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Kasper Elm: DIFFUSIONE DEI GUGLIELMITI

S. Guglielmo d'Aquitania in una raffigurazione di Antonio de Pereda del XVI-XVII secolo conservato al Museo della Accademia Reale delle Belle Arti di san Fernando a Madrid

S. Guglielmo d'Aquitania

di Antonio de Pereda (XVI-XVII sec.) al Museo Accademia Reale di Madrid

 

 

 

LA PROVINCIA TOSCANA

di Kasper Elm

 

 

 

Mentre a metà del XIII secolo i Guglielmiti fondavano con grande slancio un convento dopo l'altro al di là delle Alpi, nel medesimo periodo, in Italia, il numero delle sedi diminuiva. Gli antichi eremi di S. Antonio, di Torre di Palma e di Monte Fabali, che appartenevano all'Ordine dall'inizio del XIII secolo, preferirono unirsi agli Eremi Agostiniani o ai Cistercensi, anzichè continuare a rimanere legati all'Ordine che dal 1245 era orientato prevalentemente verso il nord. Soltanto alla fine del XIII secolo, quando al di là delle Alpi l'espansione dell'Ordine cominciò ad arrendersi, cominciò nuovamente la sua diffusione in Italia. Prendendo antiche abbazie decadute, per lo più nel XII e nel XIII secolo, i Guglielmiti riuscirono a compensare le perdite e perfino ad aumentare il numero delle loro sedi.

Nella quasi totalità dei casi si trattava di case situate nelle vicinanze di più antichi conventi guglielmiti, cosicchè anche alla fine del secolo l'Ordine era circoscritto alla Toscana e ai territori circostanti, il che giustifica la definizione di "Provincia Toscana" per l'intera provincia italiana dell'Ordine. Nel Lazio, dove già prima del 1251 i Guglielmiti avevano fatto il loro ingresso, la loro prima sede di S. Angelo fu sostituita con il convento, più grande, di S. Maria e S. Paolo. Fra il 1278 ed il 1282, l'allora cardinale diacono Giacomo Savelli, la cui famiglia aveva molti possedimenti vicino ad Albano, aveva cominciato la costruzione del monastero nel quale, nel 1282, aveva fatto entrare dodici monaci sotto la guida di un priore. Egli destinò al loro mantenimento i redditi derivanti da beni terreni che si trovavano ad Albano, nei pressi di Castel Gandolfo e nelle immediate vicinanze di Roma, sulla Via Appia.

Proprio a Roma, già prima del 1268, l'Ordine aveva preso la chiesa di S. Balbina, sorta nel periodo tardo antico, ed il monastero benedettino ad essa annesso, che aveva anch'esso dei possedimenti sulla Via Appia, fra cui il famoso "Ager Florealis". Alla cerchia dei conventi situati nei pressi di Roma apparteneva probabilmente, già nel XIII secolo, l'eremo di S. Pietro de Palubrio, del quale si sa soltanto che si trovava 14 miglia a sud della città. Proprio all'influenza del cardinal Savelli i Guglielmiti dovettero la cessione fatta loro nel 1283, e cioè un anno dopo l'acquisizione del monastero presso il lago d'Albano, da parte del vescovo Gerardo di Sabina del monastero benedettino di S. Giovanni ad Argentella, situato a nord di Roma e sorto nell'VIII secolo; in questo modo essi posero fine alla sua decadenza. Il cardinale venne loro in aiuto attraverso donazioni tratte dal patrimonio della sua famiglia in Sabina, non senza assicurarsi, quale signore di Palombara e Castellione, il diritto di baliato sull'abbazia, la cui chiesa romanica è stata conservata. Più o meno nello stesso periodo, gli eremiti presero una chiesa situata molto più a nord, vicino a Corneto (Tarquinia), nella quale, fino allora, avevano provveduto all'attività pastorale dei preti secolari. Nel 1279 ai Guglielmiti della diocesi di Orvieto, che già nel 1237 da S. Guilelmo ad Acerona avevano riformato il monastero benedettino di S. Maria in Mazzapalu, si unirono i Benedettini di S. Pietro in Aquaorta. Il loro abate, Ambrogio, credette che il monastero "quod inter cetera monasteria esse consueverit in spiritualibus et temporalibus opulentum" nell'Ordine dei Guglielmiti potesse ricominciare una nuova vita, dopo essere stato mandato in rovina dalle circostanze (temporali) e dalla "malitia" dei vicini. All'abbazia di S. Pietro era collegato il diritto di patronato su S. Giovenale ad Orvieto. Attorno al 1300 i Guglielmiti tentarono di trasformare questo diritto in una vera "cura animarum".

Non riuscirono tuttavia nel loro intento. In seguito la chiesa tornò ad essere gestita da preti secolari, e a tale proposito fu accordato all'abbazia soltanto un limitato diritto di essere consultata. Solo più tardi sembra che i Guglielmiti siano riusciti, oltre ai Francescani ed ai Domenicani, ad edificare ad Orvieto un convento "cum cura animarum", e a celebrare il "Divinum Officium" in S. Giovenale, dove ancora nel XIII secolo i Catari avevano officiato il loro culto eretico. I Guglielmiti italiani conobbero la crescita più significativa in Toscana, terra d'origine del loro Ordine. Qui essi riuscirono ad aumentare la consistenza dell'Ordine attraverso l'incorporazione o l'annessione di numerose abbazie situate nei dintorni della casa madre. Nel 1285 essi giunsero nei possedimenti dell'abbazia di S. Quirico, sorta nell'XI secolo, con l'autorizzazione del vescovo Roger di Massa e del loro benefattore Giacomo Savelli, nel frattempo elevato al soglio pontificio. Al momento del trasferimento ai Guglielmiti, l'abbazia era così rovinata, che in essa non dimorava un solo conventuale. Già nel 1243 Innocenzo IV aveva voluto rimuovere la situazione del convento, situato nelle vicinanze della città etrusca di Populonia, mediante l'ingresso di Eremiti Agostiniani toscani, ma non ci era riuscito. Nello stesso giorno in cui Onorio approvò la riforma dell'abbazia di S. Quirico, cedette ai Guglielmiti l'abbazia di S. Pancrazio al Fango, distante pochi chilometri dalla casa madre, il cui antico splendore si era estinto a tal punto, "ut ei a personis ipsius Ordinis omnino deserto desolationis irreparabilis immineret detrimentum ".

L'abbazia, soggetta direttamente alla Curia romana, era sorta su un territorio che Ludovico il Pio [LUDWIG DER FROMME] il 19 dicembre 813 aveva donato all'abbazia di S. Antimo situata nei pressi di Montalcino, e fino all'XI secolo era rimasta soggetta all'abate di Antimo. Nel 1291 l'antica abbazia, annoverata fra i primi e più significativi monasteri benedettini, finì, assieme ai suoi possedimenti, diritti e conventi dipendenti, nelle mani dei Guglielmiti. Nel XV secolo i Guglielmiti si gloriavano ancora del loro patrimonio, che diede realmente motivo ad alcuni di affermare che l'Ordine potesse far risalire le sue origini fino all'epoca carolingia. Su iniziativa del cardinale di S. Nicola in Carcere Tulliano, il futuro Papa Bonifacio VIII, Nicola IV, mediante la cessione di questo importante convento imperiale, volle aiutare gli abitanti della casa madre, in gran parte distrutta da una catastrofe temporalesca, a trovare una nuova dimora. Essi dovevano trasferire la loro residenza e con essa la sede centrale dell'Ordine, a Castiglione della Pescaia, dove l'abate di S. Antimo possedeva una chiesa di S. Giovanni.

I Guglielmiti, sebbene avessero essi stessi fatto richiesta di questo trasferimento, non fecero alcun uso dell'offerta della Curia: il luogo in cui il loro patrono aveva vissuto ed era morto era loro evidentemente troppo vicino perchè potessero abbandonarlo. Ai priorati dell'abbazia, che con tutti i suoi membri venne incorporata all'Ordine, appartenevano anche i due conventi di S. Bartolomeo de Sestinga e di S. Mato, nella vallata inferiore dell'Arno. S. Bartolomeo confinava, come il convento di S. Pancrazio preso già alcuni anni prima, direttamente con il territorio della casa madre di Malavalle, per cui alla fine del XIII secolo, attorno alla tomba dell'eremita, era sorto un vasto "territorio" spirituale.