sua.

Viveva a Rieti un giovane religioso di nome Giovanni, semplice, umile, sempre allegro, uguale agli altri nel mangiare, nel bere e in tutte le altre cose che riguardavano la vita comune dei frati; irreprensibile nei rapporti umani, era veramente singolare nel suo intimo. Amava molto i suoi fratelli e li trattava con tale carità che non gli uscì mai una parola, né fece mai un gesto che fosse in contrasto con la legge dell'amore fraterno. Trattava tutti con amabilità, specialmente gli ammalati e gli ospiti; ad essi lavava i piedi e puliva le vesti, mettendo anche le sue a loro disposizione; li ricolmava di ogni gentilezza e tutto faceva sempre con la più grande gioia. A tutti i sacerdoti indistintamente e spontaneamente, ogni volta che poteva, serviva la Messa con grande pietà. Era solito recarsi da solo nell'orto del convento, e spesso, quando ne usciva, si notava che aveva molto pianto. A chi gli domandò, una volta, perché avesse pianto, rispose: "Perché vedo che l'erba, gli alberi, gli uccelli e la terra con i suoi frutti obbediscono a Dio, mentre gli uomini, ai quali è stata promessa la vita eterna in premio della loro obbedienza, trasgrediscono la legge del loro Creatore. Per questo gemo e piango".

Accadde per diversi giorni, prima della sua morte, che un usignolo venisse a cantare dolcemente davanti alla finestra di questo religioso. Il fatto suscitò la meraviglia dei frati che gli domandarono spiegazione della cosa; egli, sorridendo e con fare scherzoso, rispose che si trattava della sua sposa che veniva ad invitarlo in paradiso. Un giorno, mentre stava servendo la Messa, vide una luce celestiale sull'altare e subito cadde malato e poi con grande pietà rese l'anima a Dio. Immediatamente si verificarono prodigi per l'intercessione di questo santo religioso, tanto che nel primo anno se ne contarono quasi 150, come ho saputo dai frati di quel convento quando mi recai personalmente a Rieti presso il sepolcro di quel santo confratello.

 

 

HERRERA, I 371 s.; TORELLI, L., OSA., Secoli agostiniani V 572-77; Sacra Rituum Congregatione. Confirmationis cultus immemorabilis B. Joannis de Reate, Romae 1832; CAPANAGA, V:, OAR., El Beato Juan de R. Borrones de una sembianza, Zaragoza 1938; GIACOMINI, A.M., OSA., Bufalari Giovanni di Castel Porchiano, beato, in BS. III, Roma 1962 (rist. 1983), c. 588-589; ARBESMANN, R., OSA., A Legendary of Early Augustinians Saints, in AA. 29 (1966) 29-33; GUTIÉRREZ 1/1, 161-162 (trad. it., 230-32).