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Giacomo apostolo maggiore

 Il martirio di san Giacomo: affresco romanico nella chiesa di sant'Orso ad Aosta

Aosta, chiesa di sant'Orso:

il martirio di san Giacomo, affresco del XIII sec.

 

 

 

GIACOMO APOSTOLO detto il MAGGIORE

 

 

Figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giovanni Evangelista, nativo di Betsaida, di professione pescatore, fu da Gesù chiamato fra i primi all'apostolato, insieme col fratello ed essi, lasciato tutto, lo seguirono generosamente (Mt. IV, 12). Entrambi dallo stesso Gesù furono chiamati Boanerges, cioè figli del tuono (Mc III, 17) nome che ne rispecchia l'indole ardente, schietta ed aperta. Perciò forse i due fratelli furono prediletti, insieme con Pietro, dal divino Maestro, che li volle testimoni della Trasfigurazione, della Risurrezione della figlia di Giairo e della sua Agonia nell'orto dei Getsemani. La madre Salome osò chiedere per i suoi due figli che sedessero uno alla destra e l'altro alla sinistra di Cristo Gesù nel suo Regno, ma Gesù la corresse promettendo che avrebbero partecipato della sua gloria solo dopo aver bevuto il calice della Passione (Mt. XX, 20-23). Giacomo infatti, dopo l'Ascensione di Gesù, predicò il Vangelo dapprima in Giudea e Samaria, poi, secondo una tradizione, si sarebbe recato in Spagna dove avrebbe convertito molti pagani alla fede. Ritornato in Gerusalemme incontrò la persecuzione di Erode Agrippa, che per ingraziarsi i Giudei lo mise a morte (Act. XII, 1-2). Giacomo fu il primo Apostolo martire nell'anno 42. La sua festa si celebra il 25 luglio.

 

La leggenda di S. Giacomo e i pellegrini in viaggio per Santiago de Compostella

 

Primo nel collegio dei Dodici, Giacomo ha subito la decapitazione per ordine del re Erode. Gli Atti degli Apostoli su questo punto tacciono, ma si sa bene, dalla cristianità medioevale che i sette discepoli del figlio di Zebedeo hanno imbarcato i suoi preziosi resti in una barca che vagando attraverso il Mediterraneo ha passato le colonne d'Ercole, costeggiato l'ultima costa d'occidente per approdare al porto estremo, sotto il promontorio dove finisce la terra. E proprio là san Giacomo era sbarcato per evangelizzare la Spagna. Il suo corpo venne nascosto a poca distanza dalla costa e la pace dell'oblio nascose la sua tomba: solo un inno mozarabico celebra questo ricordo che si attarda come bruna sul sole insanguinato.

Ma nell'alto medioevo la cristianità, resistendo a tutti gli assalti, si radica su queste rive e Dio, per ricompensa, parla: nel IX secolo che si apre fremente dello strepito delle spedizioni franche (Chanson de Roland), una voce dall'estrema Galizia annuncia una stella nuova che si è levata dai campi dove mai nessuno ha lavorato nè bestia ha pascolato. L'eremita Pelagio in una visione viene avvertito che Dio si appresta a rivelare il luogo della sepoltura del suo Apostolo. Il vescovo del luogo fa perlustrare il terreno del campo della stella, campus stellae, Compostella ! Si scopre un sarcofago, confermato e riconosciuto da grandi miracoli, di cui forse il minore, se non il più precoce, è il fatto che la linguistica moderna non abbia osato rifiutare questa straordinaria storia. Sopra la tomba il re delle Asturie Alfonso II il Casto (791-842) fece innalzare la prima modesta basilica, segno della venerazione di cui il potere laico voleva circondare il corpo dell'Apostolo. Alfonso III il Grande (866-912) la ricostruì in marmo e trasferì a Compostela il seggio episcopale che prima era a Iria.

Santiago simboleggia la reconquista della Spagna sui mori: croce contro mezzaluna, Cristo contro Maometto. Nonostante che il flusso e il riflusso degli infedeli abbia alternativamente sommerso e liberato la Spagna per molti secoli, è soprattutto durante l'XI e il XII secolo che esplode questo movimento di reconquista. Questa crociata fu posta sotto il segno di un santo e si scelse san Giacomo, anche perchè secondo la leggenda avrebbe evangelizzato la Spagna e nell'844, a Clavijo, mentre don Ramire combatteva i saraceni, sarebbe apparso, spada alla mano, cavalcando un cavallo bianco: il figlio del tuono avrebbe letteralmente sconvolto e messo in fuga gli arabi. San Giacomo divenne allora il Matamoro, lo sgominatore dei mori. Giacomo era poi l'unico dei dodici il cui corpo, conservato sempre nello stesso sepolcro, non subì nè spostamenti nè atti vandalici, e questa integrità fisica, insigne privilegio del seggio di Compostela, che non ha lasciato spazio alle pretese d'altre chiese di possedere anche piccoli frammenti dei preziosi resti, aiuta a sufficienza a spiegare l'eccezionale fortuna del pellegrinaggio che si sviluppò nel medioevo attorno a questa località della Galizia. Non si ripeterà mai a sufficienza quanto fu viva nell'alto medioevo la coscienza di una continuità nel cristianesimo e della trasmissione apostolica ancora così vicina e viva: pregare alla tomba di san Giacomo era raggiungere uno dei compagni più vicini a cristo, uno dei primi apostoli, primus inter apostolis, così come invoca il canto di marcia dell'Ultreia (e oltre e sopra Dio ci aiuta) e arricchirsi vicino a questo corpo intatto di grazie abbondanti quanto Roma (luogo di sepoltura di Pietro) e della stessa qualità storica, in ricompensa di una fatica altrettanto impegnativa.

Se palmiere era il pellegrino di Terra Santa (dal nome delle palme che andava a cogliere a Gerico), se Romeo, era il pellegrino di Roma, jaquot, jaquet o jaquaire (san Giacomo) era il pellegrino di Compostela. Con un lungo mantello a forma di pellegrina che copre tutto il corpo fino ai piedi, il pellegrino portava in capo un cappuccio. San Giacomo stesso non disdegna questo tipo di copricapo con la tradizionale conchiglia impressa anteriormente, mentre il bastone da viaggio chiamato bordone è il tipico attributo del pellegrino.

L'abbazia di Cluny e il movimento cluniacense favorirono il pellegrinaggio sulla tomba di san Giacomo. Il santo amato e propagandato dall'abbazia borgognona, il santo a cui è dedicato, non a caso, il cluniacense monastero di Pontida, è diventato contitolare della chiesa parrocchiale di Cassago. Perchè a Cassago il monastero di Pontida si impiantò stabilmente a partire dal 1117, quando l'abbazia di Cluny era al massimo fulgore della sua potenza. Per motivi non ancora noti, alcuni uomini di Renate il 19 gennaio 1117 decisero di concedere in affitto al monastero di Pontida le terre e i cascinali di Cassago con un contratto a livello della durata di ventinove anni rinnovabili però in perpetuo. In pratica si trattava di una sub investitura che trasferiva ai monaci di Pontida i diritti e i doveri dei contadini di Renate. Gradualmente Pontida assunse un ruolo di primaria grandezza tra i pochi grandi proprietari che potevano vantare diritti sulle terre di Cassago.

Nel Trecento la presenza del monastero di Pontida in Cassago fece sentire la sua influenza spirituale ed economica sul paese. Vari contratti chiariscono i rapporti tra monastero e Cassago.

Oltre alle solite raccomandazioni di conservare e migliorare la proprietà, il contratto prevedeva alcune interessanti clausole, tra cui sicuramente va ricordata quella che imponeva alla Comunità di "solvere presbitero de Cassago omne ac totum id quod eidem solitum est solvi pro offitiando ad ecclesiam dicti loci et eum manutenere suis expensis": gli uomini di Cassago cioè, come era d'abitudine, si dovevano impegnare a mantenere a proprie spese un sacerdote per l'esercizio delle funzioni religiose nella chiesa del paese. Questa cura dei monaci nell'assicurare al paese una duratura assistenza religiosa giustificherà nel tempo la dedicazione della chiesa a S. Giacomo accanto alla primitiva dedicazione a S. Brigida vergine d'Irlanda.

 

Festa di san Giacomo a Cassago

La festa liturgica di san Giacomo non compare nel primo elenco a noi noto che descrive tutte le feste di voto o di consuetudine celebrate nella parrocchiale di Cassago nel 1500. San Carlo nel 1571 chiederà al curato "quale fusse bisogno fare la festa di sancto."

La festa, a carico della comunità di Cassago, non era celebrata con regolarità ma solo quale ne fusse bisogno. Nel '600 la festa di san Giacomo viene celebrata con più regolarità: nel 1623 leggiamo che furono riscosse 52 lire per la cera venduta a sancto jacomo; nel 1624 si trova che per la festa di sancto Jacomo furono dati al parroco 25 lire. La festa è sopravvissuta nei secoli anche se generalmente ha goduto di minore importanza rispetto a quelle celebrate per sant'Agostino e santa Brigida. Un aspetto che rende questa festa un po' particolare è l'abitudine di bruciare un pallone.

 

Il pallone di S. Giacomo

In antico nelle feste dei santi più solenni, tutto il clero si recava processionalmente alla chiesa per i Vesperi e la messa. In processione non si portavano i candelieri ai fianchi della croce, ma le candele si ponevano sulla sommità e sulle braccia della croce. Quando la processione giungeva all'ingresso del presbiterio, con la candela posta sulla sommità della croce si accendeva il pharus o corona: sopra di essa si collocava un anello di bambagia a cui veniva dato il fuoco, che accendeva le singole lampade. L'uso si è poi trasformato e ora nelle feste di un santo martire, titolare o patrono, è un globo di bambagia che viene bruciato dal celebrante con tre candeline poste all'estremità di una verga e vorrebbe significare il sacrificio della vita del martire.

Il fatto che il celebrante un tempo entrasse portando la croce astile sormontata da tre candele è significativo. Questa antica usanza della croce risplendente di gloria introduce visivamente il tema della luce vista come gloria di Dio o come nel testo giovanneo in cui Cristo è luce che viene dalle tenebre per illuminarle. Questo simbolismo viene ripreso dal lucernario delle Lodi e dei Vesperi. Anche il numero delle candele, tre, sembra dichiarare in tutta evidenza il suo significato simbolico riferendosi alla trinità. E' poi importante che sia il celebrante stesso ad accendere il lampadario, poiché riprendendo il passo giovanneo, la luce viene nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta, i figli della luce invece sì. Il lampadario illumina i fedeli riuniti in chiesa, i fedeli che hanno accolto la salvezza e sono così figli della luce, primizia per tutti. La posizione del lampadario posto sotto l'arco trionfale al confine fra il presbiterio (abitazione di Dio) e la navata (arca della salvezza) dove è riunito il popolo dei fedeli, fa del lampadario stesso il simbolo di Cristo, che illumina gli uomini con la verità della fede.

Il pallone dedicato al martire aggiunge altri motivi complementari. Bisogna ricordare che nella chiesa primitiva il martirio era l'unica forma di santità possibile. Il martire è colui che si è reso in tutto simile a Cristo, come lui sacrificando la propria vita per testimoniare la fede. Il martire finisce per partecipare col proprio corpo alla funzione sacerdotale del Salvatore. Così il pallone che prende fuoco dalle tre candeline alzate dal sacerdote è la vita del martire che si consuma per la fede ardente nella trinità. Anche i il bianco dell'ovatta non è casuale: liturgicamente il bianco è il colore riservato alle solennità di Cristo, come il Natale o la Pasqua; è il colore dello splendore e della gloria di Dio. In antico era il colore riservato ai martiri perchè uniti nella gloria di Cristo Dio. La forma sferica è forse la totalità del sacrificio del martire.