Percorso : HOME > Associazione > Settimana agostiniana > Settimana 1999 > Vita di comunità in sant'Agostino

luigi beretta: la vita di comunita' in sant'agostino

 Arca di Pavia dei Maestri Campionesi: Agostino consegna la sua Regola ai monaci

Arca di Pavia: Agostino consegna la regola ai monaci

 

 

 

LA VITA DI COMUNITA' IN SANT'AGOSTINO

di Luigi Beretta

 

 

La vita associata e le esperienze religiose di vita associata hanno avuto nel tempo ed hanno tuttora motivazioni diverse alla loro origine; nondimeno si concretizzano frequentemente secondo una modalità generale che possiamo definire come vita di comunità. La preferenza che per secoli è sempre stata accordata alla vita di comunità soprattutto dagli ordini e dalle congregazioni religiose probabilmente altro non è che il riconoscimeno della sua imperiosa necessità per poter vivere l'esperienza religiosa stessa o più globalmente un'esperienza spirituale. E' quanto mai invitante parlarne qui stasera a Cassago, l'odierno rus Cassiciacum, dove maturò quasi sicuramente la prima esperienza di quel vivere in comune che accompagnò il pensiero teologico e la vita stessa di Agostino.

Da quella esperienza trassero vigore nell'orizzonte cristiano da allora ad oggi, consapevolmente o per riflesso, miriadi di comunità spirituali ed è dunque a quell'esperienza di Cassiciaco, alla sua maturazione e alla sua evoluzione che faremo riferimento per mettere a fuoco il tema suggestivo del vivere in comunità. Ho detto suggestivo, ma potrei aggiungere concretamente attuale, perchè in una società come quella contemporanea dove l'urbanesimo e l'industrializzazione hanno generato agglomerati di folle spesso segnate dalla solitudine, è più che mai viva la ricerca di un rapporto umano autentico fra i membri della società.

E' sintomatico il florido sviluppo di forme sempre nuove di associazioni e gruppi di qualunque natura: tra tanta varietà una cosa è certa e cioè che l'uomo ha sognato e sogna ancora oggi una comunità umana che gli offra la possibilità di essere se stesso al di fuori della struttura dell'attuale società, in cui la persona e i suoi valori sono troppo spesso soffocati dal ritmo inumano della produzione e del guadagno. Sogna una famiglia, sogna degli amici con cui poter condividere un po' di tutto, sogna una società di persone animate da una medesima tensione interiore, da un ideale, da regole comuni e familiarmente condivise. A questi sogni, che sono i sogni sicuramente di ogni società e di ogni uomo, seguono i tentativi che però frequentemente si attualizzano in altrettanti problemi.

Sono i soliti problemi del vivere insieme in comunità piccole o grandi: mancanza di accordo, insufficiente capacità di accettarsi reciprocamente, prevaricazioni di alcuni, incapacità a subire di altri, emarginazione degli indesiderati, desiderio di mettersi in mostra, volontà di accentrare su di sè ogni decisione, insofferenza all'autorità ... Così il sogno anzichè divenire una realtà si trasforma in una serie ineliminabile di problemi che si trascina senza pietà. Ma è proprio così difficile costruire una comunità, una società a dimensione d'uomo ?

Quali sono i fondamenti di queste comunità possibili ? E perchè si verificano tanti fallimenti e così continui sono i cambiamente di esperienze ?

Di fronte a simili interrogativi, ma soprattutto a noi, uomini nella storia di oggi, gravati da tanti fallimenti, forse può servire rifarsi a quelle esperienze che sono maturate nel tempo, si sono perfezionate e non sono state segnate dal declino.

Quanto a questo Agostino ci potrà aiutare sensibilmente. Ad Agostino questo sogno di vita comune con amici si manifesta con estrema chiarezza dopo i trent'anni quando si trovava a Milano dove incontrò Ambrogio e la chiesa cattolica. Per Agostino questo progetto di vita comune (Conf. 6, 14, 24) costituiva un passo avanti rispetto alla abituale vita di città, che in età imperiale allora come oggi premiava la ricerca del successo, gli onori, il benessere, la ricchezza.

Ma questo primo tentativo fallì a causa delle donne (Conf. 6, 11, 19). Così, almeno, ci ha lasciato scritto Agostino, adducendo una ragione, le donne, che rivela la difficoltà di quel secolo nel gestire rapporti paritetici o comunque di pari dignità fra uomo-donna. Quel primo tentativo fallì a nostro parere non solo per le donne: in realtà più che a una comunità vera e propria Agostino e i suoi amici pensavano a un circolo di intellettuali, degli intellettuali infastiditi dalle noie della vita e affascinati piuttosto dal gusto della ricerca e della discussione.

Come insegna la storia di ogni civiltà, per costruire una comunità o una società, che non è altro che una comunità molto ampia, non basta il rigore o l'efficienza delle regole: la storia di questo secolo con i suoi vari -ismi ha fornito purtroppo troppi esempi negativi.

Ciò che conta in una vera comunità è l'orientamento comune e soprattutto il contenuto di tale orientamento che non può che indirizzare al bene di tutti indistintamente (non possono essere assimilabili ovviamente a tali comunità strutture tipo le organizzazioni criminose, i cartelli economici, i partiti politici ... che hanno una finalità propria indipendente o in contrasto con il resto della società.)

Il desiderio della Comunità

Per Agostino questo orientamento comune è qualcosa di più e ancor più definito. Per Agostino - e questa è una sua profonda convinzione - si può parlare di un tentativo di esperienza comunitaria con buone probabilità di riuscita solo a una condizione e precisamente con una totale conversione al Dio dei cristiani. Non dunque un Dio qualunque: e in età imperiale c'era ampia scelta per tutti, dei tradizionali, così come il nuovo pantheon di dei orientali, egiziani, delle popolazioni barbariche.

Anche oggi ci sono tanti dei, tante religioni, buddismo, islamismo, new age, sette e così via ... ma uno solo - ci ricorda Agostino - è il fondamento sicuro per una comunità in grado di rispettare i suoi membri e la società tutta.

Reinterpretando magistralmente il passo di Atti Apostoli 4, 32 Agostino sintetizzerà il suo ideale di vita comune nell'espressione anima una et cor unum in Deum (un'anima sola e un corpo solo verso Dio). Così dall'ideale latino dell'otium, dell'otiose vivere milanese egli converge al deificari in otio di Tagaste dove si svilupperà la sua prima comunità di monaci. Il progetto agostiniano, il sogno di una società nuova, di una comunità autentica e libera, acquistano significato e consistenza solo quando diventa chiara la centralità di Dio nella storia dell'uomo, di ogni uomo.

A Cassago, l'amato rus Cassiciacum, prende corpo per la prima volta questo grande sogno di Agostino. Qui troviamo tutti gli elementi tipici della vita cristiana comune e di quella che sarà poi la vita monastica: la dolce compagnia degli amici, il lavoro manuale e intellettuale quale espressione dello sforzo di ricerca della sapienza e della verità, la preghiera, la castità. Le esperienze di Agostino nell'età più matura modificheranno alcune idee e qualche regola pratica: al termine amicizia preferirà carità, così come alla filosofia in generale sostituirà lo studio della Sacra Scrittura. Ma la struttura fondamentale resterà inalterata e persisterà in tutte le esperienze di vita comune che Agostino promosse da laico, da sacerdote, da vescovo. Questo approccio non nacque dal nulla: sicuramente conosceva e aveva fatto tesoro della esperienza di altri, principalmente quella delle comunità di Milano e di Roma che lo convinsero a proseguire nella direzione tracciata a Cassiciaco.

"Ho visto io stesso - scrive nel De Moribus eccl. cath. et manich. 1, 33, 70/73 - un cenacolo di santi, e non erano pochi, a Milano di cui era superiore un sacerdote, persona ottima e dottissima. Pure a Roma ne ho visti parecchi in ciascuno dei quali un sacerdote è preposto a quelli che vi abitano vivendo in cristiana carità, santità e libertà, uno che spicca su tutti per autorevolezza, prudenza e scienza divina. Per non essere di peso a nessuno ... si mantengono con il lavoro delle proprie mani ... Ciò vale non solo per gli uomini ma anche per le donne. Allo stesso modo degli uomini, alle singole comunità dove molte vedove e vergini, abitano insieme e si guadagnano il vitto lavorando di lana e di cotone, viene preposta una di loro, autorevole e capacissima nel formare e regolare i costumi, come pure competente e preparata a istruire le loro menti ... Soprattutto vi si custodisce la carità: tutto viene ordinato ad essa; il vitto, i discorsi, l'abito, il volto, l'aspetto esteriore. Ognuno concorre e coopera per stabilire l'unità delle carità ... "

Queste esperienze, principalmente la romana, lasciarono una traccia profonda in Agostino e nel suo modo di pensare e vivere una comunità. Da un lato troviamo il fondamento ben piantato nella carità e dall'altro la necessità di una guida che incarni la carità in mezzo alla comunità in ogni suo aspetto, soprattutto pratico. Così, tornato in Africa, nella sua città natale di Tagaste, Agostino cerca a sua volta di dar corpo a una comunità di cristiani. E' sorprendente in questo suo primo progetto il carattere decisamente laico di una proposta che rivolge principalmene ai suoi amici.

Da un lato sostiene la necessità del distacco dai beni della terra, ma dall'altro introduce l'urgenza della disponibilità comune del necessario al vivere quotidiano: entro questi due estremi si sviluppa il senso dell'amicizia che fa maturare i componenti del gruppo.

 

La Comunità cristiana

Agostino trae ispirazione da due testi fondamentali del Nuovo Testamento che già avevano affascinato generazioni di cristiani suscitando una fiorente proliferazione di anacoreti e cenobiti soprattutto nelle regioni orientali dell'impero romano. Sono due testi propri ai soli Matteo (19, 21) e Luca, su cui Agostino maturò la sua posizione pressochè definitiva in materia di vita comunitaria: "Ho amato ardentemente - scrive - la perfezione, di cui parla il Signore, quando disse al giovane ricco: va, vendi tutto quello che hai, dà il ricavato ai poveri ed avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi; e l'ho fatto non con le mie forze, ma con l'aiuto della sua grazia. E poichè non ero ricco, non per questo Dio mi renderà minor merito. Infatti non erano ricchi nemmeno gli Apostoli, che fecero altrettanto per primi. In realtà lascia il mondo intero chi lascia non solo quello che possiede, ma anche quello che desidera avere. Quali progressi inoltre abbia io fatto in questa direzione io lo so meglio di qualsiasi altro, ma meglio di me lo sa Dio. Con tutte le mie forze esorto gli altri ad abbracciare questo ideale religioso: grazie a Dio ho anche dei confratelli che lo praticano dopo che io li ho persuasi, grazie al mio ministero ... " (Lettera 157, 4, 39)

L'esempio della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme con la sua comunione di anime e beni sarà un costante punto di riferimento per tutta la sua vita e segnerà i passaggi cruciali della sua dottrina sia nei Discorsi quanto nelle Omelie prima da sacerdote e poi da vescovo. Quella Chiesa primitiva sarà un modello che gli consentirà di definire una teologia della comunità in analogia alla teologia della Chiesa, a tal punto che l'esperienza della vita cristiana comunitaria si prefigura sempre più come una esperienza completa della Chiesa stessa. Ma in che cosa consisteva questa vita di comunità ? Possidio ce ne traccia un quadro conciso, ma efficace: "Tornato in Africa, a casa sua e nel proprio paese, vi dimorò per circa tre anni. Rinunciò ai suoi beni e insieme con coloro che s'erano uniti a lui viveva al servizio di Dio nel digiuno, nelle preghiere e nelle opere buone, meditando giorno e notte la legge del Signore. Delle verità che Dio rivelava alla sua intelligenza nella meditazione e nell'orazione egli faceva parte ai presenti e agli assenti con discorsi e con libri."

(Possidio, Gesta Augustini, 3).

Preghiere e studio sono dunque i capisaldi di questa vita che permettono ai monaci di intraprendere con diligenza e cognizione di causa tutte quelle attività che li vedono poi partecipi della vita quotidiana nella società contemporanea. E' un luogo - il monastero - vivo, un centro di spiritualità capace di dilatarsi al mondo che lo circonda (Lettere 5, 10, 13).

La carica vitale che contraddistingue il monastero, la bellezza che sprigiona dalla vita dei monaci, di cui essi stessi sono pienamente coscienti è all'origine di quell'opera di proselitismo o meglio di seduzione che Agostino e i suoi misero in atto con conoscenti e persone amiche. Oggi diremmo he facevano propaganda, pubblicità o ancora sponsorizzavano la propria esperienza di vita: in realtà, a differenza di tanti moderni religiosi che preferiscono nascondersi nella massa o temono di condizionare gli altri con la loro scelta di vita, i monaci di Agostino non avevano alcun pudore ad annunciare alla società in cui vivevano la ricchezza della loro esperienza personale, che non era una esperienza qualsiasi, abitudinaria, di routine, ma un'esperienza gratificante, appagante, contagiosa.

Questo atteggiamento, che in una società come la nostra sarebbe considerato poco rispettoso della libertà di coscienza, in realtà non vuole ottenere alcun obiettivo nascosto nè realizzare qualche personale tornaconto. Tutt'altro: avendo scoperto qualcosa di affascinante e di bello, questi monaci ed Agostino in prima persona non desideravano altro che annunciare e condividere questa esperienza con il maggior numero di amici. "E' mio desiderio - scriverà Agostino ne Il lavoro dei monaci 28, 36 - che questo santo proposito si estenda a tutta l'Africa e così pure in tutte le altre parti del mondo."

Fu purtuttavia questa sua disposizione d'animo assieme alla sua docilità a fargli cambiare vita e a modificare i suoi progetti di vita comune. Nel 391 mentre si trovava a Ippona per convincere un amico a seguirlo in comunità, fu a sua volta convinto dalla comunità cristiana a diventare sacerdote. In una bellissima pagina del Sermone 355, 2 Agostino racconta i particolari di quell'episodio, che non gli impedirono, grazie alla comprensione del vescovo Valerio, di proseguire la sua esperienza monastica presso l'orto della basilica di Ippona.

Lo stile di vita resta lo stesso, vita comune, preghiera, povertà e studio, ma inizia una nuova esperienza dove la comunità è formata da chierici. Anche da vescovo proseguirà in questa direzione con una comunità che fa proprio il ministero sacerdotale della parola e dei sacramenti. Questa svolta determinerà una evoluzione dell'esperienza comunitaria, che finirà per introdurre il connubio comunità-piccola chiesa. E questa, nel panorama cristiano, costituirà una vera e propria novità.

 

Comunità e Chiesa

Ma che cosa spinse Agostino, che fino a quel momento preferiva la solitudine di Tagaste, a virare la direzione della sua vita ? Probabilmente la risposta è una sola, ed è anche il solo atteggiamento che un cristiano dovrebbe avere verso il mondo: l'evangelizzazione, la disponibilità alle necessità della Chiesa. Nella lettera 48 scritta ai monaci dell'isola Capraia scriverà: "Se la Chiesa richiederà i vostri servigi ... ubbidite con mitezza di cuore ... non vogliate per nulla anteporre la vostra pace alle necessità della Chiesa ... "

Si mostra in questo passo in tutta la sua evidenza la preoccupazione agostiniana per la Chiesa: Cristo certamente ci rigenera nella Chiesa, ma essa ha a sua volta sicuramente bisogno di aiuto per nutrire, educare, difendere e scuotere i propri figli. Nel De Civitate Dei (19, 19) scriverà apertamente di questa necessitas caritatis, dell'urgenza della carità verso la Chiesa. Questa nuova prospettiva che si viene aprendo per la vita comunitaria fa scoprire ai suoi stessi membri la comunanza di interessi con la Chiesa, anzi la comunità prende coscienza del suo ruolo tra le gente di segno di comunione e di unità. Il punto di riferimento è sempre la prima comunità di Gerusalemme, ma con una piccola aggiunta all'anima una e cor unum: in Deum completa Agostino.

Questo in Deum è un capolavoro teologico e sta ad affermare che alla base di ogni scelta comunitaria efficace non può esserci che la fede in Dio. Così l'inquietudine agostiniana, che altro non è se non l'amore smisurato verso Dio, verso la soddisfazione totale di sè nella felicità, si rasserena nella carità fraterna, il vero scopo del vivere insieme.

A differenza del mondo contemporaneo, Agostino non scomoda la psicologia nè la sociologia per risolvere le difficoltà o le delusioni della vita comunitaria o ecclesiale in genere, che pure esistevano anche ai suoi tempi.

Agostino preferiva scomodare la Bibbia, che non dipende da discipline umane più o meno scientifiche. Per Agostino è chiaro che la vita comunitaria va in crisi solo quando non è più a misura d'uomo, quando non possiede più quella dimensione umana che garantisce i rapporti personali profondi. In tal caso bisogna preoccuparsi di chiedersi perchè mancano e perchè non si è capaci di realizzarli. Agostino sostiene che bisogna richiamarsi a una forza di coesione che è al di sopra delle diversità di caratteri e di opinioni e che è più efficace di ogni affinità umana. Per Agostino è lo Spirito Santo l'elemento indispensabile per mettere in pratica la teoria o i sogni. Solo lo Spirito può offrire quella garanzia che renderà reale ogni speranza: basta solo essere disponibili. Così ci insegna l'esperienza di Agostino.