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tina beretta trezzi: agostino, l'uomo del dialogo

 Il battesimo di sant'Agostino: formella dell'arca del santo in san Pietro in Ciel d'Oro

Arca di sant'Agostino a Pavia:

il battesimo del santo e del figlio Adeodato

 

 

 

AGOSTINO, L'UOMO DEL DIALOGO

di Tina Beretta Trezzi

 

 

 

Agostino, il filosofo invaghito di Dio, il padre dell'interiorità, il cristiano totale, il pensatore della felicità mentale, in questi e molti altri modi definiscono il Retore algerino venuto dal mare a Roma e a Milano per scrivere poi nel silenzio del Rus Cassiciacum, la sua prima opera fondamentale, i Dialoghi di Cassago. Régine Pernoud, studiosa infaticabile del Medio Evo, lo chiama "luce del mio alto Medioevo". Egli è più semplicemente l'uomo del dialogo, perchè visse un dialogo ininterrotto con il suo Dio al quale scrive la lettera più lunga e famosa, le Confessiones. Più che con l'Essere Assoluto della fede, parla con l'Amico Vivente il quale si rivela e agisce nel singolo uomo, chiamandolo ad interpretare una storia unica e differente per ciascuno. Così mondo ed esistenza ricevono nome e paternità.

"E se vi è un uomo convinto di tutto ciò, questo è Sant'Agostino" (1).

Dialogò "con tutta la cultura dell'antichità e si può dire confluisca nelle sua opera e da essa derivino correnti di pensiero che pervadono la tradizione dottrinale dei secoli successivi" (2). Conservò la forma dialogante in ogni fase della propria esistenza, nel periodo manicheo, nella breve sosta fra i dottori della media Accademia, che si richiamavano allo scetticismo, ma che alla fine segneranno il passaggio definitivo alla fede del Cristo. Jean Guitton, nelle sue lezioni in Sorbona, ci spiegava che nelle 93 opere, divise in 232 libri, difese più di ogni altro la verità cristiana, con forza, ma senza imporre, cercando di persuadere il più possibile.

ll filosofo francese attinse molto da lui e diceva:"Tutti i "contra" che troverete leggeteli a volte come condanna, ma per lo più come invito all'ascolto" (3). L'eresia è pur sempre ricerca profonda (*******). Diventa eresia quando si ritorce contro al sua verità di ricerca." Agostino dialogò con la dottrina platonica, appresa più dai neoplatonici (Platone era tradotto solo in parte dal greco). Accolse l'essere uno-immutabile e "in modo straordinariamente moderno" lo trasportò nella Trinità divina, quindi nell'anima umana che ne è l'immagine. Discorre con il senso interiore delle cose per comunicarlo e dare all'intellettualità classica la profondità intima di ciò che sentiamo, l'Essere saldo e immutabile cui ancorarsi.

Per chiarire meglio ricorreva all'esempio del discorso. Quale è il vero essere delle parole che si susseguono e possono mutare? Le parole esterne o il "consilium" interiore? Certamente il secondo, che sarà poi materia del De Magistro e nel De vera religione esorta: "Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell'interno dell'uomo si trova la verità e, se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te medesimo". Allo stesso modo dialoga e propone un dibattito chiarissimo per spiegare il suo credo ut intelligam che potrebbe diventare intelligo ut credam: "Fides enim non est quod creditur, sed qua creditur" (4).

Poi spiega che la sapienza (da sàpere, aver gusto), è quasi un gustare quello che si sa, grazie al contatto interiore con il logos, con la Sapienza che è Dio. E Agostino parla al Mistero, amiamo l'intelletto per capire meglio la necessità della fede: "Essa ha occhi suoi, con cui riconosce vero ciò che ancora non vede" (5). Con il tempo e la natura che si svolge nel tempo, Agostino ha un rapporto profondo, speciale: il prima, il dopo, il presente, i suoni, i colori, il volere che non può agire senza l'atto continuo di Dio, che è la Grazia. L'immagine dell'eternità che si stende nel tempo, è molto intensa. Ogni esistenza temporale esiste solo per quel tanto che riesce ad essere "distensio animae": "Ma tu, Signore, sei sempre attivo e sempre in quiete e non si svolgono nel tempo il tuo agire e il tuo volere, eppure tu porti a compimento le visioni temporali e la stessa successione del tempo e la quiete dopo il tempo" (6).

L'occasione tragica del sacco di Roma da parte dei Goti, nel 410, gli diede l'opportunità di estendere la comunicazione interiore della creatura con Dio, anche alla vita associata e, fra il 413 e il 426, scrisse i 21 libri della Città di Dio. Porta così al dialogo la città terrena con la città celeste. Coloro che tendono a realizzare il bene spirituale per sé e per gli altri, nelle ore del tempo sono confusi con gli uomini che fanno dei beni materiali il fine supremo e molti giusti soffrono, ma il giudizio finale li separerà. Carlo Magno faceva leggere, nelle riunioni con i suoi funzionari, alcuni passi del De civitate Dei. Di fatto Agostino di Ippona, Ambrogio di Milano e Carlo Magno segnarono la vita della nuova Europa: Nord Sud, lungo la via dell'Oriente e dell'occidente, mutarono i rapporti tra la forza religiosa e quella politica, la forza delle radici cristiane (di cui oggi si discute un po' ovunque). Cicerone fu il grande interlocutore del Retore africano, fin da quando aveva 20 anni. Cominciò ad interrogarsi, a discutere con gli amici sul bene, sul male, sul dolore e la felicità.

Il De amicitia lo accompagnò sempre. Già delicata e sincera per Cicerone, Agostino elevò il valore classico dell'amicizia a sentimento bello, fedele, a dono di Dio, come tutto ciò che viene da Lui: "E anche l'amicizia degli uomini è dolce nel suo caro modo che stringe molte anime in una (7). Non scordò mai i propri amici, a qualunque ceto appartenessero, li raggiungeva con lettere e pensieri. La morte di un amico carissimo, del quale non sappiamo il nome, lo sconvolse e allora dialogò con l'angoscia e si rasserenò, pensando che la parola di Dio non ha paura dell'angoscia: "Felice chi ama l'amico in te, Signore (...) l'unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti i cari in Uno che non si perde, in Dio." (8) Nebridio di Cartagine, Simpliciano di Milano santo prete, Ambrogio vescovo, gli amici di Cassiciaco, politici e religiosi, Melania e il suo sposo Piniano. Non era lui ad essere trascinato nell'amore, erano gli altri a seguirlo senza perdere la libertà del loro cuore.

Non si arrese nemmeno di fronte al silenzio di San Girolamo che, preso dagli studi biblici e a causa di certi disguidi, non rispondeva, finché il dialogo Betlemme-Ippona ricominciò dopo 10 anni, intatto e regolare: "Ho deciso di amarti - scrive Girolamo - di sostenerti (..), di difendere i tuoi scritti come fossero miei." (9) A Ippona la presenza e la forza dei donatisti (il cui vescovo aveva provocato lo scisma africano), diventavano sempre più aggressivi. Agostino cercò in ogni modo di arginare l'eresia, con colloqui e scritti vari. Quando cercarono di eliminarlo fisicamente furono imprigionati, ma l'uomo del dialogo anche questa volta non venne meno, scrisse una lettera con molta umiltà e fermezza a Marcellino governatore dell'Africa romana, perché risparmiasse ai colpevoli la pena capitale (siamo verso il 412).

Étienne Gilson, noto agostinista francese, legge in questo episodio il perdono cristiano e l'amicizia estesa a tutti gli uomini: il Corpo mistico. Ricordo soltanto ora Monica in quanto è la "sempre presente" (Guitton), la madre, la donna, l'amica più importante. Dopo la sua morte ad Ostia, dialogò con lei, recitando i versi di Ambrogio che lei andava sempre ad ascoltare e con il quale si confidava: "Dio, creatore di tutto cardine delle stelle vesti di luce il giorno la sera d'abbandono dolcezza del ristoro in cui si soglie il corpo e la mente si fa lieve colmo nel cuore il lutto." (10) Agostino aveva 76 anni, i Vandali di Gianserico assediavano Ippona, ma egli rimase al suo posto, vecchio, malato, pregava in totale abbandono a Dio. ll teologo, il filosofo, il vescovo invocava soltanto la misericordia divina "su di sé peccatore". Il suo amico e biografo Possidio ci racconta che i salmi penitenziali vennero trascritti su grandi fogli e appesi alle pareti della stanza da letto, in modo che potesse rileggerli. Fu l'ultimo dialogo terreno. Agostino resta figlio del suo tempo, ma ci parla ancora oggi attraverso gli scritti e lo sguardo profetico che lo distinsero nei secoli. I pontefici, da Celestino I (11) a Giovanni Paolo II continuano a citarlo e a tenerlo presente nella vita della Chiesa e nella cultura dei credenti e dei non credenti. La sua sete di Dio, la sua spiritualità totale ispirò la filosofia spiritualistica d'ogni tempo, da Bonaventura a Pascal, da G.Marcel a Kierkegaard, al sublime di Kant.

Il suo amore per la bellezza e l'armonia che scendono da Dio parlò ad artisti e musicisti. Il Retore africano ascoltava e ascolta le anime semplici con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. Il dottore della Chiesa Agostino d'Ippona fu il più citato nei documenti del Concilio Vaticano II. Come se fosse lì, fra i 3000 vescovi, a capire il pensiero, l'azione, il bisogno e i problemi dell'uomo contemporaneo. Parlò ai Padri della Chiesa, ma anche ad ogni prete, ad ogni parroco: "Della Chiesa mi sento servitore e desidero non tanto presiedere quanto servire, non tam praeesse quam prodesse." (12)

Come pastore visse il binomio stupendo: "Verbum sacramentum", nel servizio vivente verso ogni fratello. Anche la sua metafisica è una metafisica del "tu", del colloquio e perciò lo seguivano con interesse studenti ed amici. Agostino parla, spiega, interroga, proponendo e la persona sa di essere ascoltata. Giovanni Paolo II, nel XVI centenario della conversione di Sant'Agostino, scrive un'intensa Lettera apostolica Augustinum Hipponensem (13) e alla fine tocca un tema anche a lui molto caro: "Vorrei dedicare una parola ai giovani che Agostino molto amò, come professore prima e come pastore dopo. Egli ricorda ad essi il grande trinomio, verità, amore, libertà tre beni che stanno insieme e li invita ad amare la bellezza, egli ne fu un grande innamorato (...) bellezza che non è solo corpi né solo arte ma bellezza eterna di Dio".

Personalmente mi sento coinvolta. Studenti arabi, musulmani s'iscrivono al mio corso di filosofia medievale e chiedono tesi su Agostino e Ambrogio. Un giovane saudita consegnò a fine semestre un saggio di 100 pagine su Il Convertito di Tagaste. Era composto bene, con citazioni esatte e riflessioni sincere. Dopo la discussione abbiamo parlato: "Il vostro santo mi è sceso nell'anima per la sapienza e l'umiltà". Vorrei incontrarlo ancora quel musulmano di 25 anni, figlio di un importante "notabile". Presto avrà impegni politici nel suo difficile paese. Concludo con le invocazioni che Agostino, filosofo orante, in attesa del battesimo, scrisse a Cassiciaco nel più profondo dei suoi Dialoghi, i Soliloquia: "Dio, che mi spogli di ciò che non è e mi rivesti di ciò che è. Dio che ci rendi degni di essere ascoltati, Dio, al quale ci stimola la fede, ci innalza la speranza, ci unisce l'amore." (14)

 

 

Note

(1) Romano Guardini, La conversione di Sant'Agostino, Morcelliana 1957, p.11

(2) Paolo VI, Discorsi ai Religiosi dell'Ordine di Sant'Agostino, 4 maggio 1970

(3) Jean Guitton, Dispensa n° 3.

(4) De Trinitate, XIV, 8, 11

(5) Ep.120, 11, 8

(6) Confessiones, 13, 37, 52

(7) Confessiones, 2, 5, 10

(8) Confessiones, 4, 9, 14

(9) Ep.172.

(10) S.Ambrogio, Inni liturgici (Cfr De Musica)

(11) Celestino I, Apostolici verba, Maggio 431

(12) Ep. 134, 1

(13) Giovanni Paolo II Augustinum Hipponensem, nel XVI Centenario della Conversione di Sant'Agostino, Roma 28.08.198

(14) Soliloquia, I, I, 3