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Adoratrici Perpetue DEL SS. SACRAMENTO

Sant'Agostino in una vetrata nella chiesa statunitense di Suffern

Sant'Agostino

vetrata nella chiesa di Suffern

 

 

SU SANT'AGOSTINO E LA SUA REGOLA

di Suor M. Diletta dell'Unità della Chiesa

 

 

 

 

Aurelio Agostino nacque a Tagaste, nella attuale Algeria, nel 354. La sua famiglia era modesta e in essa solo la madre Monica era profondamente cristiana e gli instillò nell'anima i principi della religione cristiana. In quei tempi l'Africa settentrionale era provincia romana e la lingua e la cultura erano latine. Ma il cristianesimo, benché proclamato da Costantino religione di stato, impiegò molto più tempo a penetrare fra la popolazione, i cui costumi rimasero ancora a lungo pagani. Poiché Agostino era di una intelligenza notevole, il padre Patrizio cercò e gli trovò chi poteva dargli aiuto per studiare.

A 17 anni il giovane potè così recarsi a Cartagine (allora grande città del Nord-Africa) per frequentare il corso di retorica. Dopo qualche tempo conobbe come testo scolastico, l'opera "Ortensio" di Marco Tullio Cicerone. Lo lesse ed approfondì e si sentì spinto a cercare la sapienza che, sola, è degna di essere cercata ed amata. In tal modo scoperse la vocazione dell'uomo: amare e possedere la vera sapienza, la verità, che è Dio. Tentò allora di cercare la sapienza nella Bibbia, dopo aver cominciato a staccarsi dai beni terreni, specie dalle ricchezze. Ma senza alcuna guida, trovò oscurità e contraddizioni nei Testi Sacri mal tradotti; e, invece di avvicinarsi alla Chiesa cattolica, della quale la madre Monica lo esortava a diventare membro vivo ed attivo, aderì alla eresia dei Manichei, che ostentavano una vita di perfezione raggiunta attraverso la rinuncia. In contatto e con l'aiuto dei Manichei, dopo un po' di anni si spostò a Roma per insegnare retorica; e, da lì, passò a Milano.

Fu in questa città che, specialmente ascoltando la predicazione del Vescovo Ambrogio, i suoi dubbi poco a poco si diradarono, come pure le sue oscurità interiori e giunse a intravedere il vero volto di Cristo, che divenne pure per lui, via e fine. Ma rimaneva in Agostino una passione violenta, quella della carne, per cui rimaneva legato ad una donna che per molti anni era stata unita a lui e gli aveva dato anche un figlio. Fino a che, attratto dagli esempi dei monaci di Egitto e da quelli che si erano diffusi anche in Gallia, come pure in Italia nonché a Milano, la conversione di Agostino divenne effettiva, ed egli si liberò da ogni legarne.

Ritiratosi a Cassiciaco (=Cassago) in Brianza, con un gruppo di amici desiderosi di seguire il suo stesso ideale di ricerca della sapienza, della vera bellezza, vivendo in castità, si preparò al Battesimo il quale gli venne amministrato dal Vescovo Ambrogio nel Duomo di Milano nella notte pasquale del 387; ed insieme a lui, anche ai suoi amici ed al figlio Adeodato, che poi presto morì. Deciso a tornare in Africa, Agostino si fermò per circa un anno a Roma, per studiare le consuetudini della Chiesa cattolica, ed anche per conoscere più da vicino la vita monastica che ormai l'attraeva. Visitando in Roma vari monasteri, ne ammirò l'organizzazione e la dottrina che vi veniva insegnata, come pure il severo ma equilibrato modo di vita, il lavoro ben ordinato e soprattutto la carità che regnava in questi monasteri e alla quale tutta la vita era ordinata. L'esempio che Agostino ne ricevette cercò di renderlo effettivo quando arrivò a Tagaste, suo luogo di nascita, nel 388. Con un gruppo di amici si ritirò nella sua casa natale, che divenne un piccolo monastero. Ma siccome i suoi concittadini, con continue richieste, disturbavano molto la contemplazione e il raccoglimento del monastero, Agostino, sia per cercare un luogo più adatto che per attrarre al suo ideale una valida persona, si recò ad Ippona, dove era Vescovo Valerio. Entrato un giorno nella cattedrale di Ippona, mentre Valerio, predicando, stava dicendo ai fedeli che, per la sua età inoltrata, gli occorreva l'aiuto di un sacerdote, i fedeli, che conoscevano la degna vita di Agostino, lo costrinsero a ricevere l'ordinazione al sacerdozio.

Poiché egli era restio a lasciare la sua vita di contemplazione, il Vescovo Valerio gli concesse un orto vicino alla Chiesa, affinchè potesse costruire un monastero dove prese a vivere coi servi di Dio secondo il modo e la regola stabilita al tempo degli apostoli; vita in cui nessuno aveva qualcosa di proprio, ma tutto era in comune e a ciascuno veniva dato quello di cui aveva bisogno. Questo monastero resterà la miglior espressione dell'ideale di vita religiosa di Agostino; ed è quello in cui, per la prima volta, vediamo presente la vita religiosa unita al sacerdozio, perché a quel tempo, i monaci erano laici che abbracciavano una vita regolata da quelli che oggi denominiamo Voti. La principale occupazione e il fine primario del monastero era che i monaci vivessero tutti insieme "un cuor solo e un'anima sola protesi verso Dio". Ed essi erano occupati nella preghiera, nello studio, nel lavoro, nel mortificarsi, sempre pronti a sentire e a rispondere ai bisogni della Santa Madre Chiesa, (cf. Ep. 48) Circa il 396 Agostino succedette a Valerio come Vescovo di Ippona, e dovette cambiare di necessità stile di vita.

Radunò intorno a sé dei sacerdoti, formando come un monastero di Chierici, il quale certo non potè essere come il primo monastero da lui fondato. Col tempo fondò altri monasteri da cui uscirono sacerdoti e anche Vescovi; e fondò pure monasteri di donne, in uno dei quali fu superiora anche una sua sorella e vi entrarono delle nipoti. Questi monasteri femminili adottarono la Regola che oggi sappiamo essere stata volta al femminile da quella scritta per i monaci. La Regola sembra il sunto di conferenze, di istruzioni, tenute ai monaci oralmente; e che poi Agostino fu pregato di mettere per iscritto. Essa può essere ritenuta la più vecchia Regola monastica dell'Occidente, che esercitò una grande influenza sull'ideale cristiano della vita religiosa e il cui ruolo nello sviluppo del monachesimo occidentale è stato di grande importanza. Questa Regola ha avuto nel tempo una grande diffusione nei vari continenti. Essa è stata adottata da qualche centinaio di Ordini e Congregazioni, alcuni dei quali oggi scomparsi. Fra gli Ordini che adottarono la Regola agostiniana, è anche quello dell'Adorazione Perpetua del SS. Sacramento, fondato da M. Maria Maddalena dell'Incarnazione.

Agostino che scrisse molte opere (parte delle quali furono da lui rivedute e corrette prima della sua morte) è teologo eminente anche nella Chiesa di oggi. Dalle sue varie opere si può ricavare una dottrina sicura ed esauriente sull'Eucaristia. I più abbondanti estratti dalle sue opere sull'argomento si possono trovare oggi del volume: "La dottrina Eucaristica in S. Agostino" Libreria Editrice Vaticana 1997. Il Santo rimase a lungo Pastore della Chiesa di Ippona e morì nel 430 mentre i Vandali avevano cinto d'assedio la sua città. Parte dei suoi sacerdoti subirono il martirio. Altri si rifugiarono in Italia e in alcune isole del Mediterraneo. Per timore che i suoi resti venissero distrutti, più tardi furono trasferiti in Sardegna, da dove passarono poi in Liguria, e quindi, all’epoca di re Liutprando, longobardo, furono trasportati a Pavia, dove ancora oggi si trovano nella Basilica di S. Pietro in Ciel d'oro, entro un'urna di bronzo, sotto l'altare maggiore; dietro questo altare si erige una stupenda opera marmorea, sulla quale sono mirabilmente scolpiti episodi della vita e delle opere del Santo. Il culto di S. Agostino è ancor oggi molto diffuso, ed è onorato nella Chiesa universale; mentre le sue opere rimangono fonte inesauribile oltre che di dottrina, di studi da parte di studiosi di tutte le parti del mondo.

Anche il Concilio Ecumenico Vaticano II ne ha fatto ampio uso, richiamando la dottrina di questo Padre della Chiesa, in tanti suoi decreti e nella rinnovata liturgia. Fermiamoci ora a considerare quanto c'è di essenziale, fondamentale, nella Regola di S. Agostino. Nello scrivere la sua regola egli si è basato particolarmente sulla conoscenza di vita religiosa attinta in alcuni monasteri di Milano e di Roma, come pure sulle sue esperienze personali avute in circa dieci anni di vita monastica, mettendo sotto forma di norme quello che di queste esperienze gli poteva sembrare il meglio. In otto brevi capitoli la Regola offre alcune idee molto importanti per la vita religiosa, ispirate alcune al Vecchio e la maggior parte al nuovo Testamento, come possiamo trovare esaminando le citazioni annesse alla traduzione che possediamo della Regola stessa, allegata attualmente alle nostre Costituzioni. Certamente è questo fondamento biblico ed evangelico che rende permanente la Regola e che garantisce la sua validità nonostante il cambiamento dei tempi e delle culture. Padre Trapé (cf. La Regola - Ed. Ancora - 1971) fa rivelare che i precetti dati dal Santo, pur essendo limitati, sono essenziali per garantire la solidità della vita religiosa. La Regola non contiene un regolamento per la giornata, ma dice che bisogna osservare quanto è stabilito sia riguardo alla preghiera, alla contemplazione, che al lavoro, allo studio, ecc. Nel suo insieme si rileva che tutto deve essere fatto in modo moderato ma senza rilassatezze, nella ricerca del bene comune e di una vera fraternità, con una ascesa costante verso Dio. L'autorità deve essere votata al servizio per amore. Come risultato si ha un quadro spirituale che è profondamente umano ed autenticamente evangelico.

L'idea originale è la carità presentata come fine, come mezzo e centro della Vita religiosa. Proprio all'inizio della Regola troviamo specificato il fine con le parole:"Prima di ogni altra cosa amiamo Dio e amiamo il prossimo" (n. 1). II mezzo invece viene indicato al n. 3 della Regola: ... "abbiate un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio". Il centro sta nelle altre espressioni che leggiamo al n. 31 ..." al di sopra di tutte le cose di cui si serve l'effimera necessità della vita, rifulga la carità che rimane in eterno". Le altre cose scritte nella Regola possono essere ritenute o come presupposto, o come alimento o come motivo di ispirazione. I consigli evangelici che preparano la via della carità, costituiscono il presupposto. L'alimento, il nutrimento, viene dato dalla preghiera, dalla mortificazione, dallo studio, dal lavoro. Il motivo ispiratore è la bellezza eterna, la verità, Dio, alla cui contemplazione la persona religiosa deve consacrare la sua vita; è il profumo di Cristo (bonus odor Christi), delle sue virtù, che la persona religiosa è tenuta e deve sforzarsi di spandere; ed è anche la libertà interiore, libertà dal proprio io, da ogni cosa terrena che, acquisita, costituisce una sorgente inesauribile di vera gioia e speranza. La Regola fa risaltare quindi che il fine della vita religiosa sta nel vivere con impegno e generosamente la vita evangelica, alla quale tutto deve essere ordinato. P. Trapè (La Regola, Ed. Ancora, 1971, p. 98 e ss.) ha scritto che la Regola di S. Agostino mette in luce fin dall'inizio una verità molto cara alla tradizione cristiana: che il fine della vita religiosa è lo stesso della vita di ogni cristiano, e cioè vivere in pienezza l'amore per Dio e per il prossimo. Con questo richiamo, la vita religiosa viene collocata al suo vero posto, che è il centro del Vangelo, e quindi il centro della Chiesa. il fine per tutti è uno solo.

Il resto sempre rimane un mezzo ... Chi abbraccia la vita religiosa non cerca un bene non raggiungibile dagli altri, ma sceglie una via che gli permette di raggiungere più liberamente, più efficacemente ed impegnativamente la perfezione della carità, cioè la santità, che è il fine di ogni cristiano e la pienezza del Vangelo. (Questo è quanto è stato riconfermato nel Concilio Vaticano II, nonché in vari documenti e scritti di Papa Giovanni Paolo II, ed anche nella recente Istruzione "Ripartire da Cristo" della Congregazione per i Religiosi.) S. Agostino ha messo in rilievo l'importanza massima della carità con la ben nota sentenza: "Abbi la carità ed avrai tutto, perché senza di essa nulla ti gioverà che tu abbia." In altri termini: la carità è una virtù tanto grande che da sola è tutto, e senza di essa tutto è nulla. Carità anzitutto verso Dio, in totalità: "Nell'a- more di Dio non ci viene imposta nessuna misura, perché in questo caso l'unica misura è di amare senza misura" (Ep. 109, 2).

Ma anche amore del prossimo: "L'amore non si può dividere ... Se ami le membra di Cristo, ami Cristo, ami Dio ... Se ami il Capo, ami anche le membra; se poi non ami le membra, non ami neppure il Capo (In Jo. Rv. Tr. 10, 3). Dato che la Regola è fondata sull'ideale di vita della prima comunità cristiana, amore e comunità hanno il posto principale in essa. Una buona vita di comunità consiste nel praticare la carità nella ricerca del bene comune. E tutti i membri si devono sforzare, attraverso la mortificazione e il rinnegamento personale di edificare relazioni mutue di carità. La Regola è stata scritta per orientare e sostenere la vita monastica. Abbiamo già visto cosa ha condotto S. Agostino ad abbracciare tale vita e a definire man mano come realizzare sempre meglio il suo ideale. P. Trapè scrive ancora nell'opera citata (pp. 54-55), che un aspetto essenziale del carisma ricevuto da S. Agostino per suscitare un movimento monastico nella Chiesa è stato quello di manifestare la validità e fecondità inesauribile della vita come organizzata dagli apostoli tra i primi cristiani di Gerusalemme ... Egli chiese al testo degli Atti degli Apostoli tre dei principi sui quali fondò il suo ideale: l'unione dei cuori, la comunione delle cose e la distribuzione dei beni a ciascuno secondo il proprio bisogno. Nell'interpretazione di questi principi egli portò tutte le ricchezze del suo animo, desideroso soprattutto del trionfo della carità, sempre e dovunque.

Manrique, agostiniano, nella sua "Teologia agostiniana della vita religiosa" (Ed. Ancora, Milano,1966) dice che il principio differenziale che caratterizza il monachesimo di S. Agostino, sta nel vivere di Dio e per Dio per mezzo della vita comune nella carità. La comunità di persone dedite alla vita monastica cerca Dio mediante la carità comune; e il segno materiale dell'unità di carità è dato dalla comunanza dei beni. In pratica, dice S. Agostino: "Chi si converte a questa professione, passa dal suo stato precedente di vita, alla carità della vita comune, col desiderio di vivere nella società di coloro che non hanno che una sola anima ed un solo cuore in Dio, in modo tale che niente è proprio ma tutto comune" (De opere monachorum, XXV, 32). Per il Santo, la carità della vita comune è un vincolo stretto di amore soprannaturale per il quale gli uni partecipano all'amore degli altri. Vivere la vita comune è una pratica dello spirito ecclesiale. Le persone consacrate vivono nel monastero per essere perfetti cristiani, membra scelte del Corpo mistico di Cristo. La comunità monastica è perciò la stessa comunità della Chiesa nelle sue membra più degne di onore, e la sua vita è la realizzazione perfetta dell'idea di Chiesa, come è testimonianza dell'unità della Chiesa. n Trapè dice ancora (cf. La Regola, Città Nuova, Ed., 1986, pp. 80 e ss.) che tradurre in pratica attraverso la perfetta unione d'amore la realtà divina del Corpo Mistico di Cristo è la prerogativa che S. Agostino volle imprimere ai suoi monasteri. Da questa prerogativa proviene l'ascetismo della carità. Per S. Agostino è il "senso della Chiesa" che deve permeare la vita dei suoi monasteri. Senso della Chiesa che vuol dire in questo caso la persuasione profonda che la vita comune è inserita nella compagine ecclesiale e vi è inserita in modo che ne ricorda una manifestazione iniziale, ne esprime una realtà essenziale, ne annuncia la fase finale. Un senso ecclesiale che ha le dimensioni del tempo e si proietta nella eternità.

La comunità religiosa deve cercare di seguire l'esempio della primitiva comunità di Gerusalemme, imitandone la fermezza di fede apostolica, la freschezza spirituale dell'amore, il fervore della preghiera, l'assiduità nella celebrazione dell'Eucaristia, una speranza piena di gioia. Occorre aggiungere inoltre la coscienza che la vita comune vissuta secondo l'ideale apostolico è un segno di quella unità che Cristo volle come nota essenziale della sua Chiesa. La comunità religiosa deve essere come una piccola Chiesa, testimone dell'unità della Chiesa universale, offrendone un valido esempio. Come ha scritto S. Giovanni: "Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv. 13,35). Un amore che è capace di prevenire, di evitare il male; come è pronto al perdono, alla riconciliazione. La comunità religiosa, per avere un completo senso ecclesiale, non deve mancare di un valore profetico di annunzio. Trapè ha scritto che il senso profetico non sta solo nell'osservanza dei consigli evangelici, ognuno dei quali possiede un significato escatologico; ma sta nella vita comune come tale, in quanto essa, esigendo un esercizio quotidiano di carità, costituisce una comunione di vita che è l'inizio di quella che sarà perfetta e beata nei cieli. La comunità religiosa è Chiesa e si sente Chiesa ed è una stessa espressione di questo mistero: dell'amore, della verità, che è l'unica cosa eterna tra le cose temporali e sa compiere il miracolo di moltiplicare i beni dei singoli comunicandoli a tutti. Lo stesso autore, quando parla dell'Esposizione del Salmo 132, dice che ivi è contenuta una bellissima affermazione del profondo senso ecclesiale proprio della vita religiosa, e cioè: i monaci nascono nella Chiesa e rappresentano l'unità della Chiesa stessa: monaco vuol dire uno solo, ossia molti che formano una sola unità, perché sono, nel Corpo Mistico di Cristo, un cuore e un'anima sola. Il monaco quindi, per S. Agostino, esprime l'unità nella carità, il cor unum, che fa di ciascuna comunità una immagine della unità e comunità della Chiesa.

Ivi è la carità che, producendo l'accordo fra i vari membri, genera l'unità così come genera la gioia, per cui veramente si può affermare con le parole del Salmo: "Ecco come è buono e quanto è giocondo che i fratelli vivano insieme nell'unità.!" S. Agostino afferma che tale voce di esultanza ha generato e riempito i monasteri. La voce risuonò per tutta la terra e quelli che erano divisi si sono riuniti. Per primi abitarono insieme quelli di Gerusalemme, che costituirono la prima comunità apostolica. Essi furono i primi, ma non i soli. Infatti non giunse solo a loro questo amore e questa unità dei fratelli, questa carità esultante giunse anche ai posteri ... (cf. P.L. 37, 1732).

Per la vita comunitaria S. Agostino, in più parti, ha messo in luce anche la grande importanza della preghiera fatta bene, che deve giungere a produrre un vero senso di armonia e della unione dei vari membri: per dare piena lode e onore a Dio; ed insieme dare aiuto spirituale ed elevazione a quanti sentono e seguono. Non meno grande l'importanza e l'influenza di un buon canto corale. E ci sarebbe ancor molto da dire e considerare, e su vari altri punti.