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Kasper Elm: GUGLIELMO DI MALAVALLE

S. Guglielmo d'Aquitania: tela di Antonio Nasini (1643-1715)conservato nella Chiesa di S. Agostino a Massa Marittima

L'eremo di Malavalle a Castiglion della Pescaia

 

 

 

LE ORIGINI DEI GUGLIELMITI (1157-1245)

IL PERIODO EREMITICO ARCAICO

di Kasper Elm

 

 

 

La formazione dell'Ordine dei Guglielmiti ebbe inizio dopo la morte di Guglielmo da Malavalle. Come anche i grandi eremiti e patriarchi di un Ordine, Romualdo e Bruno, egli stesso non aveva intenzione di fondare un Ordine. Ciò che egli lasciò in eredità ad Alberto e Rinaldo, suoi compagni nell'ultimo anno di vita, fu la modesta cella di Malavalle e l'esempio di un'esistenza ascetica, e non il compito di dare vita a un Ordine. Paradossalmente, tuttavia, fu proprio la sua severa rinuncia al mondo a trovare emuli e a far sì che presso la tomba del Santo sorgesse una comunità che divenne il primo nucleo dell'Ordine dei Guglielmiti. Le origini di questo Ordine sono avvolte, come nessun'altra epoca della sua storia, da un'oscurità quasi impenetrabile.

La "Vita" più antica, quella di Alberto, il cui autore viene generalmente e a ragione considerato come il capo e l'organizzatore della prima comunità guglielmita, salvo pochi chiarimenti, non dice sorprendentemente nulla del periodo arcaico del suo Ordine. Solo dagli elenchi dei miracoli che seguono ad entrambe le "Vite" è possibile trarre qua e là notizie sul modo di vivere dei primi Guglielmiti. E' poi possibile completarle, in modo tuttavia insignificante, attraverso un abbozzo della primitiva storia dell'Ordine, inserito durante il XIII secolo nel prologo delle Costituzioni. Ulteriori ma certamente insufficienti fonti sono anche i documenti, scarsamente conservati, di quei conventi che nel XII e nel XIII secolo si unirono a quello sorto a Malavalle o ne accettarono la regola. La forza che condusse alla costruzione della piccola comunità presso la tomba del Santo, e che rese il convento di Malavalle più famoso dei numerosi eremi toscani sorti nel medesimo periodo, derivò dal nome e dai prodigi del Santo. Da Firenze, Siena, Orbetello, Grosseto e da altre città e luoghi della Toscana, già poco dopo la sua morte, molti fedeli si recavano a Malavalle per implorare aiuto e per ringraziare di miracolose guarigioni. Soprattutto i pastori della Maremma ed i marinai delle città costiere ritenevano il Santo protettore contro le intemperie ed il pericolo di naufragio; furono loro a diffondere la sua fama al di là dei confini della Toscana fino alle Marche, all'Umbria e al Lazio. Alla devozione rapidamente crescente del popolo dei fedeli seguì ben presto la conferma della Chiesa. Il suo culto ebbe dapprima inizio in alcune parrocchie nelle vicinanze di Malavalle.

Così un chierico proveniente dal vicino Monte Orso, per riconoscenza per la guarigione dalle conseguenze di un incidente, promise "quod festum eius annuatim celebraret". Sotto il vescovo Martino da Grosseto, che per il Santo ed i suoi seguaci nutriva una particolare predilezione, il culto fu esteso fra il 1174 ed il 1181 all'intera diocesi di Orvieto. Alessandro III diede la sua approvazione, sebbene la disapprovasse, "ut beatum Guilelmum sanctorum adscriberet catalogo venerandum", di cui il vescovo Martino gli aveva fatto richiesta a Roma. Nel 1202 la venerazione di Guglielmo fu confermata da Innocenzo III, il che "de facto" equivaleva alla canonizzazione rimandata da Alessandro III. I credenti che, seguendo l'invito del Santo, avevano cambiato l'esistenza fino ad allora condotta, poco dopo la morte di Guglielmo si insediarono sotto il "minister et famulus" Alberto nelle celle singole di un oratorio sorto presso la tomba del Santo, allo scopo di vivere in isolamento una vita che assumesse come regola il Santo e le sue esortazioni tramandate da Alberto. Digiunavano sia in inverno che in estate, tutti i giorni della settimana ad eccezione della Domenica, ed indossavano una rozza veste di lana grezza, quale segno della loro povertà e della loro semplicità, portando il bastone quale indicazione della "vita eremitica". Persino in inverno rinunciavano alle calzature; solo quando lasciavano l'eremo ed andavano fra la gente indossavano calze e calzari per evitare di avvertire dentro di sè un falso orgoglio per il loro rigore particolarmente ascetico. Il carattere eremitico della loro comunità non si esprimeva tuttavia soltanto nell'impervia collocazione dell'eremo e nell'isolamento delle loro celle, ma anche nel continuo silenzio che, secondo quanto si può dedurre dalle Costituzioni o dalle regole di altri Ordini eremitici, veniva interrotto solo durante le funzioni comuni nella chiesa della tomba. Secondo l'esempio del patrono, gli eremiti provvedevano al proprio sostentamento attraverso il proprio lavoro. Già alcuni decenni dopo la sua morte, essi avevano trasformato in un fertile giardino la valle di Malavalle, dove fino ad allora pastori e cacciatori non si avventuravano a causa del suo suolo arido e del suo clima sfavorevole.

Ai frutti del loro lavoro agricolo si aggiungevano le oblazioni e i doni votivi dei fedeli che numerosi andavano in pellegrinaggio alla tomba del Santo. Non sembra fosse inconsueto che i frati, quando soggiornavano nelle zone circostanti della Toscana, ricevessero elemosine da parte dei fedeli, per aumentare in questo modo le loro modeste entrate. La forma di vita dei Gugliemiti, che nei suoi tratti fondamentali non si differenziava molto dalla consuetudine di altri Ordini eremitici, fu probabilmente approvata attorno all'inizio del XIII secolo. A partire dal 1211, nelle bolle papali che trattano dei Guglielmiti, si parla di "Ordo" e di "Regula" di S. Guglielmo. Quasi due decenni dopo il Concilio Lateranense del 1215, che rese obbligatoria per i nuovi Ordini l'adozione di una delle antiche regole, l'osservanza dei Guglielmiti fu posta sullo stesso piano addirittura dell'antica e venerabile regola agostiniana. Il 5 dicembre 1232 Papa Gregorio IX concesse agli eremiti di Torre di Palma, nella diocesi di Fermo, di abbandonare la regola agostiniana fino ad allora seguita, e di seguire invece la "beati Willelmi regula, que artior esse dinoscitur". Il Papa quindi, all'inizio del XIII secolo, accordò alla regola guglielmita la stessa vincolatività giuridica della regola benedettina o di quella agostiniana. Quando e attraverso chi abbia avuto luogo il riconoscimento della regola dell'Ordine, non è però accertabile. Probabilmente già Alessandro III, che per primo acconsentì al culto del Santo, approvò il modo di vivere dei Guglielmiti come aveva probabilmente fatto con il suo concittadino senese, San Galgano, allorchè questi gli aveva fatto richiesta a Roma della convalida del suo "propositum". Il redattore del "Liber ordinis" di cui si è già fatta menzione, riteneva nel XV secolo che gli "Statuta ordinis" fossero stati deliberati sotto Innocenzo III e che fossero stati da questi ratificati. Si tratta tuttavia di una notizia isolata nella quale Innocenzo III viene scambiato per Innocenzo IV, che nel 1250 convocò un Capitolo generale dell'Ordine e ne approvò le decisioni.

Sebbene non esista alcuna certezza sul momento esatto dell'approvazione, il periodo di svolta verso il XIII secolo è tuttavia il più probabile, poichè solo all'inizio di questo secolo gli eremiti, che fino ad allora si erano limitati alla casa madre, intrapresero la diffusione dell'Ordine. In pochi decenni sorse in Toscana, nel Lazio e nelle Marche un piccolo gruppo di conventi, i quali, o erano stati fondati da Malavalle, oppure avevano abbandonato la regola che fino ad allora avevano osservato, per seguire quella di S. Guglielmo. Fra i primi conventi guglielmiti, di cui nella maggior parte dei casi si conosce soltanto il nome, vanno annoverati quello di S. Angelus post lacum e quello di S. Wilhelmus de Acerona. A favore della loro antica appartenenza all'Ordine dei Guglielmiti, va considerato il fatto che Costituzioni dell'Ordine concedessero loro di visitare la casa madre di Malavalle, il che, secondo le Costituzioni, era riservato alle più antiche fondazioni affiliate. S. Angelo, di cui oggi rimangono ancora i ruderi, si trovava presso il Lago Albano, non lontano dalla Via Appia. Quando fu trasferito ai Guglielmiti, il convento poteva già contare su una storia più lunga: già nel 1116 era stato menzionato in una Bolla di Pasquale II. La scarsa tradizione non dice nulla sull'osservanza che veniva qui seguita prima dell'arrivo dei Guglielmiti, nè sulle circostanze che portarono in questo luogo gli eremiti provenienti dalla Toscana. E' probabile che il ricchissimo Savelli, che anche in seguito si dimostrò benefattore dell'Ordine, abbia reso possibile l'insediamento dell'Ordine nel Lazio. S. Guglielmo d'Acerona, che neppure esperti conoscitori della storia toscana seppero identificare, sorgeva fra S. Casciano e Acquapendente, sul confine della diocesi di Orvieto e Chiusi. Il "Patrocinium" del convento, che ben presto fu messo in ombra dai conventi di Mazzapalu e di Aquaorta, avvalora l'ipotesi che si trattasse di una nuova fondazione cui era stato possibile dare il nome del Santo, approvato come tale nel 1202, senza aver dovuto avere riguardo per un precedente "patrocinium", come invece era stato necessario in altri casi. Nel 1251 i priori dei più antichi conventi italiani sottoscrissero gli Statuti deliberati nell'ambito di un Capitolo Generale a Malavalle; alle firme dei priori di S. Angelo e di S. Guglielmo seguì la firma del priore di Teli. Probabilmente questo convento, allora il terzo in ordine cronologico, e che viene menzionato nel XV secolo in un elenco di conventi con il nome "de Cilo", è identico all'eremo di S. Maria de Tilio situato nella diocesi di Chiusi; eremo che nel 1276/77 fu adibito, assieme ad altre chiese e ad altri conventi, a pagamento di decime. Sulla storia di questo romitaggio si sa pochissimo, come pochissimo si sa degli altri due più antichi. Soltanto dalla successione delle firme di cui si è parlato è possibile concludere che questo eremo, come gli altri due, seguisse la regola guglielmita già prima del 1237, anno di fondazione dell'eremo di Mazzapalu, il quale segue al quarto posto. Al gruppo dei primi conventi guglielmiti toscani appartenne anche l'eremo di S. Antonius de Ardenghesca (o de Silvaiuncta), che Innocenzo III il 25 maggio 1211 con la Bolla "Solet annuere" prese sotto la protezione della cattedra di S. Pietro unitamente ai suoi occupanti, che in quell'epoca appartenevano al "Ordo S. Guillelmi".

Alcuni anni prima, il 20 aprile 1206, il priore Bannerio aveva accettato "recipiens nomine Eremi ad honorem Dei et S. Antonii aedificatae" ampie donazioni di terre che i toscani Ardengheschi, i conti Uguccio Bernardini, Ranerius e Paganellus Ugolini ed i loro pari Ranerius Falsinelli e Borgese di Pari, avevano fatto agli eremiti. Che già nel 1206 si trattasse dei Guglielmiti non risulta dai documenti della donazione, ma è assolutamente probabile. Secondo la tradizione, tuttavia, S. Antonio non deve essere stato fondato appena all'inizio del XIII secolo, come invece consigliano le testimonianze documentali. La tradizione degli Eremiti Agostiniani, ai quali il convento guglielmita si unì ancor prima del 1251, colloca le sue origini piuttosto nel periodo arcaico nel monasticismo, ed indica come fondatore Blasio di Opima, un contemporaneo di Antonio Eremita. Sotto Onorio III, i Guglielmiti presero piede anche nelle Marche, senza tuttavia riuscire a mantenere qui nel tempo la loro posizione. Il 9 maggio 1224 il Papa concesse al priore ed ai restanti eremiti di S. Benedetto di Monte Favale, "ut regula B. Guglielmi, secundum quam sicut asseriris cupitis Domino famulari, ibi perpetuis temporibus observetur". L'eremo di S. Benedetto, situato nella diocesi di Pesaro, non era certamente una nuova fondazione dei Guglielmiti toscani. La sua denominazione fa supporre che in quest'eremo, prima del trasferimento ai Guglielmiti, si seguisse la regola benedettina, senza però che ciò sia sostenuto da prove più chiare. Prima del 1232, gli abitanti dell'eremo di Torre di Palma, situato nella diocesi di Fermo, si rivolsero a Roma chiedendo di potersi unire ai seguaci della regola di S. Guglielmo. Essi avevano deciso, "ad frugem artioris vitae" di abbandonare la regola agostiniana fino ad allora osservata, e di seguire una regola più severa, quale evidentemente era ritenuta quella guglielmita.

Gregorio IX venne incontro alla loro richiesta ed incaricò il vescovo Filippo da Fermo (1229-50) di vigilare sul passaggio da una regola all'altra. Questi primi conventi, in parte situati lontano gli uni dagli altri, secondo la modesta tradizione, costituirono dapprima soltanto una vaga unione, tenuta insieme solo dalla comune osservanza. D'altra parte quest'ultima sembra essersi concentrata soltanto sull'ordinamento della vita all'interno del convento e non aver invece regolamentato l'organizzazione di un'unione dell'Ordine. Prima del 1248 non è possibile determinare le forme minime di una simile organizzazione in espansione, quali possono essere considerati l'ufficio di un superiore dell'Ordine ed il tenere Capitoli generali dell'Ordine. Questo fatto non esclude certamente che all'eremo di Malavalle spettasse una posizione particolare e che fra le singole case sussistessero determinati rapporti. Che questi non potessero essere stretti, emerge dal fatto che già prima del 1251 alcuni dei più antichi conventi guglielmiti avevano lasciato l'unione eremitica ed avevano aderito all'Ordine degli Eremiti Agostiniani. La forte autonomia dei singoli conventi guglielmiti viene poi sottolineata in maniera particolarmente chiara attraverso la posizione che la Curia assunse nei loro confronti. Fino al 1248 i papi si rivolsero nelle loro bolle soltanto ai conventi dell'Ordine posteriore e quando assicurarono ai Guglielmiti la protezione papale, non si rivolsero all'intero Ordine come invece dopo il 1248, ma sempre e soltanto ai suoi singoli componenti. Questa situazione arcaica, nella quale i conventi guglielmiti furono tenuti insieme non tanto mediante l'organizzazione, quanto piuttosto dalla comunanza di idee e soprattutto da una vita vissuta secondo il rigido esempio del patrono, durò circa un secolo. Il "periodo d'incubazione" straordinariamente lungo se confrontato con la storia dei Cistercensi o dei Francescani, non è certamente caratteristico soltanto dei Guglielmiti.

Anche altri Ordini eremitici, come pressappoco i Certosini, riuscirono solo dopo molto tempo a costruire la propria organizzazione e a raggiungere una diffusione degna di nota. La ragione di questo singolare ritardo va vista non da ultimo nella particolare spiritualità di questo Ordine. La ricerca della solitudine, dell'abnegazione, del silenzio, e della preghiera, non insisteva naturalmente sull'espansione esterna, e non necessitava di un'organizzazione che si estendesse a tutti i conventi. Essa si realizzava innanzitutto nei singoli conventi, nelle celle degli eremiti. La vita determinata da tali principi permise o costrinse a mantenere relativamente a lungo l'autonomia della singola casa, e a conservare di conseguenza una situazione che caratterizzò il monachesimo occidentale fino a quando non si giunse alla creazione di forme organizzative centralizzate ad opera dei Cluniacensi e dei Cistercensi. Nell'Ordine stesso è stato ravvisato il motivo della lunga stagnazione nel suo sviluppo ed altrettanto nella sua particolare spiritualità. La durezza dell'esistenza condotta dai Guglielmiti è stata ritenuta responsabile soltanto della lenta crescita della comunità. La rigorosa severità della regola avrebbe cioè potuto indurre solo pochi "emulatores" ad unirsi alla vita degli eremiti. Nonostante l'orgoglio di questa "età d'oro" di rinuncia al mondo e di dura ascesi, alla fine del XIII secolo, quando l'Ordine aveva già numerose sedi in Italia e al di là delle Alpi, ci si rese certamente conto che la forma di vita originaria necessitava di un alleggerimento affinché potesse svilupparsi un Ordine pieno di forza vitale, l' "Ordo Fratrum Eremitarum S. Wilhelmi".