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p. giancarlo ceriotti: attualità di s. agostino e delle confessioni

 Sant'Agostino cardioforo in una tela nella chiesa lui dedicata a Licata

Sant'Agostino cardioforo

 

 

 

ATTUALITÀ DI S. AGOSTINO E DELLE CONFESSIONI

 

 

 

Nel capitolo XXVII della sua notissima biografia, dedicata ad Agostino, Giovanni Papini definisce le Confessioni "L'epistola a Dio" e afferma: "se uno conosce di lui un'opera sola siamo sicuri che ha letto le Confessioni ... Insieme all'Imitazione di Cristo e alla Divina Commedia è il libro cristiano più divulgato, ristampato e commentato di tutto l'occidente, uno di quelli che anche gli agnostici e i discredenti senton l'obbligo di leggere". E se nel Medioevo la Città di Dio era più letta, "oggi, invece, le Confessioni tengono il campo".(1)

Quanto Papini scriveva nel 1930, in occasione del XV centenario della morte, è ancora più vero oggi, sia per la singola opera che per l'Autore stesso. Parlare di attualità di Agostino è cosa tanto ovvia da rasentare la banalità. L'impressionante e sterminata bibliografia, a cui si fatica a tener dietro, ne è chiara conferma e dimostrazione. A detta degli esperti, non c'è giorno in cui non venga pubblicato qualcosa di Agostino o su Agostino, un autore che ha grande seguito: "In tutta la storia della cristianità, solo S. Paolo ha esercitato, scrive R. J. Neuhaus, maggiore influenza intellettuale e spirituale di sant'Agostino ... Dobbiamo semplicemente constatare che ovunque ci si muova nella tradizione intellettuale cristiana (almeno in quella occidentale) capita di imbattersi in Agostino". (2)

Per non dilungarci richiamiamo due Autori che hanno dedicato molto tempo ad Agostino e, a margine del XVI centenario della nascita (354 - 1954), hanno pubblicato due preziosi volumetti: Jean Guitton, "Attualità di sant'Agostino" (1955), e Henri-Irénée Marrou, "S. Agostino e l'agostinismo" (1956). L'uno parla di Agostino "come di un maestro, non affatto morto ma ben vivo e presente", che l'ha accompagnato" da quel 1924, in cui l'affrontai per la prima volta, fino al 1954, in cui scrivo questo piccolo libro. Durante questi trent'anni ho conservato la convinzione che il pensiero di S. Agostino fosse un promontorio molto favorevole per giudicare i miei tempi, e per comprendere ch'egli diveniva sempre più d'attualità". (3)

L'altro ricorda i sedici secoli trascorsi: più che staccarci da lui " ci uniscono a lui, perché questo lungo periodo non è come un buco vuoto: è tutto intero penetrato dalla presenza di Agostino, della sua gloria, della sua influenza, per non dire degli aspri dibattiti che l'interpretazione delle sfumature delicate del suo pensiero ha fatto nascere. Se il suo nome si impone con tanta insistenza alla nostra attenzione, ciò accade sia a motivo del suo essere proprio, sia per tutto ciò che lungo il corso di questi sedici secoli la tradizione occidentale ha messo sotto la sua invocazione". (4)

Anche le recenti biografie non mancano di sottolineare l'attualità confermata dai numerosi lettori che sentono un forte richiamo per alcune sue opere. Le celebrazioni centenarie del secolo scorso con vari convegni di studio e congressi internazionali, come quelli del 1930 (XV centenario della morte), del 1954 (XVI centenario della nascita) e del 1986-1987 (XVI centenario della conversione e del battesimo), hanno rinnovato l'interesse e hanno stimolato ricerche sempre più approfondite. Studiosi di varia provenienza, formazione e cultura, ne avvertono la presenza che illumina il nostro cammino: " Egli si è inserito nei nostri pensieri e nei nostri sentimenti, che lo si riconosca o meno, respiriamo da vicino la sua duratura presenza". Bernhart prosegue con una bella immagine: " Come un viandante che procede verso sera, quando il sole sta tramontando, egli ha gettato la potente ombra della sua figura per un ampio tratto della campagna che gli stava davanti e l'Occidente, nell'inquietudine di quest'ombra, si è agitato di fronte al predicatore del Sommo Bene, indicato quaggiù nei beni che esso non sono e si è calmato di fronte allo stesso predicatore che, dopo la lotta, prometteva la grande pace, il sabato dopo tutta la storia, l'eterno oggi di Dio, al di sopra dello spazio e del tempo". (5)

Le Confessioni, capolavoro della letteratura, "figurano, a detta di Papini, nel breve inventario della letteratura universale cogli stessi diritti dell'Odissea e del Paradiso perduto" (6) e occupano un posto tutto particolare. Molto lette ieri, sin dal tempo di Agostino, e molto più lette oggi, hanno suscitato profonde ripercussioni interiori in tanti poeti, come Petrarca, e santi, come Teresa d'Avila, e hanno interessato "l'uomo di tutti i secoli, l'uomo di cultura come l'uomo della strada". (7)

Un recente curatore dell'opera rileva che Agostino " è infatti, come pochi altri, della nostra stirpe e per certi aspetti è di tutti i tempi". (8)

Le Confessioni riflettono l'uomo di ogni tempo e Agostino sembra dare respiro universale alla vicenda personale, le cui tensioni e lotte, tra gioie e tristezze, ardori e perplessità, desideri e timori, propositi e resistenze, accompagnano la parabola umana che è una prova interminabile e spesso drammatica: " l'esistenza agostiniana si pone come vivissima percezione della tragicità della condizione umana". (9)

In quest'opera, così umana e drammatica, " l'anima dello scrittore balza con evidenza, con immediatezza incomparabile", scrive Michele Pellegrino. (10)

Le frequenti e rinnovate edizioni con eccellenti e scorrevoli traduzioni testimoniano il grande successo e la persistente fortuna, rilevata dall'anziano vescovo mentre stende le Retractationes, che ci offrono una possibile chiave di lettura, esaltandone "la perenne funzione, per sé e per gli altri, di edificazione spirituale." (11)

"I tredici libri delle mie Confessioni lodano Dio giusto e buono per le azioni buone e cattive che ho compiuto, e volgono a Dio la mente e il cuore dell'uomo. Per quanto mi riguarda hanno esercitato questa azione su di me mentre li scrivevo e continuano ad esercitarla quando li leggo. Che cosa ne pensino gli altri è affar loro: so però che sono molto piaciuti e tuttora piacciono a molti fratelli" (II, 6, 1). Nello stesso periodo, rispondendo ad alcuni monaci delle Gallie, (12) ricorda la propria conversione, elogiando la madre Monica, contro le accuse di Pelagio che a Roma lo aveva criticato: "Inoltre, quale mia opera si è fatta conoscere più vastamente e con maggior diletto delle Confessioni? Anche quella la pubblicai prima che nascesse l'eresia pelagiana e in essa dissi ripetutamente al nostro Dio: Da' quello che ordini e ordina ciò che vuoi ... E sempre in quei libri ho narrato della mia conversione, quando Dio mi riportò a quella fede che io straziavo, cianciando proprio come un miserabile pazzo furioso. Se vi ricordate, con il mio racconto mostrai che mi fu concesso di non perire grazie alle lacrime quotidiane e piene di fede di mia madre" (De dono perseverantiae 20, 53).

Nella vasta produzione agostiniana hanno un ruolo centrale: " una sola opera tra un centinaio di altre", sono " un manifesto del personalismo cristiano" (13) e offrono un grande apporto alla cultura occidentale sì da costituire " uno dei capisaldi della letteratura e della spiritualità dell'Occidente ... libro problematicamente moderno e psicologicamente vicino alla sensibilità d'oggi". (14)

Insieme al De Trinitate (399- 419) e al De Civitate Dei (413-427), che richiedono lettori specializzati e addestrati, sono l'opera più celebre e di più vasta risonanza, di così intensa religiosità da favorire il dialogo con Dio. Un pensiero pascaliano: "ci si attendeva di vedere un autore e s'incontra un uomo", (15) coglie bellamente l'opera di Agostino, che si racconta in tutta sincerità con massima semplicità e naturalezza, con uno stile fluido che stupisce e avvince. Jacques Fontaine nota che il lettore d'oggi, e anche chi non condivide appieno le convinzioni dello scrittore, " non può non ammirare le qualità invidiabili di questa personalità così attraente: l'onestà intellettuale; il coraggio di continuare a cercare sempre; soprattutto, forse, il gusto di vivere nel fervore del cuore e dello spirito". (16)

Anche se il lettore moderno potrebbe rimanere sorpreso o sconcertato dal titolo, le Confessioni sono prive di ogni forma di autocompiacimento, tanto sono lontane dal culto di sé o da un progetto letterario gratuito: " anche per il lettore d'oggi, prosegue Fontaine, conservano fascini immediati: il calore umano, la freschezza dell'anima, le sfumature delicate e multiple di un sentimento religioso e poetico in accordo con quello del salmista, ma anche la convinzione, la passione dell'assoluto e la penetrazione metafisica, l'accanimento paziente nel comprendere le ambiguità umane, la rivendicazione dei diritti della ragione e del libero arbitrio" cui si accoppia " l'esempio compiuto di una prosa poetica adeguata all'espressione dell'interiorità". (17)

Sono questi alcuni temi di un libro complesso e affascinante, di non facile classificazione: per quest'opera, nota C. Carena, Agostino " si eleva dalla schiera dei più dei filosofi e il suo genio diviene davvero universale". (18)

Essa richiede un approccio serio e appassionato per prendere coscienza delle affinità che ci legano all'Autore e percorrere insieme un tratto di viaggio nell'universo interiore: viaggio che è, ad un tempo, come nota Roberta De Monticelli, spinta e tensione verso l'alto e verso l'interno, vera e propria peregrinatio animae, (19) annunciata nel De doctrina christiana alla vigilia d'intraprendere le Confessioni: " Facciamo l'ipotesi che siamo esuli e quindi che non possiamo essere felici se non in patria. Miseri per tale esilio e desiderosi di uscire da tale miseria, vorremmo tornare alla patria e per riuscire a tornare alla patria, che costituisce il nostro godimento, avremmo bisogno di servirci di mezzi di trasporto o marini o terrestri" (I, 4, 4).

Di questo pellegrinaggio scrive poeticamente nelle Confessioni: " mi ridurrò nella mia stanza segreta, ove cantarti canzoni d'amore fra i gemiti, gli inenarrabili gemiti che durante il pellegrinaggio suscita il ricordo di Gerusalemme nel cuore proteso in alto verso di lei, Gerusalemme la mia patria, Gerusalemme la mia madre, e verso di te, il suo sovrano" (XII, 16, 23). Per entrare nel clima spirituale del testo occorre un bel mazzo di chiavi, altrimenti le porte restano chiuse, come ha sperimentato il suo corrispondente Consenzio di Minorca, incapace di porsi in sintonia con lui. (20)

Le poche pagine del primo libro sono per lui enigmatiche. Scrivendo al vescovo verso il 419, ricorda di essersi procurate le Confessioni con altre opere dodici anni prima (407), ma solo nel 415 aveva iniziato a leggere qualcosa: "Per confessarlo dunque schiettamente al cospetto del Signore, circa quattro anni fa, prima cioè che io pensassi d'incontrare la Santità tua, avevo letto non più di due o tre pagine del primo libro delle Confessioni ma, come la Paternità tua suole paragonare lo spirito di tutti gli uomini superficiali agli occhi cisposi, colpito vivamente dal bagliore insopportabile delle tue idee, poiché in esse non scoprii nulla di piacevole e tenero che curasse le ferite dei miei occhi, tornai subito nelle tenebre della mia ignoranza, che mi sono gradite, ed evitai non solo quei libri ma anche gli altri con maggior precauzione che non il veleno della vipera" (ep. 12* (282), 1).

 

Lettori di Agostino e delle Confessioni

Agostino cerca lettori seri, impegnati e appassionati: quanto richiede ai fedeli ai quali predica e dispensa la parola di Dio, lo pretende anche dai lettori, non superficiali o svagati: " Dammi un cuore che ama e capirà ciò che dico!" (In Io. ev. 26, 4). Tra i numerosi lettori, che nel corso dei secoli hanno ricavato benefici duraturi e profondi, ne ricordiamo alcuni, lontani nel tempo ma spiritualmente a lui vicini.

 

1. Francesco Petrarca (1304 - 1374)

Il poeta trecentesco è lettore attento e devoto del grande africano: lo cita spesso nella sua opera, manifestando vastità di letture e competenza. Nelle Rime lo chiama padre: " quel mio diletto padre" (XL, 10); (21) è il santo prediletto a cui affida e confida segreti, ansie, preoccupazioni. Nell'epistolario, particolarmente con i frati agostiniani che stima e ammira, e nelle opere latine non manca di sottolineare l'adesione spirituale e l'umana simpatia che lo legano a tanto padre, definito maestro e scrittore insuperabile, come confessa al Boccaccio (Senili XVII, 2).

Scrivendo al fratello Gherardo, monaco certosino, lo invita a leggere e meditare i libri delle Confessioni " bagnate di lacrime, sui quali alcuni sciocchi sogliono ridere" (Familiari X, 3). Ne consiglia la lettura a Donato Albanzani: ne parla diffusamente e ricorda i benefici ricavati, riflettendo sull'affinità delle vicende personali (Senili VIII,6). L'idea ritorna nel Secretum in cui, dialogando con Agostino, che ora vive nella sicurezza del porto, riconosce nelle tempeste che lo agitano e turbano " una tal quale parvenza dei tuoi ondeggiamenti. Perciò, ogni volta che leggo i libri delle tue Confessioni, tra due sentimenti contrastanti, la speranza e il timore, ho talvolta l'impressione di leggere, non senza dolci lacrime, non la storia di un altro, ma la storia della mia propria peregrinazione". (22)

Non diversamente si esprime nel De otio religioso: parla del ritorno a se stesso mediato dalla lettura delle Confessioni di Agostino, che lo innalzò " per primo all'amore del vero e per primo m'insegnò a sospirare salutarmente". Rivela inoltre sentimenti di commossa gratitudine e viva riconoscenza a Dionigi da Borgo San Sepolcro, che gli donò " quel libro che diede un freno al mio animo inquieto". (23)

Tra i corrispondenti agostiniani occupa un posto rilevante proprio il nominato P.Dionigi, sua guida spirituale e maestro di vita: gli aveva donato, come accennato, le Confessioni che portava sempre con sé: "libretto di piccola mole ma d'infinita dolcezza" (Familiari IV, 1). In questa lettera narra la famosa ascesa al Mont Ventoux con la lettura del celebre passo di Confessioni X, 8, 15: "Gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi dei mari, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell'Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi!" Altro agostiniano, affettuoso e rinomato amico fiorentino, iniziatore e animatore dei convegni culturali di S. Spirito, è il P. Luigi Marsili, al quale restituisce l'opuscolo delle Confessioni che lo aveva accompagnato nei frequenti spostamenti: "mi divenne inseparabile e quasi una parte della mia mano", (24) tanto da invecchiare insieme "e, fatto vecchio, è divenuto malagevole a leggersi da un vecchio.

Ma ora, finalmente, uscito dalla casa di Agostino ad essa ritorna, ora che, come penso, si farà nuovo compagno dei tuoi viaggi" (Senili XV, 7).

 

2. S. Teresa d'Avila (1515 - 1582)

Nell'autobiografia ricorda l'incontro con il libro agostiniano: "In quel tempo mi dettero le Confessioni di S. Agostino, forse per disposizione del Signore, perché io non cercai di averle, non conoscendone l'esistenza. Io sono molto devota di S. Agostino, perché il monastero dove fui da secolare era del suo Ordine, (25) e anche perché egli fu peccatore. I

nfatti provavo molto conforto nei santi che il Signore volse al suo servizio dopo essere stati peccatori, sembrandomi che mi fossero d'aiuto a sperare che, come il Signore aveva perdonato a loro, poteva farlo anche con me.

Solo una cosa mi desolava: essi, chiamati dal Signore una sola volta, non tornavano a cadere, mentre io ero già stata chiamata tante volte; e ciò mi dava gran travaglio. Ma, considerando l'amore che mi portava, riprendevo coraggio, perché non ho mai diffidato della sua misericordia; di me, invece, assai spesso ... Appena iniziai a leggere le Confessioni mi parve di ritrovarmi in esse e cominciai a raccomandarmi caldamente a questo glorioso santo.

Quando giunsi alla sua conversione e lessi della voce che egli udì nel giardino, mi parve che il Signore la facesse udire a me, per quel che ebbe a sentire il mio cuore, e rimasi lungo tempo sciogliendomi tutta in lacrime e provando nel mio intimo grande afflizione e travaglio" (Vita di S. Teresa 9, 7-8). (26)

 

3. Giovanni Papini (1881 - 1956)

In tempi a noi più vicini il convertito fiorentino rivela accenti non dissimili dal Petrarca, richiamato nel capitolo conclusivo, " La grandezza di Agostino", della biografia: "Il segreto della sua grandezza come scrittore, e anche come pensatore consiste in questo: ch' egli vive ciò che medita e sente nel profondo ciò che dice ... E per questo suo appello all'esperienza interna dell'individuo, oltre che per la sua appassionata inquietudine, si può dire colle debite restrizioni, ch'è il primo romantico dell'Occidente, il primo uomo moderno. Petrarca, che secondo alcuni merita questa definizione, non è che un suo discepolo e seguitatore". (27)

Lo scrittore, affrontando Agostino "come artista e come cristiano, non come patrologo e scolastico", nella prefazione descrive l'incontro " a gioventù inoltrata: un lettore universale - così si autodefinisce!- non poteva lasciar dapparte le celeberrime Confessioni. Si capisce gustai le parti umane più di quelle divine, ma quel romantico frugar nell'animo proprio e quella scottante e trepidante sincerità mi conquistarono. Posso dire che, prima di ritornare a Cristo, Sant'Agostino fu, con Pascal, l'unico scrittore che io leggessi con ammirazione non soltanto intellettuale.

E quando mi dibattevo per uscire dalle cantine dell'orgoglio a respirare l'aria divina dell'assoluto, Sant'Agostino mi fu di gran soccorso: anche lui letterato e amatore delle parole, ma insieme cercatore di filosofie e di verità, tanto da essere tentato dall'occultismo, anche lui sensuale e desideroso di fama. Gli somigliavo, si capisce, nel peggio, ma insomma gli somigliavo. E che un uomo a quel modo, così vicino a me nelle debolezze, fosse arrivato a rinascere e a rifarsi mi rincorava ... se prima l'ammiravo come scrittore ora gli voglio bene come un figliolo vuole bene al padre, lo venero come un cristiano venera un Santo". (28)

Nelle pagine conclusive coglie la somiglianza che lo avvicina a noi, permettendoci un comune cammino: " Sant'Agostino è un di quegli uomini per i quali non esiste la morte ... Voglio dire che è presente sempre e tutto vivo anche quaggiù, come se non fosse mai morto, tanto che si ha l'impressione, dopo che s'è praticato un po' di tempo, d'averlo conosciuto, d'averci parlato, d'esserci amici.

Le sue ossa son divise qua e là tra l'Europa e l'Affrica, ma la sua anima ha il privilegio ubiquitario d'essere in cielo sotto la luce d'Iddio e d'esser rimasta in terra per dar luce a noi. Luce calda, fuoco - ché il segreto di questa sopravvivenza è l'amore ... In lui c'è il Beato, cioè l'ospite e il fruitore dell'Eterno, il partecipe della sovranatura, ma c'è, anche, l'uomo, tutto l'uomo, un uomo che somiglia a noi". (29)

Egli continua a vivere nella nostra cultura grazie al suo cammino interiore, alle sue tensioni, al suo perenne dinamismo, che noi riscopriamo nella vita e nell'opera, e soprattutto nei suoi libri, "nei quali, come annota il primo biografo Possidio, i fedeli sempre lo ritrovano vivo. (30)

 

Lettura e significato delle Confessioni

A comprendere il contenuto e le motivazioni che hanno spinto Agostino - era vescovo da due anni quando nel 397 inizia la stesura che porta a termine tra il 400 e il 401 - a scrivere quest'opera della tarda antichità, unica e originale senza modelli precedenti, ci aiuta Possidio che, nella sua prefazione, ci avverte di non " raccontare tutto quello che il medesimo beatissimo Agostino narrò di se stesso nei suoi libri delle Confessioni, quale cioè sia stato prima di ricevere la grazia e come abbia vissuto dopo averla ricevuta.

Ciò egli volle affinché, come dice l'Apostolo, nessuno credesse o pensasse di lui più di quanto egli stesso sapeva o avesse udito da lui. Praticava così la santa umiltà, secondo il suo costume, evitando d'ingannare alcuno, cercando non la gloria sua ma quella del suo Signore nella propria liberazione e nei doni già da lui ricevuti, e invocando le preghiere dei fratelli per quelli che desiderava ricevere". (31) 

Il biografo ha ben chiara la svolta operata dalla conversione nella vita di Agostino. Alcuni studiosi, come R. De Monticelli, definiscono le Confessioni " la storia di una conversione"; (32) altri, come J. Fontaine, collegano insieme i due termini: "da conversioni a confessioni", affermando che " la conversine a Cristo non è un punto di arrivo ... è un punto di partenza per una conversione da riprendere costantemente, tra i cedimenti, le tentazioni, le lotte interiori". (33)

Si tratta quindi di un continuo viaggio, di un'attitudine durevole della dialettica del già e del non ancora. Il ruolo centrale della conversione, operata dalla grazia e dalla misericordia divina, è da tutti riconosciuto. R. De Monticelli, che sviluppa la lettura sotto l'angolatura dell'homo duplex, rileva che " nel soggiorno milanese (384 - 387) nasce un uomo nuovo, e una nuova mente grazie alla conversione, che inizia una produzione letteraria a getto continuo" e che " le Confessioni nascono da una svolta interiore esposta nelle Quaestiones ad Simplicianum 1, 2, 12 sulla scelta di Dio nell'opera di salvezza". (34)

Riguardo all'umiltà di Agostino, che parla del proprio passato - quis fuerim - e del proprio presente - quis sim - (Conf. X, 3, 4) e chiede di essere ascoltato e accolto personalmente, indipendentemente dal giudizio altrui, favorevole o sfavorevole che sia, il biografo ha certamente presente il libro X delle Confessioni (1, 1 - 4, 6) e probabilmente la lettera al conte Dario che gli aveva richiesto il libro. È una delle ultime lettere dell'epistolario (429 - 430), ma i sentimenti che lo animano sono identici a quelli delle Confessioni: " ricevi i libri delle mie Confessioni che hai desiderati.

Osservami in essi e non lodarmi più di quel ch'io sono; in essi credi a me e non ad altri sul mio conto. In essi considerami e osserva che cosa sono in me stesso, per me stesso e se vi troverai qualcosa che ti piacerà di me, lodane con me non me stesso, ma Colui che ho voluto venga lodato nei miei riguardi. Poiché è stato lui a farci e non già da noi stessi. Noi infatti eravamo periti ma è stato lui a rifarci; lui che ci aveva fatti. Quando in essi m'avrai trovato, prega per me, affinché io non faccia regressi, ma sia in grado di fare progressi. Prega, figlio mio, prega. So quel che dico, so quel che chiedo. Non ti sembri una cosa fuor di proposito e in un certo senso superiore ai tuoi meriti.

Mi priverai d'un aiuto prezioso, se non lo farai. E non tu soltanto, ma anche tutti coloro che mi vogliono bene per averti inteso parlare di me, preghino per me. Fa' sapere loro che sono stato io a chiederti ciò e, se voi mi attribuite importanza, fate conto che questa mia domanda sia un comando; concedeteci, ad ogni modo, quel che domandiamo oppure ottemperate a quel che vi comandiamo. Pregate per me" (ep. 231, 6).

 

Il genere letterario della confessio

Confessioni " è titolo tanto singolare quanto il nuovo genere che esso designa e inaugura". (35)

La confessio, che dà tensione sapienziale all'opera, è più genere biblico che letterario: si rapporta ai salmi, citati all'inizio del primo libro - Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode (Sl 47, 1) - e dell'undicesimo - È grande il Signore e ben degno di lode (Sl 117, 1) -. "Le Confessioni sono letteralmente ricamate e talvolta intessute con versetti dei salmi",36 tanto da costituire un lungo e articolato salmo di lode. Sulla stessa linea si muovono anche Pellegrino: " Sono un cantico di lode alla grandezza e misericordia divina";37 e Pizzolato: " Sono innegabilmente un inno di lode, ma sono un inno di lode che ha per materia la trattazione della vita di un uomo, dell'autore". (38)

In un certo senso, e solo parzialmente (i primi nove libri che si chiudono con la morte di Monica), sono un'autobiografia in forma di preghiera di lode e ringraziamento a Dio, che lo ha guidato nel cammino e l'ha liberato da innumerevoli deviazioni e traviamenti. Opera d'intensa preghiera in continuo dialogo con Dio, tanto da essere una lunga lettera a Dio: "E le Confessioni cos'altro sono se non un'immensa Epistola a Dio, scrive Papini, una grandiosa lettera dello schiavo al padrone, del redento al salvatore, dell'ignorante all'onnisapiente, del beneficato al benefacente.

A Lui si confida, a Lui chiede, a Lui rammemora la passata carità, a Lui si raccomanda; e lo prega ... Le Confessioni sono una lettera ch'ebbe la sua risposta prima d'essere scritta; è il canto della riconoscenza deposto dal povero ai piedi del Ricco che l'ha sfamato". (39) Fondono insieme autobiografia e preghiera "in prima persona e al vocativo", come ben si esprime la De Monticelli: "un io che si rivolge a Dio", (40) a dimostrazione che Agostino scrive pregando o prega con la penna in mano, come l'hanno bellamente raffigurato Benozzo Gozzoli nel ciclo pittorico di San Gimignano e il Botticelli nella chiesa fiorentina d'Ognissanti. Essendo opera di preghiera chiedono, afferma A.. Solignac, " di essere lette da un'anima di preghiera; opera di fede non si chiariscono pienamente se non per il lettore che, nei fatti o nel desiderio, condivide questa fede; opera fraterna reclamano dal lettore un cuore all'unisono, fraterno e apostolico come quello del loro autore". (41)

Opera unica, originale nella forma e nel contenuto, sta da sola: "è la gemma più bella in lingua latina" della tarda antichità, scrive Fontaine;42 rappresenta " un unicum nel complesso della letteratura antica e nella totalità dell'opera agostiniana". (43) Nelle Confessioni l' "Agostino narrante" giudica e analizza i fatti dell' " Agostino narrato", (44) riflette su se stesso, prega, privilegiando, sugli aspetti esteriori, l'intima vita spirituale, offrendoci l'autentico ritratto di se stesso con un pensiero " sempre personale, anzi esistenziale", che si radica "nell'esistenza di Agostino". (45)

"I primi nove libri attualizzano il passato nella memoria; il libro X esprime il presente nella fede vissuta; gli ultimi tre libri dispiegano nella Creazione la speranza del suo compimento finale". (46)

Non sono autobiografia nel senso comune del termine, che si chiude col libro IX (confessione del passato); il libro X offre un quadro delle tentazioni e debolezze attuali del vescovo (confessione del presente); i libri XI - XIII offrono un saggio del ministero di interprete e dispensatore della parola divina, i cui principi esegetici aveva esposto nei primi tre libri del De doctrina christiana. (47)

"Le Confessioni, nota Fontaine, apportano alle idee espresse nel De doctrina una sorta di fondamento sperimentale: un terreno di applicazione costituito dall'esperienza personale di Agostino allievo e maestro". (48)

L'analisi dei termini serve per cercare e dare unità all'opera, che include la confessio peccatorum (dolore per la salvezza perduta), la confessio laudis (gioia per la salvezza ritrovata) e la confessio fidei (la parola di Dio fonda la nuova vita). Se è vero che il Santo si rivolge a Dio, sotto il cui sguardo paterno legge la propria vita, dalla nascita al servizio episcopale, che lo pone in una nuova situazione: "Ma quando mai riuscirò con la lingua della mia penna a elencare tutti i tuoi incitamenti e tutte le tue intimidazioni e le consolazioni e le direttive, con cui mi conducesti a predicare la tua parola e a dispensare il tuo sacramento al tuo popolo?" (Conf. XI, 2, 2), nello stesso tempo "si apre con umano trasporto, a manifestare la sua esperienza ai compagni del viaggio mortale verso la stessa meta". (49)

I nuovi doveri episcopali offrono una triplice via d'accesso a Dio attraverso il sacrificio di lode (confessio laudis), la fede vissuta (confessio fidei) e la Parola di Dio (confessio Dei): " Hai spezzato i miei lacci, ti offrirò un sacrificio di lode" (Conf. VIII, 1,1). Dio è così presente che G. Vigini scandisce i libri a seconda dell'assenza o presenza di Dio; i libri I-IV: Dio della lontananza; V-IX: Dio dello svelamento; X-XIII: della rivelazione permanente. (50)

Il dialogo con Dio, che è il vero protagonista e l'attore principale, avviene sotto il segno dei salmi: alla base del dialogo è la Sacra Scrittura, che indica e "prospetta la coerenza profonda degli ultimi tre libri con i precedenti": (51)

"Da molto mi riarde il desiderio di meditare la tua parola, di confessarti la mia conoscenza e la mia ignoranza in proposito, le prime luci della tua illuminazione e i residui delle mie tenebre, fino a quando la mia debolezza sia inghiottita dalla tua forza. Non voglio disperdere altrimenti le ore che mi ritrovo libere ... Siano le tue Scritture le mie caste delizie" (Conf. XI, 2, 2-3).

 

Confessio laudis e confessio peccatorum

Già da semplice prete (siamo negli anni 393-394), parlando ai fedeli, spiega il duplice significato del termine confessio nella Scrittura: "C'è la confessione di chi loda e la confessione di chi geme. La confessione di chi loda è un onore tributato a colui cui è indirizzata la lode; la confessione di chi geme è un atto di pentimento da parte di chi accusa se stesso.

Ci si confessa, pertanto, o lodando Dio o accusando noi stessi; e non c'è cosa più eccellente che possa compiere la lingua". E dopo aver addotto due testi, uno di lode: "Ti confesso, o Padre, Signore del cielo e della terra" (Lc 10, 11) e uno di accusa: " Preveniamo il suo volto con la confessione" (Sl 94, 2), prosegue: "E non sarà questo confessare i peccati un gesto che torna a lode di Dio? Senz'altro! È una magnifica lode di lui. E perché mai? Perché tanto maggiore è la gloria del medico, quanto più grave e disperata era la malattia dell'infermo ... Tanto più grande è infatti la lode che merita chi t'ha perdonato, quanto maggiore era il numero delle colpe che pentito riconosci ... riconoscendo la nostra debolezza, glorifichiamo la maestà di Dio" (in ps. 94, 4). (52)

La lode traspare quasi in ogni pagina ed è soprattutto presente all'inizio quasi di ogni libro, dove si accompagna all'accusa dei peccati. (53) La confessione innesca sempre un dialogo, che è triplice: con Dio (ascolto e preghiera), con se stesso (esame e riflessione sulla propria vita), con l'umanità e i lettori (stimolo a progredire verso il bene): "Ma a chi narro questi fatti? Non certo a te, Dio mio. Rivolgendomi a te, li narro ai miei simili, al genere umano, per quella piccolissima particella che può imbattersi in questo mio scritto. E a quale scopo? All'unico scopo che io ed ogni lettore valutiamo la profondità dell'abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te" (II, 3,5).

L'idea, espressa anche altrove (IV, 1, 1; V, 1, 1; IX, 12, 33), ritorna nel libro X, il più ampio e denso di preghiera, dove la confessione a Dio è insieme "tacita e non tacita. Tace la voce, grida il cuore, poiché nulla di vero dico agli uomini, se prima tu non l'hai udito da me; e tu da me non odi nulla, se prima non l'hai detto tu stesso" (2,2); e la confessione agli uomini, alcuni curiosoni, altri spinti dalla carità, è invito a sperare che il cammino iniziato attinga nella fede (confessio fidei) il suo compimento: "Le confessioni dei miei errori passati, da te rimessi e velati per farmi godere della tua beatitudine dopo la trasformazione della mia anima mediante la tua fede e il tuo sacramento, spronano il cuore del lettore e dell'ascoltatore a non assopirsi nella disperazione, a non dire: Non posso; a vegliare invece nell'amore della tua misericordia, nella dolcezza della tua grazia, forza di tutti i deboli divenuti per essa consapevoli della propria debolezza.

I buoni, poi, godono all'udire i mali passati di chi ormai se ne è liberato; godono non già per i mali, ma perché sono passati e non sono più. Con quale frutto dunque, Signore mio, cui si confessa ogni giorno la mia coscienza, fiduciosa più della speranza della tua misericordia, che della propria innocenza, con quale frutto, di grazia, confesso anche agli uomini innanzi a te, attraverso queste pagine, il mio stato presente, non più il passato? Il frutto di quelle Confessioni l'ho capito e ricordato; ma il mio stato presente, del tempo stesso in cui scrivo queste confessioni, sono molti a desiderare di conoscerlo, (54) ma mi hanno sentito parlare di me senza avere l'orecchio sul mio cuore, ove io sono comunque sono.

Dunque desiderano udire da me la confessione del mio intimo ... desiderano udirmi, disposti a credere, ma come sicuri di conoscere? Glielo dice la carità, per cui sono buoni, che non mento nella mia confessione di me stesso. È la carità a credermi in loro" (3, 4).

Chi lo legge col cuore, in atteggiamento cordiale e confidenziale, percepisce la voce di uno che, cercando il senso della propria esistenza come pienezza di vita e di felicità, ha ritrovato l'equilibrio perduto ed ha inserito il tempo transeunte della creatura (libro XI) nel tempo della Creazione continua (libri XI - XIII), che è Provvidenza e misericordia e stimola sia la ricerca sia il riposo, passando dall'inquietudine alla beatitudine: " Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te" (I, 1, 1).

"Signore Dio, poiché tutto ci hai fornito, donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto ... nel sabato della vita eterna riposeremo in te" (XIII, 35, 50. 36, 51). La voce di Agostino risuona ancora oggi e ci sprona a camminare nell'amore, che sempre permane: "Piuttosto eccito in me e in chi li leggerà l'amore verso la tua persona. Tutti dovremo dire: È grande il Signore e ben degno di lode ... Confessandoti dunque le nostre miserie e le tue misericordie su di noi, noi manifestiamo i nostri sentimenti verso di te affinché tu possa completare la nostra liberazione da te già iniziata; affinché noi cessiamo di essere infelici in noi e ci rallegriamo in te che ci chiamasti ad essere poveri nello spirito, e miti e piangenti, affamati e assetati di giustizia, e misericordiosi e mondi in cuore, e pacifici" (XI, 1, 1).

La vita intera si rivela dunque come " ascesa dalla valle del pianto", scandita e ritmata dal cantico dei gradini (IX, 2, 2), " verso la pace di Gerusalemme", cui aspiriamo e sospiriamo, sospinti dall'amore: "Il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto. Il tuo dono ci accende e ci porta verso l'alto. Noi ardiamo e ci muoviamo.

Saliamo la salita del cuore, cantando il cantico dei gradini. Del tuo fuoco, del tuo buon fuoco ardiamo e ci muoviamo, salendo verso la pace di Gerusalemme. Quale gioia per me udire queste parole: Andremo alla casa del Signore! Là collocati dalla buona volontà, nulla desidereremo, se non di rimanervi in eterno" (XIII, 9, 10).

 

 

Note:

1 G. PAPINI, Sant'Agostino, Milano 1970, p. 225.

2 R. J. NEUHAUS (a cura di), Agostino oggi, Milano 2000, pp. XIII - XIV.

3 J. GUITTON, op. cit., Roma 19632, p. 9.

4 H.- I. MARROU, op. cit., Brescia 1990, p. 121.

5 J. BERNHART, Confessioni, Frankfurt 1961, pp. 943 e 1007.

6 Op. cit., p. 225.

7 V. PARONETTO, Agostino. Messaggio di una vita, Roma 1981, pp. 117 - 118.

8 S. AGOSTINO, Soliloqui e Confessioni, a cura di A. MODA, Torino 1997, p. 16.

9 Ibi, p. 14.

10 Le confessioni di S. Agostino, Roma 1956, p. 3; cf. F. VAN DER MEER, S. Agostino pastore d'anime, Roma 1971, p.1246 : "Agostino è l'autore del libro più personale, più attraente ed anche più nervoso di tutta l'Antichità".

11 S. AGOSTINO, Le Ritrattazioni (NBA 2 ), introd. di G. MADEC, traduz. e note di U. PIZZANI. Roma 1994, p. 159, n. 15.

12 De dono perseverantiae 21, 55, S. AGOSTINO, Grazia e libertà (NBA 20 ), Roma 1987, introduz. e note di A. TRAPE, trad. di M. PALMIERI.

13 J. FONTAINE, introduz. generale, AGOSTINO, Le Confessioni ( Valla - Mondadori ), vol. I, Milano 1982, pp. XI e CXXVIII.

14 S. AGOSTINO, Le Confessioni, a cura di G.VIGINI, Cinisello Balsamo 2001, pp. IX e XI.

15 B. PASCAL, Oeuvres complètes, Paris 1963 ( l' Intégral ) a cura di H. GOUHIER e L. LAFUMA, Pensées 675 - 29.

16 Op. cit., p. XI.

17 Ibi, p. XI e p. CXXXIV: con richiamo al " fascino inesauribile e costante" dell'opera.

18 S. AGOSTINO, Le Confessioni ( NBA 1 ), Roma 1965, p. X. 19- S. AGOSTINO, Confessioni, Milano 1990, pp. LV ss.

20 S. AGOSTINO, Le lettere. Supplemento ( NBA 23/1 ), Roma 1992; cf. Lettres 1*- 29* (BA 46 B) a cura di J. DIVJAK, Paris 1987, introd. all'ep.12* di J. WANKENNE, pp. 488 - 493.

21 F. PETRARCA, Rime e Trionfi, a cura di F. NERI, Torino 1968, p. 89. 22- Opere latine, a cura di A. BUFANO, Torino 1975, Secretum I, p. 69.

23 Ibi, De otio religioso II, pp. 802 - 805.

24 L' immagine della mano allude a Enchiridion 1,6, dedicato a Lorenzo: " Tu ci richiedi un manuale, che si possa tenere in mano e non che possa appesantire uno scaffale".

25 Era il monastero di Nostra Signora della Grazia, in cui entrò il 13 luglio 1531.

26 Vita di S. Teresa di Gesù, scritta da Lei stessa, Opere, Roma 19858, pp. 102 - 103. Teresa entrò nel monastero dell' Incarnazione il 2 novembre 1536, dove professò l'anno seguente, il 3 novembre 1537.

27 Op. cit., pp. 276 - 277.

28 Op. cit., pp. XIV - XV.

29 Op. cit., pp. 260 - 261.

30 Vita di S. Agostino 31, 8, a cura di M. PELLEGRINO, Alba 1955, p. 193.

31 Ibi, 5 - 6, pp. 39 - 41.

32 Op. cit., p. IX.

33 Op. cit., p. XXX.

34 Op. cit., pp. XV e XXXIII.

35 J. FONTAINE, op. cit., p. XXIV.

36 Ibi.

37 Op. cit., p. 13.

38 F. PIZZOLATO, Le Confessioni di S. Agostino: Da biografia a confessio, Milano 1968, p. 13.

39 Op. cit., pp. 231 - 232 .

40 Op. cit., pp. XLVIII - IL.

41 S. AUGUSTIN, Les Confessions ( BA 13 ), Paris 1962, p. 18.

42 Op. cit., p. XII.

43 F. PIZZOLATO, op. cit., p. 10; cf. J. FONTAINE, op. cit., p. CXXVIII.

44 A. MASNOVO, S. Agostino e S. Tommaso, concordanze e sviluppi, Milano 1950, p.99.

45 J. FONTAINE, op. cit., p. CXXIX.

46 Ibi, p. LXXI.

47 Cf. Retract. II, 4.

48 Op. cit., p. XCIII.

49 V. PARONETTO, op. cit., p. 119.

50 Op. cit., p. XXII.

51 J.FONTAINE, op. cit., p. XLVIII.

52 Tra i numerosi testi agostiniani vedi in ps. 7, 19; 19, 22; 44, 33; 66, 6; 75, 14; 99, 16; 104, 1; 105, 2; 110, 2; 117, 1-2; 141, 19; 144, 13; 146, 14; SS. 29, 2; 67, 1; 68 ( Mai 126 ), 2; 177, 5; Conf. I, 15, 24; II, 7, 15; IV, 1, 1; V, 1,1; V,1, 1. 8, 14; VIII, 1,1; X, 1, 1. 5, 7.

53 Confes. I, 1, 1. 6, 10; II, 1, 1. 7, 15; IX, 1,1. 12, 33; X, 37, 61.

54 Tra i molti è da annoverare Paolino da Nola desideroso di conoscere la vita di Alipio e di Agostino ( ep. 24 e 25 del 394 ), che gli risponde con l' ep. 27 ( del 396 ), chiedendo preghiere: "Prega, te ne scongiuro, perché io invochi il Signore non con l'intenzione di essere lodato ma lodandolo ( laudans invocem ) e sarò salvo dai miei nemici". M. Pellegrino, che propone la data del 396, poco prima delle Confessioni, collega la frase citata ai verbi laudare, invocare, invocans te et invocem te di Conf. I, 1, 1 ( op. cit., p. 5).